Gli indiani si sa sono sempre piene di antiche leggende riguardanti spiriti e fantasmi che abitano le loro foreste, questa è una di queste e forse la più famosa visto che questa creatura o fantasma è stato anche oggetto di numerose serie tv e pellicole cinematografiche a tema horror, ma vediamo più nei dettagli di cosa si tratta.
Il Windigo è un’entità oscura e terrificante che appunto rientra tra le antiche leggende degli indiani del Canada.
Leggenda vuole che questo spirito si annidi nelle foreste più oscure e profonde e che sia l’essenza stessa degli incubi umani.
Proprio in queste foreste il Windigo attende e osserva.
E’ un fantasma affamato che va a caccia di viandanti solitari per attaccarli e prendere possesso del loro corpo, per questo si può tranquillamente affermare che nessun altro spirito maligno ha mai suscitato tanto terrore in una popolazione.
La leggenda narra che sia uno spettro invernale che ulula al vento e trasforma il cuore delle vittime in blocchi di ghiaccio, inoltre pare che quando il cibo in inverno scarseggiasse il Windigo entrasse nel corpo del malcapitato per renderlo nervoso e asociale e farlo cibare di carne umana.
L’unico modo per sbarazzarsi di questo spettro era quello di dare fuoco al suo ospite.
Tra i suoi poteri pare vi fosse quello di attraversare la foresta al volo e di avere una forza sovrumana inoltre era in grado di uccidere un essere umano con un solo sguardo.
Come sarà la nuova Casa della Comunità / Ospedale di Comunità in via Gadolini a conclusione dei lavori già in fase avanzata
La notizia della nuova tempesta piombata sul capo dell’Ausl piacentina naturalmente ha scosso la città già provata da altri recenti “temporali” nel settore sanitario pubblico: conclusa un’indagine da parte della Guardia di Finanza nei confronti di 15 dirigenti e tecnici dipendenti dell’Asl e di 5 manager di società private. “Appalti pilotati“, si legge, con conseguenti gravissime accuse che vanno dal peculato alla turbativa d’asta fino alla falsità ideologica in atti pubblici e all’esercizio abusivo di una professione.Accuse che appunto coinvolgono 20 persone tra dirigenti pubblici (ivi compresa Paola Bardasi, Direttore Generale dell’Asl) e manager privati.
La gestione di appalti pubblici per un valore di 7 milioni e la gestione di fondi Pnrr per ulteriori 17 milioni i fatti sui quali si è concentrata l’attenzione della Guardia di Finanza arrivando alla definizione, da parte degli inquirenti, di “un quadro di irregolarità sistematiche nella gestione delle procedure d’acquisto di beni e servizi sanitari“. Nello specifico “i vertici dell’azienda sanitaria avrebbero sistematicamente eluso le regole degli appalti pubblici, ricorrendo in modo reiterato ad affidamenti diretti, proroghe ingiustificate e acquisti in economia. Il tutto attraverso stratagemmi giuridico-amministrativi volti ad aggirare la necessaria evidenza pubblica, favorendo aziende compiacenti con cui vi sarebbero stati anche incontri diretti e non ufficiali“.
Sono state inoltre rilevate “gravi anomalie” anche nella gestione di quattro progetti Pnrr per un valore complessivo di 17 milioni di euro: “pur di non perdere i finanziamenti alcuni dirigenti dell’Ausl avrebbero attestato falsamente la conformità di progetti definitivi a quelli preliminari, certificando il rispetto di criteri tecnici ed economici nonostante le evidenti criticità. In questo modo si sarebbe provveduto alla validazione artificiosa dei progetti per rientrare nei termini richiesti dai bandi di finanziamento europei“.
La notizia, caduta sulla città come fulmine a ciel sereno, ha suscitato reazioni dallo sgomento, all’incredulità, dall’indignazione all’immediata reiterazione della richiesta di commissariamente dell’Asl (richiesta già avanzata in occasione di uns precedente recente inchiesta coinvolgente l’azione sessista di un primario ospedaliero) fino ad arrivare al fango gettato a palate attraverso decine e decine di commenti via facebook ed altri social (i famosi, me lo si consenta, “leoni da tastiera“).
Personalmente, ferma restando lo stupore ed un certo sgomento come prima reazione anche da parte mia, sarei però cauto e prudente nel tacciare giudizi e condanne preventive defitive. Resterei infatti prudenzialmente in attesa di quanto valuterà e giudicherà la magistratura competente nell’eventuale sede processuale (sempreché alla sede processuale si arrivi effettivamente e che invece – come spesso avviene – tutto non venga archiviato per “insussistenza dei reati” ipotizzati in sede appunto di indagini preliminari e di valutazioni da parte della Procura).
Una cautela nel giudizio innanzitutto perché penso di conoscere alcuni dei potenziali indagati e accusati in quanto miei ex colleghi fino al momento del mio pensionamento (cinque anni fa), ex colleghi dei quali ben conoscevo le funzioni svolte e che non posso pensare abbiano scientemente potuto volontariamente agire in violazione di norme e di procedure con la gravità che viene contestata e presupposta dai commenti ascoltati o letti in queste prime ore.
Così in particolare per quanto riguarda i progetti Pnrr osservo che i relativi fondi sono serviti per realizzare la struttura sanitaria detta “Casa della Comunità” a San Nicolò, l’analoga struttura a Fiorenzuola e infine sono in stato di avanzamento i lavori per la realizzazione della Casa della Comunità/Ospedale di Comunità (OsCo) in via Gadolini dove da anni erano in stato di abbandono e degrado le strutture della ex Clinica Belvedere.
Quello che voglio dunque evidenziare è il fatto che questi sono risultati:
volti a garantire prioritariamente ai cittadini la disponibilità di strutture sanitarie fondamentali
volti ad evitare la eventuale perdita per mancato tempestivo utilizzo dei fondi Pnrr
volti quindi ad un agire nel perseguimento di un interesse pubblicoprimario ovvero la tutela sanitaria dei cittadiniattraverso la tempestiva disponibilità di fondamentali strutture destinate alla cura e alla prevenzione sanitaria.
Certo tutto questo non può giustificare completamente l’azione eventualmente contestata ma, nel momento della valutazione penale della stessa, anche questi elementi saranno tenuti in considerazione dalla magistratura giudicante definendo quindi il corretto punto di equilibrio tra gli eventuali diversi interessi presentinel caso di specie.
Punto di equilibrio che purtroppo pare mancare completamente in quanti in queste ore mediante parole e scritti (via social in particolare) già stanno mettendo alla gogna dirigenti e soprattutto “persone” infangandole per aver svolto un lavoro che appunto potrebbe rivelarsi nell’interesse pubblico coincidente con l’interesse del cittadino anche se questo può aver determinato qualche “forzatura” (nei limiti comunque della legittimità) rispetto a procedure e tempistiche normative nell’ambito della complessa materia degli appalti pubblici.
Meglio dunque restare serenamente in attesa degli sviluppi e di un quadro meglio definito delle vicende contestate e di quanto possa essere appunto effettivamente ricondotto e imputato a ciascuno dei 20 protagonistiindagati.
I servizi garantiti nella Casa di Comunità di Fiorenzuola
Federico I (Aliprando Caprioli, CC0, via Wikimedia Commons)
E’ molto probabile che questo fatto sia molto poco o per nulla conosciuto ai più, eppure è storicamente certo, con tanto di documentazione originale: l’imperatore Federico I, detto il Barbarossa, finiti i colossali incontri noti come Dieta, tenutisi nel 1158 nella piana ai “prata Roncaliae” – oggi Somaglia e dirimpetto al “loco qui Medianus Iniquitatis dicit” nell’ansa di Calendasco – passato il Po riprese la strada per il Piemonte.
Si parla di migliaia di persone al suo seguito alloggiate nel “tentoria” (accampamento), carovana che si muoveva con una certa celerità, ma fino ad un certo punto: c’erano i carri delle tende d’alloggio, i carri dei pali, i carri con gli attrezzi dei maniscalchi e falegnami, le cucine, le derrate alimentari, animali alla corda e tanto altro.
La grandiosa comitiva al seguito del Barbarossa, con personalità rappresentative del potere del tempo, si mosse passando sul solido ponte di barche nell’area di Cotrebbia oggi detta Vecchia e da lì puntò verso San Nicolò e poi Gragnano. In questa cronaca storica ci si attiene ai punti cruciali dell’episodio in questione, per ovvi motivi di sintesi e praticità.
Ma come si è a conoscenza di questa sosta di due giorni dell’imperatore vicino a Gragnano? Lo dimostrano ben due atti originali, uno conservato nell’Archivio di Stato di Siena e uno in quello di Firenze. Il primo è la concessione di privilegi alla città e popolo di Siena, scritto “in plano Grainyano iuxta Placentiam” (nella piana di Gragnano nelle vicinanze di Piacenza) il 29 novembre 1158 e firmato di pugno dal Barbarossa imperatore invincibile (signum domini Frederici Romanorum imperatoris invictissimi).
L’altro è una concessione e protezione per i frati benedettini del monastero di Vallombrosa, datato 30 novembre 1158 e anche questo scritto solennemente “in prato Grainyano” (nei prati di Gragnano). Per i lettori è giusto fare una specifica: con le parole in latino “in plano” come “in prato” si indicano delle vastissime aree mantenute incolte, cioè a prativo, usuale nel medioevo.
Si trattava di amplissimi spazi di soli prati demaniali, cioè di proprietà del Comune di Piacenza, e qui si potevano condurre al pascolo – previo accordi e a volte pagando un dazio – i propri animali, quali pecore, vacche, maiali, come documentato.
Ma questi luoghi, all’occorrenza, erano destinati per legge a ospitare qualche esercito di passaggio, amico o alleato di Piacenza: qui, infatti, c’era pascolo per i cavalli. Le terre erano servite da canali irrigatori per portare acqua e c’era lo spazio per piantare un accampamento di centinaia di uomini.
Federico Barbarossa riprese quindi il cammino il 1° dicembre, muovendosi dalla piana di Gragnano lungo quella che è l’attuale via Emilia Pavese, per accamparsi nuovamente, dopo tre giorni, in quel di Voghera.
Massimiliano d’Asburgo Imperatore del Messico e l’Imperatrice Charlotte
Il Castello di Miramar, oggi una delle principali attrazioni turistiche della città di Trieste, è stato costruito tra il 1856 ed il 1860 per volere dell’Arciduca Massimiliano d’Asburgo Imperatore del Messico, fu da quest’ultimo poco utilizzato per l’infausto destino che la storia gli riservò. Massimiliano, fratello dell’Imperatore Francesco Giuseppe, assieme alla consorte Carlotta Principessa del Belgio, entrarono nel castello il giorno della vigilia di Natale del 1860 dopo aver dimorato per due anni nel castelletto, una residenza più piccola all’interno del vasto parco del castello. In quel tempo Massimiliano ricopriva la carica di Governatore del Lombardo-Veneto quindi non dimorava frequentemente nel castello. Nel 1861 partì per un lungo viaggio in Brasile e nel 1864 salpò alla volta del Messico dove fu incoronato Imperatore e dove il 19 giugno del 1867 fu assassinato all’età di 35 anni, barbaramente torturato e poi fucilato da un plotone al comando di Benito Juarez. Massimiliano fu quindi riportato a Trieste l’anno successivo a bordo del Novara e da qui fu condotto a Vienna per essere sepolto nella Cripta dei Cappuccini dove riposano i membri della famiglia imperiale passati a miglior vita.
La prima grande leggenda che avvolge di mistero il Castello di Miramar vuole che lo spirito di Massimiliano non abbia mai lasciato Trieste e che il suo fantasma sia solito aggirarsi ogni notte nel grande parco del castello, non avendone potuto godere in vita, a rimirare le infinite specie di piante importate da ogni parte del mondo. Molte furono nel passato le leggendarie testimonianze di guardiani ed impavidi ragazzi che sembravano essersi imbattuti in un fantasma mite e per nulla interessato a spaventare le persone dato che in vita Massimiliano amò molto la città ed i suoi abitanti e dagli stessi triestini fu molto amato. La leggenda racconta anche di strani episodi accaduti di notte all’interno del castello con luci inspiegabilmente accese, rumori ed urla. Una cosa è ben chiara ad ogni triestino: nessuno di notte si aggira nei pressi del castello e soprattutto nessuno osa dormire una notte nel castello per via dell’altra leggenda del castello ben più nota e tragicamente fornita di riscontro.
Carlotta rientrò dal Messico per cercare, invano, tra i reali europei l’aiuto necessario al consorte per sedare la rivolta dei repubblicani di Juarez e fu durante il suo pellegrinaggio a Roma dal Papa che diede i primi sintomi di pazzia. Da questa malattia non guarì mai più e da Miramar fu riportata nel natìo Belgio dove morì all’età di 86 anni il 19 gennaio 1927 dopo aver trascorso la propria vita nella tenuta di Bouchout. Prima di lasciare il castello però, la leggenda narra che Carlotta, distrutta dal dolore e dalla rabbia per quel destino crudele riservato al suo amore, maledì il castello rivolgendosi a tutte le teste coronate ed ai capi militari sposati che in futuro vi avessero dimorato:
chiunque abiterà sotto questo tetto muoia come il mo consorte: lontano dalla patria, lontano dagli affetti, di violenta morte, in peccato mortale.
La storia sembra dar credito a questo anatema visto che praticamente tutti i personaggi illustri che dimorarono nel castello sembrano esser stati perseguitati da un terribile destino morendo prematuramente in tragiche circostanze, lontano dagli affetti, quasi sempre lontano da casa e, talvolta, in peccato mortale come Rodolfo l’erede al trono d’Austria figlio di Francesco Giuseppe e Sissi.E così fin quasi ai giorni nostri.
Conclusasi la seconda guerra mondiale, Trieste divenne Territorio Libero amministrato dal GMA, il Governo Militare Alleato anglo-americano, fino al 1956. I primi a liberare la città dall’occupazione tedesca furono i soldati dell’esercito neozelandese guidati dal Colonnello Bowman il quale credette alla leggenda del castello e preferì accamparsi con una tenda nel giardino del parco antistante per una notte sola. Sarà forse un caso ma la sua vita fu risparmiata da nefasti destini.
Incuranti della leggenda che perseguita gli ospiti del castello, i generali dell’esercito americano vi si insediarono ed anche su di loro si abbatté la maledizione.
Fu così per il Generale Charlses Moore, valoroso esponente dell’esercito americano che partendo dal castello alla volta della guerra di Corea, morì in battaglia abbattuto col suo aereo sul fiume Yalu. Non fu meno nefasta la sorte del suo successore, il Generale Vernice Musgrave MacFadden che visse per molti anni nel castello organizzando anche sontuose feste e balli. Fu richiamato in patria dal presidente Eisenhower che lo voleva al proprio fianco come consigliere ma il Generale non ritornò mai negli Usa perché durante il viaggio di ritorno fu vittima di un incidente stradale mortale nei pressi di Livorno dove si sarebbe dovuto imbarcare.
Il 26 ottobre 1954 Trieste venne definitivamente annessa all’Italia, il Castello di Miramar e tutto il suo parco furono eletti a monumento nazionale e con il tempo il castello divenne un museo. Da allora sembra che nessuno vi abbia più dormito e sembra anche che nessuno abbia ancora voglia di sfidare il maleficio che sembra abbattersi sui destini degli ospiti della dimora dei compianti Massimiliano e Carlotta che non poterono mai godere appieno del loro nido d’amore.
Se andate a Trieste non perdete l’occasione di visitare il castello, le sue stanze ed il suo parco, nulla vi succederà anzi, Massimiliano e Carlotta ne sarebbero sicuramente felici, l’importante è che non vi azzardiate a trascorrere la notte dentro il castello perché… la storia insegna!
E’ l’aver perso il nome già ancor prima della luce ed è stato inutile lo sforzo di mia madre già ancor prima della voce ma quell’acqua quel regalo di vita immensa scorre ancora sul mio viso e offro a lei l’ultima goccia nel calice dei suoi figli.
Non saprò mai su quale sgarro o su quale offesa ci fu baratto a lanciar la pena e del desio negato non saprò mai chi ne godrà o chi mai ne avrà cura.
Stanca inerme resa muta ormai affido ai sassi le mie grida quei sassi che son gigli adesso e li ringrazio per avermi resa libera.
Martedì 10 giugno 2025, Galleria Biffi Arte, via Chiapponi al 39, presentazione del volume “Azur del mare”: Simone Tansini, Leila Maria Kalamian, Claudio Arzani
La presentazione del volume “Azur del mare” con la mia introduzione non poteva certo essere banale. A prescindere dall’illustrazione dei testi (di Leili Maria Kalamian, l’autrice) che con l’accompagno dei disegni di Silvio Boselli e la volontà dello stesso editore, Simone Tansini, trattano quella che è stata una tragedia con la delicatezza di un’emozione che nasce dal cuore e rende il racconto poesia pura, da parte mia non era possibile altro che un intervento basato sulla denuncia. Partendo da quel 25 febbraio del 2023.
Il buio della sera è già sceso al porto di Smirne, in Turchia, quando la “Summer Love” (amore estivo, quasi un simbolo di desiderio, di un futuro migliore, di un sogno da vivere) lascia gli ormeggi.
Si tratta di un Caicco, una barca bialbero appunto di origine turca in legno, pensata per la pesca e il carico e pertanto molto spaziosa, attrezzata per ospitare una dozzina di componenti dell’equipaggio. Destinazione la bella Italia, una dozzina le ore di navigazione previste.
Tra le ore 2.00 e le ore 2.30 della notte a circa 40 km dalle coste calabre l’aereo di Frontex avvista la barca, prende atto che gli oblò sono aperti e rileva tracce di calore che fanno presumere la presenza di molte persone nella stiva. Vengono dunque inviate segnalazioni in Italia che vengono ricevute dalla Guardia di Finanza e dalla Capitaneria di porto di Crotone. L’aereo subito dopo deve rientrare per non esaurire il carburante.
Dall’Italia nessuno interviene. In base alle recenti disposizioni di parte governativa, il protocollo, previsto proprio per scoraggiare le partenze di migranti, non prevede un intervento immediato se non in caso di pericolo evidente. La Summer Love dunque prosegue la navigazione nel mare che si fa sempre più “agitato”.
Martedì 10 giugno 2025, Galleria Biffi Arte, via Chiapponi al 39, Leila Maria Kalamian,
Intorno alle ore 4.00, ormai a un passo dalla meta, la Summer Love si arena alla foce del fiume Tacina, nei pressi di Cutro e rimane esposta alla violenza del mare che raggiunge forza 4 e forza 5, rovesciandola e distruggendola.
I migranti presenti nella stiva si riveleranno essere 180, 94 dei quali muoiono in acqua e tra questi 35 bambini. Decine di corpi vengono portati a riva dalle onde del mare e successivamente posizionati sulla spiaggia coperti da un pietoso telo bianco.
Dal ministro dell’interno Piantedosi (che avrei voluto definire, come senso di umanità e misericordia vorrebbe, “piangodosi“) nessuna lacrima ma invece dice: «L’unica cosa che va detta ed affermata è: non devono partire». Pietà l’è morta.
«Non ci possono essere alternative», ha proseguito, «di fronte a tragedie di questo tipo non credo che si possa sostenere che al primo posto ci sia il diritto o il dovere di partire e partire in questo modo». Il punto tenuto fermo da Piantedosi per tutto l’intervento è dunque sulla decisione dei migranti di allontanarsi dalla loro terra: «Io non partirei se fossi disperato perché sono stato educato alla responsabilità di non chiedermi cosa devo chiedere io al luogo in cui vivo, ma cosa posso fare io per il Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso».
Martedì 10 giugno 2025, Galleria Biffi Arte, via Chiapponi al 39: Simone Tansini, editore e organizzatore del Festival “Il Canto della Terra”
Parole sacrosante se non fosse che i migranti imbarcati sulla Summer Love erano iraniani, afghani, pakistani, siriani, gente, uomini, donne, ragazze, ragazzi, bambini, bambine, in fuga dalla guerra, dalla prigionia, dalla tortura, dalla lapidazione con l’unica prospettiva, restando nel loro paese, di garantire il contributo di lasciarsi ammazzare.
Dovrà poi intervenire la Procura che nello stesso 2023 mette sotto accusa 6 uomini, 4 della Guardia di Finanza, 2 della Capitaneria di porto per naufragio colposo e omicidio colposo plurimo anche se i veri colpevoli stanno altrove, nei protocolli definiti che hanno reso farraginose rischiando di rallentarle le operazioni di soccorso.Un pò come se, in caso d’incidente stradale, dovessimo chiamare prima i Carabinieri e solo dopo e solo se la Croce Rossa: giusto appunto il tempo per i feriti di morire.
Ma anche qui staremo a vedere. Siamo “solo” nel 2025 e l’ultima udienza preliminare al processo vero e proprio è fissata al 21 luglio prossimo. Ovviamente salvo ulteriori rinvii.
A tutto questo dobbiamo aggiungere la vicenda di NICOLINA PARISI, vecchietta over 80 anni, 3 figli, alcuni nipoti, un pronipote, il consorte venuto meno una decina d’anni prima. Risiede a Bottigello dove tutti la chiamano affettuosamente NICOLETTA e si rende protagonista di un grande gesto d’umanità. Mette a disposizione la tomba di famiglia per ospitare due vittime.
Martedì 10 giugno 2025, Galleria Biffi Arte, via Chiapponi al 39: Claudio Arzani, scrittore e poeta
Di fianco al marito, sapendo che per sè stessa dovrà allora cercare un luogo diverso ma, come dirà lei stessa, “si è trattato di un gesto normale, di un cammino di fede, di un atto d’amore“.
Ho aggiunto d’umanità, secondo logica di accoglienza, di uguaglianza, di rispetto tra culture anche diverse.
Ed è a questo punto che si è passati, l’altra sera alla Galleria Biffi Arte ospitante l’iniziativa del Festival “Il Canto della Terra” ideata dall’organizzatore Simone Tansini, alla presentazione dello splendido, coinvolgente, commovente libro di Leila Maria Kalamian che, partendo dalla tragedia di Cutro e dal gesto di Nicoletta, parla dei problemi della migrazione, dell’accoglienza, dell’inclusione e dell’incontro tra culture diverse, della ricerca di un punto di equilibrio tra le stesse, di rispetto, di non violenza e quindi di pace.
Ultimo appunto personale: il 28 maggio scorso in via Roma al 163 si sono conclusi gli incontri letterari settimanali con “quelli del mercoledì coi grilli per la testa” che ho condotto per tre anni incontrando decine di autori e protagonisti piacentini.Per quanto a valori e contenuti espressi non posso che considerare la serata dedicata al libro di Leila, dell’illustratore Silvio e dell’editore Simone parte di quella mia esperienza e dunque ringrazio dell’invito alla partecipazione all’iniziativa del 10 giugno al Festival “Il Canto della Terra – Linguaggi di vita e solidarietà” che, va precisato, si conclude domani venerdì 13 con il dibattito sulla tematica dei bambini e la guerra tra esponenti di Amnesty International, Unicef, Caritas e la dottoressa Donata Horak, moderatrice la giornalista Eleonora Bagarotti con a seguire il reading musicale e la presentazione da parte di Simone Tansini del nuovo libro “Boom, boom Bunny” (40GB edizioni).
Dunque, per chi può, appuntamento a venerdì. Immancabile.
Martedì 10 giugno 2025, Galleria Biffi Arte, via Chiapponi al 39: “Azur del mare”, testi di Leila Maria Kalamian, illustrazioni di Silvio Boselli, edizioni 40
Un tempo proprietà di Costa della Trinità che lo tengono sino al 1872 anno in cui lo vendono ai conti Curreno, attualmente il castello di Carrù è una proprietà privata, sede amministrativa di una banca e viene aperto al pubblico solo in alcune occasioni.
Una leggenda narra che ogni primo venerdì del mese, allo scoccare della mezzanotte, il fantasma di Paola Cristina esca dal quadro in cui è raffigurata con le sembianze di Diana Cacciatrice per vagare per le stanze ed i saloni del castello di Carrù con una freccia in mano. Questa nobildonna è vissuta nel XVII secolo ed ha sposato il conte Gerolamo Maria Costa della Trinità signore di Carrù e, insieme, hanno vissuto per parecchi anni in questo castello.
Nel seicento il Piemonte è teatro di molte battaglie e la popolazione soffre a causa della peste, la fame, la carestia e le guerre. Mentre Paola Cristina va a vivere nel castello di Carrù dividendo le poche scorte della famiglia con la popolazione carrucese, il marito si schiera a fianco di Cristina di Francia vedova di Vittorio Emanuele I di Savoia contro i cognati Tommaso e Maurizio. Gerolamo Costa verrà ferito in battaglia perdendo la vista da un occhio e rimanendo claudicante per il resto della vita. Conclusa la guerra tra Principisti e Madamisti, nel castello di Carrù riprendono le feste e le cacce.
Durante una battuta di caccia la contessa Paola Cristina si allontana dal gruppo. Non vedendola tornare alla sera il marito, disperato, la va a cercare e la trova lungo il torrente, ferita a morte da una freccia. Non si è mai saputo chi sia stato a scoccare la fatale freccia ma da allora il fantasma di Paola Cristina vaga per il castello di Carrù alla ricerca del suo assassino.
La Dama Blu è uno spirito buono, una sorta di “genio” del Castello che protegge tutte le persone che si comportano bene, che sanno essere gentili e amare il prossimo. Solo i crudeli e i cattivi devono temerla…
Il castello di Carrù dove vaga il fantasma della dama blu
Riporto l’articolo pubblicato dal Corriere di Bologna oggi stesso, 11 giugno 2025. Resto decisamente esterefatto ma soprattutto, lo confesso, con un sospiro di sollievo per aver maturato, cinque anni fa, 2 maggio 2020, il passaggio alla pensione.
Nell’ultima stagione della mia attività presso l’Ausl piacentina ero stato nominato Rpct cioè “Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza”, funzione che si aggiungeva ai miei compiti “tradizionali” come Direttore Direzione Amministrativa Rete Ospedaliera, Responsabile del Servizio Ispettivo, Presidente del Comitato Unico per le pari opportunità. Per quanto alla posizione di Rpct, si era in una fase di avvio delle attività della funzione, bisognava “inventare” e avviare tutte le procedure appunto di controllo e prevenzione.
In che condizione mi sarei venuto trovare oggi, di fronte a quanto rilevato dai militi della Guardia di Finanza?Meglio non pensarci, augurando comunque ai colleghi coinvolti di poter giustificare il proprio agire, dimostrando di aver comunque operato nel nome del perseguimento dell’interesse pubblico e degli utenti.
E comunque eviterei giudizi frettolosi: le valutazioni in sede di indagine preliminare possono poi essere assolutamente diverse nelle fasi successive senza nemmeno arrivare al processo vero e proprio per verificata insussistenza dei reati ipotizzati da parte del magistrato (ricordo in proposito l’indagine del 2012 che mi aveva visto coinvolto per il contratto con la cooperativa Inacqua finalizzato alla disponibilità di locali per studi medici destinabili all’attività libero-professionale degli stessi, indagine che il magistrato concluse nel 2014 con l’archiviazione senza arrivare a processo riconoscendo l’agire nel Pubblico interesse).
L’ARTICOLO PUBBLICATO DAL CORRIERE DI BOLOGNA
Appalti nella sanità a Piacenza, 20 dirigenti verso il processo. La Finanza: «Anomalie e irregolarità per 7 milioni»
di Stefano Pancini
Nuova bufera per l’Ausl. L’inchiesta coinvolge dirigenti, funzionari pubblici e manager di aziende fornitrici. Per l’accusa, l’azienda ha fatto ricorso a procedure non idonee per evitare gare pubbliche. I reati ipotizzati: peculato, turbativa d’asta e abuso d’ufficio
Una nuova tempesta giudiziaria si sta abbattendo sull’Azienda Usl di Piacenza. La Guardia di Finanza ha notificato 20 avvisi di fine indagine nell’ambito di un’inchiesta che ha portato alla luce un articolato sistema di irregolarità nella gestione di appalti pubblici per un valore di oltre 7 milioni di euro. Coinvolti dirigenti, funzionari pubblici e manager di importanti aziende fornitrici operanti nel settore sanitario.
Secondo quanto accertato dagli investigatori, l’Ausl di Piacenza avrebbe fatto ricorso in modo sistematico a procedure non idonee – come affidamenti diretti, proroghe e acquisti in economia – per aggirare la necessità di gare pubbliche, eludendo così i vincoli normativi sulla trasparenza e la concorrenza. L’indagine – delegata dalla Procura della Repubblica di Piacenza al Nucleo di Polizia Economico e Finanziaria della Guardia di Finanza – è stata condotta anche utilizzando intercettazioni telefoniche, piazzando cimici, attraverso pedinamenti, analisi dei tabulati telefonici, perquisizioni e consultazione della banca dati Regis, il sistema ufficiale di monitoraggio dei progetti finanziati dal Pnrr.
I reati ipotizzati: dal peculato alla turbativa d’asta
I reati ipotizzati vanno dal peculato, alla turbativa d’asta, dall’abuso d’ufficio, all’esercizio abusivo della professione e falsità ideologica in atti pubblici. Le contestazioni riguardano, tra l’altro, la gestione di fondi del Pnrr per un totale di 17 milioni di euro, destinati alla costruzione e all’ammodernamento di strutture sanitarie territoriali. Secondo l’accusa, pur di non perdere i finanziamenti europei, alcuni responsabili dell’Azienda Usl piacentina avrebbero falsificato verbali e attestazioni di conformità, certificando la validità di progetti non pienamente coerenti né completi. Inoltre, sono stati documentati numerosi incontri diretti tra dirigenti pubblici implicati e rappresentanti delle aziende fornitrici, finalizzati a “guidare” l’aggiudicazione degli appalti verso soggetti già individuati.
L’ennesimo scossone per l’Ausl di Piacenza
L’inchiesta delle Fiamme Gialle rappresenta l’ennesimo scossone per l’Ausl di Piacenza, già colpita da scandali che, nell’ultimo anno, hanno portato all’arresto di quattro medici per reati che spaziano dalla somministrazione illecita di oppiacei, ad abusi sessuali e, anche, per truffe ai danni dello Stato. La Guardia di Finanza sottolinea come questa operazione confermi l’impegno profuso nel contrasto ai reati contro la pubblica amministrazione e nella tutela della correttezza nell’utilizzo dei fondi pubblici e di quelli legati al Pnrr. L’obiettivo è preservare la qualità dei servizi e assicurare una concorrenza leale tra le imprese, a beneficio della collettività.
L’Ausl: «Piena collaborazione con la magistratura»
L’Azienda Usl di Piacenza, dal canto, prende atto «della conclusione delle indagini preliminari che riguardano anche propri dipendenti». L’Azienda ribadisce «la propria fiducia nell’operato della Magistratura e conferma la piena collaborazione con gli organi competenti, come sempre fatto». Sulla vicenda è intervenuta anche la Regione. «Ribadiamo il pieno rispetto dell’operato della magistratura e confermiamo la doverosa piena collaborazione con gli organi competenti. A maggior ragione, la cura delle persone deve avere come prerequisiti fondamentali trasparenza, legalità e qualità dell’assistenza, né può essere la salute, bene pubblico, oggetto di frode e interesse», ha detto l’assessore regionale alle Politiche per la Salute, Massimo Fabi. «Nell’ovvio rispetto del principio di presunzione di innocenza e delle tutele previste dall’ordinamento – conclude l’assessore-, la Regione agirà duramente e con fermezza qualora venissero accertate responsabilità penali o comportamenti non corretti a esito degli accertamenti giudiziari».
La reazione del Comune
La sindaca di Piacenza, Katia Tarasconi, si dice «certa che il prosieguo delle attività giudiziarie e gli eventuali processi in tutti i gradi di giudizio consentiranno di far piena luce sull’intera vicenda in ogni suo aspetto. E se verranno riconosciute responsabilità, confido che vengano presi provvedimenti adeguati, e così sarà senza dubbio». La sindaca poi ribadisce «fiducia e stima nei confronti dei vertici Ausl, del personale, sanitario e non, e dei professionisti che ogni giorno e ogni notte lavorano con onestà e fanno del loro meglio per prendersi cura di tutti noi. A loro, che rappresentano la stragrande maggioranza di chi opera nella sanità piacentina, va tutta la mia vicinanza in un periodo particolarmente complicato».
Viaggiare vuol dire stabilire una meta, avere un interesse specifico, segnare sulla carta geografica un obiettivo che abbia rilevanza storica. Solo così il viaggio per me ha la sua giustificazione, il suo motivo d’essere. Per alcuni basta segnare un puntino su una mappa, per me viaggiare è attraversare la storia, riviverla: trovarsi dove si sono svolti fatti degni di cronaca, ma non solo, i luoghi che ricordano certi avvenimenti, in qualche modo, devono collegarsi ai luoghi dove risiedo o dove ho fatto le mie esperienze di vita. Si sa che i miei collegamenti sono spesso dei voli pindarici che collegano il luogo dove mi trovo, in questo caso Roma con la Sicilia e con Piacenza. Dovendo parlare di fatti avvenuti nel XVI secolo, non posso tralasciare la Chiesa di Santa Maria Odigitria o Chiesa d’Itria, che fondata a Roma nel 1593 divenne la Chiesa dei Siciliani. Questa Chiesa riguarda anche la storia religiosa della nostra città perché proprio qui don Paolo Miraglia Gullotti verrà invitato dall’avvocato Circenzio Bertucci di venire a Piacenza, nel maggio del 1895, per predicare il mese mariano nella basilica di San Savino (leggasi a proposito il saggio storico L’eretico don Paolo Miraglia). Nella stessa chiesa troviamo l’altare di San Corrado Confalonieri e due ceri votivi di Noto, città cui è Patrono. San Corrado nasce a Calendasco nel 1290 ed è una figura simbolica e rappresentativa della religiosità piacentina e siciliana.
Passeggiando per il centro è doveroso entrare nella basilica dei Santi XII Apostoli dove riposa il castellano mons. Agostino Casaroli. Il cardinale Casaroli è stato un diplomatico e segretario di Stato, tanto temuto quanto discusso, lo ricordiamo, tra l’altro, per aver sottoscritto con Bettino Craxi nel 1984 la revisione dei Patti Lateranensi che ha modificato il Concordato del 1929.
Interno basilica dei Santi XII Apostoli
Proseguiamo la nostra cronaca romana partendo da un evento storico quale il Giubileo. Quest’anno ricorre il ventisettesimo Anno Santo, un Giubileo ordinario, perché di straordinari ce ne sono stati diversi, l’ultimo è stato voluto da papa Francesco il 2015. Non potevo esimermi da questo mio terzo Giubileo: il 1975 (Paolo VI), il 2000 (Giovanni Paolo II), il 2025 (Leone XIV).
A Roma in contemporanea una grande mostra (Musei Civici, fino all’8 giugno) ricordava i fasti dei Farnese: l’origine e la fortuna delle loro collezioni. La mostra sottolinea l’incidenza di papa Paolo III avuta sulla capitale alla vigilia del Giubileo del 1550. A proposito basti ricordare l’intervento nella piazza del Campidoglio dell’architetto Michelangelo e la collocazione centrale della statua di Marco Aurelio. Non parliamo poi dei ritratti presenti nella mostra, da Paolo III (Raffaello-Tiziano) ai ritratti dei suoi nipoti: dal gran Cardinale Alessandro fino ad Odoardo. Presente anche un ritratto di Margherita d’Austria, moglie di Ottavio Farnese. Paolo III è il Papa che convocherà il Concilio di Trento nel 1545 e che aveva creato nel 1537 il Ducato di Castro e Ronciglione con capitale Castro per assegnarlo al figlio Pier Luigi.
Il Ducato di Castro rappresenta la progenie del Ducato di Piacenza-Parma. Quindi fa obbligo visitarlo. Si giunge dove sorgeva l’antica Castro attraverso una strada sterrata a segnare la violenza della storia. Fu su ordine di Papa Innocenzo X che una florida e fortificata città come Castro veniva distrutta e rasa al suolo.
Come il Palazzo di Caprarola rimane a sottolineare la fulgida presenza dei Farnese nel territorio della Tuscia così Castro ne testimonia la decadenza. E dire che ambedue le costruzioni furono iniziate dallo stesso architetto: Antonio da Sangallo il Giovane. Castro avrebbe dovuto seguire le orme di Pienza, città che era stata voluta e ricreata da un altro papa Pio II, meno di un secolo prima. Oggi Pienza, rimasta inalterata, si fregia dal 1996 del riconoscimento UNESCO per il suo centro storico rinascimentale.
Castro, ceppo piazzale
Oggi a Castro solo rare rovine. Dopo la distruzione del 1649, ad opera dell’esercito pontificio, troviamo soltanto l’immagine del Crocifisso custodito nella chiesa del SS Crocifisso, santuario edificato nel 1871. La devastazione di Castro venne descritta dal notaio castrense Domenico Angeli nel 1575: “Situata su un’altura a forma di lira, circondata da rupi scoscese, da una valle profonda e da vigneti dove gli abitanti si recano per procurare canne. Tutto intorno pascolano le greggi… il centro di Castro è rappresentato da Piazza Maggiore. Castro prima del saccheggio era una città ricca, munita di più di sette centurie di soldati ed era la più forte tra le città del Patrimonio di San Pietro”. Un nome accomuna indissolubilmente Castro e Piacenza Pier Luigi Farnese, perché fu prima duca di Castro ed in seguito anche di Piacenza e Parma
Che Castro fosse stata una città vivace ce lo testimonia anche un fatto di cronaca dell’epoca, che Stendhal descrive molto bene nel suo romanzo La badessa di Castro. La storica Lisa Roscioni, che ha esaminato tutta la documentazione dell’epoca, ha scritto un’opera completa e dettagliata intorno a questa storia: La badessa di Castro. Storia di uno scandalo. La vicenda riguarda Elena Campireali (al secolo Porzia Orsini di Pitigliano) badessa del Convento della Visitazione, che entrata in confidenziale rapporto amoroso con monsignor Francesco Cittadini (Castro era anche sede vescovile), partorirà un bambino. La notizia giungerà alle orecchie del Cardinale Alessandro ed alla corte di Ottavio Farnese. Seguirà un processo dove la sentenza veniva scritta prima del suo inizio: per la badessa detenzione a vita nel convento di Santa Maria, per il vescovo ergastolo nel carcere di Castel Sant’Angelo. In realtà la badessa morirà nella sua celletta in breve tempo, il vescovo tornerà in Lombardia, sua terra d’origine e manterrà il suo titolo episcopale. Anche questa è una storia emblematica dove le donne sono state vittime sacrificali e le sentenze sono state scritte prima di qualsiasi dibattimento processuale!
Porzia Orsini Putihliano, la badessa protagonista di uno scandalo
Quindi, riepilogando, della famiglia Farnese il primo Duca di Castro (ed anche di Piacenza-Parma) fu Pier Luigi l’ultimo Ranuccio II. il Ducato creato da un Papa (Paolo III-1537) venne distrutto da un altro Papa (Innocenzo X-1649).
Ed il volo pindarico con la Sicilia cui avevo accennato? Ebbene, nel piazzale accanto al santuario del SS Crocifisso, ci si aspetta di vedere la colonna con scritto “Hic Castrum fuit” così come ordinato da Innocenzo X, invece troviamo un altro monumento evocativo. Una stele in pietra con due lastre marmoree la prima ci ricorda che siamo nel Piazzale Duchi di Castro. la sottostante reca l’intestazione del Comune di Ischia di Castro e specifica come “Questo piazzale è stato dedicato ai Duchi di Castro il 25 ottobre 2011 a 362 anni dalla distruzione della magnifica capitale del Ducato alla presenza di S.A.R. il principe Carlo di Borbone delle due Sicilie Duca di Castro e della consorte S.A.R. la principessa Camilla di Borbone delle due Sicilie Duchessa di Castro. essendo sindaco Salvatore Serra”.
L’oblio sembra il destino che inesorabilmente debba colpire alcune località. Così come creato quasi dal nulla un potente Ducato, nello stesso modo, cioè dallo stesso potere clericale, è stato distrutto e fatto completamente scomparire (ricordate? Hic Castro fuit). In tempi a noi più prossimi la Regione Lazio si era premurata di ripristinare l’accessibilità al sito, creando una biglietteria, un cancelletto d’ingresso, una recinzione dell’area, ma nello stesso modo, cioè dallo stesso potere politico, è stato abbandonato. fu così che Castro è stata fatta scomparire per l’ennesima volta. Rimane oggi un’area agricola incolta dove incontrastata regna una invadente vegetazione.
Cerchiamo allora di capire il senso della targa commemorativa di cui si è detto. L’ultimo re delle Due Sicilie fu Francesco II, che perse il Regno in seguito alla spedizione dei Mille ed all’annessione nel 1861 del Regno delle Due Sicilie alla Casa Savoia. fu così che Francesco II nel 1870 decise di assumere il titolo di Duca di Castro. Quindi oggi il principe Carlo Maria Bernardo Gennaro, quale discendente dei Borbone di Napoli può fregiarsi del titolo di Duca di Castro. Come ricordiamo infatti la famiglia Farnese si estinse con Antonio, l’ultimo Duca, morto senza eredi nel 1731, il Ducato di Parma e Piacenza passò quindi a Carlo di Borbone, figlio di Elisabetta Farnese. Il principe Carlo di Borbone è quindi l’attuale XVIII Duca di Castro, città fantasma, mentre Piacenza, popolosa ed industriosa città della ricca Emilia non ha nessun Duca! O no?
Carmelo Sciascia
S.A.R. il principe Carlo di Borbone delle due Sicilie Ducadi Castro
LA FOTO RACCONTA – La costruzione dell’ex Ospedale militare a Piacenza si deve al ministero della Guerra nel 1866-1869. Si tratta di un gigantesco complesso architettonico che occupa tutto viale Raimondo Palmerio e parte di via Genova fino ad un bel tratto di via XXIV maggio. L’interno dell’area che occupa è in prevalenza coperto da rigogliosa vegetazione. Del progetto di trasformarlo in polo universitario millantato alcuni anni or sono non si sa più niente. Anzi il sito storico versa in stato di evidente abbandono. L’unico dato positivo osservandolo dal satellite di Google è l’apparente buona cura dei tetti che coprono le migliaia di metri quadri calpestabili. Purtroppo ancora nessun segno di restauri o riqualificazioni.
Alessandro Bersani
Durante il periodo della Grande Guerra (1915-1918), l’Ospedale Militare di Piacenza svolse un ruolo cruciale nella cura dei soldati feriti e malati. La struttura, gestita dal personale medico dell’Esercito, era dotata di reparti specifici per soldati di truppa, ufficiali e prigionieri di guerra. L’ospedale si avvalse anche dell’aiuto di volontari della Croce Rossa Italiana, della Croce Bianca, della Croce Rossa americana e di suore delle diverse congregazioni religiose.
Lilith, simbolo di libertà spirituale che si ribellaal tentativo di sopraffazione di Adamo, non vuole sottomettersi perché si considera alla pari
Lilith è la prima moglie di Adamo, nata dalla terra esattamente come lui, ma allora perché c’è stato bisogno di convolare a seconde nozze seppellendo nell’oblio della dimenticanza la sua intera esistenza? Perché Lilith era scomoda e ribelle, per niente incline all’asservimento che le voleva essere imposto. Era stata creata da Dio come Adamo e di Adamo pretendeva le stesse libertà, ma la storia narra che il marito non fosse d’accordo con questa suo desiderio di uguaglianza. Così, piuttosto che uniformarsi a un ruolo che l’avrebbe vista assoggettata e impotente, preferì fuggire dall’Eden ed è a questo punto che fa la sua comparsa Eva: «Jahvè Dio costruì la costa che aveva tolta all’uomo formandone una donna e la condusse all’uomo. Allora l’uomo disse: “Questa volta è osso delle mie ossa, carne della mia carne”» (Genesi 2:22-25). Ecco pronta la figura femminile che serviva: una donna sottomessa a lui, sottomessa al volere di Dio. È da qui che nasce l’idea della compagna obbediente, schiva, priva di diritti, e questa visione è servita alla società patriarcale per imporre la propria dominanza.
Non è un caso che Lilith venga spesso raffigurata come un demone, associata a trasgressione e peccato per renderla malvagia, satanica, l’esatto opposto del cammino divino, come non è un caso che sia stata Eva a cogliere il frutto dell’albero della conoscenza e non Adamo. È fin troppo facile intuire una sorta di stratagemma nell’additare come peccatrice colei che non si comporta come le Scritture impongono, agire su menti influenzabili e volontà fragili tanto da scoraggiare qualsiasi parvenza di ribellione. Ma far sparire Lilith non è servito a fermare un desiderio di rivalsa che è sempre esistito, più o meno assopito, più o meno fervente, e che in questi ultimi decenni sta cominciando a farsi sentire con voce ferma. Poiché è la madre di tutte le donne, l’incarnazione della femminilità trasgressiva, del desiderio sessuale, della voglia di parità e di affermazione del proprio valore, seppure sia stata tralasciata o ridotta a presenza demoniaca, Lilith è l’archetipo della donna che non accetta limiti imposti, che vuole essere libera di esprime se stessa, libera di essere e basta. È ogni donna sulla faccia della Terra, presente, passata e futura, è il femminile e l’altro femminile, è la vera Genesi della metà più resiliente del cielo.
Lilith rappresenterebbe l’uguaglianza con l’uomo,poiché, a differenza di Eva, fu creata alla pari di Adamo. Vedendosi come la sua compagna, si ribellò alle sue richieste di sottomissione e lo lasciò. Quindi ebbe altri amori (in particolare Lucifero, l’angelo ribelle) e molti figli.
Rieccoci pronti per la terza edizione del nostro concorso letterario “Raccontami una storia”. Inutile dire che il grande successo della scorsa stagione ci ha spinto a ripartire con tanta voglia e tanto entusiasmo e con qualche piccola novità. Cerchiamo storie di tutti i giorni, quelle che ci accadono per strada, nei discorsi al bar come nelle riunioni di condominio o nelle reunion scolastiche, oppure nel ricordare vecchie marachelle con gli amici, amori lontani nel tempo, notti di fuoco, ricordi dei nonni. Con queste idee vogliamo leggere e premiare chi ci fa sentire il cuore palpitante della nostra società, chi ci racconta attimi indelebili, situazioni comiche, vogliamo sentire passione, calore, risate, odori. La nostra Fondazione organizzatrice, L’Arcobaleno di Elena, vuol riportare la scrittura a dimensione umana. Tutti possono scrivere, tutti devono scrivere, tutti possono partecipare e vincere un concorso letterario, anche senza lauree appese in salotto. Nella passata edizione l’introduzione della sezione dei Racconti erotici ha decretato un successo incredibile di racconti pervenuti, così abbiamo deciso di riproporla e di aggiungerne un’altra che pensiamo possa essere molto gradita e di impatto: la sezione “COME ERAVAMO”, dove potrete raccontare episodi storici inerenti alla cronaca, che avete vissuto in prima persona o che vi sono stati narrati dalla memoria storica dei nostri anziani, o episodi della nostra storia millenaria, sarà bellissimo viaggiare nel tempo insieme alle vostre storie.
Le categorie Racconti Brevi e sezione giovani e quella dedicata ai monologhi e scenette teatrali saranno automaticamente riproposte poichè hanno avuto un discreto successo e un significativo impatto sulle adesioni.
Può partecipare al concorso chiunque riesca ad inviare un testo in italiano senza limiti di età ne di nazionalità. Il racconto può essere edito o inedito, specificare, se edito, in quale libro.
Caratteristiche del testo delle sezioni 1-2-4-5-: max 20000 battute, spazi inclusi, carattere Times new roman corpo 12, interlinea 1,5. Il bando sarà valido fino al giorno 31/07/2025
Sezione 1- Racconti Tema libero, potete spaziare inviando qualsiasi genere di racconto, nessun limite.
Sezione 2 – Racconti Erotici Il tema qui si fa piccante ma delicato allo stesso tempo. Abbiamo deciso di riproporre questa sezione specifica poiché molti dei racconti della passata stagione avevano uno sfondo erotico più o meno marcato. Sappiamo che è una scelta coraggiosa e al tempo stesso stuzzicante, ci aspettiamo grandi cose ricordando che la scrittura erotica non è pornografica.
Sezione 3- Monologhi o scenette teatrali Il pezzo teatrale dovrà avere una durata alla lettura di non oltre 7/8 minuti. I pezzi più interessanti, previa richiesta del consenso all’autore, potrebbero essere portati in scena dall’ l’Instabile compagnia di teatro di Filippo Moretti di Prato, che sarà parte integrante della giuria che valuterà i testi.
Sezione 4 “Com’eravamo” per questa sezione la lunghezza dei racconti è la stessa delle condizioni generali.
Sezione 5 GIOVANI Racconti a tema libero. Età richiesta under 25.
Confermiamo che invieremo, come da nostra consolidata e apprezzatissima tradizione, il “commentino” alla vostra opera
Per partecipare al concorso è sufficiente mandare una mail per ogni opera inviata, chi volesse partecipare con più opere può inviarle con una sola mail e fare un unico bonifico per il pagamento, specificando la sezione scelta, al seguente indirizzo:[email protected]
Il file dovrà contenere : -il titolo dell’opera e la sezione alla quale partecipa,
-I dati dello scrittore (nome, cognome, età, città di residenza, indirizzo mail e un numero di telefono),
– la ricevuta del pagamento di Euro 14 per ogni elaborato da effettuare al seguente IBAN:IT86E36772223000EM001208877 INTESTATO A: FILIPPO MORETTI RESP.L’ARCOBALENO DI ELENA ONLUS Causale: Concorso Raccontami una storia 3
I proventi saranno impiegati dalla nostra fondazione per la continuazione delle nostre attività benefiche sul territorio.
Grazie
Filippo Moretti Responsabile eventi l’Arcobaleno di Elena Onlus
Saranno assegnati i seguenti premi:
Dal Primo al terzo classificato in ognuna delle tre categorie avrà una targa ricordo, buoni spesa in strutture e negozi del luogo, gadgets della Onlus e l’opportunità di pubblicare le proprie opere con forti sconti attraverso la nostra Casa editrice, l’arcobaleno di Elena.
dal quarto al decimo classificato targa ricordo, gadgets della Onlus. Verranno assegnati alcuni premi speciali “La stanza magica” per il manoscritto: -più originale.
I premi saranno assegnati secondo il giudizio insindacabile della giuria che si riserva il diritto di assegnare anche altri premi speciali.
La premiazione si terrà Sabato 5 o 12 Ottobre 2025 ore 16 presso i locali del Giardino delle Fate Garden Village a Prato, Via Mozza sul gorone 2
L’antologia finale sarà pubblicata in seguito alla chiusura del concorso e vi potranno partecipare tutti gli scrittori che hanno inviato i loro elaborati.
Durante lo svolgimento del Concorso i nostri incaricati vi contatteranno per chiedere la vostra adesione,
Diciamo la verità: curiosa esperienza da vivere questa mia presenza alla quotata Galleria Biffi Arte per dialogare con Leili Maria Kalamian attorno al volume “Azur del mare” nel quale suoi sono i testi poi illustrati da Silvio Boselli. In realtà tutto nasce da una mia proposta a Simone Tansini, responsabile delle edizioni 40GB, di presentare il libro presso una libreria amica che però si è poi rivelata già impegnata con altri autori. Tutto sfumato, dunque, o quantomeno rinviato a dopo la pausa estiva. Così sembrava ma Simone disse “aspetta un attimo” e dopo pochi giorni squilla il telefono ed ecco la proposta: inserire la presentazione con la mia partecipazione nel programma del 1° Festival “Il Canto della Terra – Linguaggi di vita e solidarietà” già programmato con iniziative previste dal 30 maggio al 13 giugno. Con la disponibilità appunto della Galleria Biffi di via Chiapponi. Un ambito decisamente autorevole per l’arte in genere nelle sue diverse molteplici formenel quale già avevo fatto delle “comparsate” negli anni precedenti al Covid con letture di mie poesie d’accompagno ad un paio di presentazioni dei saggi di Carmelo Sciasciae nel quale da tempo pensavo di tornare protagonista con una presentazione delle mie pubblicazioni poetiche con l’accompagnamento di Dalila e delle ballate eseguite da Francesco Bonomini.Progetto in divenire che chissà se e chissà se mai.Ed ecco che invece, imprevista ed inaspettata, l’occasione si concretizza offrendomi l’opportunità di collaborare e contribuire alla riuscita di un Festival (“Il Canto della Terra“) che, ponendosi come punto di convergenza di linguaggi artistici multiformi, propone contenuti inclusivi e sociali trattando temi urgenti nel mondo di oggi come la migrazione, la guerra e la pace (in evidenza in tal senso la mostra fotografica e di illustrazioni “Visioni solidali” in corso presso il Centro il Samaritano in via Giordani al 14 ancora visitabile fino a giovedì con, tra l’altro, le immagini realizzate a Gaza da fotografi palestinesi). Dunque, arrivederci tra poche ore in via Chiapponi al 39.
Con una piccola anticipazione sul racconto di Leili: “il mare è un confine, ma è anche una porta da aprire verso ciò che non si conosce, verso un mondo che viene da lontano. Basta lasciarsi trasformare dalle onde che – come i bambini – creano sempre un po’ di scompiglio. La signora Nicoletta tutti i giorni guarda il mare, torna in spiaggia alla stessa ora e si accomoda sulla sua sedia. La signora Nicoletta non sa che proprio il mare le porterà qualcosa che la cambierà per sempre“. Ispirata a una vicenda realmente accaduta, “Azur del mare” è dunque una storia di rivoluzione e di accoglienza, di silenzio e di canto, di pianto e di speranza, che profuma, allo stesso tempo, di memoria e di futuro. In altre parole, poesia.
IL CONFINE E' ... (dal volume 'Azur del mare')
Tra lo ying e lo yang c'è una linea di confine; essa non divide: unisce. Questa linea tocca entrambe le parti. Il confine ci permette di vedere l'altro, di capire dove finisci tu e inizia lui. Il confine ci consente di riconoscere l'esterno e accoglierlo, esattamente come l'orizzonte è quella linea che permette al mare di abbracciare il cielo.
Ogni anno, in autunno inoltrato, scendeva la neve sulle montagne che circondavano la vallata. Gli uomini che abitavano la valle ne gioivano ma ancora più felici erano gli animali. Tutti gli abitanti del bosco, infatti, aspettavano l’arrivo dei primi freddi per osservare la venuta delle fate dell’inverno. Spiriti regali, le fate erano splendide, dalle lunghe chiome bianche e dai penetranti occhi del colore della neve. Uno su tutti era il più felice. Un lupo, era segretamente innamorato di una di loro, Elisea la più minuta e aggraziata di esse e ad ogni stagione la osservava da lontano. Era lì, nascosto nell’ombra quando esse danzavano o quando lei se ne andava in giro ad imbiancare i pini con il suo tocco lieve. Un giorno mentre il lupo osservava la sua fata cantare su un lago ghiacciato si trovò a passare un orso che cercava una tana per il letargo. L’orso incuriosito chiese al lupo cosa stesse facendo. L’animale intimidito indietreggiò e si mise sulla difensiva ma l’orso anziano aveva già intuito le sue intenzioni.
“Le fate hanno il cuore di ghiaccio, povero lupo, esse sono esseri egoisti, non provano sentimenti” sottolineò l’orso.
“Perché pensi che me ne importi?” rispose.
“Perché vedo il tuo sguardo lupo, i tuoi simili cercano riparo dal freddo mentre tu sei qui, in mezzo a tutta questa neve, quasi congelato, ad osservarla”.
Il lupo abbassò il viso guardando a terra. In cuor suo sapeva che sarebbe stato impossibile per lui, così rude e brutto, avvicinarsi a quell’essere angelico. In quel momento la fata guardò verso di loro e per qualche istante sorrise. Il lupo colto dall’emozione prese a scodinzolare ma l’orso si accorse che la fata in realtà stava guardando alle loro spalle un altro gruppo di fate arrivare. Le fate, fluttuanti nell’aria come fossero piume, guardando con disprezzo i due animali.
“Che orribile orso spelacchiato” disse una di loro. Provocando una risata generale.
“E che razza di animale brutto e cattivo… sembra così malvagio e sporco…”
“Bleahhh che brutti i lupi!” urlarono.
“Allontaniamoci… potrebbe farci del male” esclamò un’altra. Il disprezzo pesò sull’umore del lupo abbattendolo completamente. Il lupo intristito si fece scappare una lacrima mentre il buon orso al suo fianco cercò in qualche modo di tirarlo su di morale. Le fate riunendosi con la loro compagna si allontanarono oltre il lago. L’orso osservò Elisea girarsi con un’espressione triste verso di loro almeno un paio di volte prima di sparire all’orizzonte ma non disse nulla al povero lupo.
“Avrei voluto essere un possente leone o una tigre feroce o perché no una splendida aquila, ma sono nato lupo, un povero lupo di cui tutti hanno paura, gli esseri umani non si avvicinano a me e qualche volta quando ero ancora un cucciolo e mi avventuravo ai confini del villaggio trovavo dei bambini che mi accarezzavano e mi coccolavano ma i loro genitori se ne accorgevano subito e mi tiravano sassi e qualche volta mi rincorrevano con un bastone. Gli animali della foresta non sono diversi, impauriti e sulla difensiva nessuno mi parla e da quando mi sono perso tanto tempo fa, sono rimasto sempre solo, in una tana buia e uscendo trovavo conforto solo durante l’inverno, quando la vedevo passare ed imbiancare tutto. La neve orso, la neve mette allegria, è come se di colpo tutto diventasse magico ed inizi a credere davvero che possa essere possibile ogni cosa orso, ed io ogni volta che vedevo la neve speravo che fosse possibile non essere più solo… poi ho visto lei, quella splendida fata che portava la neve ovunque ed ho pensavo che avrei voluto essere al suo fianco per tutta la mia vita. Non avrei avuto altra ragione di vivere se non quella di essere in sua compagnia”
L’orso si commosse alle parole del lupo e lo abbracciò stretto. Il lupo era freddo, quasi congelato rispetto al calore che emanava l’orso.
“La neve ed il freddo non sono nostri amici, l’inverno uccide gli impavidi che non si trovano un riparo”
“Non mi importa orso, ho passato molti inverni senza un riparo e finché avrò fiato continuerò ad osservarla” rispose il lupo.
Passarono alcuni giorni da quell’incontro, il lupo girovagava ancora nel bosco in cerca della sua amata mentre l’orso aveva trovato una tana ed era già entrato in letargo. Era una mattina insolita, più calda rispetto alle altre ed il sole batteva forte contro ogni cosa. La fata era di nuovo sul lago e pattinava aggraziata in movenze da ballerina mentre il lupo la osservava nascosto dietro una rupe. D’improvviso la piccola fata, però, si trovò in acqua, il calore del sole e le numerose giravolte della fata avevano sciolto i ghiacci ed Elisea colta di sorpresa non seppe cosa fare ritrovandosi avvolta dalle acqua cupe del lago. Il lupo incurante di ciò che poteva succedergli si precipitò da lei. Leggero e scaltro si tuffò in acqua urlando alla fata di aggrapparsi a lui. La fata obbedì e in un batter d’occhio si trovarono entrambi a riva di nuovo.
“Grazie…” mormorò la fata ed osservò il lupo. Tremava infreddolito e morente. La fata iniziò a piangere.
“Hai rischiato la tua vita per me… mi osservi da tanto e lo so, ti vedo, perché… perché hai fatto una cosa del genere?” pianse avvicinandosi al lupo.
“Perché preferisco morire io piuttosto che non vederti più il prossimo inverno” rispose il lupo ansimante.
La fata si strinse forte nel suo manto e continuò a piangere a dirotto. Le lacrime della fata però ridavano forza ed energia al lupo che piano piano aveva smesso di tremare.
“E’ questo quello che si chiama sentimento, vero?” chiese Elisea.
“No, questo si chiama amore” rispose il lupo. La piccola fata si accucciò sul petto del lupo ed entrambi stettero in silenzio finché non si addormentarono. Da quel giorno la fata ed il lupo passarono ogni istante insieme. Le fate all’inizio li derisero ma i due non se ne preoccuparono e dopo un po’ smisero di farlo ed accettarono quella strana coppia. Tutte le cose belle però non durano in eterno e l’inverno finì in fretta, come era arrivato ed il lupo e la fata dovettero salutarsi.
“Aspettami il prossimo inverno, tornerò da te… e quando ti sentirai solo pensa a me, guarda la luna, bianca come la neve, pallida come il mio viso e luminosa come i miei capelli e pensami ed aspettami” sussurrò la fata tra le lacrime stringendo il suo amato lupo. Il lupo l’aspettò e da quel giorno ogni notte ululò alla luna sperando che la sua amata fata potesse sentirlo in attesa del prossimo abbraccio, in attesa del prossimo inverno.
Fonte in facebook: Post di FATE, GNOMI e FOLLETTI: Leggende di un mondo incantato……
Non dovete credere alle parole del poeta. Non per lui le scrive e alla domanda per chi, a volte, non ricorda. Usatele come sentiero per una passeggiata all'aria aperta, oppure, nelle sere d'inverno quando vi sentite soli, come focolare. E se ne ricordate il profumo o vi sentite a casa allora sono per voi.
Proseguono le iniziative del 1° Festival “Il Canto della Terra – Linguaggi di vita e solidarietà” con la presentazione del volume “Azur del mare”, edizioni 40GB, testi di Leili Maria Kalamian, illustrazioni di Silvio Boselli.
Introduce la serata lo scrittore e poeta Claudio Arzani.
Infine Simone Tansini, illustrerà il progetto MO (Emme-Zero), un progetto di Mondoaperto e Caritas diocesana Piacenza-Bobbio, con il sostegno di Chiesa Cattolica, Fondazione Ronconi-Prati, Gas Sales, Agenzia Paradiso e Fondazione Piacenza e Vigevano.
Si tratta di un progetto con due anime: la nascita appunto del libro “Azur del mare”, destinato anche alle scuole per un percorso di riflessione su migrazioni e accoglienza, e il laboratorio di Musica e Teatro con lo spettacolo, un laboratorio inclusivo nei confronti di ragazzi anche con diverse provenienze e disabilità, a cura dello stesso M.o Simone Tansini.
La partecipazione al laboratorio di teatro, si ricorda, è totalmente gratuita, la sede è il Centro Il Samaritano di Caritas Diocesi di Piacenza-Bobbio.
L’iniziativa di martedì 10 in via Chiapponi al 39 del 1° Festival “Il Canto della Terra”