15 agosto 2024, Ferragosto in Val Trebbia alla locanda Vacca ‘l Suino all’ombra della Parcellara con Dalila e la “famiglia larga”, una foto vecchia 51 anni, la storia mai pensata e mai nata con Cesarina, il saluto d’obbligo a Valentina around route 45 e poi a Roberto per finire la giornata dal Perazzi a San Giorgio nella trattoria anni ’50, quadri partigiani alle pareti, dove puoi gustare i gnocchi annegati nel gorgonzola della signora Maria. Serviti nell’apposito tegamino.

15 agosto 2024, Ferragosto: dalle nebbie del tempo riemerge una storia di 51 anni fa

L’altro giorno, 15 d’agosto 2024, un Ferragosto vivacizzato innanzitutto da diciamo un piccolo fatto curioso capace di alzare un velo sul lontano passato e strappare un sorriso. A pranzo in Val Trebbia alla Cernusca con buona parte di quella che ormai si può definire la nostra (mia e di Dalila) “famiglia larga” (che comprende figli, nuore, nipoti, consuoceri), ad un certo punto Sandro, consuocero col quale avevamo condiviso gli ultimi due anni delle superiori, ha mostrato la foto di classe di quel tempo lontano, giusto per ricordare come eravamo. Insomma, classico momento amarcord che inevitabilmente mi ha suscitato emozioni, ricordi di questo e di quella. La compagna rimasta incinta durante l’anno scolastico, il campioncino ammesso ad un provino con l’Inter, lo studente diventato dirigente della banca pur da ‘semplice’ ragioniere (oggi anche con la laurea ben che ti vada fai il cassiere), la bella coppia che si sarebbe poi persa, quel ragazzo che avrebbe poi indossato l’abito talare, l’amico che ha lasciato la città per andare a gestire un campeggio lassù tra i monti al confine, l’amica che col suo ragazzo gestiva una piccola sala cinematografica d’essai in provincia, la ragazza che si sognava lassù nei cieli in volo con la divisa da hostess, i tanti e le tante dei e delle quali non si sarebbe più saputo nulla (senza tacere di quei due, in fondo occasionali compagni di classe senza apparenti interessi comuni, che mai e poi mai avrebbero immaginato di ritrovarsi un giorno appunto consuoceri). Che io sappia quella classe non si è mai più ritrovata come normalmente si usa. In fondo mi sono mancate, quelle cene da reduci, era la mia classe e quelli erano gli studenti e le studentesse miei e mie compagni e compagne di studi. Eppoi … Il mio sguardo è scivolato sul volto di Cesarina. La classe aveva una rigida divisione: a sinistra della cattedra tutte le ragazze, i maschietti relegati nelle altre due file di banchi. Cesarina stava ovviamente nella fila di sinistra. Io completamente dall’altra parte, sostanzialmente estranei o poco di più, tanto per l’uno quanto per l’altra. Un giorno una delle ragazze mi dice “siete una bella coppia, potreste stare insieme“. “Ma stai pazziando? Coppia addirittura? Mai pensato io, mai pensato lei. Eppoi io sto con Giuliana” (che stava in un’altra classe ed eravamo insieme da almeno tre anni, praticamente promessi sposi). Insomma, Cesarina era indubbiamente interessante come persona, oltretutto carina, gentile, regolarmente sorridente ma … non c’era trippa per gatti. Tutto finito lì senza neanche pensare di iniziare chissà che. L’anno scolastico così è giunto alla fine ed è arrivato il tempo dell’esame, lei confermata la più brava della classe con un sonante 60 finale (allora il massimo dei voti), io nella media col mio 48, la festa di saluto a San Nicolò alla trattoria La Noce e chi s’è visto s’è visto. Cesarina non so, io a festeggiare con una settimana al mare con Giuliana, in pensione come due sposini novelli (all’insaputa dei genitori). Poi, a settembre, imprevisto e mai spiegato, il fulmine a ciel sereno. Dai fiori d’arancio all’ognuno per la sua strada, così lei ha deciso (perché come sempre sono loro, le donne, che ti scelgono, ti prendono, si concedono, cambiano idea, ti lasciano, se ne vanno – però a volte ritornano -). Una botta da restarci secco. Infatti un amico anni dopo rivelò d’aver pensato ad un mio suicidio. Beh, no, mai pensato a nulla del genere, figuriamoci. Solo con due amici, Mino e Lorenzo, sono tornato nella zona di Ancarano, nei boschi non troppo lontani da casa sua a raccogliere funghi… senza trovarne uno che fosse uno e a novembre iniziavo il percorso comune con Antonella, conosciuta grazie a due amici. Una curiosità a posteriori: quel giorno siamo andati a cena con amici in provincia, ad Agazzano e da quel locale siamo usciti mano nella mano. Agazzano era il paese di Cesarina. Un fatto irrilevante ma comunque curioso. Cancellare d’un botto gli anni con Giuliana non era però così facile e infatti dopo pochi mesi il percorso con Antonella è arrivato all’inevitabile capolinea. Non c’era ancora possibilità per iniziare un rapporto nuovo di lunga durata, era stata una superficialità da parte mia l’uscire con Antonella, di fatto illudendola e deludendola (cosa della quale per lungo tempo mi sono rammaricato sentendomi superficiale e colpevole). Nei mesi successivi, qualche amicizia, qualche uscita con altre ragazze, serate a ballare ma chiacchiere e Coca Cola, niente ‘birra’ . Con nessuna. Avevo altro per la testa. L’università: ero stato a Pavia per scienze politiche. Non avevo capito niente rinviando tutto ad altri giorni da venire (se ne sarebbe riparlato al ritorno dalla Naja) e contemporaneamente avevo avuto opportunità di lavoro con una compagnia d’assicurazioni prima, un’impresa edile poi è infine qualche mese in banca a Castell’Arquato. Anni dopo da altri avrei saputo che anche Cesarina si era avvicinata all’università a Piacenza ma … aveva sbattuto il naso sulla porta a specchio, quella che porta non era e, alla fine, sarebbe arrivata all’impiego in banca. Insomma, un ottimo partito, “una brava ragazza che meriterebbe più di un pensiero“, ma non era per me il tempo d’amare. Nessuna. Avevo altro per la testa. Certo, in gita all’Elba avevo conosciuto Giovanna e in città Stefania aveva combinato di farci ballare stretti stretti al People, localino in via Chiapponi. Ma lei era molto giovane e poi, ripeto, avevo altro per la testa e con Mino siamo partiti per la Costa Azzurra alla ricerca di spiagge libere e di belle ragazze. Ne abbiamo vista una in topless da lontano ma altre due pur sorridendoci guardando i nostri jeans, le nostre camicie, i fazzoletti al collo, han detto “ma vestiti così con voi non balla nessuna“. Eravamo a Cannes, la snob, mica a Milano Marittima! Così via, partenza per Misano al festival rock vietato dal PCI, l’autostrada occupata, gli idranti della polizia, per concludere personalmente quell’estate 1974 con un treno che mi portava a Cuneo prima e Aosta poi. Lassù tra i monti, la penna nera al cappello, alzabandiera e “signorsi, signor Tenente” e via un calcioinculo dal SottoTenente alla prova di lancio della bomba a mano perché “soldato, sei un cagasotto!” (“fà ‘n culo, cretino bastardo, fa che ti ritrovi dopo il congedo…Signorsì signor SottoTenente”). Agosto 1974, “La sveglia del mattino rompimento di coglion, il primo che si sveglia è il più fesso del battaglion“. Nel mio cuore sempre Giuliana e un certo rammarico per Giovanna. Gli altri stavano con la foto della ragazza nel taschino, ricevevano lettere e telefonate. Io niente salvo qualche telefonata con mamma e papà, mi sentivo un po’ molto solo così… ho scritto a Giuliana. Lei ha risposto. Raccontandomi del suo nuovo amore. Ma che gratificazione, lei paro paro al SottoTenente. Mai pensato invece di scrivere all’amica Cesarina. Fu forse un errore non pensarci? Chissà. Comunque chi dorme non piglia pesci e sarebbe inutile poi rammaricarsi 50 anni dopo. Ma intanto, a dicembre, in licenza, festa di capodanno, ho conosciuto Mina. Qualche giorno dopo ho suonato a casa sua, siamo usciti e Giuliana, coi suoi nuovi amori (nel frattempo come mi scrisse, finiti) era dimenticata. Ma anche lei, Mina, nonostante altri anni insieme, non era la donna della mia vita. Un giorno, anni dopo, di nuovo libero, avrei conosciuto Dalila e così eccoci, l’altro giorno, noi due insieme, una lunga vita alle spalle, una vita ancora da vivere davanti, eccoci qui con la “famiglia larga” alla Cernusca, un figlio, Fabrizio, e una nuora, Elettra, con due nipotine in Nuova Zelanda da ormai quasi due anni sentiti in mattinata via whatsapp, un altro figlio, Edoardo, con un’altra nuora, Daniela, e nipotino di appena 20 mesi seduti con noi insieme agli altri nonni. E Cesarina? Un volto sorridente tra i tanti su una fotografia di 51 anni fa! Mai rivista, da allora, mai cercata e quell’idea di quell’altra nostra compagna di classe che ci avrebbe visti bene insieme persa nelle nebbie del tempo passato. Mai rivista, Cesarina, dicevo. Fino a pochi anni fa (10? 15?) quando nel corridoio dell’Ausl dove stava il mio ufficio t’incontro una ragazza coi capelli neri che mi saluta, mi ferma, mi parla, “ma lo sai chi sono?” “Ma certo!” la mia pronta risposta ma in realtà l’ho presa per un’altra e solo quando se n’è andata ho capito chi, dopo tanti anni, avevo ritrovato… a mia insaputa. E a quel punto inevitabile il chiedermi “ma se in quei giorni lontani, finita la scuola, l’avessi cercata? Una telefonata, un giro fino al suo paese?”. “Se da lassù, in marcia sul Cervino a quota 2400 avvolti nella tempesta di neve col cappello e la penna nera intirizziti, avessi ben pensato di scrivere a lei invece che a Giuliana? Se quella comune amica che c’avrebbe visti bene insieme avesse avuto ragione? Chissà, magari le nostre vite sarebbero state altre vite“. Ma coi se e coi ma tardivi non si va da nessuna parte. E a tavola, in questo 15 agosto 2024, Ferragosto, qui alla locanda Vacca ‘l Suino, sarei con chissà quali altre genti. Già. Ma sui se e sui ma non si costruisce il passato e tanto meno il futuro per cui tutto finito lì. Solo che passati altri anni, nel 2016 presentando un mio libro in un paese della provincia … tra il pubblico riconosco proprio lei. Mi sarebbe piaciuto scambiare qualche chiacchiera, raccontarci di quello che avevamo fatto dopo il diploma, che vita ha avuto lei, in quale banca ha lavorato, chi ha sposato, quali figli ha avuto, ma non ne abbiamo avuto la possibilità, io ero richiesto al firma copie e lei impegnata coi suoi conoscenti per poi andarsene. Il libro l’ha acquistato. Si raccontava di quel 1° maggio 1986, quando la nube radioattiva fuoruscita dalla centrale nucleare di Chernobyl è arrivata e scesa sulla pianura padana. Spero le sia piaciuto. Nella stessa biblioteca sono poi tornato nel 2021 con un nuovo libro, speravo in un nuovo incontro ma niente da fare. Come mi è stato detto da Elisabetta, la bibliotecaria, “probabilmente sta occupata a far la nonna“. Diamine, come passa il tempo, “anche lei già nonna?“. Per inciso: ho poi pubblicato altri due libri, nel 2022 e nel 2023, ma dalla biblioteca di quel paese non ho più ricevuto inviti. Comunque intanto, di fronte al mio stupore per quella foto, Sandro ha rivelato che gliel’avevo mandata io qualche anno fa!!! “Ma và, cosa dici, quella foto non è mia“, ma Daniela conferma, “l’hai proprio mandata tu via whatsapp” e, davanti alla nuora che è voce di verita non posso far altro che tacere. Il guaio è che ha ragione e quindi probabile si possa parlare di rincojonimento mio? Succede poi alla sera dello stesso 15 agosto, Ferragosto 2024, faccio una ricerca e scopro che effettivamente due anni fa (maggio 2022) un’altra compagna di classe di quegli anni, Loredana, dopo avermi ‘riscoperto’ in facebook me l’ha inviata ed era stata occasione per parlare anche allora di Cesarina e di quella ‘simpatia’ che ho sempre pensato fosse amicizia e niente di più, da parte di entrambi. Poteva essere altro? C’era una possibile base nascosta di un interesse diverso? Una notizia che Loredana ha definito un vero e proprio scoop, sorprendente, mai per parte sua sospettato nulla del genere. Un inciso a latere: ero andato a trovarla, Loredana, negli anni della scuola. A casa sua, forse con Angelino, a Borgonovo, paese della Val Tidone che in un allora ancora lontano futuro avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. Lì abitava un amico e collega di lavoro a partire dagli anni ’90, Fausto Chiesa, che ho frequentato e insieme abbiamo girato per la provincia portando le mie poesie e le musiche all’organetto diatonico di Francesco Bonomini, abbiamo insieme fatto due libri e li abbiamo portati nel castello del paese, il salone stracolmo. Emozioni da leggenda. Ho chiesto a lui e ad altri borgonovesi notizia di Loredana ma niente da fare, probabilmente aveva lasciato il paese. Mi ha fatto piacere quando, via facebook, mi ha contattato praticamente 49 anni dopo. A questo punto mentre il cameriere, il nostro amico Paolino porta i primi (a ciascuno il suo ordinato: gnocchi al sugo di fassona, anolini stesso sugo, pisarei e fasò), ho restituito il cellulare con la foto a Sandro dedicandomi al gustoso piatto. Ovviamente accompagnato dal tradizionale scodellino di vino rosso come d’uso nelle bettole, nelle locande e nelle osterie dei tempi andati che per fortuna ritornano. Ed ecco il Ferragosto edizione 2024, “sapete che a dicembre partiamo, abbiamo già i biglietti, 22 ore di volo, 10 ore di soste negli scali e finalmente saremo a Wellington, Nuova Zelanda, da Fabrizio, Elettra e le bambine“, dice nonno Roberto, “sicuro, lo sappiamo” e par di notare un velo di invidia da parte di chi non può andare per fatti di salute. “Resteremo tre mesi, fino ai compleanni delle bambine a febbraio” e qui qualcuno s’attacca alla sedia per non ritrovarsi sdraiato a terra: “ma allora infierisci, questa è una pugnalata al cuore senza pietà“. Chiacchiere, ovviamente grandi attenzioni per il nipotino che mangia, beve da solo e giunta l’ora del gelato si prende lo scodellino del babbo e chi s’è visto s’è visto. Salvo un imprevisto involontario movimento maldestro e lo scodellino (comunque ormai vuoto) prende il volo e finisce in mille pezzi. Succede ai grandi, figurati ad un bimbo di non ancora 20 mesi. Succede. Paolino arriva con scopa e paletta, i cocci finiscono nell’apposito bidone e la festa continua. Fino a quando “scusate ma devo andare a trovare mia madre, sapete che ha problemi“, dice nonna Luigia, ci si alza, è l’ora di metter mano chi alla carta di credito chi al bancomat, far di conto e quel conto pagarlo con l’oste cuoco d’eccellenza, Marco, che ringrazia di tutto cuore e invita tutti a ritornare quanto prima, “tranquillo, succederà presto” assicura Dalila pienamente condivisa da me, da Edoardo, da Daniela che della locanda siamo estimatori da tempo. Ora ammiratori dei primi, ora dei secondi, per tacere dei salumi. Salame con la gussa, coppa, prosciutto e quella pancetta che la mangi ad occhi chiusi così ti senti volare su in Paradiso al desco degli Dei. E la glicemia sale alle stelle e il diabete balla suonando l’ocarina. Così, dichiarata conclusa la festa, ciascuno alla sua auto, “ciao a tutti, alla prossima festa“, tutti al rito del bacetto al nipotino felice tra le braccia del suo babbo e per questo generoso di saluti con la manina e baci di ritorno per poi essere seduto da mamma sul seggiolino nel sedile posteriore dell’auto. Ed è partenza verso un altro orizzonte. Così io e Dalila, 41 anni di vita insieme per tacere dei 4 anni da fidanzatini, con tanto di vissuto, non ci neghiamo una sosta a Casino Agnelli da Valentina e dalla mamma Maria Rosa per un caffè e un arrivederci perché, dice, “sapete, il pizzaiolo che doveva lasciarci è tornato così ora facciamo la pizza anche a mezzogiorno, mi raccomando, vi aspetto“. “Certo, non mancheremo, magari quando ci sarà meno confusione“. “Vi aspetto, tornate presto“. Mi fermavo a Casino Agnelli già negli anni di quando lavoravo in ospedale a Bobbio, si mangiava, si scambiavano due chiacchiere con MariaRosa e col marito ma soprattutto con un saluto a quella ragazzina che era Valentina e che ora il piccolo Daniel chiama mamma. Con Dalila siamo poi tornati con i nostri figli piccoli e intanto Valentina cresceva, studiava giù in città. Poi è arrivata l’esondazione della Trebbia, il campeggio allagato, la nostra piccola isola felice distrutta. Eppure abbiamo continuato a venire mentre Valentina si diplomava ragioniera e infine, ormai sposa, prendeva in mano la conduzione dell’impresa con la mamma al fianco e l’aiuto del marito. “Certo che verremo, ne potresti mai dubitare?“. Di nuovo in auto lungo la vecchia Statale 45 giù verso la pianura e a Rivergaro deviazione per Gossolengo, poi a prendere stradine di campagna dove ormai tanti anni or sono se n’approfittava per qualche sosta tra verdi e fresche frasche ch’era poi meglio tacerne al babbo di lei mentre il babbo mio avvertiva “sii prudente, figlio mio, vacci piano se non volete trovarvi in compagnia prima del tempo“. Altri tempi, ricordi della nostra vita passata, dei nostri anni spensierati che cullano la mente e il cuore, che fanno sorridere. E via fino a Strada della Regina per un saluto alla casa dove tante volte siamo stati a chiacchierare con Fabrizio ed Elettra e le due nipotine prima della loro partenza per la Nuova Zelanda. E ancora Quarto, “che ne dici“, propone Dalila, “perché non telefoni a Roberto?“. Già, abbiamo passato diversi Ferragosto insieme a lui e Rita ed ormai son 4 mesi che è in ospedale, “penso gli faccia piacere“. Faccio il numero, risponde, si sente malissimo, riprovo con Whatsapp e la linea cade. Riprovo e “accidenti Roberto, finalmente ti si sente la voce, l’hai ritrovata“, parliamo, cazzeggiamo, ritroviamo l’amico di sempre anche lui finalmente nonno e il viaggio di nulla e d’amicizia prosegue. San Bonico, di provinciale in provinciale, Pontenure, Valconasso, San Giorgio. “Sai che stasera potresti venire a mangiare con noi dal Perazzi?“. Proposta che cade nel vuoto. Naturalmente. Ci vorrà qualche giorno ancora prima che i camici bianchi forse lo lascino finalmente libero. Però dal Perazzi ci fermiamo lo stesso. Per salutare Alessio. Trattoria Perazzi, sembra d’entrare in un locale anni ’50, prima stanza il bancone del bar, due tavoli con tovaglia a quadretti bianchi e rossi difficile manchi una bottiglia di vino e qualcuno che parla in dialetto, a sinistra la cucina regno della signora Maria, poi la sala pranzo con la stufa a legna al centro, vecchie tavole e sedie bianche di legno che sembrano uscite da un film del dopoguerra, alle pareti immagini del partigiano combattente, lo zio di Alessio. Alessio, laureato, figlio e aiutante della signora Maria, regina della cucina rigorosamente casalinga. Abbiamo sempre il Roberto al cellulare, vogliamo farlo salutare dall’Alessio. Che non c’è. C’è la Maria che è la mamma e soprattutto la cuoca così il telefono lo passiamo a lei, “mi raccomando, l’aspettiamo presto, signor Roberto“. Così lo salutiamo “ciao Roberto, a presto allora, ci raccomandiamo” “ciao ragazzi, grazie, vi faccio sapere” “click” e ci sediamo. Chiacchieriamo con la Maria, “oggi è stata una bella giornata, avevamo la sala piena e gente che mangiava fuori“. Arriva gente, gente di paese, un manovale e il suo socio muratore, un ragazzo con un ragno tatuato sul polpaccio, pare lavori nei campi qui vicino. “Maria, per noi tre bianchi“. Entra la Stefania, si gioca sui doppi sensi e un altro prende una birretta. Entra un francese, ordina per un tavolo esterno, per un attimo cala il silenzio al bancone. “Ma quello è straniero?“, chiedo io. “No, no, quello è francese“. “Son quelli che non hanno il bidè“, “e portano la baguette sotto l’ascella sudata“, “brutta gente“, “io a uno di quelli gli ho fatto mangiare i denti!“, “ma dai, perché puzzava?“, “no perché m’aveva detto figlio di puttana e la mia mamma va lasciata stare!“. Giusto, la mamma non si tocca mai. “E nemmeno le sorelle!” “lè una bela fiola to surela“, dice uno con un sorriso malizioso, “lo so che c’hai voglia di toccarle il culo ma prima o poi ta stac la testa” e vola una pacca sul braccio che poco ci manca lo rompa davvero. Intanto arriva Alessio, qualcuno chiede un altro bianco, si cerca il bottiglione che la Maria dice essere nel frigo ma nel frigo l’Alessio non lo trova, la compagnia degenera in frizzi, lazzi e risate. “Dalila, son le sette, sarà ora d’andare a casa, che dici?“, “come vuoi, aspetta che porto ad Alessio i saluti di Roberto“. Così salutiamo tutti con appuntamento ad una prossima cena a base dei succulenti gnocchi annegati nel gorgonzola serviti in apposito pentolino, magari presenti Roberto e Rita che se vorranno possono scegliere i tortelli burro e salvia il tutto annaffiato col buon vino rosso di cantina contadina della Val Chero. Decisamente una giornata con Dalila, Edoardo, Daniela, nipotino, consuoceri e consuocere oltre idealmente – sia pur da distanza – a Fabrizio, Elettra e nipotine … ricca di sorrisi. Chissà dove e come avranno passato il Ferragosto Cesarina, Giuliana, Antonella, Loredana e tutti i ragazzi e le ragazze di quella foto di 51 anni fa ritrovata oggi nel cappello magico del cellulare di Sandro, allora uno dei compagni della V^ sezione A oggi, incredibile ma vero, nostro consuocero. Quanto al domani … si vedrà, aspettando il 15 d’agosto del 2025 quel che sarà, sarà.

POIANA e PARCELLARA poiana e pietra parcellara 0 foto di Luigi Ziotti (soffientini)

“La vita val bene una mascherina”: cambia il nome ma torna il Covid che oggi da 19 passa a KP.3.1.1: ridondante ma sembra quasi inoffensivo

Qualche giorno fa sono entrato in uno studio medico in accompagnamento a Dalila, mia moglie. L’impiegata ha chiesto di indossare la mascherina perché “il Covid ritorna“. Non ne avevamo ma per fortuna a pochi passi dallo studio c’era una farmacia. Alla fine ad essere positivo era il medico stesso che infatti, per cautela visti i miei trascorsi, non ha voluto entrassi nel suo ambulatorio. Ha visitato Dalila però … a porta aperta in modo che anch’io sentissi, come d’abitudine e volontà di Dalila, diagnosi e cure necessarie. Comunque: l’indossare la mascherina mi ha riportato a giorni ormai quasi dimenticati e così come l’occasione fa l’uomo ladro ho ben pensato … di farmi un bel selfie. In altre parole meglio prenderla sul ridere, anche se c’è ben poco da ridere. Passati gli effetti diretti (polmonite interstiziale), il virus è rimasto nel mio corpo dove s’aggira alla ricerca di ‘punti deboli’ sui quali imperversare. Si tratta del Long Covid, col quale faccio i conti ormai da 4 anni. L’importante è sempre ‘pensare positivo’ e ‘tirare avanti’. Per esempio: ieri, per la prima volta dopo 13 mesi, restando in casa ho provato a dismettere la scarpa ortopedica post operatoria Talus finora necessaria al piede sinistro, passando ad un sandalo. Piccole conquiste quotidiane, della serie tempo al tempo, ci vuole tanta pazienza ma chi la dura magari la vince. Ma questi, comunque, sono problemi miei. Mi preme invece osservare che, stando alle notizie ufficiali del Ministero, i casi di Covid nell’ultima settimana sono aumentati del 26% (17mila nuovi casi registrati) ma nessuna preoccupazione particolare. L’attuale variante che si chiama Covid KP.3.1.1 presenta sintomi lievi, simili a quelli di un raffreddore o di una lieve influenza. Ormai si parla di immunità ibrida da parte della popolazione tuttavia, soprattutto per anziani con gravi patologie concomitanti o immunodepressi la cautela è d’obbligo per cui sarà sempre meglio consultare il medico. Si evidenzia infatti il tasso di mortalità nelle fasce 80-89 e oltre 90 anni rispettivamente pari a 4 e 8 per 1.000.000 abitanti. Insomma, dati tranquillizzanti e comunque personalmente, dall’alto dei miei 70 anni, posso definirmi un giovincello forse in grado di ‘saltare i canali per il lungo‘. Forse. Per cui comunque la domanda d’obbligo che mi sorge è appunto circa l’utilizzo della mascherina. Serve? Mah, forse nel caso di presenza in occasione di grandi assembramenti potrebbe definirsi consigliabile come misura di cautela. Attenzione anche alla necessità di proteggerci rispetto ad una qualità dell’aria che, quantomeno nella mia Emilia-Romagna e nella mia Piacenza risulta a livello di particolare inquinamento. Ma, per il resto, Covid-19 o variante Covid KP.3.1.1, mi auguro che chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto. Comunque nel frattempo, girando di farmacia in farmacia, mi viene confermata l’aumentata vendita dei kit ‘tampone fai da te’. Quasi azzerata invece la vendita di mascherine. Insomma, attenzione medio bassa ma comunque sempre alta, di prudente cautela. Chiudo infine questa breve riflessione accennando al fatto che, nei giorni successivi alla presenza nello studio medico che dicevo, sono stato in ospedale, nel settore ambulatori ORL. Diverse persone presenti, nessuno (io incluso) con mascherina. All’uscita, passando nei cortili ospedalieri, ho incontrato diversi ex colleghi e, tra questi, Andrea Contini, oggi Direttore Assistenziale. Esprimendo la soddisfazione nel vedermi tutto sommato ‘ben messo’, ha ricordato di essere venuto al mio letto in rianimazione in quei giorni dell’aprile 2020, quando si temeva non avessi un domani. Naturalmente io non avevo coscienza di quella presenza, della quale ho saputo solo molto tempo dopo. Ricordarmela, pochi giorni fa, mi ha nuovamente riempito di gratificazione. Non era tenuto a farlo, anzi correva un rischio notevole che poteva assolutamente evitare. Non l’ha fatto. Venne ad accertarsi delle mie condizioni. Un’attestazione di stima personale per gli anni di lavoro sostanzialmente comune (sia pure da distanza, in ruoli diversi) in ambito organizzazione sanitaria che conferma il piacere di restare sorridendo in questa ‘valle di lacrime‘. Così mi vien spontaneo l’affermare “Covid non hai avuto (e spero non avrai checché tu ci prova) il mio scalpo!

Quella tessera conquistata sul campo, maciullata (anni fa) in lavatrice, messa in discussione da un provvedimento disciplinare, al fin tutto ben, venerdì arrivata nuova

Ci sono raccomandate che sanno scaldare il cuore. Con di contraltare PEC che raggelano l’anima. La PEC in questione risale a qualche mese fa: si trattava della notizia di un provvedimento disciplinare per non aver adempiuto all’obbligo formativo per il triennio 2017-2019 in quanto iscritto all’albo dell’Ordine dei Giornalisti. In effetti PEC preceduta da altre con le quali mi si chiedeva di fornire spiegazioni. Dato il mio silenzio colpevole (era tempo che non aprivo la mia PEC considerato lo scarso utilizzo) inevitabilmente si era arrivati alla sanzione. Praticamente una censura fortunatamente senza conseguenze pratiche nell’immediato. Il problema era che non avevo poi adempiuto allo stesso obbligo anche nel triennio successivo (quello degli 88 giorni di ricovero per Covid-19 e a seguire per post Covid, long Covid e po’ ‘ta fat spusslon d’un Covid). Una situazione a dir poco disdicevole: al secondo provvedimento disciplinare infatti è possibile la cancellazione dall’Albo. “Una cosa che, nella tua posizione, non puoi permetterti“, mi ha detto un amico (e collega compagno della mia ultima avventura nel campo della comunicazione) consigliandomi piuttosto di chiedere direttamente la cancellazione come rinuncia personale evitando ogni clamore. Del resto sono già alcuni anni che la mia attività come giornalista langue anzi latita (salvo il blog che considero la mia rivista virtuale personale pur non avendo mai provveduto alla registrazione presso il Tribunale e l’avventura appunto con i mercoledì letterari coi grilli per la testa). Addirittura sono senza tessera, finita maciullata nella lavatrice sempre da qualche anno. Cose che non mi preoccupavano in verità più di tanto. Che io scriva nel mio ambiente di vita lo sanno anche i sassi, di regola – almeno per quanto agli ambienti che mi interessano – non ho bisogno di mostrare tessere o di qualificarmi (nemmeno quando mi sono trovato a fotografare i Black bloc in azione a- Caorso in manifestazione antinucleare senza che nessuno mi aggredisce – mica eran fassisti di Casa Pound – ). Però tessera o non tessera, ho sempre pagato la quota annuale dovuta all’Ordine, nessuno mai ha messo in discussione il mio essere giornalista anche se il mio principale impegno professionale alla fine è stato prevalentemente altro. Pensate un pò, giornalista regolarmente tesserato da 37 anni!!! Dunque di dimettermi o di accettare la cancellazione d’ufficio proprio no. Non senza rivendicare il diritto alla qualifica che ritengo di aver conquistato e meritato “sul campo” innanzitutto con la corrispondenza con l’Avanti! (finché Craxi non è diventato dominus totale del Partito snaturandone etica e valori), lo storico quotidiano del socialismo italiano e gli articoli su temi sociali come la diffusione di droghe, la sicurezza in materia nucleare, lo sviluppo in funzione antioperaia del sistema industriale e finanziario italiano, argomenti poi diventati oggetto delle mie pubblicazioni. Così ho contattato la Segreteria del mio Ordine regionale e qui devo ringraziare il responsabile per avermi seguito, indicato, consigliato, consentendomi di presentare la documentazione utile per chiarire la mia posizione e, nell’occasione, per chiedere – anche su insistenza di Dalila – una tessera sostitutiva di quella originale come dicevo maciullata in lavatrice. Così ecco, venerdì verso le 11.30, mentre Marica, l’infermiera del servizio di Assistenza Domiciliare dell’Ausl, stava come di consueto provvedendo alla medicazione periodica necessaria per i tanti problemi post Covid che ancora dopo 4 anni non mollano alla faccia dei No Vax, è suonato il campanello. Dalila, accertato che era la postina, é scesa all’ingresso perché “c’era da firmare“. Certo, era la raccomandata dell’Ordine con tanto di tessera allegata che, giuro, metterò in un cassetto a ricordo del mio essere stato e di essere giornalista. Tanto non avrò bisogno di mostrarla, di qualificarmi. Infatti nella mia città non ci sono sedi di Casa Pound e chi o cosa politicamente e professionalmente io sia lo si sa, tessere a parte: “#oraesempreResistenza e #sempredallapartedellapace, contro l’invio di armi in Ucraina e in Israele, e ancora #bastagenocidioaGaza.

“Una settimana dal 17 al 23 giugno che a muso duro si spacca il muro, tonfi, trionfi, stelle, stalle: alfine finalmente è arrivato lunedì 24.06 ma alle 9.00 squilla il cellulare e …”

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All’orizzonte, in riva all’Arno appare l’ombra d’una gamba di legno

Una settimana decisamente da batticuore. Già al debutto lunedì 17 giugno: partenza per Pisa via A1 prima, deviazione per l’autostrada della Cisa poi, arrivo in albergo per scoprire che la prenotazione di due notti partiva da domenica. Un errore da rincojonimento cronico. Oppure da mente distratta per lo scopo del viaggio: verifica dello stato del mio piede sinistro, ormai… in fasce da più d’un anno con futuro incerto circa i tempi ancora necessari per tornare alla normalità, almeno quella possibile, da definire. Comunque intanto se pensavo di avere a disposizione due notti, l’errore nelle date significa già all’indomani essere a piedi anzi per la strada. Comunque andiamo subito all’ospedale Cisanello, una struttura enorme, per pagare la visita in libera professione dell’indomani, troviamo l’edificio 29, Dalila spinge la porta d’ingresso e… chiusa! Ma come, l’orario dichiarato sul sito dell’azienda garantisce apertura dalle 8.00 alle 20.00, sono sicuro di non aver sbagliato anche questo. Certo, mi dicono al centralino, ma oggi giorno del Santo Patrono la chiusura è anticipata! Non ci resta che tornare nell’albergo e approfittare dell’annesso ristorante per un gustoso piatto di paccheri e relativo conto ovviamente pepatino ma nel giusto. Q.B.: quanto basta.

Una bella e sana dormita aria condizionata accesa e sorge il sole di martedì 18. Dobbiamo lasciare la stanza alle 12 per poi panino e acqua frizzante in un bar d’occasione e infine sotto il sole cocente aspettare le 17.30, ora della visita medica all’ospedale Cisanello per la situazione del piede a seguito dell’amputazione dell’alluce subita un anno fa per una circolazione venosa deficitaria (un po’ causa diabete, un po’ effetto post Covid) . Visita con esito infausto. Si parla di nuova rivascolarizzazione per cattivo funzionamento del bypass inguinale senza escludere nuova amputazione a livello metatarso. Pensa un po’, doveva solo essere un problema di chiusura di un decubito laterale! Con Dalila restiamo perplessi, la situazione non sembrava e a noi non sembra a questo punto ma in questo caso non vale il detto che il miglior medico per i nostri problemi di salute siamo noi stessi. Almeno così pare. Va beh, poi si vedrà, ci penseremo, calma e gesso. Prendiamo l’auto e torniamo in autostrada dove ci raggiunge una telefonata: dovremo tornare a Pisa venerdì 21 per una visita del chirurgo vascolare: una vera e propria pugnalata alle spalle per cui… decidiamo di fermarci a Sarzana per festeggiare, cerchiamo un b&b via booking.com, lo troviamo, una stanza al secondo piano d’uno storico palazzo che fu convento delle suore, arriviamo, parcheggiamo un po’ distante, ci sistemiamo e ci regaliamo una gustosa cenetta all’aperto in una piazzetta che troviamo vicina.

Ed ecco mercoledì 19.06 (lo 06 è un dato certo, fermo, sicuro, almeno per altri 7 giorni). Si rientra a casa, breve relax e alle 17.30 in via Roma al 163 in città per la prima delle tre serate di presentazione di libri di autori locali previste in settimana. Finisce alle 20 tra brindisi e abbracci, con Alessandro Bersani, autore, fotografo, cieco dalla nascita, e soprattutto con l’abbraccio all’ospite Chiara Morini medico oculista nell’ospedale cittadino, sempre “così carina, così educata” come faceva una simpatica canzonetta della Mina old style. Subito di nuovo in auto e alle 21 ecco la seconda presentazione, a Carpaneto, nella storica sala BOT del Castello sede municipale. Ovviamente sempre con fine serata in gloria, in pizzeria insieme a Francesco Saverio Bascio ed Emilia, la moglie. Pizza, risate, birra rossa, Coca Cola, vino rosso delli colli, limoncello, nocino e buon caffè. Viva la vita, viva l’amor e chi lo sa far.

Ovviamente giovedì 20 ripartenza per Pisa con prenotazione in un più economico b&b. Arriviamo poco dopo le 19, fuori orario per cui niente reception d’accoglienza, si entra attraverso codici che aprono scatolette con chiavi all’interno. Purtroppo niente codici per aprire il cancello che immette al parcheggio auto a pagamento, portiamo l’auto al parcheggio pubblico abbastanza distante (ma una bella camminata poi non fa mai male) naturalmente intasato, completo ma per nostra fortuna un’ auto lascia libero uno spazio, saluta e se ne va. Torniamo dunque al b&b escludendo di muovere la macchina per non perdere il posto ma nessun problema, al piano terra ci sono le macchinette distributrici, prendiamo acqua (qui non s’ha il vezzo della minerale di cortesia) e magici TUC, saliamo in camera al 1° piano, mangiamo, dopo aver invano cercato di accendere il condizionatore e aver invano telefonato per chiedere un intervento tecnico. . Beh, vabbè, teniamo nella memoria “B&b Il Mattino ha l’ oro in bocca”, guardiamo perdere una penosa Italietta contro le Furie Rosse Spagnole e dormiamo un poco sudaticci.

Alba di venerdì 21 sveglia per le 8, buffet decisamentea chiaro scuro, nessun succo, solo acqua e tante bustine per il the. Buone brioche e biscottini però peccato niente prosciutto. Insomma buffet così così, sufficiente ma ne abbiamo visti di meglio. Alle 10 via di fretta, di nuovo ospedale, controllo del livello di ossigenazione del piede e, a seguire, la visita del chirurgo vascolare che parla di intervento complicato, complesso, con margini di possibile insuccesso e comunque occorre una angioTAC aortica che prescrive. Morale sottoterra e molta confusione, si riparte.

Rientro a casa, decisamente provati, ci si rifugia nel sonno ristoratore fino a mattino di venerdì 22 giugno (sempre lui) inoltrato ma… poco dopo le 8.00 suona il cellulare, sul display appare il prefisso: 050, PISA!!!! Vien da pensare “meglio un morto in casa che un pisano al cellulare, Dio buono!”. Comunque sia una gentilissima dottoressa, la voce carina, carina, milla volte carina capace di far sognare ma in un amen il sogno svanisce ed è la cruda realtà del camice bianco, uomo o principessa che sia: informa che l’angioTac è stata fissata (durante la notte!!!) per lunedì 24. Altri 450 chilometri? Ma no, adesso basta, lasciateci tirare il fiato! Pensare che a casa nostra ci lamentiamo delle lunghe liste d’attesa, settimane e talvolta mesi per un esame. A Pisa 48 ore! SuperDott! I punti esclamativi si sprecano e comunque vorrei intanto un confronto con i sanitari che finora hanno seguito il mio caso a Piacenza per cui stavolta dico no, lundì 24.06 l’angioTac non s’ha da fa’! Restiamo a letto ancora giusto un paio d’orette quindi contatto via whatsapp con Fabrizio in Nuova Zelanda, il nostro “figlio grande” a breve quarantenne ed Elettra, quindi fuori a pranzo al China Town con Edoardo il nostro “figlio piccolo” e Daniela col loro figliuolo. In altre parole, summit familiare di riflessione con tensione, perplessità e nervosismo serpeggianti. Fino alle 17.30 quando salutati tutti partiamo per la terza serata di presentazione di un libro di un amico studioso storico, Umberto Battini. A Calendasco, dove, bloccati per 10 minuti buoni dalla sbarra di un passaggio a livello Ferroviario, arriviamo alle 18. 05. Nella suggestiva location del cortiletto dell’antico medievale Romitorio ospitale del gorgolare restaurato dal pittore Bruno Grassi (presente), dove Corrado Confalonieri nel 1315 indosso’ il saio francescano iniziando un percorso di vita di accoglienza e assistenza ai bisognosi che lo avrebbe infine portato al riconoscimento della santità. Ma di questo parleremo in separata sede. Di rilievo invece la conclusione della serata: in pizzeria, noi due, io e Dalila, a Gossolengo, dove eravamo stati con Fabrizio, Elettra e le loro due figlie (le nostre nipotine), poco prima della loro partenza per la Nuova Zelanda, ormai quasi 18 mesi fa. Insomma, un buon posto per guardarci negli occhi e guardare alle spalle una settimana tra magnifici trionfi (le presentazioni di libri e dei loro autori) e irrefrenabili tonfi. Ma tant’è.

Ed ecco giunge alfin domenica 23, finalmente la settimana di ferro e fuoco volge al termine ma… alle 8 suona il cellulare per fortuna è “solo” Edoardo, chiama per una colazione tutti insieme al Pin Up di La Verza, brioche al pistacchio da leccarsi i baffi e soprattutto per festeggiare “cosino” che oggi fa 18 mesi con noi per cui sarebbe ormai “grandino” . Poi loro partono destinazione Rimini, il mare e noi in casa, devo leggere il romanzo di Paola Chimisso, ultima presentazione prevista il 26 giugno in via Roma al 163 per i “mercoledì coi grilli per la testa” prima della pausa estiva. Ma soprattutto devo festeggiare la fine di una settimana di trionfi e di tonfi.

Sperando la successiva (quella attuale) sia una settimana più tranquilla anche se non so, la mia vita è così e va bene così, mi piace così. A muso duro si spacca il muro.

Infatti ieri, lunedì 24.06, alle 9.00 di nuovo ha squillato il cellulare. Prefisso sul display 050, Pisa! Ho sentito un gran krak al naso, come aver sbattuto contro il muro duro come il calcio d’un mulo! Ahi!

Comunque una cosa sia chiara: niente gamba di legno per me in quel di Pisa, pisano avvolto nel rosso di sera non avrai la mia gamba di carne ed ossa intera!

Tramonto sull’Arno a Pisa

Mondi fantastici in 3D, il mago piacentino degli effetti speciali dà forma ai sogni di Hollywood (da Libertà del 2.02.2024)

Fabrizio Arzani all’ingresso di Weta

Supereroi invincibili, mondi immaginari e armi dal futuro. Fabrizio Arzani si diverte un sacco a dare forma e colore alle fantasticherie di Hollywood.
Il “mago” piacentino degli effetti speciali dal 2022 vive e lavora in Nuova Zelanda, alla corte di sua maestà Peter Jackson, regista pluri-Oscar della saga “Il signore degli anelli”.
Per inseguire i suoi sogni, cullati fin dai tempi del liceo Cassinari, il 39enne cresciuto a piazzale Marconi, dopo la laurea in Scienze dei Beni culturali alla Statale nel 2009 era volato a Londra per imparare i segreti degli effetti visivi digitali.
Grazie alle meraviglie della grafica 3D, oggi Fabrizio “scolpisce” e colora creature fantastiche o veicoli usando il mouse al posto di scalpello e pennelli. Controllate pure, basta scorrere i titoli di “Guardiani della Galassia Vol. 3” o di “The Last of Us”, tanto per citare i lavori più recenti.

Il fantastico mondo creato per Avatar

Una magnifica storia iniziata nella nostra città negli anni ’90, come racconta lo stesso Fabrizio: «A casa hanno sempre sostenuto il mio percorso artistico: mamma Dalila in passato è stata una musicista, papà Claudio scrive libri e poesie con un discreto successo in ambito locale e non solo. Ergo, mentre tutti volevano fare gli artisti e venivano spinti dai genitori a fare i dottori, a casa mia funzionava al contrario. Ogni scelta quindi, sia per me sia per mio fratello Edoardo (grafico ed ex colorista alla Bonelli Editore), veniva presa in quella direzione: il conservatorio Nicolini alle medie per sviluppare sensibilità e conoscenza musicale; il liceo artistico con indirizzo figurativo per sviluppare quella pittorica; Beni culturali con indirizzo cinema, musica, teatro a Milano, perché la cultura storica e filosofica sono importanti».

Gavetta a Piacenza, immagino…
«Esatto. Ho iniziato prendendo confidenza con telecamere e moviole, lavorando sodo – spesso non retribuito – con la promessa che un giorno la passione avrebbe ripagato. Era un buon passatempo, mentre investivo le mie ore libere in studio ed approfondimento o progetti indipendenti con cui partecipare a concorsi di regia in giro per l’Italia».

Prime soddisfazioni?
«Con il corto “Prosit” ho portato a casa la menzione speciale del “Pesaro Horror Fest” ed è stato il lasciapassare per il corso di regia al laboratorio Farecinema di Marco Bellocchio nel 2008 a Bobbio. Affrontava il tema dello sballo del sabato sera ed era sostenuto da Lila – Lega lotta contro l’Aids e dall’assessorato alle Politiche giovanili di Piacenza con Sert e Regione Emilia Romagna. C’erano le musiche del mio carissimo amico Gabriele Minuta, purtroppo scomparso prematuramente».

L’anno della svolta invece?
Quando, convinto di non aver più nulla da dare gratuitamente e volendo conoscere di più, a 25 anni mi sono spostato a Londra per studiare “Visual Fx”, ovvero effetti visivi, agli Escape Studios. Da lì sono entrato nel mondo delle produzioni ad alto livello».

La locandina de “I guardiani della galassia Vol. 3”

Subito dalla porta principale…
«C’è stata un’evoluzione, dopo i primi passi improntati su regia e scrittura. A Piacenza mi occupavo di corti, mediometraggi, documentari, broadcasting e pubblicità. L’approccio al 3D ed agli effetti speciali è arrivato dopo, perché era l’unica lacuna che avevo in termini di conoscenza tecnica. Il mondo che mi sono trovato davanti era a dir poco sconfinato e demiurgico, da lì è nata una passione poi sfociata in professione vera e propria».

Se dovesse spiegare il suo lavoro attuale?
«Da un punto di vista tecnico la mia attività è varia: passo dallo scolpire e colorare con il computer vari elementi (personaggi, scenografie digitali, veicoli o armi) che poi vengono inseriti nel film. Oppure assemblo ambienti digitali che non esistono nella realtà, li illumino e consegno il tutto ad un dipartimento di animazione che si occupa di dar vita ai personaggi all’interno. Ricoprendo una posizione da “lead”, sono responsabile di una squadra di tecnici ed artisti che guido per consegnare le scene richieste dai registi. Valuto le richieste della produzione, identificando il flusso migliore per portare a casa il lavoro nei tempi richiesti, con la qualità top. Se necessario, formo io stesso gli artisti in merito alle tecniche da utilizzare».

A casa saranno orgogliosi di lei…
«Come dicevo, la famiglia mi ha sempre sostenuto. Sono stati molto comprensivi ed incoraggianti. Ma, dopo la laurea, tutte le mie scelte sono state autonome e guidate da necessità ed interessi lavorativi, a mano a mano che mi facevo strada: i corsi di regia e scrittura, la computer grafica, gli studi a Londra».

Volare dall’altra parte del mondo, a quasi 20.000 km da casa, non deve essere stata una decisione facile da prendere…
«Di sicuro lo sforzo più grande riguarda la sfera emotiva: il distacco da famiglia e amici, dalle radici e dai ricordi. Le paure erano state affrontate anni prima, con il trasferimento londinese. Mentre per la Nuova Zelanda il copione era già tutto rodato».

I protagonisti del serial “The last of us”

Da un paio d’anni lavora a Weta, la società fondata da Peter Jackson. Un sogno che si è avverato?
«Sicuramente, anche se alla lunga tutto diventa semplicemente il tuo lavoro. Partire da umili origini e ritrovarsi nel più grande colosso del settore è un grande riconoscimento, un traguardo notevole. Appena sbarcato a Wellington, al quartier generale di Weta, mi sono ritrovato nel mondo di “Avatar 2: La Via dell’Acqua” di James Cameron!».

Si è trasferito con tutta la famiglia, ho capito bene?
«Proprio così. Con mia moglie Elettra Botner, infermiera di Rottofreno, e le due bimbe piccole, Fara e Olimpia, nate entrambe a Piacenza. Qui a Wellington c’è una comunità italiana forte e unita. E, in termini economici, le grandi aziende come Weta offrono pacchetti e benefit che aiutano le famiglie dei dipendenti ad inserirsi. Certo, si soffre ancora oggi per le bambine lontane dai nonni e per noi genitori separati da nipoti e fratelli. Piacenza ci manca, purtroppo non torniamo spesso, anche a causa dei costi aerei da sostenere per tutta la famiglia tra Nuova Zelanda e Italia, senza contare le circa 30 ore di volo per l’andata e altrettante per il ritorno. In Italia ci sono molte cose che non vanno, forse anche troppe, ma la casa resta sempre casa».

Tornando ai suoi effetti speciali, quali creazioni le hanno regalato le soddisfazioni più grandi?
«Ce ne sono molte, anche del periodo londinese. Più recentemente direi il contributo a “Guardiani della Galassia Vol.3” per molte scenografie ricreate digitalmente e alla serie di “The Last of Us” collaborando per la creature mostruose».

Ricorda il suo primo film blockbuster degno di nota?
«Sicuramente “007 – Skyfall” nel 2012 a Londra. Mentre al momento ci sono alcune proposte molto interessanti che sfortunatamente non posso anticipare. Tra i lavori più recenti, invece, direi quelli per “The Last of Us” che, tra l’altro, è stato uno dei miei progetti preferiti di tutti questi anni».

Quali registi e maghi degli effetti speciali ha incontrato?
«Oddio, sono parecchi e citarli tutti è difficile. Anche perché conoscendoli di persona scompare quell’alone di divinità percepito quando si sogna il settore. Poi mi verrebbe da dire: ci sono maghi degli effetti speciali? A questi livelli ognuno è molto forte, un po’ come ne “I sette samurai” di Akira Kurosawa, dove ciascun guerriero aveva una specialità. Per quanto riguarda invece i registi, capita di vederli alle riunioni di revisione, ma raramente di interagirci (se ne occupa la produzione). A meno che non si vada sul set per ragioni specifiche. E in questo caso direi nomi del calibro di Cameron e Zack Snyder».

Che rapporto aveva con il cinema prima del salto nel mondo dei professionisti?
«Ero un gran divoratore di film e serial… una volta. Oggi non seguo più molto. Ho poco tempo e c’è scarsa varietà. Molti prodotti sono standardizzati, fatti con lo stampino per ragioni di marketing. Questo ammazza un po’ la potenza artistica e cede spazio alla noia. Inoltre, piccola curiosità, non guardo mai qualcosa a cui ho lavorato: avendo visto il prodotto “senza veli” la sorpresa non c’è più. Io l’ho conosciuto come nessun altro e quindi non provo interesse verso il risultato finale».

Scommetto che prima o poi le piacerebbe dirigere un film…
«Sì, tornare dietro la macchina da presa sarebbe bello, ma ci vogliono molti, molti soldi. Fare il regista è fattibile ed interessante solo se hai controllo totale sul prodotto e sulle tue scelte artistiche, altrimenti sei solo un pagatissimo schiavo della produzione. Magari un giorno accadrà, ma dovrò risparmiare ancora qualche cent».

A proposito di mondi fantastici: si è mai messo alla prova con i videogame?
«Nel 2016 ho avuto il mio momento di gloria grazie a un gioco horror intitolato “Nowhere”. Purtroppo non è stato mai sviluppato, sostanzialmente per motivi di budget, però il demo era piaciuto e le riviste specializzate ne parlarono con toni entusiastici. Era la storia di un gruppo di persone – vittime e carnefici – imprigionate in un limbo dantesco. Spazio Games titolò: “Arzani ci insegna come si fa il videogioco horror italiano”. In effetti potrei riprovarci un giorno, stavolta come game director».

di Michele Borghi

“Nucleare civile o militare che sia, non esiste nucleare sicuro”, inattesa intervista a diversi anni dalla stampa di ‘Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo’ per ribadire “Nucleare? No, grazie!”

Quando Augusta Grecchi ha telefonato chiedendo la disponibilità per un’intervista sul tema nucleare, mi ha sorpreso. Da tempo non sono più in prima fila sull’argomento che, in ogni caso, considero di fatto un argomento chiuso. Non da parte mia ma per volontà degli italiani: il nostro BelPaese, anzi il popolo della nostra BellItalia ha valutato superata l’esperienza del nucleare civile arrivando alla chiusura e alla dismissione delle centrali realizzate. A partire dalla principale, la più potente, la più grande. Arturo, la centrale nucleare di Caorso. Confesso: altre priorità prevalgono oggi nella mia vita. Innanzitutto la lunga lotta che dal 2020 mi contrappone agli effetti del LongCovid. Senza però negare che la questione nucleare è ormai finita in un angolo secondario della mia mente. Problema chiuso, almeno nel BelPaese.

Indubbiamente sottovalutavo gli effetti di troppi bicchieri di Moijto che qualcuno beve. Tanto da sognare, quel bel tipo, di costruire una nuova centrale in piazza a Milano.

Comunque ovviamente la richiesta di Augusta mi ha lusingato, ho accettato senza esitazione di riceverla nel salotto di casa con i due ragazzi della casa di produzione TerraTremaFilm con la quale collabora per un progetto che prevede la realizzazione di un documentario di confronto tra posizioni antinucleariste e sostenitori di una nuova avventura di produzione energetica in grado di aumentare la percentuale di autonomia e indipendenza da altri paesi, Russia in primo luogo.

Inevitabile la domanda di fondo: come sei arrivata, Augusta, al mio nome? Semplice, la risposta: “ho cercato documentazioni locali e la prima cosa trovata è stata il tuo libro“. Lo ha acquistato, lo ha letto, mi ha contattato. Otto anni dopo la stampa da parte della casa editrice Pontegobbo. Inutile negare la soddisfazione. Innanzitutto per il riconoscimento di un impegno sul tema che risale agli anni ’80.

E uno tsunami di ricordi si è scatenato nella mia mente. Lo striscione con la scritta ‘No al nucleare’ che come giovani socialisti abbiamo portato ed esposto durante una riunione del consiglio comunale con il Sindaco Felice Trabacchi (PCI) che nel nome delle corrette procedure formali ha incaricato i vigili urbani di servizio di allontanarci. La pagina intera pubblicata come corrispondente sull’Avanti!, quotidiano storico del socialismo italiano, evidenziando i punti deboli di un piano d’emergenza carente e superficiale (si pensi che prevedeva in caso di incidente l’evacuazione solo dei residenti dei comuni di prossimità alla centrale di Caorso mentre qualche anno dopo la nube radioattiva fuoriuscita dalla centrale di Chernobyl avrebbe percorso migliaia di chilometri). Ancora: negli anni ’90 la mia poesia sul tema letta alla manifestazione nazionale indetta dal P.D. come mi fece sapere l’ex onorevole Nanda Montanari (PCI e successivamente PD), le grandi manifestazioni, il mio libro ‘Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo’, le presentazioni con la testimonianza di Diana Lucia Medri, bielorussa, ex ‘bambina di Chernobyl’ adottata nel nostro paese.

L’esplosione al reattore 4 della centrale nucleare di Chernobyl

Non mi è dato sapere se il progetto di Augusta vedrà la luce, se arriveranno gli attesi finanziamenti pubblici, se il documentario arriverà nelle scuole o se verrà trasmesso dalla Rai. Una cosa è certa: se proseguirà il suo cammino la folle idea di ritorno al nucleare sostenuta dall’attuale governo e in particolare da quel ministro uso al consumo di Moijto nei bar sulle spiagge sotto i caldi raggi del sole che scottano la testa, tornerò ad impegnarmi per ribadire una verità di fondo: nucleare civile o militare che sia, non esiste nucleare sicuro.

Chernobyl e Fukushima ne restano tragiche e drammatiche testimonianze.

2011: manifestazione a Caorso

A Cerignale, io, Massimo Castelli e “Fate in Blu, Fate Infermiere – Covid, post Covid, long Covid”, il diario del ritorno alla vita

Agosto 2023: con Massimo Castelli, ex Sindaco di Cerignale, e il mio “Fate in Blu, Fate Infermiere”, il libro dedicato al recupero della vita post Covid

Cerignale, paese d’origine medioevale, 750 metri sul livello del mare nell’appennino ligure emiliano, 70 km da Piacenza, 80 da Genova, letteralmente un’isola tra i monti. Qui, grazie alla disponibilità e alla compresenza dell’allora Sindaco Massimo Castelli, conosciuto ai tempi della militanza tra i Democratici di Sinistra, nel 2016 ho presentato il mio libro dedicato alla tragedia di Chernobyl, “Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo“. Negli anni successivi non ho mancato un passaggio per assaporare un buon piatto di pini burro e salvia, tortelli ai funghi, tagliolini con le ortiche al ragù, magistralmente cucinati dalla signora Teresa al ristorante dell’albergo del Pino. Costretto ad evitare il viaggio lungo la tortuosa e suggestiva Statale 45 nel 2020 a causa dei postumi del contagio dal virus, il Covid-19, nell’anno dopo il ritorno con prenotazione come pensionante di una camera per qualche giorno all’albergo del Pino. Per la presentazione, sempre con Massimo – che nel frattempo aveva aderito a Coraggiosa, il movimento di Elly Schlein -, del libro pubblicato sul finire del 2020, “Nelle fauci degl’Agnelli“, storia di un’esperienza negli anni ’80 a contatto con il vertice dell’impero Fiat. Ma soprattutto un momento di “recupero e ritorno della vita“, convalescente dopo il ricovero in malattie infettive (2021) per l’infezione da Klebsiella Polmonae, un virus contratto un anno prima (2020) durante la permanenza in rianimazione sempre causa Covid (senza opportuno accertamento a titolo di tempestiva prevenzione prima della dimissione da parte dell’Ausl). Da allora l’appuntamento per il pernottamento di qualche giorno sul finire dell’estate è diventato un imperativo. Anche se nel frattempo tante cose sono cambiate. La signora Teresa, ormai superata quota 94 anni, non è più in cucina. E così anche Luigina, sua magistrale aiutante si fornelli, è ormai pensionata (salve emergenze). Massimo, da par suo, non è più Sindaco, costretto alle dimissioni per un’indagine che sembra coinvolgerlo, forse per qualche difetto di procedura nell’azione comunale dove sembra non si tenga conto – da parte di chi indaga – dei limiti operativi e di adeguato supporto tecnico in una realtà amministrativa periferica dove comunque quel che conta sarebbe più che la forma ineccepibile il saper fare e il conseguente fare considerato che la pubblica amministrazione è e deve essere al servizio del cittadino. Proprio come norme e diritto mentre non deve prevalere l’opposto ovvero che il cittadino debba essere sempre succube di un diritto che si fa burocrazia, immobilismo, prevaricazione. Quindi, rinnovando da parte mia la fiducia e la stima a Massimo per l’efficace azione nella veste di Sindaco, di amministratore e di politico, eccomi di ritorno in quel di Cerignale e naturalmente non potevo mancare di proporre una foto comune con tanto di evidenza del mio ultimo libro “Fate in Blu, Fate Infermiere – Covid, post Covid, long Covid, diario di giorni resistenti“, nel quale un capitolo è appunto dedicato a Cerignale, l’isola tra i monti dove “tutti finiscono col conoscersi, basta incrociarsi e ci si saluta, salve, buongiorno, ciao e un sorriso. In pianura, nella città, spesso non sappiamo nemmeno chi sia l’occupante dell’appartamento di fianco al nostro. Davvero un altro mondo, si vive di un senso diverso dell’essere, si è amici, anche se appena arrivati“, Quindi… arrivederci Cerignale. Al 2024 e … al prossimo libro.

Senza trascurare un inciso pubblicitario: il libro è reperibile a Piacenza presso la Libreria Fahrenheit di via Legnano, la libreria Romagnosi nell’omonima via, la libreria Postumia a Sant’Antonio e ve l’assicuro, vi saprà far sorridere, cosa che non riuscirete a fare leggendo il libro del generale Roberto Vannacci.

Cerignale, un’isola tra i monti

L’incontro in piazza Santa Fara a Bobbio con Claudia, OSS a Castel San Giovanni ai tempi del Covid

Claudia Negromanti era un’operatrice socio sanitaria in servizio nel reparto di riabilitazione pneumologica e fisica dell’ospedale di Castel San Giovanni (all’epocanei giorni del mio ricovero per Covid. Incontrarla a tre anni di distanza è stata una grande emozione come ho scritto in un post in Facebook ma ancora più emozionante è stato leggere il suo commento di risposta. Un riconoscimento utile per ripagarmi dei mesi di impegno oltre Covid, post Covid e Long Covid. Un abbraccio, Claudia.

Bar Tavernetta in piazza Santa Fara a Bobbio

Il mio post

“A Bobbio, seduto al Bar in piazza Santa Fara a far colazione, 1087 giorni dopo quel 17 giugno 2020, 88° dall’arrivo in urgenza in Pronto Soccorso a Piacenza per poi seguire il calvario del passaggio tra la vita e la morte in malattie infettive, rianimazione, trasferimento a Castel San Giovanni in terapia intensiva prima e riabilitaziine fisica e respiratoria poi, mi ha visto e salutato Claudia Negromanti. Era una delle “Fate” che, in quei lunghi mesi del 2020, hanno seguito il mio ritorno alla vita oltre Covid. Cosa posso dirti, Claudia? Grazie, dal più profondo del cuore. Rivederti è stata una carezza al cuore, un’emozione profonda, ripensando a quei lunghi giorni di immobilità nel letto ospedaliero con voi bardate, il volto nascosto dalla mascherina, la paura di essere a vostra volta contagiate, l’incertezza del mio recupero. Per me resterete sempre tutte e tutti, mediche, medici, Infermiere e operatrici socio sanitarie, Fate azzurre, angeli che mi avete assistito con dolcezza per tutti quegli 88 giorni come ho scritto nel libro dedicato al ricordo di tutte e tutti voi. Davvero un piacere e un’emozione ritrovarti, salutarti, ammirarti in compagnia oggi del tuo nipotino, simbolo della vita che procede nel tempo. In effetti oggi molte cose sono cambiate, anch’io sono nonno, anzi da 8 mesi trinonno, anche tu sei pensionata, quel “nostro” reparto castellano non è più, trasferito a Fiorenzuola e, per quanto mi riguarda, ho potuto scrivere due libri (ricordi? Non riuscivo più a parlare, a comunicare, a scrivere una lettera dopo l’altra). Insomma, siamo qui, oltre quei giorni, oltre Covid. Ciao, alla prossima occasione, al prossimo incontro lungo le strade di questo nostro mondo.”

Piazza Santa Fara, Bobbio: i tavolini sotto i portici

Il commento di Claudia

Non sono brava a scrivere come te ma in breve posso dirti che stamattina ti ho notato subito e mi sono tornate in mente certe situazioni vissute proprio in quel brutto periodo. Sono cambiate tante cose alcune belle, altre un po’ meno nella vita di ognuno di noi .. è la vita. Ciò che ho trovato di immutato sono le espressioni del tuo viso, il tuo modo di parlare… umanità, sensibilità, gentilezza. Nonostante in quei giorni tu vivessi nella sofferenza, dal tuo sguardo trasparivano comunque queste qualità. Nel mio piccolo e con il mio umile lavoro spero di essere stata corretta nei tuoi confronti, avrei sicuramente dovuto fare di più perdonami se ho mancato in qualcosa. Tu hai dato a noi, almeno a me una bella lezione di vita. Speranza, forza e coraggio. Una cosa mi è spiaciuto non fare.. un bel selfie 🤣ma magari capiterà chissà. Un abbraccio Claudio e grazie per il tuo post mi hai fatto emozionare e tanto.

I lunghi giorni del Covid e a seguire il post Covid e il long Covid senza mollare mai così l’essere qui, con voi, ancora oggi ammirando il mio “Fate in Blu, Fate Infermiere – Diario di giorni resistenti” allo stand della Libreria Fahrenheit alla Settimana della Letteratura di Bobbio: impareggiabile! Ribadendo un grazie di cuore a chi si è preso e si prende cura dei miei giorni e tra questi appunto Claudia Negromanti, operatrice socio sanitaria a Castel San Giovanni oggi felicemente in pensione

40 anni del Corriere Padano e quel pezzo della storia fatto insieme nel segno di una città vivibile (3)

I 40 anni di pubblicazione festeggiati dal periodico Corriere Padano e in particolare l’articolo dedicato all’informazione locale di quegli anni ’80 della giornalista professionista Antonella Lenti sono l’ occasione per un viaggio della memoria tra i miei ricordi del vissuto personale. Confesso: avevo due sogni. Scrivere un libro e diventare giornalista. Sul finire degli anni ’70 avevo bussato alla porta di una ‘Scuola (privata) di giornalismo’ (allora non esistevano i corsi universitari) nei pressi di piazza Duomo a Milano. Con un vecchio amico d’infanzia e compagno di Partito, Augusto Bottioni. Eravamo entrambi in crisi lungo il percorso universitario ed eravamo pronti ad intraprendere quella scelta che doveva coincidere col nostro futuro. Fummo ammessi ad un dialogo con il Direttore della Scuola che, ascoltati i nostri sogni, fu impietoso: ormai superato il primo quarto di secolo, eravamo troppo anziani, non c’era posto per noi nel dorato mondo della carta stampata.

La laurea con la tesi sui progetti di legge in materia di tossicodipendenza

Tornati a casa con un filo di rassegnazione riprendemmo in mano i rispettivi libri universitari, ci laureammo, Augusto ingegnere, giurisprudenza per quanto mi riguarda, ma quei sogni rimanevano. La mia tesi di laurea esaminava i progetti di legge sul tema della tossicodipendenza. Ne proposi la pubblicazione ad una casa editrice piacentina specializzata in pubblicazioni giuridiche (La Tribuna). Anche in questo caso fui ricevuto da un editor in giacca e cravatta comodamente seduto dietro ad elegante scrivania. Mi disse di diventare prima un famoso avvocato, poi ne avremmo riparlato. Almeno a quarantanni compiuti. Beh, non mi sono abbandonato allo sconforto, mi sono rivolto ad una casa editrice sempre locale e di sinistra, La Nazionale. Adeguandomi al fatto di pagare di persona la stampa (un milione circa per 300 copie). Era se non ricordo male il 1982. Lo presentai in occasione della Festa socialista dell’Avanti al Palazzetto dello sport a Piacenza e alla fine, a conti fatti, vendendo 150 copie circa anche i conti economici tornarono ma soprattutto fu positivo il ritorno tanto per quanto all’aver realizzato un sogno e considerando le successive porte che mi si aprirono.

Corrispondente con l’Avanti! nazionale e l’iscrizione all’Albo dei Giornalisti (sezione pubblicisti)

Ecco dunque intanto la collaborazione redazionale con il periodico “L’opinione socialista di Piacenza“, mensile della Federazione del PSI e, poco dopo, con Cronache Padane, altro mensile indipendente ma sempre di area socialista diretto da Enrico Sperzagni. Infine, nella seconda metà degli anni ’80, grazie al sostegno di Franco Benaglia, Presidente della Provincia, l’incarico quale corrispondente dell’Avanti!, quotidiano nazionale organo del PSI. E qui il mio secondo sogno sembrava realizzato ma la politica, si sa, è fatto aleatorio. Intanto vero che avevo ottenuto come pubblicista l’iscrizione all’albo dei giornalisti ma quanto a compensi, poche lire che mai mi avrebbero permesso di vivere e ormai “tenevo famiglia“, moglie e due figli in crescita “che tenevano fame“.

La collaborazione con Corriere Padano

Non solo. All’interno del Partito sempre più mi allontanavo dai compagni che sembravano tutti abbagliati dal flauto magico delle moderate teorizzazioni craxiane. Non ricordo come fu e quando avvenne l’incontro con Giuseppe De Petro, padre padrone dell’allora settimanale “Corriere Padano” da molti considerato scandalistico ma che, dal mio punto di vista, aveva un pregio: scoperchiava la cappa di conformismo calata sulla città da parte dei “padroni” della stessa rivelandone il volto nascosto, quei fatti che il quotidiano locale, Libertà, taceva. Era il 1988 e Giuseppe mi affidò uno spazio preciso, seguire le attività del consiglio comunale dove appunto dominava quell’uomo che dall’ombra di fatto governava la città, Corrado Sforza Fogliani, avvocato, liberale, banchiere, NH ovvero Nobil Uomo. Fu divertente rintuzzare nei commenti dei giorni dopo le sue argomentazioni, contrapponendole al fare di quello che definivo il Cavalier che viene dal contado, ovvero Franco Benaglia, socialista di sinistra, prossimo a diventare Sindaco della città, magiostrino. Il quale però era stato chiaro: scegliere Corriere Padano diventata incompatibile con il rapporto con l’Avanti! e non solo.

Il Cavalier che viene dal contado

Quel fantastico nomignolo (che, per quanto mi riguarda, lo contrapponeva simpaticamente all’austero e supponente NH, Nobil Uomo, avvocato, banchiere, padre padrone del Partito Liberale e della città), quel richiamo al contado il compagno Benaglia proprio non lo digeriva, gli pareva canzonatorio così il rapporto sia politico che personale diciamo si afflosciò per ritrovare vigore non prima della seconda metà del decennio successivo, dopo lo scioglimento del Partito e la nascita del Movimento Laburista di Valdo Spini.

La possibile collaborazione con Italia Oggi grazie a Luigi Altrocchi e il crollo della Torre Civica di Pavia

L’esperienza con il Corriere di De Petro fu molto stimolante (e ben compensata) a partire dal rapporto con il resto della redazione anche e se non privo di qualche strisciante dissenso (in particolare con Antonella Lenti, ‘anima politica‘ di area comunista del settimanale). Ma, fatti i debiti conti, anche qui c’era il problema dei bisogni della famiglia. Comunque risultava di grande soddisfazione poter scrivere non solo dei fatti ma commentando pure: in altre parole nello stesso articolo fatti e opinione. Intanto, grazie all’allora direttore responsabile Luigi Altrocchi si erano aperte le strade per una collaborazione con il quotidiano nazionale Italia Oggi. Mi vennero pubblicati un paio d’articoli poi la redazione affidò a Luigi e a me la realizzazione di un inserto speciale su Pavia. Gambe in spalla realizzammo diverse interviste con rappresentanti economici e sindacali ma, mentre assemblavamo il lavoro fatto, il 17 marzo 1989 la torre civica della piazza crollò causando 4 morti e 15 feriti. Quello speciale che in breve doveva portare ad una collaborazione organica, venne dimenticato.

L’ipotesi di due anni di praticantato e le necessità del buon padre di famiglia

Fermo restando che, nel caso di una pur ventilata assunzione per poter aspirare al professionismo avrei dovuto aspettare almeno due anni con un praticantato a compenso minimo, adatto per un giovane ma non certo per un buon padre di famiglia (qui finalmente si capisce il senso del peso dell’età ormai troppo avanzata evidenziato dal direttore della Scuola di giornalismo milanese anni prima). Così affrontai l’avventura di un posto dirigenziale alla USL di Mirandola salutando a settembre 1989 (con grande rammarico) De Petro, la redazione del Corriere Padano e i miei sogni di un futuro nel giornalismo italiano.

Direttore responsabile del Pellicano, periodico del Circolo ricreativo dell’Ausl

Tornai in via Scalabrini, allora sede del Corriere, nel 1990, salendo le scale col cuore in gola per l’emozione. Trovai la porta chiusa con i ragazzi della redazione all’interno che stavano occupando la sede del settimanale. E qui finiva la mia avventura nel mondo del giornalismo anche se per anni ancora sarei rimasto per il Tribunale e per l’Ordine dei giornalisti direttore responsabile del mensile del Circolo ricreativo dell’Ausl, Il Pellicano, ma, questa, fu un’altra storia.

Narratore, Scrittore e Poeta

Intanto mi allontanavo o comunque limitavo anche la militanza politica sia pure collaborando a vari livelli con Laburisti, Pds, Ds, Sinistra Democratica, Sel. Infine sostenendo col voto Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana. No, non finivo con la mia partecipazione alle battaglie di quegli anni: la pace, il no al nucleare, la tutela dei diritti dei lavoratori, i diritto civili, la tutela degli anziani. Semplicemente valori, idee espresse con modalità diverse: soprattutto grazie alla scoperta di internet attraverso specifici siti dedicati mi confrontavo in versi, con la poesia. Liriche sociali, sfociate nella pubblicazione in un’antologia di un’editrice milanese (della quale ho fatto omaggio a quell’Antonella Lenti che ho sempre considerata mia ‘maestra‘ di giornalismo) e in un importante premio a Lodi Vecchio. Sono passati alcuni anni di incubazione poi, nel 2004, dopo la partecipazione ad un corso a Bobbio con Aldo Bellocchio – fratello del regista Marco – (dove con mio grande stupore ho ritrovato partecipante proprio Antonella) è uscito il mio primo libro di poesie, “È severamente proibito servirsi della toilette durante la fermata nella stazione” . Poesie di lotta e di resistenza. Pagata la stampa ma grazie a rap-presentazioni nei vari paesi i conti son tornati sia quanto a contenuti, riconoscimenti, ritorno economico. Qualche mese fa, sul quotidiano locale, una giornalista, Elisabetta Paraboschi, mi ha citato definendomi Scrittore e Poeta. Beh, in effetti oggi i libri alle spalle sono nove, le rap-presentazioni più di 80, la definizione data da Elisabetta può considerarsi meritata e dunque realizzato il primo sogno e quanto al secondo, in fondo pure: l’iscrizione all’Ordine è ancora attuale. Non mi resta che ringraziare Giuseppe De Petro e augurare ulteriore lunga vita al Corriere Padano, anche se oggi con foliazione ridotta e periodicità mensile. A proposito: Augusto Bottioni nel frattempo, dopo quel viaggio a Milano, continua a pubblicare libri storici a raffica e Antonella Lenti diventata giornalista professionista, è stata redattore capo al quotidiano Libertà e attualmente, oltreché tornata a collaborare col Corriere Padano, dipinge. Purtroppo invece Luigi Altrocchi poco dopo quei tempi ormai lontani ci ha lasciati come del resto altri hanno intrapreso nuove diverse strade salvo alcuni che hanno saputo ricavarsi un ruolo collaborando con il quotidiano locale, come Patrizia Soffiantini o Ermanno Mariani. Insomma, il fascino sottile del narrare storie, i fatti accompagnati da commenti e opinioni: gratificante, irrinunciabile. Con un solo consiglio: iniziare da giovani, quando il fatto economico può considerarsi speranza di un futuro da venire.

Roberto Spinola, uomo del fare, nato per essere Sindaco, ci ha lasciato

Roberto Spinola

Già sono trascorse due settimane da quando ho saputo che ci ha lasciati Roberto Spinola, 76 anni, biologo, già Sindaco a Podenzano e poi a Ponte dell’Olio, ex dipendente Ausl, responsabile del laboratorio analisi dell’ospedale di Bobbio, in seguito direttore del Distretto sanitario della Montagna e per finire responsabile dell’impianto del Centro Servizi Ambulatoriali a livello provinciale. Aderente al Partito Socialista, in seguito protagonista della diaspora socialista: successivamente allo scioglimento del Partito è stato candidato alle votazioni regionali per la Lega Nord mancando di poco l’elezione.

Nella prima metà degli anni novanta, col passaggio dalle Usl all’Azienda Unitaria Sanitaria provinciale, l’occasione per incontrarlo. Travolto da una lotta di potere tra esponenti cattolici e democristiani, fui costretto ad abbandonare la sede Asl di Castel San Giovanni in quanto collaboratore dell’allora direttore sanitario ospedaliero e soprattutto in quanto socialista. Roberto, conclusa con le dimissioni (a seguito di contrasti interni alla sua stessa maggioranza) l’esperienza di Sindaco a Podenzano, fresco di nomina a Direttore del Distretto della Montagna nell’ambito dell’Asl piacentina, venuto a conoscenza del fatto, mi contattò proponendomi la collaborazione come responsabile amministrativo del Distretto con sedi a Bettola e all’ospedale di Bobbio. Un’esperienza durata tre anni, stimolante, propositiva, di soddisfazione, intensa ma non priva di aspetti controversi. Perché Spinola, a mio giudizio, era sicuramente un uomo del fare ma nel nome innanzitutto di un’ambizione personale senza fine. Che lo portava ad ottenere ottimi risultati di grande interesse per gli assistiti e i cittadini in generale ma che, ad un certo punto, lo portavano anche a grandi contrasti e in buona sostanza a concludere in malo modo le diverse esperienze amministrative.

Personalmente ritengo si siano ottenuti, lavorando insieme, buoni risultati, nell’interesse soprattutto dell’ospedale di Bobbio e degli anziani residenti nel Distretto comprendente Val Nure e Val Trebbia ma, dopo tre anni di lavoro comune, ho ritenuto opportuno dividere i nostri percorsi iniziando una nuova esperienza nella sede piacentina dell’Asl. Dopo qualche anno a sua volta ebbe un importante incarico in città ma, con l’arrivo da Roma di un nuovo Direttore Generale, finì col sentirsi emarginato dimettendosi dall’Azienda. Riuscì a farsi eleggere Sindaco a Ponte dell’Olio ma, come dicevo, l’uomo aveva carattere e motivazioni di fondo controverse oltre in alcune situazioni scarso equilibrio nei rapporti interpersonali per cui, ad un certo punto, inevitabilmente, la sua stella lentamente perdeva e perse splendore, finendo nell’ombra dei ricordi.

Certo, la sua partenza per l’Altr/Ove mi ha sconcertato e voglio ricordare un piccolo lavoro costruito insieme: si realizzò un giardinetto con tanto di panchine di fianco all’ospedale bobbiese dove i pazienti ricoverati potevano trascorrere un pò di tempo all’aria buona, come si suol dire. Tornato all’ospedale qualche anno dopo, quando entrambi ne eravamo ormai trasferiti, l’erba alta praticamente copriva le panchine, rendendo l’area inutilizzabile. Ecco, Roberto Spinola non avrebbe mai permesso tanta incuria e decadenza.

26 giorni di ricovero, il rilascio e l’inizio del recupero del mio mondo nella nuova dimensione (1)

Già lo si é detto: 26 giorni di ricovero, dal 30 maggio a sabato 24 giugno e alfin della fiera il ritorno a casa, i primi timidi passi, le medicazioni alle ferite da parte di Marica, l’infermiera dell’assistenza domiciliare, il campanello che suona, arriva Lucia, bionda fisioterapista. Ricordi. Anni fa con un collega era venuta in ufficio per trovare il modo per poter svolgere attività in libera professione presso l’Asl ma idea e progetto finirono nel nulla. Il naso fuor di casa. Occorre salire in ascensore, in piedi, con le stampelle, Dalila introduce la carrozzina piegata, scendo a piano terra, si riapre la carrozzina ma devo ancora scendere lo scalino dell’ingresso, finalmente sedermi e Dalila mi spinge fino al garage. Salgo in macchina, si va all’Ipercoop.

M’aggiro, giusto un pò perso tra gli scaffali, devo trovare il senso della mia nuova dimensione. Dalila acquista, io suggerisco, é sempre un lavorar in coppia. E quando s’avvicina l’ora dell’uscita lei ha un’intuizione: mi tampona!!! Un incidente volontario che le perdono e del resto niente colpo di frusta, anzi. Col carrello mi spinge io non faccio fatica e lei praticamente neppure e la gente che ci vede sorride esaltando la genialità e la furbizia della gentil consorte. Ah, ma le donne…

E non finisce qui, il rientro nel mio mondo prosegue. A breve primo controllo in reparto e visita medica fisiatrica nell’ambulatorio di via Caffi per prendermi in carica. Niente cena di festeggiamento per il compleanno di Dalila. Tutto segretamente organizzato, prenotazione effettuata, all’ultimo minuto Edoardo lamenta un possibile principio d’influenza. Disdetta, inevitabile rammarico del ristoratore, alla sera a tavola in cucina ci regaliamo un dolcetto gentile e gradito omaggio di Alessandra, pristinera sottocasa, da dividere in due. Sarà festa grande la prossima volta. Parte l’organizzazione per un mercoledì poetico musicale in via Roma al 163 da Fabbrica&Nuvole di saluto all’estate. Sarà il 12 alle 18.30, un’ora la durata, poi ricco buffet. Annunciato un incontro del Comitato Salviamospedale: inutile nuovo cemento, nuovo consumo di terreno verde, risistemiamo il nosocomio attuale di via Taverna ampliandolo e riorganizzandolo destinando le risorse alla medicina del territorio. Ma non solo. Si va nell’agriturismo dove nostra nipote, Olimpia, andava all’asilo e, sapendola lontana, dall’altra parte del mondo, un pò piange il cuore. Arriviamo, parcheggiamo ed è come rivederla che mi corre incontro, ed io la prendo in braccio, l’alzo verso il cielo beandomi del suo sorriso. Ah, la nonnitudine… Comunque nessun problema. Il comitato di ricevimento, tre quattro donzelle s’avvicinano, mi accolgono, mi salutano, mi regalano dolcezza e tenerezza. Ho la fortuna di avere apprezzamenti. Tuttavia devo riconoscere che, un tempo, le donzelle eran diverse, di tutt’altra specie. Qualcosa non quadra.

Così termina per ora la prima fase del rientro del Signor Bonaventura che non spera di vincere un milione ma d’essere esonerato almeno per un periodo significativo dal ritorno in ospedale e nell’attesa, chiedendo scusa alle gentil donzelle che, per salutarmi, han perso il posto in coda d’attesa della mungitura, si prosegua con la festa. Bando a dubbi e titubanze! Due fette di salame, due di pancetta, due di coppa, una di crescenza, una pallina di ricotta, una fetta di frittata. A seguire pisarei e per finire budino al cioccolato al sapore di tempi andati. Immancabili l’acqua, un pó di vino, un buon caffè e si torna a la maison. Prosit!

24 giugno 2023, magia di un ritorno a casa

Ci sono giorni che, una volta vissuti, è poi impossibile dimenticare. 24 giugno 2023. C’erano già stati i saluti del giorno prima ma, al cambio turno della mattina, ecco entrare in stanza quel ragazzo, Andrea, operatore socio sanitario, che, mi racconta, sogna di vincere il concorso per diventare milite di Guardia di Finanza e, poco dopo, con la sua casacca blu e lo zainetto in spalla, Deborah che, con la mano, non mi nega il lancio di un bacio. Parlavamo spesso, specie quando lei aveva il turno notturno ed io aspettavo l’antibiotico per via venosa delle 24. Ma ancora non è finita. Passano pochi minuti ed ecco Stella, a sua volta infermiera che tante volte si è presa cura, anche con la dovuta severità professionale, della mia persona tollerando le mie intolleranze e impazienze di paziente ribelle. A seguire, dopo un’ora circa, il saluto di Roberto, ultimo compagno di stanza nel tempo, che, arrivato il figlio, torna a casa. Ma finalmente arriva Dalila ed é la mia volta. 26 giorni dopo, l’ennesimo passaggio ospedaliero collegato – sia pure indirettamente, non in via principale – con il marzo 2020, gli 88 giorni di ricovero per polmonite interstiziale, Covid-19, Ultimo saluto di Carolina, Simona, Antonio e subito è stata festa. Avevo in programma una buona colazione in libertà al bar Tobruk a Borgotrebbia ma Il 24 agosto 2023 rappresenta anche il 5° anniversario di nozze di Edoardo con Daniela mentre loro figlio, Lorenzo, nato il 23 dicembre, ha superato i primi 6 mesi di vita. Pensavo festeggiassero per conto loro invece ecco la telefonata, “papà, ci vediamo al bar Pin-up a La Verza, dove fanno quelle brioches da sballo al pistacchio che tanto ti piacciono“.

Insomma, colazione insieme, ovviamente da tacere al medico di base e al diabetologo. Ci si fa del male, ma quando è festa, è festa. In veranda, con una bell’arietta, quasi come essere al mare o in montagna o in collina, dove porta la fantasia.

Poi Edoardo, Daniela e Lorenzo hanno salutato, sono andati a festeggiare a Rivergaro. Dal canto nostro, ovviamente inevitabile un saluto via whatsapp a Fabrizio & family emigrati in Nuova Zelanda, giusto dietro l’angolo di casa, precisamente e letteralmente geograficamente dall’altra parte del mondo, in procinto di visitare per la felicità delle bambine il parco di Jurassic World dove i dinosauri sono realizzati col magico Lego,

Fatto questo, ho guardato Dalila negli occhi. Ormai suonavano le campane del mezzodì, dovevamo tornare a casa? Ennò, non sia mai, poffarbacco! Ripeto, quando é festa la si onora e così eccoci alla Fattoria delle Bontà, a Pittolo, gambe sotto il tavolo. 26 giorni di ricovero ospedaliero valgon bene un piatto di lasagne e un bicchier di vino.

Pranzo “di lavoro”, primo, secondo, contorno, acqua minerale, quartino di vino, caffè, 14,00 €, cosa volere di più? Amaro Lucano, assolutamente proibito. Va bene sia festa ma non si può esagerare, siamo già oltre misura. Non riusciamo nemmeno a finire il secondo, otto fette di un ottimo roast beef che il ristoratore ci avvolge nella carta stagnola da portare a casa!

Ma non finisce in quel di Pittolo! Ancora, ci regaliamo un passaggio in libreria Fahrenheit, in città, nella centralissima via Legnano, parcheggio consentito per invalidi in piazza Duomo. Con la volontà di salutare Sonia e acquistare un vecchio romanzo di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli, ‘Tempo da elfi‘. Ma Sonia, informa Claudia che presidia il locale, é al mare con Enrico e anche il libro ormai datato non é più sugli scaffali.

Così, pur con mille altre idee d’immergerci nel nostro mondo dopo 26 giorni di ‘reclusione ospedaliera’, di fatto debellati dalla stanchezza, finalmente torniamo a casa. Ed io? Che dire, emozionato, di nuovo commosso. Proprio come quel 17 giugno 2020, quando allora con i due militi della Croce Rossa in ambulanza si conclusero i miei 88 giorni di ricovero per Covid-19 e iniziavano i lunghi giorni del post Covid e del Long Covid descritti nel mio libro “Fate in Blu, Fate Infermiere, scritto quando ancora non sapevo dei giorni dal 30 maggio al 24 giugno 2023. Ma poco importa, le belle infermiere che si prendono cura delle persone sono sempre splendide fate e quanto al ritorno a casa, é sempre home sweet home.

La festa con i ragazzi e le ragazze del centralino ospedaliero per il mio pensionamento. Al Bar Caffè Tobruk, a Borgotrebbia, da Davide e Sonia

Bar Caffè Tobruk, Borgotrebbia. Prima del Covid mi piaceva, finito il lavoro in Asl, fermarmi per una birra e, specie d’estate, godermi il bel fresco che la posizione all’ombra e un generoso refolo di vento regalavano.

Ma non solo: al Bar Tobruk capitava d’andare con Fabrizio, mio figlio, per una pausa mattutina dall’ufficio ospedaliero e una buona colazione, brioche, caffè, magari succo di frutta. E come dimenticare quella birra, la prima dopo i mesi di ricovero per Covid e di riappropriazione almeno parziale della mia normalità.

E per finire, quando al centralino dell’ospedale c’era qualche problema, lamentele da medici, da reparti, da cittadini, nella mia funzione di Direttore responsabile vedevo di incontrarmi al bar, lontano da orecchie indiscrete, con uno dei “ragazzi” cercando così di capire le ragioni del problema per risolverlo senza tragedie. Perché un errore, un’incomprensione, un malinteso, in un servizio al pubblico (interno ed esterno) sono all’ordine del giorno e il reo, a ben guardare, non è detto sia l’operatore del centralino.

Per esempio, capitò una notte che da parte di un reparto venisse richiesta una consulenza specialistica. Doveva essere chiamato il medico reperibile ma l’operatore “sbagliò” il numero di cellulare per cui prima della soluzione passò del tempo e, in caso di emergenze sanitarie, il tempo à tiranno,. Se ne pretendeva conseguentemente un provvedimento esemplare. Ma, carte e documentazioni alla mano, scoprii che non era stato comunicato a cura del reparto il cambio del numero da chiamare. Tutto risolto quindi con l’invito a tutti i reparti di aggiornare tempestivamente l’elenco dei numeri utili nei diversi casi.

Insomma, un posto speciale per cui, ho deciso tre anni dopo il 2 maggio 2020, giorno del mio pensionamento effettivo, di organizzare, nonostante Covid, post Covid e long Covid siano ancora all’opera, la mia festa di saluto ai ragazzi e alle ragazze del centralino. Rinviare ulteriormente significativa allontanarsi da maggio, perdendo il senso della ricorrenza. Quindi … inviti partiti, il dado è stato tratto.

Ovviamente per l’appunto appuntamento da Davide e Sonia, al Bar Caffè Tobruk, a Borgotrebbia, un luogo dove puoi sentirti a tuo agio, divertirti, gustare buoni panini e buoni tramezzini oltre alla straordinaria pan pinsa.

Per quanto alla festa per e con gli amici centralinisti, basata sulla lettura da parte di Dalila di alcune pagine del mio libro “Fate in Blu, Fate Infermiere“, che dire? Il tavolo col buffet alla fine era vuoto (patatine a parte) come le bottiglie, quelle di pro secco e quelle di spuma ed eravamo tutti allegri. In fondo in fondo, dopo tanti anni di lavoro insieme, emozionati. Con tanti saluti al loro Direttore, un capo dei capi che ha saputo farsi carico dei loro problemi. Cosa che, si badi bene, non ho detto io.

Zingare, mendicanti, ladre, fattucchiere, bellissime con gli occhi e i lunghi capelli neri

Il fatto risale a tanti anni fa, forse una trentina. A Roma. Appena uscito dall’albergo, in zona stazione, mi ha incrociato una zingara. Si dice vivano mendicando, rubando, aprendo porte sul tuo futuro. Mi guardò, con occhi neri ammaliante e abbaglianti nello stesso tempo. Uno sguardo avvolgente unito ad un sorriso che non lasciava speranze. Disse che ero fortunato, che avevo incontrato il mio destino e chiese di porgerle la mano previa consegna di ventimila lire che, garantiva, mi avrebbe restituito. Mi sentivo avvolto in un alone di fascino e di magia, le ho dato la moneta di carta, le ho affidato la mia mano, ho ascoltato il suo vaticinio, ombre e luci, la vita (di tutti) richiede accortezza, attenzione, talvolta scaltrezza: dietro ad ogni angolo può essere in agguato un lupo dal pelo grigio. Insomma, ero incantato dalla bellezza della situazione, la città intorno, il traffico incessante e rumoroso, le frotte di cinesine con la macchina fotografica inseparabile, i venditori ambulanti, tutto sembrava improvvisamente parte di un mondo Altro, lontano, indifferente. Giunta alla fine, lei sorrise e sorridendo lesta con la mano infilò le 20mila lire tra le pieghe della larga gonna di mille colori. Gliene chiesi ragione. “Previsione positiva di vita, soldo meritato”. Beh, in effetti l’incontro era stato avvolto di magia positiva, la giornata era illuminata da polvere di stelle, m’affrettai alla fermata del metrò, gli amici m’aspettavano a Colosseo, avevo una storia nuova da raccontare.