Diceva Rossana Ferrante, autorevole esponente del PCI prima, dei DS e del PD poi, quando mi vedeva al tavolo con la tovaglia a quadretti bianchi e rossi nella vecchia cooperativa Lupi di via Taverna a parlare di socialismo e di Sol dell’Avvenire con qualche compagno, compresi i battibecchi con chi sceglieva il cattocomunismo, diceva Rossana che “ero un uomo dell’Ottocento“, un socialista di quei tempi di grandi lotte per il riscatto dei lavoratori. Sono passati anni da quei dì, adesso alla cooperativa Lupi esiste una gestione molto più raffinata, una cucina di qualità e i compagni di quei dì non ci sono più, io compreso. Eppure oggi come allora resto socialista. Certo, per fatto anagrafico, non ho fatto la Resistenza e, da alpino, non ho vissuto la tragedia della campagna di Russia. Ho vissuto però la tragedia del socialismo italiano del Partito storicamente dalla parte dei lavoratori, dei valori di giustizia, equità, libertà, condannato e violentato da una masnada dedita al malaffare nel nome del potere. Ma, per mia fortuna, ho potuto conoscere negli anni ’70, i compagni che erano della vecchia guardia, i compagni socialisti quando essere socialista significava appartenere ad un club di politici saggi, capaci di realismo e di lungimiranza sociale e non ad una marmaglia incravattata che darà il via allo sfacelo della Prima Repubblica e soprattutto del Partito identificato come covo di ladri e di affarismo. Per questo la lettura di “Dove dormi la notte” ha rappresentato una carezza al cuore, la certezza che non erano le mie scelte sbagliate, che di altri parvenu é la responsabilità della drammatica fine in quanto Partito sciolto negli anni ’90. Non voglio proseguire con il racconto e l’analisi del romanzo, questo è un piacere che lascio a chi ne volesse affrontare la lettura. Dico solo che il lettore scoprirà la vicenda di Giovanni Battista Stucchi, ragazzo del ‘99, volontario nella Prima guerra, capitano degli Alpini nella Seconda, sopravvissuto con pochi altri alla battaglia di Nikolaevka, comandante partigiano, quindi deputato prima e consigliere comunale a Monza poi, per l’appunto socialista, di quelli che erano un tempo. Illuminante la sua analisi scritta negli anni ’80, poco prima di lasciarci: “La società consumistica è il prodotto della corsa sfrenata al profitto dei grandi magnati dell’opulenza, detentori delle leve del potere. Valendosi degli sterminati mezzi di cui dispongono, hanno saputo imbrigliare e manovrare a proprio comodo le coscienze. In tal modo la regola della vita è diventata il piacere, il piacere sempre di più, sempre di più. Il senso del dovere ne è risultato sopraffatto e deriso. Onestà, amore del prossimo, disinteresse, dignità, cioè quelli che sono stati i valori della società civile, sono stati relegati in soffitta“. Per questo, dopo aver creduto e combattuto nel nome del socialismo grandi battaglie per i diritti civili, per i diritti dei lavoratori, per la crescita sociale della società, nei primi anni ’90, prima ancora dello scioglimento definitivo ho abbandonato quel Partito ormai lontano dai principi di fondo che ne avevano costituito per cent’anni l’anima di base. Abbandonato quel Partito ormai degenerato, tradito nel suo essere, non certo abbandono dell’idea e dell’impegno per i valori del socialismo, spesso agendo in un isolamento negazionista o di incomprensione da parte di altri e dei detentori del potere in particolare. Tuttavia fiero del mio agire, del mio operare nel senso di una società giusta, equa, solidale, dalla parte dei lavoratori. Spesso vivendo con amarezza e delusione la quotidianità ed ecco dunque che la conoscenza della vicenda del compagno Giovanni Battista Stucchi ha rappresentato una carezza al cuore. Insomma, un buon consiglio per quanti siano stati o siano tuttora socialisti nel cuore: un bel romanzo che consiglio di leggere. A scatola chiusa.
(NdR) Pubblichiamo il resoconto redatto da Walter Massa, Presidente nazionale ARCI, del viaggio della Carovana Solidale organizzata da AOI, Arci nazionale e Assopace Palestina verso il valico di Rafah per seguire il percorso degli aiuti umanitari acquistati grazie alla raccolta fondi #EmergenzaGaza.
Siamo rientrati da poco più di 1 ora dal valico di Rafah. Non credevo di poter sentire e vedere cose peggiori di quelle ascoltate in questi giorni. E invece si.
Le file interminabili di tir fermi con aiuti provenienti da tutto il mondo; due parcheggi principali uno con 800 e l’altro con oltre 1000 tir per non parlare di quelli parcheggiati lungo la strada. Sotto il sole cocente con ogni tipo di materiale, alimentare e non. Impressionante vedere tutto fermo con questi autisti parcheggiati senza spiegazioni, informazioni e servizi da 10/20 e addirittura 30 giorni.
L’arrivo al valico e vedere passare in in circa 3 ore 15 tir e sentirsi dire da Scott Anderson, Deputy Director of UNRWA Gaza, uscito da Gaza appositamente per incontrarci che ieri è stata una giornata fortunata: 40 tir tutto il giorno. Pare che i nostri tir siano tutti entrati ma è una magra consolazione di fronte a tutto ciò. E il suo racconto per quanto incredibile ha peggiorato il quadro che ieri i suoi colleghi ci avevano fatto. Ma non è stata questa la parte più difficile da digerire: lasciato il valico ci siamo diretti ad uno degli hub della Mezzaluna Rossa egiziana.
Migliaia e migliaia di materiali umanitari stoccati da mesi qui a pochi km da dove si muore di fame e di mancanza di adeguate cure sanitarie, oltre che per le bombe. Qui percepisci l’intenzionalità della politica israeliana nel perseguire, oltre all’azione militare devastante, anche la persecuzione umana di donne, uomini e bambini colpevoli solo di essere nati palestinesi.
Non ci sono parole e quelle che ci sono si bloccano in gola quando il responsabile della Mezzaluna Rossa egiziana ci dice che tutti questi materiali sono stati respinti dall’esercito israeliano. Cioccolata compresa perché non ritenuta un bene primario. E, lo ricordo a me stesso: 30 mila morti che potrebbero diventare presto 85 mila per l’aggravarsi della situazione medico/sanitaria nel giro di pochi mesi. Giriamo per questa struttura in mezzo a migliaia e migliaia di tonnellate di aiuti e strumenti, bombole di ossigeno, incubatrici, macchine per il filtraggio dell’acqua, cibo e, appunto, cioccolata.
Fuori si sfiorano i 25 gradi oggi. Non solo, all’esterno, sono parcheggiate decine e decine di ambulanze molte delle quali nuove. È umanamente devastante questo circo di morte. Io non so se si possa ancora definire disumanità; forse sadismo è la parola giusta. O almeno così pare a noi che qui tocchiamo con mano come il Governo israeliano, per mano del suo esercito occupante calpesti con impunità il diritto internazionale. Il lungo rientro non placa la rabbia di essere stati a pochissimi chilometri dall’inferno e non aver potuto fare nulla. Grazie alla mia Arci e ad Arcs che in questi giorni davvero intensi non mi ha fatto sentire solo. E grazie a Claire e Francesco per tutto quello che hanno fatto per questa missione e per la loro militanza; le loro lacrime al valico erano le mie, erano le nostre.
Bei tempi, cara Giorgia, quelli in cui strillavi in Parlamento contro il “criminale” Conte raccontando a tutti che l’emergenza si doveva affrontare dando mille euro a tutti “con un click”. Tanto i soldi per farlo mica li dovevi trovare tu! A te bastava strillare e aizzare la folla, il resto non ti interessava.
Bei tempi, cara Giorgia, quelli in cui giravi filmetti al distributore raccontando agli italiani come venivano truffati con le accise sulla benzina. Ti bastava scatenare l’esasperazione della gente. Mica dovevi trovarli tu i soldi per tagliare le accise.
Bei tempi, cara Giorgia, quelli in cui imperversavi in tutte le piazze con l’idea tanto mica dovevi pensarci tu, se fosse o meno possibile e se ci fossero abbastanza navi per farlo.A te bastava urlare nelle piazze che quella era la soluzione e accusare gli altri perchè non volevano attuarla.
Bei tempi, cara Giorgia, quelli in cui minacciavi l’Europa dichiarando che “la pacchia” era finita! Tanto, mica dovevi andare tu in Europa a discutere con gli altri paesi, a te bastava salire su un palco e vantarti di fronte a una platea di scalzacani illetterati di quanto fossi brava, di quanto fossi forte, di quante palle avessi!
Ebbene, cara Giorgia, ti racconterò una favola di Esopo molto istruttiva.
Un giorno venne ad Atene un atleta che si mise a vantarsi delle grandi cose che faceva a Rodi.Raccontò balle sempre più grosse tanto da arrivare a dire che, a Rodi, aveva saltato con un sol balzo il famoso Colosso di Rodi. la gigantesca statua che troneggiava sul porto di quella città.
Un ascoltatore, stufo di queste millanterie, a un certo punto sbottò:”Hic Rhodus, hic salta”, fai finta di essere a Rodi e facci vedere quanto salti!
Inutile dire che il fanfarone non fu in grado di dimostrare niente, una volta costretto a misurarsi con i fatti invece che con le chiacchiere.
Ebbene, cara Giorgia, hai tanto voluto diventare presidente del consiglio, ma il 25 settembre dello scorso anno è stato il tuo “Hic Rhodus, hic salta!”. Alla prova dei fatti, abbiamo visto tutti che le tue erano solo fanfaronate, come quelle del famoso atleta della storiella!
Hic Rhodus, hic salta!
(NdR)Articolo pubblicato in facebook con firma L.Q.
Il 1° maggio 1947 la ricorrenza venne funestata dall’eccidio di Portella della Ginestra (PA), nella quale la banda criminale di Salvatore Giuliano sparò su un corteo di circa duemila lavoratori in festa, uccidendone quattordici (di cui undici sul momento) e ferendone una cinquantina. Nei giorni successivi fu seguita da assalti a sedi dei partiti di sinistra e delle camere del lavoro della zona. Alcune fonti sostengono che tale sparatoria sarebbe stata organizzata dai servizi segreti statunitensi, con lo scopo di veicolare le elezioni, che avrebbero potuto portare al governo il neo gruppo socialista, inviso agli USA.A questo va aggiunta la volontà dei poteri mafiosi e dell’indipendentismo siciliano e delle forze reazionarie di mantenere i vecchi equilibri nel nuovo quadro politico e istituzionale nato dopo la seconda guerra mondiale. Nonostante non siano mai stati individuati i mandanti, sono certe le responsabilità degli ambienti politici siciliani, appunto con l’aiuto di alcune frange statunitensi, interessati a intimidire la popolazione contadina che reclamava la terra.
Oggi il ragionier Draghi alle 9.30 parlerà al Senato e alle 19.30 i partiti voteranno l’eventuale fiducia che conferma l’attuale governo (compresi i 5*) ma, se i 9 punti di programma sostenuti da Conte non troveranno adeguate risposte da parte del Presidente del Consiglio (e degli altri partiti), ne seguirà la nascita di un nuovo governo che esclude i grillini o ancora l’ipotesi dimissioni da parte di ‘re Draghi‘. In attesa Arzyncampo ripropone l’articolo di Tomaso Montanari apparso sul Fatto Quotidiano del 16 luglio, dissociandosi dal coro del pensiero unico che parla di necessità di un governo che non risponde adeguatamente alla richiesta di definire per quali contenuti e quali prospettive agisce nell’interesse dei lavoratori e di un’Italia che soffre.
Dunque, i barbari non si sono del tutto civilizzati. È con queste, rammaricate, parole che l’eterno establishment della Città Eterna commenta in queste ore il colpo di coda di Conte e del Movimento 5 Stelle. La scissione telecomandata di Di Maio non è bastata a disinnescare la mina: e il resto l’ha fatto l’intemperanza del presidente del Consiglio. Non sapevano trovare le parole per dirlo, i grandi giornali genuflessi al doppio soglio chigiano e quirinalizio: ma si è capito che questa volta i due nonni della patria non sono in perfetto accordo, con Mattarella che prova a ricordare a Draghi che la fiducia l’ha avuta, e Draghi che non depone la stizza nemmeno quando il capo dello Stato lo manda “a riflettere” (come si fa con i bambini della scuola materna). Draghi non è uomo abituato ad essere contraddetto, si è chiosato con la solita untuosa cortigianeria. E dunque ciò che davvero è imperdonabile, ciò che determina davvero la crisi di governo, è la lesa maestà: e, si sa, per il crimen maiestatis le teste dei rei devono rotolare senza indugio.
È proprio questa la nudità del re Draghi che gli incorreggibili grillini hanno svelato: e cioè la dimensione personale, personalistica, di questa leadership “che tutto il mondo ci invidia”. Questo significava, dunque, la famosa formula di “un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica” usata dal presidente Mattarella. L’assenza di formula politica significa che se una delle forze politiche che sono chiamate a dare la fiducia al governo (questo fastidioso rituale che re Draghi si degna di accettare purché sia un simbolico residuo di un passato in cui vigeva quella curiosa e sorpassata usanza che i libri di storia chiamano “democrazia”) si permette di condizionare quella fiducia ad una specifica piattaforma politica che sottopone al presidente del Consiglio attendendone una risposta, e se poi, in assenza di risposta, quella forza politica non partecipa al voto di fiducia, non volendo sfiduciare il governo ma nemmeno accordargli di nuovo la fiducia senza aver avuto risposte chiare e impegnative: ebbene, allora si compie il crimine di lesa maestà, e il monarca sdegnato spezza lo scettro e maledice i reprobi fino alla quarta generazione.
Lo scandalo è che il partito uscito dalle urne come quello di maggioranza relativa in Parlamento pretenda di influenzare la politica del governo che sostiene, perché – come ha scritto Conte nel documento consegnato a Draghi – “non ci sentiamo più di rinunciare a esprimere e a far valere le nostre posizioni, in nome di una generica ‘responsabilità’, che di fatto rischia di coincidere con un atteggiamento remissivo e ciecamente confidente rispetto a processi decisionali di cui, purtroppo, veniamo messi al corrente solo all’ultimo”. E qui non rileva neppure che i punti di quel documento siano tutti (dalla difesa del reddito di cittadinanza al salario minimo, all’avversione al riarmo al blocco dei licenziamenti, al contrasto al precariato) perfettamente legittimi (e anzi in linea, a dirla tutta, con i valori fondanti della Costituzione della Repubblica). Il punto, ancora più a monte, è che l’esistenza stessa di questo documento contesta di fatto una prassi di governo fuori da ogni fisiologia costituzionale, tutta affidata a un uomo solo e al suo staff, completamente fuori dal controllo delle forze politiche e del Parlamento. È questo l’imperdonabile peccato di hybris per cui il sommo sacerdote dell’oligarchia si è stracciato le vesti gridando alla bestemmia: e quella bestemmia si chiama democrazia parlamentare.
Se le cose stanno così, e cioè se il re accetta di rimettersi la corona solo a patto che il suo regno sia assoluto, il Movimento farebbe malissimo a rimangiarsi la pur timida voce con cui, dopo un anno e mezzo, ha finalmente sussurrato che quel re è nudo.
Le richieste di Conte a nome del Movimento 5*, richieste utili per ridurre le disuguaglianze, nell’interesse dei cittadini e dei lavoratori: reddito di cittadinanza, salario minimo, intervento straordinario per famiglie e imprese “utilizzando uno scostamento di bilancio o attraverso un sostanzioso taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori”. E poi stop alle trivelle e allo sfruttamento dell’energia fossile, la necessità e “bontà” del superbonus 110%. E ancora: ripristino del cashback fiscale: piano straordinario di rateizzazione delle cartelle esattoriali e “un meccanismo legislativo che eviti la violazione delle prerogative parlamentari da parte dell’esecutivo”. Come giustificare, soprattutto da parte di Letta e del PD, la negazione di tutto questo per mantenere l’attuale Parlamento giusto ancora pochi mesi: forse per garantire il vitalizio previsto per ognuno dei parlamentari?
“Tu non vuoi vincere, vuoi morire da eroe”. “Credi davvero che vinceremo? Non ci sarà nessuna rivoluzione, a me interessa solo trasgredire”.
Si esprimono così Adriana Faranda e il suo uomo Valerio Morucci, due dei brigatisti rossi che rapirono Aldo Moro nel marzo 1978. La seconda parte di “Esterno Notte”, ultimo capolavoro scritto e diretto dal regista piacentino Marco Bellocchio destinato a diventare serie televisiva, dal 9 giugno è nelle sale cinematografiche con i suoi ultimi tre episodi. Bellocchio continua il suo viaggio tra le pagine più cupe della Storia italiana (quelle del sequestro e successivo delitto Moro), attraverso la polifonia dei punti di vista dei personaggi: ma stavolta gli uomini della Democrazia Cristiana e le stanze di palazzo – pur rimanendo centrali per le scelte strategiche che condanneranno Moro a morte -, sono messi in secondo piano rispetto all’analisi dei conflitti interni alle Brigate Rosse e all’esplorazione dell’universo famigliare. Entrambe filtrate, soprattutto dal punto di vista femminile.
Nel quarto episodio, allora, il punto di vista è quello dei brigatisti; divisi, preoccupati, talvolta esaltati, altre insicuri. Eseguono, “Siamo un esercito” dicono, ma sotto quegli ordini indiscutibili si allungano distanze, affiorano crepe: Adriana Faranda (una bravissima Daniela Marra) crede fermamente nella rivoluzione, per cui ha lasciato anche la figlia fuggendo con il proprio uomo (Valerio Morucci, interpretato da Gabriel Montese) al quale invece interessa solo il gusto della ribellione verso il potere costituito. Vediamo Faranda gongolare dopo aver sparato al professore di economia della Sapienza, ma commuoversi guardando in tv i funerali degli agenti della scorta di Moro. La stessa che si lascia travolgere dalla passione per Morucci a scapito della famiglia, ma prima mette al sicuro le pistole sull’altarino dedicato alla compagna uccisa e nasconde alla figlia Alexandra la relazione tra lei e il compagno. Nonostante la loro sostanziale diversità, al culmine del quarto episodio i due brigatisti intuiscono comunque l’errore fondamentale: uccidere Moro non è rivoluzione. Rivoluzionario sarebbe lasciarlo libero a confrontarsi con gli amici che l’hanno abbandonato. Ma alla fine sparano insieme ai compagni, carnefici e vittime anche loro di quel pensiero unico, che nascondendosi dietro falsi ideali romantici, causa solo morte e distruzione.
Vittima è poi Eleonora, moglie di Aldo e protagonista del quinto episodio. Una potente e misurata Margherita Buy, i cui continui primi piani si fanno chiara espressione di tutto il dolore e la rabbia vissuti. Contraltare femminile di Faranda, Eleonora fa di tutto per riportare a casa il marito vivo, ma è prigioniera anche lei di quel potere di Stato che, invocando l’ipocrita scusa della fermezza, ha già deciso la morte del presidente della DC. Il potere racchiuso nelle ambigue effusioni di chi conforta tra lacrime e abbracci la futura vedova, di chi dorme sonni tranquilli senza troppo apparire. Quel potere che trasuda dalle macchie sulla pelle di Cossiga e dai ringraziamenti involontari ai propri carnefici. Mentre il grido della giovane al funerale di uno degli uomini della scorta: “Questa è la vostra guerra, non la nostra!”, così simile al “loro non cambiano” urlato durante le esequie di Borsellino, ci ricorda quanto il ‘caso Moro’ sia un punto di accumulo che ha inghiottito tutto e tutti: personaggi, Storia e storie d’Italia, in una ferita che continua a sanguinare.
E se nel film, la Storia si de-storicizza nei gesti e nella prossemica quotidiana dei personaggi, ritorna e si ripete tra prolessi, analessi, media e immagini di repertorio, in cui anche la finzione è utilizzata per comprendere meglio la realtà. Tutto attraverso un approccio multi-prospettico di alternanza di punti di vista, dove registro oggettivo e soggettivo si succedono e si rincorrono. Fino all’ultimo, potentissimo episodio, che nell’ardente confessione di Moro ricongiunge la Storia alla contemporaneità. Dalla cella di prigionia, da quello spioncino già visto in “Buongiorno, Notte” (2003), un intenso e dolente Moro (interpretato da un magistrale Fabrizio Gifuni) fa i conti con la consapevolezza della verità che gli sta di fronte, unico atto salvifico ormai possibile. E Bellocchio parla agli spettatori attraverso il suo protagonista.
Abbandonato dagli ex ‘amici’ di partito e fatto passare per ‘pazzo’ mentre cercava di salvarsi la vita dai suoi aguzzini, nei suoi ultimi giorni il presidente della DC è pienamente cosciente di dover morire. Eppure, durante la confessione con il prete, unico volto umano visto durante la prigionia, Moro è disperatamente scisso tra l’odio per i compagni di partito che gli hanno voltato le spalle – e di cui sa di aver sempre finto di non vedere le meschine dissimulazioni – e l’umanissima incapacità che egli sente propria di rassegnarsi alla morte. Lui, che ha fatto della religione uno dei suoi pilastri esistenziali, a poche ore dalla morte non potrebbe essere più terreno e attaccato alla vita.
È la presa di coscienza la sua rivoluzione, sembra dirci Bellocchio. Vittima per eccellenza, Aldo Moro è il più libero e il più evoluto tra i personaggi del film, nel suo aperto confronto con la verità più amara. L’unico vero rivoluzionario, e forse l’ultimo tra i rivoluzionari italiani. Per questo ancora oggi manca. Un film potente, audace, storico eppure attualissimo, come solo le grandi opere sanno essere. Da non perdere.
Martedì 21 giugno, ore 18.00 circa. Via Legnano. Esco, insieme a Dalila e Gaetano, dalla libreria Fahrenheit 451, salutando Claudia. Dal marciapiede opposto vedo attraversare la strada un tizio che sul momento non riconosco. Magro, i capelli lunghi raccolti a coda, Tupamaros, nell’aspetto ‘guerrigliero‘, come sempre. Massimo Castelli, già Sindaco di Cerignale. Oltre 130 giorni tra carcere e arresti domiciliari, manette scattate proprio quando era stato scelto come candidato Sindaco a Piacenza per il centrosinistra: un vero e proprio fulmine a ciel sereno. Mi sorride, ci stringiamo in un caloroso e affettuoso abbraccio. Finalmente, da qualche ora, libero di aggirarsi per la città. E di tornare a casa, a Cerignale, dalla mamma, dal fratello, dai suoi paesani che lo aspettano per fargli festa. Capi d’accusa da far rizzare i capelli in testa: associazione per delinquere, concussione, corruzione, abuso d’ufficio, traffico di influenze illecite, turbata libertà degli incanti e della libertà del procedimento di scelta del contraente, frode nelle pubbliche forniture, falso materiale e falso ideologico, truffa e voto di scambio. Tutto questo non a Locri, a Palermo, a Milano dove passano i milioni: a Cerignale, 750 metri s.l.m., piccolo paese dimenticato da Dio e dagli uomini, in montagna, lontano dalle principali via di comunicazione, che Massimo, lottando contro tutto e contro tutti, è riuscito a rendere un luogo dove vale ancora la pena vivere o semplicemente trascorrere un periodo di riposo per i poco più di un centinaio di residenti per lo più anziani. Ho già avuto modo di esprimere il mio pensiero e la mia solidarietà ( per esempio leggi qui e qui ). Undici arresti (tra i quali appunto Massimo), 300 Carabinieri impegnati, oltre 30 indagati investendo i Comuni di Cerignale, Bobbio, Marsaglia, Zerba, dimissioni di Sindaci, poi arresti domiciliari, un’azione degna della massima spettacolarizzazione e di un sistema criminale impensabile per il livello di interessi economici che concretamente possano essere mossi nei piccoli Comuni sostanzialmente marginali della nostra Val Trebbia. Eppure Massimo ( come anche Mauro Guarnieri, ex Sindaco di Corte Brugnatella a sua volta finalmente tornato in libertà ) ha pagato con appunto i giorni in carcere e successivamente quelli agli arresti domiciliari. Per un totale di oltre 130 giorni. Senza, si badi bene, uno straccio di condanna: indagini tuttora in corso, processo da divenire. Amministrare nell’interesse dei cittadini e soprattutto di chi vive ai margini della società del benessere, non è semplice. Se dal vertice, sia Roma che Bologna, devono arrivare fondi, dove pensate vadano a finire? Sicuramente negli agglomerati di rilievo (Piacenza, Modena, Ravenna), poco e nulla a Cerignale e nelle piccole comunità della montagna. Nelle quali peraltro un Sindaco si trova a dover operare senza essere un cattedratico di diritto amministrativo e senza avere a supporto un’adeguata struttura amministrativa, dovendosela cavare ben che vada con un geometra, un’impiegata, un segretario comunale a scavalco. Un errore, una sottovalutazione, un’imprudenza nell’ottica di raggiungere un risultato nell’interesse della comunità quindi è dietro ad ogni atto, ad ogni scelta. Certo, in questo caso chi sbaglia paga ma il tutto, si vorrebbe e parrebbe giusto, in misura proporzionale. E soprattutto dopo che l’errore è comprovato, che la condanna è intervenuta. Bene, limitare per oltre 130 giorni la libertà di una persona prima ancora del rinvio a giudizio e del giusto processo, non rappresenta il modello di giustizia nel quale credo. Per questo martedì ho abbracciato Massimo esprimendogli la mia solidarietà e il rammarico perché tutto questo ha rappresentato la conclusione del percorso politico di un amministratore capace. Per ora, gli ho detto. “Ma, tra un anno, a Cerignale si voterà di nuovo e nulla vieterà una tua nuova candidatura, in assenza di condanna“. Sempre perché fino a prova contraria e fino a condanna definitiva siamo tutti innocenti ed io mi auguro che questa non sia una favola ma principio base del diritto. Cosa che non ha nulla a che vedere con i giudizi degli intellettuali giustizialisti da osteria, quelli pronti alla condanna di chiunque salvo non mancare di evadere qualche tassa oppure a loro volta imboccare scorciatoie del fare nel proprio interesse. Su questo, su un suo riconfermato impegno politico, Massimo ha scrollato la testa e mi ha confessato che ora ha solo un desiderio, pensare a sé stesso, alla sua vita, alla sua famiglia, alla figlia e alla mamma con un programma a brevissimo: andare a Cerignale. Bene, ha detto Gaetano, “dove ci vedremo ad agosto“, nell’albergo e nel ristorante del Pino dove la mamma cucina e lui, anche da Sindaco, serviva ai tavoli. Una promessa, una dichiarazione d’intenti e di sostegno alla quale ci siamo immediatamente associati io e Dalila.“NESSUNA RESA, CERIGNALE!”
Cambiare aria a Piacenza? Non ci riferiamo solo al clima politico, ma proprio alla qualità dell’aria, ammorbata da inquinamento e da gas climateranti. Stop al consumo di suolo e all’espansione della logistica. Accelerazione verso mobilità sostenibile e fonti di energia rinnovabili. Sono solo alcuni dei punti, tutti urgentemente necessari, scritti nel programma di Europa Verde Piacenza: la lista elettorale, tra quelle in lizza per le amministrative di Piacenza, che più si preoccupa di un concreto cambio di passo in direzione green, accogliendo tra le sue fila chi da oltre vent’anni lotta per un ambiente più sano senza accontentarsi di comodi ecologismi di facciata. Ma il punto centrale su cui porre l’attenzione per dare corso ad una città più sostenibile è senza dubbio la qualità dell’aria . L’elevatissimo inquinamento atmosferico è infatti la prima fonte di insalubrità a Piacenza, da cui derivano una serie di malattie: da quelle dell’apparato cardiocircolatorio passando per i tumori polmonari, fino all’asma pediatrica. Si parla di 80.000 morti l’anno in Italia causate dall’inquinamento, di cui un’allarmante quota a Piacenza. Una cifra e delle vite che non possono essere ignorate. Qualsiasi politica ambientale (su suolo, logistica, mobilità, rifiuti, ecc.) deve essere quindi finalizzata al principale obiettivo di miglioramento della qualità dell’aria, poiché da questo parametro derivano una serie di altri effetti, virtuosi o nocivi. Ma come rendere l’aria più sana? Innanzitutto occorre ridurre le emissioni, agendo sul settore della mobilità, del riscaldamento civile e sui fattori produttivi di maggiore impatto per la città di Piacenza: inceneritore, cementificio, centrale termoelettrica, autostrade, logistica. In secondo luogo bisogna contrastare la concentrazione di gas climateranti mediante il contributo di ossigeno, attraverso un Piano Strategico del Verde e un poderoso progetto di riforestazione dei parchi urbani, delle aree libere e residuali degli svincoli autostradali, delle rotonde e delle aree demaniali. Un progetto che dovrebbe costituire il pilastro del prossimo PUG, Piano Urbanistico Generale, avvalendosi di risorse pubbliche aggiuntive, di risorse private fornite dalle aziende più impattanti, ma anche del contributo della cittadinanza attiva, opportunamente organizzata e sostenuta dall’amministrazione comunale. Non bisogna infine ignorare il valido contributo che la Fondazione di Piacenza e Vigevano potrebbe concretamente apportare, essendo gli scopi dell’ente destinati a sostenere la comunità piacentina. Quale maggior bisogno potrebbe infatti essere individuato se non quello di proteggere la salute mediante la prevenzione? Altre Fondazioni in Italia si stanno distinguendo in questa direzione, con il finanziamento di progetti milionari. Possiamo rifletterci anche a Piacenza?
Ci fu un tempo in cui diventai un giovane socialista, un po’ per l’influenza familiare determinata da nonno e papà, dai loro racconti delle lotte dei braccianti agricoli della piana di San Michele, quella del melfese dove è cresciuto quel mastodonte voluto da Marchionne e dagli Agnelli…naturalmente sovvenzionato da tutti noi, un po’ perché caratterialmente non ho mai sopportato le disuguaglianze e le ingiustizie e un po’ perché lo spirito egualitario internazionalista dei socialisti mi ha sempre stimolato e affascinato. Non mi impegnavo moltissimo perché all’epoca lo sport, l’atletica leggera, e lo studio eran la mia vita, ma mi interessavo, partecipavo quando mi era possibile specie quando sentivo la parola di certi vecchi compagni come Riccardo Lombardi che aveva la capacità di ipnotizzare una platea o Sandro Pertini, che allora era il Presidente, non solo mio, ma di tutti gli Italiani e quando parlava sapeva toccare il cuore e riscaldarlo. Smisi di praticare sport e mi impegnai nel lavoro. Poi una sera, durante un incontro, un compagno del sindacato mi propose la candidatura alle elezioni provinciali di Piacenza, accettai ed iniziai una nuova esperienza che tuttora mi impegna, mi entusiasma, e alle volte mi fa anche…arrabbiare. Sì, perché come diceva un fine politico “la politica è per gli uomini il terreno di scontro più duro e più spietato; oddio, ne diceva una anche più cruda, ma al compagno Rino Formica ancora oggi, a 95 anni, non difetta una lucidità critica invidiabile riconosciuta da amici e avversari.
Non ho accettato a suo tempo le lusinghe berlusconiane, come molti altri compagni fecero, perché, pur amareggiato per quanto patito da tanti compagni di partito, non ho mai creduto che un riccastro potesse essere la soluzione dei mali del nostro Paese ma nemmeno sono caduto nelle braccia di coloro che hanno sostanzialmente contribuito alla demolizione del partito e della prima repubblica, per cui ora posso dirmi uno dei pochi piacentini di sinistra a non avere mai avuto in tasca una tessera che non fosse di derivazione socialista.
La parabola politica ci portò ad aderire all’idea di Sinistra e Libertà e, personalmente a rimanere per iniziare una nuova avventura in SEL a fianco di un leader che tanto mi ricordava il Riccardo Lombardi di un tempo; si, perché Nichi Vendola ha quella capacità di coinvolgere ed entusiasmare un popolo. Purtroppo anche quel sogno utopico fu stroncato dalle falsità manipolatorie di una stampa che orientò vergognosamente, e falsamente, l’opinione pubblica nei suoi confronti; fortunatamente le nefandezze furono svelate e gli ingannatori furono condannati, purtroppo con tanto ritardo, ed è notizia di oggi che quelle sentenze sono diventate definitive. Questo portò alla trasformazione di SEL in Sinistra Italiana, sempre con l’obiettivo di lavorare per la ricostituzione di un partito forte che a sinistra potesse contrastare il liberalismo che ormai ha invaso le nostre vite con tante disuguaglianze, tanta precarietà nel lavoro, tanta insicurezza, nella vita, nella speranza di un futuro dignitoso per tutti. Con questi obiettivi mi sono sempre confrontato politicamente e ho aderito, con un pizzico di cautela, alla proposta partita da tre consiglieri di minoranza che proponevano di aprire una nuova fase politica nella nostra città dando spazio e voce a quanti, politici o cittadini che fossero, volessero aprire un percorso nuovo di ascolto e di partecipazione vera. Da qui è nata una discussione sul futuro della città di Piacenza, fatta di confronto, studio, serate passate davanti al PC prima, causa precauzioni sanitarie, e altrettante serate finalmente in presenza fra tanti piacentini conosciuti o meno conosciuti che avevano voglia di fare qualcosa di vero e nuovo in città. Il lavoro è stato tanto, le difficoltà ancora di più, tant’è che si è dovuta subire una spaccatura perché, evidentemente, questa novità non è ben vista in certi ambienti, che sono poi quelli che pensano di avere la città fra le mani e di farne ciò che gli pare. E siamo arrivati all’oggi, alla scelta di un candidato che, personalmente, reputo un uomo di ottime capacità, di schiettezza e di una buona dose di coraggio e subito dopo alla nascita di una lista che potesse rappresentare anche a Piacenza quelle istanze in sospeso che sono quelle poc’anzi descritte: troppa disuguaglianza, troppo sfruttamento del lavoro, di quello giovanile in particolare. Così è stata pensata ed è nata la lista @sinistra, che anche nel nome coniuga il futuro, con quella chiocciolina ormai entrata nelle abitudini di tutti, e la tradizione con la parola sinistra che rappresenta quegli ideali che, come ho detto, ho assorbito da giovane e sviluppato nel tempo. Per tutto questo ho contribuito alla nascita di questa lista, ho lavorato per essa e la coalizione di vero centrosinistra e mi ci sono anche candidato.
“Il governo non fa abbastanza per rispondere alla crisi, e quel poco che sta facendo non funziona“, dice Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra italiana, ragionando sulla fase politica e sulle fratture prodotte dalla crisi Ucraina dopo due anni di pandemia. Che giudizio date del Def? Non va bene. Per due ragioni soprattutto. La prima è che secondo Draghi i lavoratori e le lavoratrici devono recuperare inflazione al netto dei costi energetici. Ma l’inflazione galoppa per quei costi. In molti perderanno una quota significativa del loro reddito, come segnala anche il sindacato. E la seconda ragione? Il Def ipotizza una riduzione molto consistente in termini assoluti della spesa sociale, che invece oggi sarebbe necessario garantire. La pandemia aveva rivelato i danni dei tagli a sanità, ricerca, istruzione, previdenza. Il governo invece annuncia un incremento significativo della spesa militare. Il tema della guerra si intreccia con quello delle politiche economiche. Il nodo è ‘chi paga’, anche sulle sanzioni. Ancora una volta il governo sancisce che a pagare non siano coloro che possono permetterselo. Pagano i ceti non proprietari, i precari. Quelli la cui situazione la crisi rischia di aggravare. Significa che siete contro le sanzioni? Sanzionare la Russia sul gas è utile. Tutti preferiscono la pace al condizionatore, per stare alla questione mal posta da Draghi. Ma dobbiamo ancora una volta chiederci chi paga la crisi e chi fa i conti con i costi delle misure. Se a pagare sono i lavoratori non funziona. Se si colpiscono gli extraprofitti delle industrie energetiche è un altro conto. Almeno sulle armi Letta ha corretto il tiro. Mi pare che ci sia qualche rallentamento. Sinistra italiana dal primo minuto ha detto no a invio delle armi e al raggiungimento della soglia del 2%, spacciata in nome della crisi ucraina e senza alcun rapporto con la costruzione di una difesa europea. Pensiamo che continuare ad alimentare la dinamica dell’escalation e sfoggiare il nanismo politico dell’Europa sul piano diplomatico sia sbagliato. Serve un salto di qualità, non solo sulla dialettica tra partiti ma nell’impianto politico dell’Europa. *Il clima bellico e terribile di questi giorni rischia di coinvolgere anche il 25 aprile… * Un clima indecente. Ogni mattina facciamo il conto degli editorialisti, interventisti da divano che si mettono a stilare liste di proscrizione. Se la prendono con quelli che non hanno avuto solidi rapporti di amicizia politica con Putin. Come è noto, Putin ha finanziato e sostenuto l’infrastruttura delle peggiori destre nazionaliste e regressive in giro per il mondo: da Trump a Le Pen fino a Salvini. Ma lo sport è la caccia al pacifista. Più cresce la catena degli orrori della guerra più il problema di una parte del dibattito sembra essere non la guerra e chi l’ha scatenata e alimentata. Il problema di questi signori è il pacifismo: è il segno di una sconcertante regressione del dibattito pubblico. È come se lo schema del dibattito non prevedesse l’esistenza di un movimento per la pace. La costruzione di un dibattito binario non prevede alcuna articolazione di ragionamento, esclude il pacifismo e lo deride. Ne costruisce la caricatura anche quando non è possibile farlo. Accusano persino la marcia Perugia-Assisi di equidistanza. Rispolverano il peggiore armamentario, la guerra di civiltà, il conflitto tra valori. Sono argomenti che inciampano al primo secondo di gioco. Ad esempio su uno come Erdogan, che difficilmente può essere collocato tra gli alfieri dei valori liberali. Questo schema è imbarazzante e pericoloso, se la dialettica non prevede la pace resta solo la guerra. È ancora possibile costruire una coalizione con M5S e Pd? Dobbiamo continuare a cercare di dare a questo paese un governo diverso da quello di oggi. Su questo fronte misuriamo distanza soprattutto col Pd, una distanza che è cresciuta sulla lettura della guerra. Ma continuo a pensare che nonostante questo non bisogna rassegnarsi alla stabilizzazione di questo quadro politico. Da prima che questo conflitto terremotasse il quadro sappiamo che in Italia esistono forze e interessi che vogliono cristallizzare l’asse attuale, anche al di là delle figura di Mario Draghi. Questo lavoro di alternativa va fatto a partire da una proposta politica e temi molto chiari, senza negare le differenze come stiamo facendo. Alle presidenziali francesi la sinistra raggiunge cifre rilevanti. Il risultato di Mélenchon è fatto di cose non sovrapponibili alle nostre. Ma dice che esiste uno spazio per una sinistra politica in grado di mettere al centro del proprio programma la lotta alla disuguaglianza, all’ingiustizia ambientale e per i diritti sociali. Non a caso conquista molti consensi tra i giovani. lI voto francese segnala l’insostenibilità della situazione attuale. Su questo terreno occorre lavorare anche con l’ambientalismo italiano, a partire da Europa Verde.
Non lo nego: sono molto ma molto perplesso. Già lo ero quando, a febbraio, dalla nostra bella e verde Val Trebbia è giunta la notizia dello “spettacolo” dei 300 Carabinieri che si sono presentati all’uscio di casa di Sindaci, funzionari comunali, imprenditori manette alla mano per portarli alle Novate (in carcere) oppure disporre l’arresto ai domiciliari. Già allora mi chiedevo fosse il caso di una azione che neanche con i peggiori criminali viene adottata tanto da far pensare più ad una sceneggiata, utile per far dimenticare la triste vicenda della Caserma di via Caccialupo e di quei Carabinieri corrotti che hanno infangato la divisa (del resto tutto il mondo è paese e un pò d’erba grama cresce ovunque). Ora invece ecco l’Arma impegnata, dopo mesi di indagini e intercettazioni telefoniche, a nome dei cittadini tutti a colpire il (presunto) malaffare politico amministrativo con procedure d’appalto irregolari. Anche in questo caso si parlava di corruzione, addirittura di associazione a delinquere da parte di alcuni Sindaci con finalità di interessi politici personali. Tanto da ricordare la condanna per Mimmo Lucano (oltre 13 anni di reclusione, mica bruscolini!!!), il Sindaco di Riace colpevole, ha sentenziato il magistrato di Locri, di accoglienza di rifugiati politici e immigrati in genere. Sempre appunto con la finalità di benefici politici personali.
Dunque alle Novate i Sindaci di Cerignale (Massimo Castelli) e di Corte Brugnatella (Mauro Guarnieri) mentre solo arresti domiciliari per il Sindaco di Bobbio, Roberto Pasquali. Poco dopo però, non appena sono arrivate le dimissioni dall’incarico prima di Guarnieri poi di Castelli, le rispettive gabbie si sono riaperte, il portone delle Novate chiuso alle loro spalle (in uscita) come però anche la porta di casa (in entrata: per loro l’arresto è rimasto trasformandosi in domiciliare). Non si era dimesso invece Pasquali che pertanto risultava semplicemente sospeso e temporaneamente sostituito dalla sua vice Simona Innocente. Pochi giorni fa però la misura degli arresti domiciliari per Pasquali è stata revocata dal gip Sonia Caravelli su richiesta del pm Matteo Centiniper il venir meno delle esigenze cautelari. Ovvero si ritiene che Pasquali non possa più inquinare le ipotetiche prove (tutte da verificare). Fermo restando che il quadro indiziario che aveva portato all’arresto e alla conseguente sospensione dalla carica di Sindaco del Comune sarebbe confermato. Ma come? Così un sospettato di corruzione già oggetto di un provvedimento grave ora, pur continuando ad essere sospettato, può ritornare a rivestire il proprio ruolo? Non è dunque lecito ribadire che forse tanta spettacolarizzazione non era opportuna e che forse l’emissione di semplici avvisi di garanzia (ovvero di semplici provvedimenti informativi delle indagini in corso) erano più che sufficienti?.
Così Pasquali torna a fregiarsi della fascia tricolore mentre ormai è troppo tardi per quanto a Guarnieri e Castelli, di fatto costretti alle dimissioni per uscire dalle Novate ed avere la trasformazione del provvedimento negli arresti domiciliari. Con un risultato dai toni quasi drammatici per le due amministrazioni comunali affidate fino al 2023 ad un Commissario Straordinario che potrà attendere solo all’ordinaria amministrazione fermi restando i dubbi sull’effettiva presenza e partecipazione personale alla vita e alle necessità dei due Comuni, piuttosto distanti dal capoluogo, residenza del Commissario nominato dal Prefetto.
Così i dubbi, le perplessità, aumentano in modo esponenziale dal punto di vista dell’interesse dei cittadini che da un’amministrazione comunale e dal Sindaco da loro scelto come rappresentante, sperano di ottenere benefici, tutela dei loro interessi. Fatto tanto più vero per quanto a paesi come Cerignale, che si trova in Alta Valle, a 750 metri s.l.m., pochi abitanti per lo più anziani (128 all’anagrafe, circa una sessantina quando arriva l’inverno). Ebbene Massimo, conducendo una battaglia a favore delle piccole comunità, è riuscito a rivitalizzarlo, a trasformarlo, ad attirare l’attenzione addirittura nazionale su quelle case (mi perdonino i residenti) altrimenti “dimenticate da Dio e dagli uomini” con questo ottenendo finanziamenti per opere di pubblica utilità e quindi insperati servizi a favore dei residenti. Così d’estate il paese si riempie di turisti, ha aperto una bottega alimentare dove puoi trovare il quotidiano locale, un artista di fama internazionale (Giorgio Milani) ha realizzato la facciata del Municipio scrivendo poesie (“Poesie in Comune“, ovvero un’installazione di luce e poesie che riveste la facciata dell’edificio comunale), è la prima realtà ‘carbonio free’ e nelle viuzze dell’antico borgo pavimentate in sassi sono stati realizzati dei canaletti in cui scorre l’acqua dell’acquedotto per produrre energia pulita tramite una piccola centrale idroelettrica visitabile. La sera i faretti all’interno dei canali illuminano le strade e creano un’atmosfera suggestiva. Nel paese si trovano tanti fontanili, una fontana è stata dedicata a “San Francesco ed alla Laudato sii”, ed è ancora funzionante un mulino a doppia ruota. Ma sono solo alcune delle tante realizzazioni di Massimo, il “Sindaco di un milione di alberi” (clicca qui per leggere l’articolo sul Corrierone).
Certo, può essere sia stata commessa qualche leggerezza amministrativa negli appalti ma, ne sono certo, non per interesse personale ma solo ed esclusivamente nell’interesse pubblico dei residenti in queste zone lontane dall’apparente e facile benessere delle pianure – dove vivono Carabinieri e magistrati inquirenti -. Zone che, essendo comunità piccole, finiscono con l’essere marginali, appunto dimenticate da tutti. Con l’aggiunta che, non avendo una struttura amministrativa adeguata pur dovendo applicare le stesse norme valide per le metropoli, l’immobilismo è forse la via più facile e più garantista per non correre rischi derivanti dall’agire.
Ecco, io dico questo ai signori che vestono le toghe nere con il bianco pelo d’ermellino al collo: il diritto e le norme e il conseguente agire di chi è chiamato ad operare nel senso della realizzazione, devono sempre essere lette, interpretate, applicate nell’interesse pubblico e questo interesse non è in un formale rispetto di quelle norme ma nel saperle utilizzare per ottenere risultati. E qui, fermo restando che credo, visti i risultati, che non abbiano avuto interessi personali nell’agire tanto Pasquali quanto Castelli (non conosco Guarnieri ma sono certo che lo stesso valga anche per lui), se anche si sia evidenziata qualche difformità rispetto alla lettera di norme scritte per realtà di ben diverse possibilità, ricchezze, organizzazioni, il vero interesse pubblico, ovvero il risultato a favore di chi vive lassù tra le montagne del nostro appennino fosse e sia l’unico elemento da valutare e tutelare.
Per tutto questo, appreso della costituzione di un Comitato pro Massimo Castelli da parte dei residenti nel borgo, non ho esitato ad inviare una mail ([email protected]) proponendo la mia adesione. “Da subito, dopo lo shock di quella mattina, ci siamo ritrovati spontaneamente in tanti“, sono le parole della Presidentessa Fausta Pizzaghi, parole peraltro riportate dal quotidiano locale Libertà in un articolo a firma Elisa Malacalza. “Eravamo semplicemente amici di Massimo, ci siamo guardati in faccia, ci siamo detti subito di dover ribadire quanto Castelli avesse fatto per il paese. Allo stesso tempo crediamo sia necessario sensibilizzare l’opinione pubblica sulla vita di sopravvivenza dei piccoli Comuni. Vogliamo portare avanti le sue battaglie, quelle contro al non sense, quelle per lo snellimento della burocrazia. I Sindaci vivono uno stato di emergenza quotidiana, senza poter contare sui battaglioni di ingegneri, avvocati, geometri delle città“.
Bene, quindi amici di Cerignale e di Massimo, contate senza esitazione sul mio assoluto sostegno.
Francesco Merenda vive a Piacenza ed è presente in facebook (cliccaqui e vedi profilo): si riporta il post che ha pubblicato a seguito dell’arresto di Massimo Castelli con accuse che letteralmente hanno lasciato senza parole quanti lo conoscono e soprattutto hanno conosciuto Cerignalema anche chi sa quanto sia difficile operare e gestire l’Amministrazione pubblica nei piccoli “Comuni marginali”.In particolare il Sindaco è accusato dei seguenti reati per essersi macchiato di turbativa d’asta, associazione a delinquere, concussione, frode nelle pubbliche forniture, truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche, falsità materiali in atti pubblici, falsità ideologica, voto di scambio, corruzione.
Le frasi che sto per scrivere sono tra le più sentite e tristi che mi sia capitato di esporre qui su Facebook in questi anni. Ho pensato a lungo se scrivere o meno di questa vicenda. Non ne so con precisione i dettagli e, soprattutto, tra le persone arrestate, l’unica che conosco personalmente, e a cui voglio bene, ora più che mai, è Massimo Castelli, il sindaco di Cerignale. Due sono le cose che mi hanno fatto decidere. La prima è che ne ho piene le balle di abitare in un paese, e in una città, che ti porge l’ombrello solo quando il cielo è sereno e non c’è una sola nuvola all’orizzonte. La seconda è una frase famosa di Martine Luther King : “Alla fine, ricorderemo non le parole dei nostri nemici, ma il silenzio dei nostri amici“. Ne ho conosciuti tanti di “amici” che sono stati ben in silenzio quando io ho avuto qualche difficoltà, e io non voglio essere come loro. Tenetela sempre ben in mente la frase di Martin Luther King, di coscienza ne avete una sola, e una soltanto. D’ogni tanto dategli una lustrata perché, una volta sporcata quella con la macchia della viltà e della comoda ipocrisia, non ve ne resta una di ricambio. Io non saprei manco dire se Massimo sia un mio amico o meno. Il motivo per cui sono indeciso, è perché lui è una di quelle straordinarie persone che dopo dieci minuti che lo conosci, ti sembra di essere suo fratello e di conoscerlo da sempre. Raramente mi è capitato di incontrare nella vita una persona più disponibile a qualsiasi ora del giorno, sabato domenica inclusi, aperta, coraggiosa, sincera, affidabile, brillante, fantasiosa e intelligente. Men che mai tra i pubblici amministratori, specialmente se lontani da elezioni. In prossimità del voto, invece, tutti amiconi, eh…La prima volta che mi ha accompagnato su a Cerignale, mostrandomi il panorama, mi ha detto quella che è la sua frase più iconica: “guardati attorno, io sono il sindaco di una metropoli che ha come abitanti 100 esseri umani e 1.000.000 di alberi“. Come fai a non amare una persona così? L’avrei abbracciato. E infatti, molto amato lo è per davvero, al suo paese senza alcun dubbio. Ma anche, e molti forse non lo sanno, in tante parti d’Italia. Ha preso quel buco sperso sui monti, difficilissimo da raggiungere solo dopo centomila tornanti, e ne ha fatto una località trendy per cui non eri nessuno se almeno una volta nella tua vita non eri transitato per Cerignale. Non solo Bonaccini ( il presidente della regione), Carlin Petrini ( presidente di slow food), Michele Serra (noto giornalista rompipalle), Ermete Realacci ( Presidente di Legambiente, rompipalle pure lui) e un’infinità di chef stellati, personaggi televisivi e ancora giornalisti e trasmissioni, tutti in visita al fenomeno Cerignale e ad omaggiare Massimo Castelli che, nonostante questi successi, se la tirava meno di zero. Ma proprio sotto zero. Mai una volta che non abbia risposto al telefono o a un messaggio, vorrei poter dire lo stesso di soggetti che non valgono manco un centimetro della suola delle sue scarpe. La spocchia e la maleducazione va di gran moda, specialmente quando non è minimamente giustificata. L’ultima volta che l’ho visto, eravamo in auto con lui al volante della sua 500, si andava su a Cerignale con mezzo metro di neve, lottando non poco per tenere l’automobile in strada. Un pranzo delizioso cucinato da quell’anziana mamma a cui è tanto legato , al caldo della stufa a legna, intorno un paesaggio incantato ricoperto di neve. Un mondo fatto di silenzio e di bellezza. Il mondo che Massimo ama, per cui è disposto a qualsiasi sacrificio.L’ultima volta che l’ho sentito, il giorno prima dell’arresto. Allegro, disponibile e pieno di progetti come sempre. Brillante e scoppiettante, del tutto inconsapevole di quello che gli sarebbe accaduto da lì a poche ore. L’ ultimo collegamento a whatsapp, il giorno dopo alle 5:30, quando 300 appartenenti alle forze dell’ordine (trecento, TRECENTO: a prendere Riina saranno stati meno di un decimo) lo sono andati ad arrestare e, probabilmente, messo in manette. Manette, …il tintinnare gli hanno fatto sentire…il giorno stesso della laurea di sua figlia. L’ultima volta in cui l’avrei dovuto vedere, oggi stesso. Appuntamento presumibilmente annullato, per cause di forza maggiore. Ma vi rendete conto che, in giro per l’Italia, non poche volte mi hanno chiesto raccomandazioni per andare a far visita a Cerignale? Un buco di 100 anime, sperso su per i monti di Piacenza che, in compenso, viene sempre confusa con Vicenza. E questo basta e avanza per commentare le disastrose e disastrate politiche turistiche locali. Ora staremo a vedere quali sono queste famose “solide prove” che lo hanno fatto finire, nemmeno ai domiciliari, ma addirittura nella cella di un carcere. Grazie al cielo, mi è capitato poche volte di avere a che fare con la giustizia italiana, e sempre comunque come persona offesa. Quello che ne ho potuto ricavare tramite la mia diretta esperienza, è che c’è da stare più tranquilli nello scalvare il guardrail dell’autostrada e attraversarla bendati durante un esodo automobilistico di massa mentre c’è una nebbia della Madonna, che finire tra le maglie della giustizia italiana. Io non credo minimamente che Massimo sia colpevole , se non del delitto di aver fatto tutto ciò che poteva, e magari anche qualcosina che non avrebbe potuto, per il suo amato paesino, destinato inesorabilmente a morire se non avesse avuto lui come sindaco. Ha violato qualche legge?…ma Dio santissimo, in un paese in cui ci sono milioni di leggi, che per lo più si contraddicono l’una con l’altra, l’unico regolare è quello che se ne sta a letto dalla mattina alla sera. E manco lui può stare poi così tanto tranquillo, perché qualche norma che dice quanto si possa stare a letto, come deve essere messo il cuscino e di che materiale debba essere fatto, ci sarà sicuramente… I risultati non contano mai in Italia, meno di zero. Nel paese in cui 2 + 2 fa regolarmente 5, della dittatura delle mediocrità, degli imboscati e del fancazzismo a manetta, uno come lui , brillante e iperattivo, va assolutamente punito. Stia al suo posto, vada a cuccia che a brillare devono essere quelli che non fanno, o non sanno o non sapranno mai , fare un emerito cazzo di niente. Avanti tutta, ci sono gli scogli davanti a noi, magari troviamo le cozze….
Domenica ho fatto qualche chilometro in Val Trebbia, in Alta Val Trebbia…Sono passato a trovare qualche amico, ho incontrato i pochi, anziani residenti che con le lacrime agli occhi mi hanno detto tante cose…Ho trovato la solita realtà di una comunità coesa e forte. Oggi forse un po’ più in difficoltà, come se ce ne fosse bisogno…Valle deserta, qualche negozio aperto, qualche salame l’ho preso, un po’ di acquisti minimi li ho fatti…Ho camminato, mi sono seduto a guardare il paesaggio sotto le rovine di un castello, un paesaggio di seconde case fredde e vuote. Tutti i sindaci di quella valle sono stati toccati, chi più chi meno, da una giustizia che fa quello che deve fare, ma che agli occhi di chi vive quotidianamente quelle zone è disumana. Hanno portato via chi si occupava di loro, amministrando, forse con leggerezza, forse consapevoli che l’unico modo per fare delle cose in quella periferia del mondo (le chiamano aree marginali) è scendere a patti con chi riesce a prometterti qualcosa di concreto.
Il fine giustifica i mezzi si diceva l’altro giorno, Machiavelli lo applicava al potere, qui lo si è applicato al bene comune. Se per avere qualcosa da condividere con la comunità devo usare una scorciatoia lo faccio. Sbagliato? La legge dice si, ma come biasimare? I lavori si vedono, ci sono le strade, ci sono i servizi, ci sono paesaggi gestiti, ci sono realtà virtuose. Il “fallimento di mercato” non andrebbe applicato sempre e comunque e soprattutto non andrebbe applicato quando ci sono di mezzo delle piccole comunità che possono essere una ricchezza enorme per il territorio. In quelle zone, per assurdo, più snellisci la burocrazia più impedisci ai grandi gruppi malavitosi di fare affari. I piccoli lavori, fino a qualche decina di migliaia di euro, forse anche a qualche centinaio, potresti farli fare a piccole realtà locali che oggi per come sono strutturate non possono partecipare ai bandi pubblici….La fiscalità delle attività, quelle poche che resistono, non la puoi paragonare a quella di città o di riviera…La burocrazia delle amministrazioni non può avere identica situazione rispetto ai grandi centri con Comuni che hanno decine di tecnici dedicati alla gestione delle regole.
Questi sono i temi che da sempre Massimo Castelli porta avanti per i piccoli Comuni di tutta Italia. È caduto, ha ceduto, poteva non farlo? Forse si, se non avesse fatto niente…ma c’era da fare e non si può dire che non abbia fatto, ci ha lucrato? Direi di no, mi sento di dire, non personalmente. Qualche vantaggio? Può essere, ma non mi sento di biasimarlo. L’indagine farà il suo corso, ci vorranno mesi, forse anni, intanto la vita in valle va avanti. Valle deserta di turisti, ma soprattutto deserta di politici che abbiano in cuore quel fardello che qualcuno deve assumersi la responsabilità di portare…
L’applicazione della legge in un sistema complesso come il nostro non è mai cosa semplice, il rischio d’errore è sempre presente e, a pagare in ogni caso, è sempre l’inquisito. Tanto che sia colpevole, parzialmente colpevole, colpevole con attenuanti o anche innocente. In ogni caso, se si tratta di personaggio pubblico, è rovinato. Fine della carriera politica e in parte come persona degna della massima stima sociale (c’è sempre qualche leone da tastiera che non dimentica e comunque colpevolizza a prescindere dalla decisione del giudice). Potrei in proposito ricordare Tangentopoli , Mario Chiesa del Pio Albergo Trivulzio e il Di Pietro che, grazie a quel Mariuolo (come lo definì Bettino Craxi) colto con le mani nelle bustarelle, iniziò la scalata verso la fama nazionale segnando la fine della “Prima Repubblica” e legittimando la sua successiva inizialmente travolgente carriera politica. E in quel caso pare che nella stragrande maggioranza dei casi non vi fossero dubbi anche perché “così facevan tutti“. Ma personalmente, prescindendo dal giudizio etico morale nei confronti di quel certo “metodo politico“, non avevo proprio nulla a che fare sul piano personale diretto con quei personaggi per cui nella maggior parte dei casi delle loro sorti non mi facevo particolare cruccio. Semplicemente già dal 1992 non rinnovai la tessera al mio Partito nel quale stavano confluendo troppi mariuoli nel nome dell’allora segretario nazionale, Bettino Craxi.
Non così invece oggi per quanto innanzitutto a Massimo Castelli, accusato tra l’altro di far parte di una vera e propria associazione a delinquere finalizzata a garantire favori negli appalti pubblici nei confronti di un imprenditore dai metodi che sembrano paramafiosi. Per questo Massimo, Sindaco di Cerignale, è stato incarcerato al pari di alcuni imprenditori e di vari funzionari pubblici. La madre, la signora Teresa, 94enne, ha chiuso l’albergo ristorante del Pino e a chiunque incontra dice attonita se sa cos’è successo, ancora incredula. Tra le tante contestazioni ci sarebbe la tinteggiatura dei muri del ristorante di famiglia effettuata gratuitamente dal predetto imprenditore presumibilmente in cambio di qualche favore a livello di appalti pubblici da parte del Comune. Mah. Quest’estate sono stato ospite nell’albergo per tre giorni e tre notti (a pagamento, con regolare fatturazione, nessuna regalia per aver sostenuto a suo tempo la candidatura di Massimo per le elezioni regionali) ecredo che se quell’imprenditore avesse veramente dovuto “compensare” una qualche agevolazione a livello appalti, avrebbe dovuto fare molto di più, quell’albergo avrebbe bisogno di ben più onerosi interventi che non la semplice rinfrescata delle tre stanze adibite a ristorante. Credo dunque che come Sindaco Massimo nell’ottica del risultato concreto a favore della sua collettività (circa 60 anziani residenti nel periodo invernale) possa – se l’ha fatto – aver consentito qualche “scorciatoia” rispetto alla rigidità nelle norme che regolano gli appalti ma per questo non sembra a mio modesto parere giustificato l’arresto immediato. Un avviso di garanzia e il successivo eventuale processo sembravano e mi sembrano la procedura comunque efficace e adeguata.
In proposito, a parte il ricordo della vicenda che mi coinvolse anni fa nel mio ruolo di dirigente Asl (leggi qui), voglio ricordare il tempo della mia assunzione in qualifica ViceDirettore presso l’allora USL n. 1 della provincia piacentina, quella della Val Tidone con sede a Castel San Giovanni. Se non ricordo male era il 1991, mi venne assegnato un ufficio in fondo ad un corridoio: la mia presenza non era particolarmente gradita – anzi: il Presidente era un democristiano rigorosamente antisocialista -. Infatti appena aprii un cassetto della scrivania trovai un paio di scarpe femminili e, in quello sottostante, un paio di vecchie pantofole. In pratica era l’ufficio che fino a pochi giorni prima era occupato da un’impiegata esecutiva al servizio di un funzionario laureato di profilo iniziale che la controllava grazie all’apertura nella parete tra i due uffici confinanti. Lo guardai con un certo sospetto: ora il controllato ero forse io? Ovvero il funzionario di profilo “iniziale” aveva il compito di controllare il dirigente? In realtà in breve, a prescindere dagli intendimenti del vertice gestionale, s’instaurò un buon rapporto. Anche perché lo vedevo particolarmente insicuro, dubbioso su ogni scelta, di fronte ad ogni anche minimo problema interpretativo ed io lo sostenevo ogni qualvolta se ne presentava opportunità. Inoltre, informandomi con la dovuta cautela, venni a sapere che era stato assessore in quota P.C.I. nel vicino Comune di Borgonovo e che era inquisito per presunte violazioni di norme nella concessione credo di licenze di commercio. Una vicenda che si trascinava già da qualche anno che ovviamente lo stava preoccupando non poco. Come ho evidenziato, con la giustizia non sai mai come finisce – l’insieme del sistema normativo italiano è talmente complesso da consentire ogni interpretazione, può sempre esistere un codicillo minore che ti porta all’errore sia pure in buona fede ma che sempre errore rimane – e il prezzo da pagare può essere altissimo. Nel suo caso come minimo l’interdizione dai pubblici uffici e il licenziamento per quanto al lavoro presso l’Usl in quanto ente pubblico. Per tacere del discredito e delle chiacchiere in paese e dell’essere stato “abbandonato” dal Partito (che, come affermato dagli esponenti locali e provinciali, “restava ad attendere le conclusioni dell’azione della magistraturaalla quale si esprimeva massima fiducia” – classica frase rituale d’occasione che per quanto all’interessato in concreto non significa nulla se non appunto la possibile sensazione d’abbandono -). Insomma, una vita segnata profondamente da quel fatto che trovava la sua origine – mi raccontò – in una denuncia forse anonima da parte di un avversario politico – che purtroppo sospettavo fosse aderente al mio stesso Partito, fronte craxiano – e con l’obiettivo di indirettamente screditare il Sindaco comunista e la giunta di sinistra più che il diretto interessato semplice capro espiatorio appunto di un contenzioso politico più generale. Beh, quella vicenda stava cambiando la vita del collega e amico. In termini di equilibrio personale, di sicurezza, di convinzioni. Aveva abbandonato il Partito e i compagni che considerava traditori nei confronti dei quali aveva maturato un’acredine che l’avrebbe spinto a scelte opposte ovvero il cercar rifugio innanzitutto tra le braccia della Chiesa e in seguito nell’abbraccio con la moderazione e la conservazione politica più spiccata (eppure diventammo amici, come dicevo: era un bravo ragazzo e soprattutto una persona onesta, comunista, democristiano o leghista che fosse stato o fosse). Nonostante questo appunto diventammo amici tantoché, quando anni dopo finalmente venne assolto o comunque il processo ebbe termine (non ricordo se subentrò la prescrizione dopo anni di udienze e di rinvii) fui uno dei primi a saperlo, festeggiammo insieme la sua libertà, il riconoscimento della ritrovata riconosciuta dignità. Fermo restando che appunto quell’esperienza restò un marchio indelebile nella sua vita cancellando per sempre ogni ipotesi di svolgere da parte sua un ruolo da protagonista, di rappresentanza politica e sociale nella gestione dell’interesse pubblico. Senza peraltro ignorare che anni dopo gli venne diagnosticato un problema di salute che poteva anche essere conseguenza della tensione, delle paure, dello stress causato da quegli anni di indagini e di udienze processuali senza fine. Quello stesso problema di salute che non molti mesi fa lo ha portato alla fine del suo cammino tra noi.
Così analogamentge oggi siamo a recitare il requiem sulla possibile carriera politica del Sindaco di Cerignale (peraltro già ex Sindaco, immediatamente sospeso dal Prefetto all’indomani della incarcerazione). Ma se domani venisse assolto o comunque ridimensionato il quadro accusatorio (ipotesi quest’ultima che mi sembra più che ipotizzabile rispetto all’ipotesi costituzione associazione a delinquere)?
Ricordiamolo: nel 1994 – se non ricordo male – il p.m. attivo a Piacenza, Grassi, rinviò a giudizio tutti i 90 componenti dell’assemblea dell’allora Unità Sanitaria Locale n. 2 di Piacenza per presunte irregolarità nella realizzazione dell’allora nuovo ospedale. Un procedimento che immediatamente sembrò esorbitante rispetto a quei “politici di bassissimo profilo” colpevoli forse di aver alzato una mano al momento del voto seguendo le più e meglio approfondite indicazioni delle segreterie dei partiti. Come ricordava in un recente commento il Commissario dell’epoca nominato dalla Regione al vertice dell’Usl, alla fine vennero assolti tutti e questo costò all’ente pubblico 850milioni del vecchio conio in rimborsi spese legali. In pratica pagammo tutti noi. Insomma, la ricerca della Giustizia talvolta può avere costi molto alti tanto personali quanto collettivi.
Così rischiano di pagare in termini di minori servizi, minori finanziamenti, minori realizzazioni, i 60 residenti circa di Cerignale (155 al censimento del 2011 ma appunto in realtà sono molti a vivere in pianura per motivi di lavoro), splendida realtà tra i monti dell’Appennino a 700 metri s.l.m. lontano dall’arteria stradale principale. Se quest’anno si interromperà il flusso turistico richiamato proprio dalle realizzazioni del Sindaco e dell’attuale giunta comunale, come potrà sopravvivere l’unica bottega alimentare aperta proprio grazie all’iniziativa di Massimo?
Quesito che può essere posto, magari in tono minore essendo meno corposo il quadro dei reati ipotizzati, anche per Roberto Pasquali, Sindaco dal 1985 di Bobbio agli arresti domiciliari. Nel suo caso non ne vanto conoscenza personale, so però che se per quanto all’ospedale della Montagna appunto di Bobbio oggi sembrano arrivare finanziamenti di rilancio questo è in buona parte il risultato dell’azione e dell’impegno di Pasquali.Tutto qui.
Certo, se – sia pure, si crede, nell’ottica del risultato e dell’interesse della comunità interessata – questi amministratori hanno adottato metodi che possiamo chiamare “scorciatoie“, inevitabilmente devono essere ricondotti all’interno delle regole del sistema e quindi “pagare” il giusto. Ma era veramente necessaria tanta spettacolarizzazione e drammaticità dell’azione? Non bastava avvisarli dell’indagine ormai in corso addirittura da anni e rinviarli a giudizio con tanto di regolare successivo processo? Veramente dobbiamo ritenere che sia ad essi riconducibile la volontà di costituzione di un’associazione a delinquere (roba da rinchiuderli gettando la chiave della cella nell’acque azzurre della Trebbia) quando – per quanto a conoscenza – non sembrano evidenziarsi rilevanti profitti economici personali? Per questo, ferme restando le responsabilità e l’arresto per quanto agli imprenditori e ai funzionari pubblici direttamente coinvolti, credo sia doveroso esprimere invece solidarietà ai Sindaci per la decisione dell’arresto immediato degli stessi. Era assolutamente inevitabile? Potevano forse reiterare i reati, inquinare le prove già raccolte?Al Procuratore e al Giudice delle Indagini Preliminari l’ardua risposta.
Concludendo, l’ultima riflessione. Il Giudice per le indagini preliminari, Luca Milani, ha sostenuto che le popolazioni dell’Alta Val Trebbia erano consapevoli della situazione di malaffare imperante tantoché l’azione investigativa era suffragata da molte segnalazioni (anonime?) oltreché da Comitati costituiti in base a specifiche singole scelte di gestione amministrativa. Ma restiamo sul caso delle eventuali segnalazioni anonime. Anche questo mi fa riflettere. La competizione politica spesso basa sul dileggio dell’avversario e appunto sulla segnalazione (spesso anonima) da parte di qualche contendente interessato. Segnalazione che talvolta addirittura trova la propria genesi nel “fuoco amico“, ovvero colleghi di Partito espressione però di “cordate” alternative (ogni Partito si differenzia in correnti o gruppi spesso in conflitto). Così, ritornando a quell’aprile 2012 e al mio avviso di garanzia, pochi mesi dopo (a luglio) due amministratori legati al PD nominati quali amministratori (Presidente e VicePresidente) in un ente pubblico locale, a seguito di fatti risalenti al 2010 e a successivi interrogatori da parte del Nucleo Investigativo dei Carabinieri agente di concerto con l’Ispettorato del Lavoro, ricevettero a loro volta un avviso di garanzia con l’accusa di peculato e truffa ai danni di quell’ente causato dall’uso indebito nel 2010 della carta ricevuta per spese di rappresentanza (si parlava di spese tra i 35 e i 55mila euro). Non so da quale fonte arrivò alla Procura la notizia del fatto, ma per entrambi fu il capolinea dell’avventura politica, peraltro con il sospetto appunto che alla base ci fosse un caso di “fuoco amico“. Alla fine tutto bene: nel 2017 quanto al Presidente dell’ente arrivò l’assoluzione piena ma nel frattempo si era dimesso dalla responsabilità della segreteria provinciale del Partito. Quanto al VicePresidente, inizialmente condannato (escludendo tuttavia l’accusa della truffa) fu poi assolto in sede di ricorso. Quindi, per entrambi, se fosse vero che l’indagine era iniziata da segnalazioni anonime, il castello accusatorio si sciolse come neve al sole fermo restando che per entrambi l’avventura politica giunse a traguardo, lasciando di fatto spazio ad altri pretendenti interessati. Ecco perché anche nel caso odierno sarei molto cauto: sui social ora sono tanti a parlare di malaffare in Alta Val Trebbia e “di situazione nota ai più” (tutti inquisitori ma nessuno che abbia mai denunciato apertamente salve le numerose segnalazioni anonime). Beh, io andrei con i piedi di piombo in merito. Il ruolo sindacale mantiene sempre un certo fascino. In termini di potere, di immagine pubblica, di ruolo, di possibili benefici – leciti – anche personali. E lo sport preferito da bar spesso è proprio il dileggio, la denigrazione gratuita da parte degli avversari, da chi ha visto un interesse personale posposto ad un interesse collettivo e dagli aspiranti a quella determinata posizione oppure infine per semplice contrasto di opinione politica o per fatto privato personale con l’amministratore del caso.Bene, quindi restiamo in attesa degli sviluppi ma per quanto mi riguarda, mentre Carabinieri e magistrati svolgono il loro lavoro, ritengo doveroso aderire al Comitato a sostegno del Sindaco Massimo Castelli costituito dai residenti di Cerignale perché, come turista affezionato a quel piccolo borgo, “non dimentico il bene fatto” nell’interesse della comunità e quindi nell’interesse pubblico in uno Stato appunto al servizio delle comunità e delle piccole marginali comunità in particolare. Perché se i Sindaci, fagocitati da imprenditori troppo disinvolti, hanno sbagliato è giusto paghino nella giusta misura (e già l’essere a processo è un modo che punisce le persone coinvolte) ma il “modello Montagna” e cioè che l’unico modo per sopravvivere dei piccoli comuni è l’affermazioneche devono essere le regole operative soprattutto nella complicata materia degli appalti ad essere definite ad hoc perché Cerignale o Zerba non sono Milano e nemmeno Bologna o Roma (dove le regole e le leggi vengono scritte in base alle realtà metropolitane).
Un intervento di Antonella Lenti, giornalista professionista, dal suo blog “Il Taccuino”
QUIRINALE, alla fine tutti hanno tirato un sospiro di sollievo. Anche questa volta sfangato il rischio di precipitare. Il nome è Sergio Mattarella, unico a dare garanzie per buona parte dei mille riuniti nel parlamento.Arrivato dopo sei giorni di vera e propria agonia politica vista in diretta sugli schermi televisivi. Il nome di Mattarella era lì sul tavolo da mesi perché, non tanto in fondo, molti pensavano che questa eventualità si sarebbe alla fine presentata. Probabilmente temuta dallo stesso presidente uscente e rieletto che non ha mancato di evidenziare in ogni consesso pubblico che se ne sarebbe andato. Deve aver pensato “ripetiamolo, chissà mai che non lo abbiano capito”. Poi è andata come forse lo stesso presidente Mattarella dentro di sé temeva. I capi partito aveva avuto modo di conoscerli nei 7 anni trascorsi. E così è stato dopo una settimana in cui alle Camere hanno recitato un copione da far piangere anche i più benevoli. Non ho titoli per discutere. Non ho titoli per commentare su questo argomento. Mi prendo il diritto di dire la mia come cittadina di questo paese. Sì, Mattarella era già fin dall’inizio l’unica possibilità presente in un contesto che dava segni di scollegamento totale e lo spettacolo che ho visto andare in onda ininterrotto sugli schermi televisivi ha superato ogni possibile terribile aspettativa. Mattarella si sa è amato, è stato invocato perché accettasse un bis al suo mandato, un altro come lui forse non c’è… In tanti lo hanno detto: in questo momento è la garanzia di tenuta di tutto… Con tutto il rispetto per le persone anziane, con tutto il rispetto per il presidente della Repubblica per la sua statura, per la sua cultura, per la sua storia personale, per la sua umanità dimostrata in tante occasioni eccetera eccetera… resta comunque un fatto che è indipendente dalla figura del presidente della Repubblica ma che investe la capacità di un sistema politico di procedere, di migliorare, di interrogarsi e di andare avanti. E’ questo il punto su cui vorrei riflettere.
Andare avanti come paese civile e democratico è una prospettiva possibile solo se all’interno della stessa comunità politica ci si apre al mondo esterno, si guarda oltre le loro stanze e soprattutto se la spinta a crescere riguarda anche un progresso di figure su cui investire nel futuro. Questo passa attraverso due elementi che sembrano sconosciuti e che non si possono tacere.
Una è la questione anagrafica (giovani considerati o un problema o ignorati completamente) e l’altra è una questione di genere (donne queste sconosciute, meglio scansarle). Entrambi costituiscono uno spaccato di cittadine e cittadini che viene agitato come specchietto per allodole e che, una volta serviti alla bisogna per incantare un po’ la platea di chi guarda, rientrano nella solita sfera della retorica di cui sono sempre ammantate e in cui vengono riposte. Quindi ecco la domanda che mi sono posta riguardo al presidente della Repubblica. Perché possiamo produrre solo presidenti ottuagenari? Non siamo in grado di avere una classe dirigente giovane (che sia degna di essere una classe dirigente?) in grado di produrre un ricambio nel governo delle istituzioni di questo paese? Sempre, quando si parla di ricambio, s’intende il colore delle casacche che s’indossano. S’intende la parte di qua o la parte di là, anche in questo caso si è fatto un gran discutere di schieramenti. Bene. Vorrei ricordare che c’è anche un altro ricambio di cui si deve tenere conto e di cui non si parla mai e, peggio ancora, per il quale non si lavora mai. E’ il ricambio generazionale che, assieme al ricambio di genere, rappresenta una doppietta di novità che decisamente manca in questo paese cosiddetto civile, democratico come raccontiamo di essere. E’ un condizione, quella di essere civili e democratici, che si ottiene se un paese non resta fermo e che, da che mondo è mondo, democrazia e civiltà si compiono attraverso l’apporto di persone diverse per età, genere, posizione sociale. Persone diverse che si avvicendano, si passano il testimone, dagli anziani ai giovani, da uomini a donne in pari posizione. Permetterebbe di far tesoro dell’esperienza precedente mentre si lavora per andare avanti. Così potrebbe crescere una società. Non succede. Osservo con tristezza che non avviene. Ogni volta è una ripartenza partendo dagli stessi schemi. In fondo è sempre stato così, ha funzionato… perché cambiare? E’ come se fossimo una famiglia indolente che rinuncia ad essere dinamica e volesse (in eterno) far conto di sopravvivere sul lavoro del nonno. Una famiglia che volesse non crescere mai per non assumersi delle responsabilità, per prendere il testimone che il nonno può passare loro. Così mi è sembrato lo spettacolo delle Camere riunite per l’elezione del presidente della Repubblica. Come si esce da una situazione in cui un paese non intende crescere? Come si esce se non siamo capaci di crescere? Attingiamo di volta in volta alle grandi risorse di persone che hanno dato ampiamente il loro contributo alla società, ma non per far tesoro della loro esperienza e arricchire il bagaglio di chi verrà dopo e che prenderanno il testimone, ma semplicemente con l’intento di spremere ancora quella loro grande esperienza? Francamente li ho cercati, ma non vedo altri paesi in queste condizioni.
E poi le donne. A tristezza si aggiunge tristezza. Usate. Usate. Usate. Solo per cercare di sfuggire all’imbuto in cui si era finiti e poi abbandonate (come era prevedibile). E lo si è fatto cercando di salvare la faccia sostenendo che nella corsa al Quirinale le donne erano state prese in considerazione. Giustificazione spudorata addotta senza neppure l’ombra di imbarazzo (vergogna) nel rivendicare il “primato”. In politica come nella vita di tutti i giorni, nel lavoro, nei rapporti interpersonali sempre di più si vince se fai parte della cerchia. O ci sei dentro o non ci sei dentro. Sono sempre più impermeabili e nelle cerchie non passi. Anche in politica come nella vita, come nel lavoro, come nei rapporti interpersonali l’ascensore sociale è guasto. Da decenni. Un paese così. Con buona pace di giovani e donne di cui peraltro si continua a parlare. A loro si plaude con una spocchia ipocrita che tante volte rasenta l’offesa. Basterebbe solo comportarsi in modo diverso. Sarebbe chiedere troppo: “abbiamo sempre fatto così”.