Quando i ladri, sporchi, crumiri e nullafacenti eravamo noi: emigranti italiani in stazione in Germania
Racconterò di migrazioni avvalendomi di due contributi iniziali. L’uno musicale e l’altro cinematografico.
Un celebre cantautore di scuola genovese, che da tempo si è ritirato dalle scene (e il pubblico se ne dispiace) è stato Ivano Fossati, che in almeno due suoi brani, tratta l’argomento. Il primo, del 1992, si intitola “Mio fratello che guardi il mondo”, una canzone che ha registrato negli anni un notevole successo.
Il suo testo è nato dall’osservazione dell’esodo dal sud del mondo al nord ricco che offre lavoro: non qualificato magari, ma garantito. Il testo contemporaneamente si ricorda anche di noi, italiani del passato, che emigravamo verso le Americhe o il nord Europa, con quella disperazione negli occhi, come quella che oggi vediamo così enfatizzata da stampa e Tg o da terrorizzanti comizi elettorali. La disperazione di quando eravamo noi ai primi del novecento i disperati della terra.
Qualche anno dopo, siamo nel 2003, Fossati torna sull’argomento con “Pane e coraggio”, in cui canta le drammatiche vicissitudini di chi oggi, per sfuggire alla miseria o alle persecuzioni si imbarca verso l’ignoto, armato solo di pane e coraggio. L’invito per chi l’ascolta è di cercare di comprendere lo smarrimento e l’angoscia di coloro che sono costretti a fuggire, sperando di trovare un futuro migliore, ma che troppo spesso vengono privati di tutto, compresa la propria dignità.
Il pane, elemento fondamentale di nutrimento, riporta alla fatica del vivere. Il coraggio è il carattere che serve per la sopravvivenza in questa vita: non solo il coraggio di partire verso una meta che non si conosce, ma anche la forza di continuare a vivere in un contesto precario, difficile, povero, in una quotidianità che si ripete sempre uguale.
Negli ultimi quattro versi le parole e i suoni si fanno più aridi, duri: “Ma soprattutto ci vuole coraggio/ a trascinare le nostre suole/ da una terra che ci odia/ ad un’altra che non ci vuole/…”.
Tolo Tolo (sta per Solo Solo, nell’italiano approssimativo di un comprimario) è un film interpretato da Checco Zalone, alla sua prima esperienza di regista. E’ stato campione di incassi alla sua uscita ma poi il pubblico ha dovuto forzatamente trascurarlo, causa il dilagare del Covid.
Racconta di una guerra in un paese africano che lo costringe a far ritorno in Italia percorrendo la tortuosa rotta dei migranti: dovrà fare nella circostanza la loro vita.
Quel tribolato viaggio costringe il regista- sceneggiatore a misurarsi con qualcosa su cui in passato preferiva chiudere gli occhi o sorvolare con una battuta. E’ un film pieno di spunti di riflessione, di riferimenti, di sguardi diversi su un tema difficile come i migranti e il razzismo strisciante tra gli italiani. Paragonarlo a “La vita è bella” non è poi azzardato. Un argomento forte, trattato in maniera leggera. Certo Roberto Benigni ha avuto più successo e premi perché la trama del suo film è qualcosa per la quale tutti possono indignarsi in quanto non ci appartiene. In Tolo Tolo, ci siamo tutti dentro e tutti complici, anche se pensiamo che non sia così.
Zalone non è un genio ma è un comico che riesce sempre a farci ridere di argomenti scottanti, ma ci ricorda anche che fa parte della maturità di un artista evolversi e cambiare: far riflettere oltre che divertire, far ridere oltre che deridere.
Come ha detto anche Papa Francesco nella sua visita a Lesbo il 5 dicembre 2021 «Il Mediterraneo, che per millenni ha unito popoli diversi e terre distanti, sta diventando un freddo cimitero senza lapidi. Questo grande bacino d’acqua, culla di tante civiltà, sembra ora uno specchio di morte. Non lasciamo che il mare nostrum si trasmuti in un desolante mare mortuum, che questo luogo di incontro diventi teatro di scontro! Non permettiamo che questo “mare dei ricordi” si trasformi nel “mare della dimenticanza”. Vi prego, fermiamo questo naufragio di civiltà!».
Proprio noi che viviamo alla frontiera dell’Europa, dobbiamo essere consapevoli che masse di uomini, donne e bambini, sono pronti a ogni sacrificio pur di mettere piede nel nostro continente. Sono colpevoli soltanto di aver cercato un futuro migliore per sé e i propri figli.
Anche una canzonetta o un film che mostra fermezza possono aiutarci a capire dove sta andando il mondo.
Stefano Pareti
Immigrati: colpevoli soltanto di aver cercato un futuro migliore per sé e i propri figli
LA SINDACA TRISTE E’ PARADOSSALE, di Giovanni Monti
Della vicenda di piazza Cittadella e dell’ordinanza del Tribunale ottenuta dai residenti e dal Legambiente l’elemento paradossale che più mi ha colpito riguarda il posizionamento, sulla scena, della sindaca Tarasconi e dei sui sostenitori politici. Considerando che la controversia riguarda diritti dei cittadini, riconosciuti come lesi dal giudice, in contrapposizione alla ditta privata appaltatrice, stupisce che la prima cittadina si dica rattristata per il contenuto del provvedimento e assuma i panni del difensore di quella parte. Se poi si considera che l’imputazione, se così si può dire, sollevata nel contenzioso, riguarda in estrema sintesi un difetto di valutazione del valore ambientale, culturale e sanitario di quel bene ambientale rappresentato dalle 15 grandi piante, compito che era in capo in primo luogo al concessionario (della progettazione ancor prima della realizzazione) francamente era logico aspettarsi una posizione più cauta e neutrale. Più che rattristata la Sindaca è apparsa scioccata dal fatto che esistano diritti ambientali lesi ed un giudice a Piacenza (e non a Berlino) che li tutela, regole che valgono per tutti e non si possa più invocare la sola legge del Marchese del Grillo. Più che suggerire nuove fasi del contenzioso, il Comune dovrebbe richiamarsi appunto alle regole (del codice degli appalti e del contratto di concessione) che obbligano la ditta a adeguarsi a tutte le norme vigenti (anche entrate in vigore successivamente alla stipula ma prima dell’avvio dei lavori), apportando al progetto le varianti che occorrono per assicurare che l’opera salvaguardi l’ambiente e non arrechi danni a terzi. Una via chiara e spianata che amministratori orientati al solo interesse collettivo e rispettosi del proprio ruolo istituzionale e di quello della Magistratura non dovrebbero avere remore ad intraprendere senza incertezze e rapidamente.
RESPONSABILITA’ ETICA TUTELARE L’AMBIENTE di Giancarlo Magnani
Direttore (rivolto a Pietro Visconti, Direttore di Libertà, ndr) buongiorno, non le avrei scritto se non mi fossi soffermato casualmente sull’oroscopo odierno del Toro che cito testualmente: poiché la vostra immaginazione è aumentata, potete visualizzare le cose e sognare ogni tipo di possibilità. Questa è un’influenza eccellente per gli scrittori, soprattutto quelli di fantasy e di fantascienza. Tuttavia, la giornata di oggi riserva anche delle sorprese. Fate attenzione a tutto ciò che dite e fate per evitare incidenti.Con le premesse di cui sopra, le sarei grato di darmi spazio per ricordare alla sindaca Katia Tarasconi il significato della responsabilità etica e morale della natura per le generazioni future. Oltre ai benefici tangibili che la natura offre, abbiamo la responsabilità etica e morale di proteggerla e preservarla. Proteggendo la natura, rispettiamo i diritti intrinseci delle altre specie a esistere e prosperare, riconoscendo la nostra interdipendenza con il mondo naturale. Le nostre azioni di oggi determineranno l’eredità che lasceremo alle generazioni future. Preservare la biodiversità, mitigare i cambiamenti climatici, garantire aria e acqua pulite, promuovere una gestione sostenibile delle risorse, nutrire il benessere e sostenere la nostra responsabilità etica sono tutti motivi convincenti per dare priorità alla protezione della natura. È nostro dovere collettivo agire come custodi dell’ambiente, riconoscendo l’immenso valore e l’interconnessione di tutta la vita sulla Terra. Accettiamo il nostro ruolo di amministratori e lavoriamo insieme per salvaguardare la natura per un pianeta fiorente ora e in futuro.
In piazza Cittadella dove per realizzare un garage di cemento si vogliono tagliare 15 tigli ‘storici’
A cura del Laboratorio Popolare della della Cultura e dell’Arte di Piacenza domani dalle 16 alle 19 all’ìnterno del quadrato “Boh!(sco) di Katia” sulla aiuola di Piazza Cittadella saranno realizzate le installazioni “Povero Albero” e “Natura Morta” con la colonna sonora in loop di oltre 10 brani dedicati agli alberi di Piazza Cittadella da importanti artisti italiani ed internazionali raccolti su iniziativa di Francesco Paladino (clicca qui) in sostegno della battaglia in corso contro l’abbattimento degli alberi e contro la realizzazione del parcheggio interrato nella piazza in questione
Le auto avvelenano l’aria, le piante regalano ossigeno
Le donne che venivano chiamate streghe non avevano nessun potere magico, in realtà. Semplicemente riuscivano a vedere le cose meglio.Le vedevano per quel che erano, perché erano nate con la capacità, o il dono (o, forse, la maledizione) di non avere filtri sugli occhi nè sulla mente: Nessuno di quei filtri che spesso ci portiamo appresso senza nemmeno rendercene conto, che ci dicono come dobbiamo vedere le cose per essere accettati, per sembrare giusti, per apparire ciò che dovremmo essere, per autoconvincerci che davvero siamo ciò che vogliamo far apparire. Loro non ce l’avevano, perché la conseguenza, o la causa, del loro dono o maledizione era anche questa: Non aver paura della solitudine, non aver bisogno di riempire il silenzio di chiacchiere vuote, voler qualcosa di diverso da un ruolo da recitare sul palcoscenico insieme a tutti. Per questo venivano isolate. E per questo facevano paura, come fa paura chi dice la verità: E spesso si preferisce accusarlo ed annientarlo pur di non sentirla, pur di non volerla vedere. E per questo ancora oggi esistono le streghe, ed esiste chi le vuole bruciare. Siamo streghe quando ci poniamo domande, quando vogliamo capire. Quando ci ribelliamo ad una regola, quando ragioniamo con la nostra testa. Quando non abbiamo paura di esplorare le nostre ombre, ammettere i nostri difetti, confessare ciò che vogliamo. Siamo streghe, e anche se volete continuare a bruciarci, siamo sempre qui.
Quando muore un operaio non muore nessuno, apre il telegiornale la strage e la commozione internazionale del Presidente del Consiglio. Quando muore un operaio pochi sempre meno ricordano che sotto la tuta c’era carne di uomo carne non pregiata non curata spesso non quotata. Quando muore un operaio meglio cambiare canale guardare una partita di calcio un thriller americano almeno lì muoiono dando spettacolo e si vede tutto. Quando muore un operaio lascia figli che vedranno sul comodino la foto del padre e madri tre volte martirizzate e genitori che appassiranno di lavoro. Quando muore un operaio non c’è lutto nazionale non c’è politico che non pianga e mostri indignazione scatarrando propositi e promettendo resurrezioni. Quando muore un operaio si assume un altro al suo posto lieto di avere un lavoro dopo il funerale e le condoglianze di rito per la morte di un marito di un figlio di un parente di un padre di un amico. Quando muore un operaio qualcuno ride felice tanto a morire sono loro e sono miliardi senza nome e lavorano e comprano e continuano a non capire e a morire e a lasciare vedove e posti vacanti.
Muore travolta da una pressa. Tragico infortunio in una ditta di Monticelli (PC). La vittima è Giuseppina Marcinnò, residente da anni a Castelvetro Piacentino, 65 anni. Da una prima ricostruzione pare che stesse lavorando su un macchinario dotato di una sorta di pressa. Per motivi da chiarire qualcosa è andato storto e la donna è rimasta schiacciata. Una tragedia avvenuta in un contesto davvero terribile. A pochi giorni dal Natale e dal suo compleanno: Giuseppina avrebbe compiuto 66 anni il 24 dicembre. Inoltre la donna si trovava a fine turno e pare stesse ultimando gli ultimi lavori prima di lasciare l’azienda. Sarebbe andata in pensione tra poche settimane.
Le principesse hanno un occhio nero: immagine forte, ma non più forte di uno schiaffo o di un pugno. Disegno di Alexsandro Palombo.
E’ il 25 novembre si discute e si riflette su un problema che sembra non avere soluzione. La violenza sulle donne è incessante, si ripete, si manifesta in tantissime forme. Violenza è anche la mancanza di riconoscimento del valore femminile nelle vita lavorativa o pubblica. E’ necessario allora un processo culturale – che come tale sarà lungo e profondo – per raggiungere la consapevolezza che gli esseri umani per quanto diversi non stanno in una classifica di migliori e peggiori, una classifica tra chi pesa di più e chi è vissuto come un fastidio di fondo. Tutto l’anno l’impegno di tutti e soprattutto di chi ha in mano gli strumenti per incidere deve operare, lavorare, pensare e agire seguendo questo principio proseguendo finché – ed è la speranza forse più ingenua che manifesto – non ci si porranno più problemi di genere ma anche di etnie, di credi, di appartenenze diverse dalla nostra. Utopia? Bene lo sarà ma che si vive a fare se non ci poniamo degli obiettivi alti? Sarebbe triste trascorrere la propria vita nel pantano del già visto solo perché schiacciati dalle paure e dalla diffidenza verso l’ignoto.
Tre spunti per ragionare sulle donne
Diverse le iniziative istituzionali in questi giorni in cui si discute e si riflette sul tema della violenza alle donne. Di seguito tre momenti diversi che hanno al centro l’attività regionale. Dapprima il potenziamento dei finanziamenti per accrescere l’efficacia della rete di protezione per le donne e i minori. Quindi un approfondimento con i dati elaborati dall’osservatorio regionale sulle violenze e infine una discussione all’interno degli Stati generali dell’Anci sul tema della parità di genere che ha interessato i rappresentanti dei comuni italiani che si sono ritrovati a Bologna.
1- LA RETE DI PROTEZIONE Potenziare la rete di ascolto e la rete di protezione per le vittime di violenza. E’ l’obiettivo della Regione Emilia-Romagna, con un nuovo bando da 1 milione di euro, per contrastare le discriminazioni e la violenza di genere e favorire una cultura della parità uomo-donna. Un’attenzione particolare sarà data a progetti, iniziative e manifestazioni che si realizzeranno nel 2020 nei comuni montani, generalmente più isolati e meno accessibili per il personale specializzato.
“Continua con determinazione l’azione regionale nella lotta contro la violenza e le discriminazioni di genere – dichiara l’assessora regionale alle pari opportunità, Emma Petitti -. Dopo il recente bando da 470 mila euro per l’apertura di nuovi centri antiviolenza, sportelli e case rifugio, con questo ulteriore finanziamento vogliamo potenziare la nostra rete di protezione, prevenzione e ascolto attraverso il sostegno e la valorizzazione delle attività promosse dagli enti locali e dal mondo dell’associazionismo. Il loro impegno quotidiano nel contrastare il fenomeno della violenza e di vicinanza alle vittime è fondamentale e per questo dobbiamo garantire loro anche le giuste risorse per concretizzare i progetti. Il lavoro di squadra, in sinergia, è la carta per vincere le sfide più difficili. In questi anni abbiamo fatto passi avanti di cui andare fieri, ma vogliamo fare di più.
Con questo bando vogliamo valorizzare in particolare i progetti nelle zone montane per permettere a tutte le donne di avere dei riferimenti vicini e far sì che non si sentano abbandonate nel loro percorso”.
Domande e criteri
La domanda per accedere al bando può essere presentata da Enti locali, in forma singola o associata, da Associazioni di promozione sociale, Organizzazioni di volontariato iscritte e Onlus. Le iniziative devono riguardare la promozione ed il conseguimento delle pari opportunità e il contrasto alle discriminazioni e alla violenza di genere ed essere realizzate nel territorio regionale. In particolare avranno la priorità i progetti dei Comuni dell’area appenninica e dell’area del basso ferrarese per favorire una loro piena integrazione nel circuito regionale.
Ciascun soggetto può presentare un progetto in qualità di capofila ed essere partner al massimo in un altro progetto. Ciascun soggetto che non sia capofila può essere partner in non più di 2 progetti.
La domanda dovrà essere inviata entro il 06 dicembre 2019 alla Regione Emilia-Romagna mediante posta elettronica certificata (Pec) all’indirizzo di posta certificata [email protected].
Violenza di genere: i dati forniti dall’osservatorio regionale antiviolenza
2- I DATI DELL’OSSERVATORIO REGIONALE. Sono stabili i dati sulle donne che si sono rivolte ai Centri dell’Emilia-Romagna e sono 4.871 nel 2018 è quanto si illustra nel Rapporto dell’Osservatorio regionale . Sempre nello stesso documento si segnala che raddoppiano i casi degli accessi al pronto soccorso ma si rafforza anche la rete delle strutture regionali. Sono 2.454 le nuove accolte nel 2018 e il trend appare stabile nel 2019 secondo le stime dei primi sei mesi. Aumentano i centri per il trattamento di uomini violenti. L’assessora Petitti: “Sono stati raggiunti traguardi importanti, e queste cifre confermano la fiducia sempre maggiore delle donne nel ricorrere alle strutture regionali”.
Circa 11 milioni destinati a contrastare il fenomeno dal 2016 a oggi: 21 i Centri e 40 le Case rifugio. Tra le potenziali vittime che si sono rivolte agli ospedali, l’8,2% dimesse con diagnosi di maltrattamenti Bologna – Aumentano nel 2018 le donne accolte nei Centri antiviolenza e il trend del 2019 appare stabile. Sono stati 4.871 i contatti con le strutture di aiuto dell’Emilia-Romagna, anche tramite semplice e-mail o telefonata, di donne che chiedono sostegno per una violenza ricevuta, 3.486 le donne che seguono un percorso, di cui 2.454 nuove accolte (il 70%). Il 92% delle violenze subite dalle donne è stato di tipo psicologico (64,2%), fisico (40,5%), sessuale (15,4%) e vengono principalmente effettuate dal partner o ex partner (82%).
Una tendenza che non si discosta da questa linea anche nelle stime del 2019, con circa 1.750 donne in percorso nei primi sei mesi dell’anno, di cui circa 1.250 nuove accolte. Si rafforza al contempo la rete di accoglienza, con 21 Centri antiviolenza, 40 Case rifugio (un centro e casa rifugio in più rispetto al 2017) e 2 in corso di apertura nel 2019. A inizio legislatura, nel 2014, erano 14 i Centri antiviolenza e 22 le Case rifugio.
“La violenza non è un fatto privato, ma una sfida da vincere insieme” E la Regione si è impegnata moltissimo in questa legislatura per promuovere una cultura contro la violenza di genere e per supportare e accogliere chi ne abbia avuto necessità. Stiamo compiendo uno sforzo importante per avere in tutto il territorio regionale strutture che possano dare rifugio alle donne che hanno bisogno di allontanarsi dalla famiglia, perché il più delle volte è proprio tra le mura di casa che si svolge la violenza. Il rapporto dell’Osservatorio conferma la fiducia sempre maggiore delle donne che abbiano subito violenza nel ricorrere alle strutture regionali, e anche degli uomini, che vedono crescere i centri a loro dedicati. La Regione ha molto investito anche in prevenzione, finanziando progetti di sensibilizzazione e educazione che solo nel 2018 hanno coinvolto circa 13.400 studenti, 900 insegnanti, circa 1900 operatori (sociali, sanitari, forze dell’ordine, giornalisti, ecc.) e 1500 donne vittime di violenza o a rischio di subirla”.
Emma Petitti, Assessora regionale alle Pari opportunità.
Aumentano anche i centri per il trattamento di uomini autori di violenza, passati da 10 a 15 nell’ultimo anno, con una copertura su tutto il territorio regionale. Sono i principali dati dal 2017 al 2018 tratti dal secondo rapporto dell’Osservatorio regionale sulla violenza di genere, che evidenziano la gravità del fenomeno ma anche il potenziamento della rete regionale di accoglienza. Dal 2016 al 2018 sono stati destinati a questo ambito circa 11 milioni di euro, che comprendono 5,7 milioni di fondi statali, 4 milioni dalla Regione, attraverso il bando Pari opportunità per la prevenzione e 1 milione per il bando donne e lavoro. Dei 5,7 milioni investiti nel settore da fondi ministeriali, di questi la Regione ne ha destinati 3,2 per il mantenimento delle strutture esistenti,1,1 per l’incremento di nuove strutture e 1,2 milioni per l’innovazione (formazione operatori, sistema informativo, ecc.).
Pari opportunità. La parità di genere al centro degli Stati generali Anci a Bologna
3- GLI STATI GENERALI ANCI “La parità di genere non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace. Il pieno riconoscimento del ruolo delle donne nella società, nelle istituzioni, nel mondo del lavoro costituisce il parametro per misurare la maturità di una democrazia e la qualità del grado di sviluppo, sociale ed economico, di un Paese”. Così l’assessora regionale alle Pari opportunità, Emma Petitti, intervenuta alla terza edizione degli Stati generali delle amministratrici, che si è svolta a Bologna nella Cappella Farnese di Palazzo d’Accursio. Un momento di confronto promosso da Anci Nazionale, che ha visto anche la partecipazione della ministra alle Pari opportunità, Elena Bonetti, per la firma di un nuovo protocollo d’intesa con Anci per promuovere e diffondere azioni di contrasto alla violenza contro donne e minori nei comuni italiani.
Petitti: “Dobbiamo continuare a investire su questi temi per cambiare rotta e contrastare i pregiudizi”
L’assessora regionale insieme alla ministra alle Pari opportunità Elena Bonetti per promuovere e diffondere azioni di contrasto alla violenza contro donne e minori
“Purtroppo, nella quotidianità gran parte del potenziale femminile rimane ancora incompiuto a causa delle ampie disuguaglianze tra donne e uomini sia in Italia che in Europa. Molto c’è da fare anche nel nostro Paese”, ha aggiunto l’assessora Petitti.
Infatti, le ricerche condotte dall’Eige (l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere) citato nell’incontro, stimano che gli eventuali miglioramenti nell’ambito dell’uguaglianza di genere nell’Ue potrebbero generare fino a 10,5 milioni di posti di lavoro in più entro il 2050.
“Il problema della partecipazione delle donne all’economia – ha aggiunto l’assessora– è sia una questione etica e di giustizia sociale che di efficienza economica complessiva di un sistema. Dobbiamo fare investimenti continuativi sulla parità per cambiare rotta e contrastare i tanti pregiudizi ancora oggi sedimentati nella nostra mentalità. Questa è un grande sfida che riguarda tutti noi, non solo le donne. È l’intero Paese che deve progredire in modo sistemico e armonico, ed è quindi molto importante la giornata promossa oggi dall’Anci nazionale per condividere le priorità dei temi ritenuti strategici, partendo dalle buone pratiche dei Comuni, per individuare i bisogni e le politiche locali, regionali e nazionali, le azioni e gli ambiti d’intervento su cui concentrare coerentemente gli sforzi. Investire sulle politiche pubbliche, welfare, sanità e formazione è fondamentale ed è anche grazie a questo che oggi l’Emilia-Romagna è ai vertici nazionali per occupazione femminile, con una percentuale del 63,7%”.
Per l’assessore regionale Petitti i risultati raggiunti in Emilia-Romagna, sono “il punto di arrivo delle nostre politiche. Cito in tal senso alcuni strumenti, come la ‘Legge quadro per la parità e contro la discriminazione di genere’, il Patto per il lavoro, la promozione e valorizzazione della responsabilità sociale d’impresa, i bandi per la promozione delle pari opportunità e il contrasto alla violenza contro le donne, il Piano regionale contro la violenza di genere, il Bilancio di genere della Regione, le politiche per la conciliazione di tempi di vita e lavoro, l’introduzione dello smart working. Favorire l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro e percorsi di carriera paritari sarà anche in futuro al centro della nostra agenda per cambiare lo stato delle cose e costruire una società più equa. Una sfida da vincere insieme”.
Cari professori , cari nuovi compagni , Oggi si comincia. Un nuovo importante passo. Accompagnato dai timori che ogni grande cambiamento comporta. Carico delle aspettative che sempre io e i miei genitori riponiamo nei nuovi inizi. Oggi è il mio primo giorno di scuola superiore e io e i miei siamo davvero emozionati nel compiere questo grande passo (va bene, forse loro lo sono ancora più di me!). Quante paure, incertezze, quando sono nato! E invece eccoci qua! Mi chiamo A., ho 14 anni, e sono un ragazzo con la sindrome di Down. Non sono un ragazzo down, tantomeno sono affetto dalla sindrome di Down, perchè la mia non è una malattia ma una condizione genetica che mi accompagnera’ per tutta la vita. Una mia speciale caratteristica. Ci tengo a precisarlo perchè le parole sono importanti, soprattutto per i miei compagni (e i loro genitori) che in questi anni mi hanno accolto sempre con il retropensiero che fossi strano, malato, incapace, e come tale mi hanno trattato fingendo un’inclusione che non esiste ma che va tanto di moda. Magari avessero fatto domande per meglio comprendere le mie peculiarità!!! Avrei spiegato loro che questo cromosoma in più è come un gancetto invisibile che mi porto sempre dietro.E’ come se fosse attaccato a me con un filo, e me lo trascinassi dietro: a volte si incastra tra le cose perchè ingombrante o pesante, a volte non mi permette di andare veloce, o di capire bene cosa mi stanno chiedendo, a volte mi fa proprio arrabbiare, ma al contempo mi rende speciale. Ma non è una cosa cattiva, un mostro da combattere o qualcosa per cui essere triste: è soltanto una piccola parte del mio essere semplicemente Ale. Posso fare tutto ciò che fate voialtri , come parlare, giocare, correre, imparare a leggere, scrivere e disegnare, vestirsi, mangiare da solo, viaggiare, suonare, ascoltare musica, andare a ballare, scegliere amici del cuore con i quali condividere maggiormente le mie giornate in aula e fuori. Ma a volte ho bisogno di un po’ più tempo, o di un aiuto extra da parte di insegnanti e compagni di classe, o di un programma scolastico fatto apposta per me proprio perchè possa essere orgoglioso del mio imparare. E questo non è un vantaggio, come molte stupide mamme hanno lamentato con la mia in passato, ma un modo per non farmi restare indietro. Quando ero piccolo,molti genitori degli altri bambini della scuola si informavano su nazionalità ed eventuali BES perché secondo loro queste “categorie” rallentavano il ritmo delle classi. Lo hanno fatto anche alla scuola calcio, e io non ho potuto mai giocare a pallone. Questo scremare, classificare, selezionare, inizia a fare tanta paura alla mia mamma, al mio papà, a chi mi ama e a volte li ho sentiti preoccupati tanto, o piangere per me, ma lottando sempre e non mollando mai. Ora però un certo modo di fare inizia a far paura anche a me. Mi pare si stia ritornando pericolosamente indietro, in un passato lontano che alle medie ho studiato e capito, ma di nuovo presente nelle nostre quotidianità fatte di finta perfezione. Mi spaventa questa non accettazione di quello che voi percepite come diverso, soprattutto se la forma di razzismo si rivolge ai ragazzi con disabilità come me. Un compagno con unritardo non dovrebbe essere accolto perché così prevede la legge. Mamma e papà sono convinti che più comprensione su qualcosa che non si conosce porterebbe ad una maggiore accettazione, lealtà e rispetto. Ma non è stato spesso così. Soprattutto poi gli amici si sono scocciati e alla fine mi hanno sempre lasciato solo: ero un pupazzetto tenero con cui giocare un po’ e poi ,come tutti i bambolotti ,messi in soffitta. O ci sono stati quelli che davanti scuola mi prendevano in giro: beh non fatelo perché so difendermi abbastanza bene….. Ora sono cresciuto e ho più consapevolezza di me , e di questo soffro, e così a volte chiedo alla mamma se sono diverso e lei mi dice che ognuno di noi è diverso, unico ed irripetibile. Non so se mi convincono queste sue parole, ma ci sto lavorando. Questa mia diversità mi turba,mi preoccupa, io provo a inseguirvi tutti ma non sempre riesco. Però so di essere molto bravo nel capire quando le persone sono tristi e nei miei abbracci silenziosi sento il loro cuore parlare; so aver cura di tutti;so essere sincero e leale; sono attento e rispettoso. Credete in me! Fissate per me grandi obiettivi e aspettatevi grandi risultati, come alunno e come amico. Non fate al posto mio, siate pazienti e anche se qualche volta mi scoraggerò e deciderò di non provarci da solo, ricordatemi che ce la posso fare, dando il mio meglio. Posso farcela! E se avrò bisogno di una spiegazione in più, vorrà dire che tutti potranno godere di un altro punto di osservazione. Le difficoltà dovrebbero unire, non dividere. Che’ poi, dove dobbiamo andare con tutta questa fretta, che non possiamo aspettare chi ha un passo diverso? È come se durante un viaggio, non ci fermassimo mai ad ammirare il panorama…E io sono un orizzonte spesso inesplorato ma che vale la pena avvicinare. Il mondo l’hanno salvato i “diversi” o no??? I poveri che non si sono rassegnati alla loro condizione di svantaggio sociale, i matematici schizofrenici, i poeti maledetti, i pittori depressi e gli inventori visionari. Il mondo è di tutti, soprattutto degli ultimi, perché ci insegnano a non scavalcare la fila, ma a guadagnarci il traguardo senza possibilità di dopare gli eventi. E allora insegnatemi tutto. Rispettatemi e vogliatemi bene. E siate disposti ad imparare voi stessi da me. Sarò un bellissimo , inatteso, viaggio. Come diceva Maria Montessori, spesso è l’ adulto che deve farsi umile ed imparare dal bambino ad essere grande. E io, insieme a voi, so di essere in buone mani. Vi voglio già bene. A..
La lettera di A. è stata pubblicata ieri in facebookdalla mamma, come tutte le mamme un pò timorosa per l’avvio della nuova ‘gloriosa’ avventura, un pò orgogliosa del traguardo raggiunto dal figlio.
Io sono straniera. Io sono cittadina bielorussa. Ma sono anche cittadina italiana. Sono comunque di provenienza extracomunitaria. Parlo un’altra lingua. Avrei, teoricamente, un’altra religione. Guardo gli uomini italiani. E anche io ho avuto una storia difficile. ecc. ecc. ecc.
Ora, tutti miei conoscenti, spiegatemi per quale motivo nessuno si permette di dirmi di aver rubato il lavoro agli italiani? O forse perché gli slavi sono passati di moda? O perché sono bianca e mi confondo con gli italiani?
La maggior parte di voi, non sa davvero cosa vuol dire una vita difficile e auguro che non lo dobbiate saprere mai.
Questo paese sta diventando sempre più disumano e non ci voglio credere, non lo voglio accettare.
Giovanni Agnelli per l’Italia intera è sempre stato l’Avvocato, anche se non si era mai preoccupato di abilitarsi ad esserlo per davvero.
Il Presidente emerito della Banca di Piacenza Corrado Sforza Fogliani, che avvocato lo è a tutto tondo, può a sua volta essere facilmente riconosciuto con la stessa sineddoche; per cui una parte, un generico titolo, viene a coincidere con tutta la persona, e quando nel piccolo mondo antico che è Piacenza si dice l’Avvocato, si pensa a Lui.
Patrocinando e aprendo la terza edizione del “Festival della cultura della libertà”, nella terra dove la “L/libertà” è di casa, compresa quella di uccidere veicoli di cultura come Carovane e Festivaldiritto, l’Avvocato fra l’altro ha testualmente dichiarato:
“Chi si arrovella se il festival sia di destra o di sinistra perde il suo tempo, neppure io saprei dirlo.”
E questa dichiarazione circoscritta alla natura del “suo” festival, nel titolo si è allargata alla natura della politica nell’intero globo terracqueo, sino a diventare …..
«Destra e sinistra? Idee da perditempo».
Anche se non posso nemmeno definirmi vecchio, i nuovi parametri me lo consentono a partire dai 75 anni e ho da poco iniziato il mio settantunesimo, adottando il linguaggio dell’Avvocato posso definirmi un “perditempo” ……
…… sia perché come tutti gli umani, compreso Lui, il nostro tempo lo perdiamo sistematicamente ed inevitabilmente, sia perché “destra e sinistra” a mio parere sono idee che conservano intatto il loro valore “politico”, come per altro lo stesso Avvocato senza volerlo magari, riconosce, laddove dichiara:
«La divisione vera è fra tutelati e non tutelati».
E già, perché un conto è riconoscere che la sinistra politica, in Italia più che altrove, svalutando la propria missione, si è da tempo dedicata più a tutelare i propri sacerdoti, che non la parte non tutelata e/o meno tutelata del popolo italiano;
altro conto è dimenticare che la destra, della parte non tutelata ha sempre fatto carne da macello elettorale e non solo;
e altro conto ancora è, per dirla con le parole uscite postume di Gian Maria Testa, dimenticare che in «questo povero tempo nostro» …
“tutto appassirà/per chi bestemmia le parole/che tutto appassirà/a chi bestemmia le parole”.
Qualche giorno fa discutevo con un’amica: a suo dire lo sputo per terra deve essere tollerato poiché, secondo teorie naturalistiche, risulta fatto ‘liberatorio’, atto fisiologico che serve a liberare le vie respiratore. Sicuramente posso condividere quando l’atto risulta legato ad eventi sportivi. Il calciatore che durante la partita sputa sul campo di calcio non m’infastidisce. Quando invece vedo sputare per la strada non nego di essere infastidito, tanto che si tratti di giovani, di anziani, di stranieri, di italiani, di uomini o (più raro) di donne.
In proposito va ricordato, come precisa AdnKronos, che lo sputo per terra può costare caro a chi è solito adottare questa cattiva abitudine. Sono molti i comuni italiani nei quali, nel nome del mantenimento del decoro urbano, stanno aumentando le cosiddette ‘ordinanze antisputo’. Così ecco la ‘linea dura’ adottata a Trento con la previsione di sanzioni amministrative doppie rispetto agli altri comportamenti che compromettono il decoro urbano (come sdraiarsi in strada, innaffiare senza precauzioni, stendere i panni sulle pubbliche vie): lo sputo può essere punito obbligando al pagamento di una multa di ammontare minimo pari a 54 euro, ma che può arrivare sino a 324 euro.
A Palma Campania chi sputa “su area pubblica, ad uso pubblico, o da luoghi, anche privati, ma con aggetto su area pubblica o ad uso pubblico” rischia una sanzione che può arrivare sino a 500 euro. Altri comuni, invece, sono un po’ più clementi nel preservare il decoro urbano da questi atteggiamenti, come Rimini, nel quale la relativa sanzione va dai 25 euro ai 150 euro.
In certi casi, sputare può anche divenire reato, in particolare quello di imbrattamento sanzionato dall’articolo 639 del codice penale con la multa fino a 103 euro e, addirittura, con la reclusione da uno a sei mesi e la multa da 300 a 1.000 euro se il fatto è commesso su beni immobili o su mezzi di trasporto pubblici o privati o con la reclusione da tre mesi a un anno e la multa da 1.000 a 3.000 euro se il fatto è commesso su cose di interesse storico o artistico.
Cimitero dei pescatori a Nidden, olio su tela di Lovis Corinth
Non luogo per eccellenza, il cimitero è una realtà vitalissima. Per definizione è un territorio “oltre”, destinato ad accogliere i defunti che, espurghi dell’esistente, vengono ammucchiati a parte, fuori dal consesso dei viventi.
Cimitero nella neve, olio su tela di Casper David Friedrich
Il cimitero, spazio fisico e mentale dove sono messe in gioco le angosce suscitate dal rimpianto per qualcuno che se ne è andato (o finalmente toltosi dai piedi), è il controtipo lucido e inconscio della più aulica follia umana: la sopravvivenza di se stessi. Nei cimiteri tutto si svolge sotto mentite spoglie, giacché sono soltanto i viventi che conferiscono senso al luogo più inverosimile mai inventato dall’uomo. I morti sono inerti.
Leverington cimitero, olio su tela di William Trost Richards
Possono tuttavia permettersi periodici ritorni nella mente di coloro che stanno ancora fuori dei funebri recinti: vicende che riguardano lembi di esistenza, storie di transiti, di salme, ossa, ceneri, materiali trafficati dai vivi nell’insistenza strenua, quanto inutile, di conferire ordine a quegli strani oggetti, fisici e mentali, che sono l’avanzo dei viventi di ieri. Sotto forma di culto dei morti, nel vacuo fasto delle tombe, gli ancora non estinti tentano di esorcizzare il molesto terrore di non essere più. D’altra parte il cimitero è un affare che riguarda sempre e soltanto chi non vi è ancora andato a finire.
Stassera saran tanti i maschietti a far streap-tease dietro lauto compenso e le donnine ad imporsi di festeggiare dietro lauto pagamento. E ppe’ tutto il giorno corri di qui, corri di là, l’un di su e l’altra di giù, per arrivar a sera e crodar esausti sul letto. Chi vuol far sesso? Ma va là, lasciamo star che sennò piange il bimbo e chi deve stare ad ascoltare il suo pianto indignato per tutta la notte non dormirà. E’ la festa, della donna è la festa, Dio speriamo arrivi presto il giorno dopo, il 9 marzo.