Cara maestra Un giorno m'insegnavi Che a questo mondo noi Noi siamo tutti uguali Ma quando entrava in classe il direttore Tu ci facevi alzare tutti in piedi E quando entrava in classe il bidello Ci permettevi di restar seduti Mio buon curato Dicevi che la chiesa È la casa dei poveri Della povera gente Però hai rivestito la tua chiesa Di tende d'oro e marmi colorati Come può adesso un povero che entra Sentirsi come fosse a casa sua Egregio sindaco Mi hanno detto che un giorno Tu gridavi alla gente Vincere o morire Ora vorrei sapere come mai Vinto non hai, eppure non sei morto E al posto tuo è morta tanta gente Che non voleva né vincere né morire
Ninna nanna, pija sonno ché se dormi nun vedrai Tante infamie e tanti guai che succedeno ner monno Fra le spade e li fucili de li popoli civili De la gente che se scanna per un matto che commanna Che se scanna e che s’ammazza a vantaggio de la razza E a profitto de una fede per un dio che nun se vede Ma che serve da riparo ar sovrano macellaro
Che quer covo d’assassini che c’insanguina la terra Sa benone che la guerra è un gran giro de quattrini Che prepara le risorse pe li ladri de le borse Fa’ la ninna, cocco bello, finché dura ‘sto macello Fa’ la ninna, che domani rivedremo li sovrani Che se scambieno la stima, boni amici comme prima
So cuggini e fra parenti nun se fanno comprimenti Torneranno più cordiali li rapporti personali E riuniti fra de loro, senza l’ombra der rimorso Ce faranno un bel discorso su la pace e sul lavoro Pe quer popolo cojone, risparmiato dar cannone
Contro i fucili, carri armati e bombeh Contro le giunte militari, le tombe Contro il cielo che ormai è pieno di tanti ordigni nucleari Contro tutti i capi al potere che non sono ignari
Contro i massacri di Sabra e Shatila Contro i folli martìri dell'Ira Contro inique sanzioni, le crociate americane Per tutta la gente che soffre e che muore di fame
Contro chi tiene la gente col fuoco Contro chi comanda ed ha in mano il gioco Contro chi parla di fratellanza, amore e libertà E poi finanzia guerre e atrocità
Contro il razzismo sudafricano Contro la destra del governo israeliano Contro chi ha commesso stragi, pagato ancora non ha Per tutta la gente ormai stanca che vuole verità
Contro tutte le intolleranze Contro chi soffoca le speranze Contro antichi fondamentalismi, nuovi imperialismi Contro la poca memoria della storia
Contro chi fa credere la guerra un dovere Contro chi vuole dominio e potere Contro le medaglie all'onore, alla santità Per tutta la gente che grida, "Libertà"
I generali si sono riuniti in massa Proprio come le streghe per le messe nere Menti malvagie che pianificano distruzione Stregoni della costruzione della morte Nei campi bruciano i corpi Mentre la macchina da guerra avanza Morte e odio per la razza umana, Avvelenando le menti già plagiate Oh Dio yeah!
I politici si nascondono Hanno solamente iniziato la guerra Perché dovrebbero andare là fuori a combattere? Lasciano questo ruolo al povero
Il tempo dirà cosa sarà delle loro menti potenti Fanno la guerra solo per divertimento Trattando le persone come i pedoni degli scacchi, Aspettando che arrivi il giorno del giudizio
Ora nell’oscurità il mondo smette di girare, Ceneri dove bruciano i corpi I Maiali della Guerra non hanno più il potere, E Dio, mentre fa battere l’ora, Chiamando il giorno del giudizio I maiali della guerra strisciano sulle ginocchia, Implorando pietà per i loro peccati Satana, ridendo, spiega le ali
Giacigli di fango rossastro
schiudono al primo sole
la nascosta ferita.
Una bambola rotta
intrisa di sangue
accanto ad un piccolo corpo
supino.
Mani tese, impietrite,
fendono l'orizzonte
come piccoli arbusti
riarsi.
Occhi socchiusi, senza luce,
bocche aperte in un grido
muto.
Esili gole recise;
ferite d'agnello prescelto
per un dio risvegliato.
Il fumo di Auschwitz
si rialza nel cielo,
lo stesso silenzio
di Hiroshima
nell'aria.
Un uomo alimenta
l'inceneritore;
occhi sottili
sopra il panno
calato sul viso,
mani precise
al lavoro.
Fucile a tracolla.
Pure, un tempo,
i suoi pomelli bruni
s'increspavano
in tenui sorrisi,
i suoi occhi fremevano
alla vista di un sogno.
Luccicavano di pianto.
La sua piccola mano
stringeva
un giocattolo rotto.
Ora respira morte.
Lingua di Babilonia,
fiato di Geenna.
Sparge al vento
la sua parte di cenere.
Certo non sa che semina
in ogni sua manciata
mille piccole braccia
protese dalla terra
ad impugnare
una bambola risorta.
Sabra e Shatila erano due campi di rifugiati palestinesi alla periferia di Beirut. Furono teatro del feroce massacro di un numero di inermi arabi palestinesi, stimato tra diverse centinaia e 3500, tra cui un gran numero di bambini, perpetrato da milizie cristiane libanesi in un’area direttamente controllata dall’esercito israeliano, tra il 16 e 18 settembre del 1982.
(NdR) Venerdì 15 dicembre 2023, alla libreria Postumia a Sant’Antonio (PC), Francesco Saverio Bascio ha proposto la lettura della sua lirica “Soltanto cenere … e basta” in occasione dell’iniziativa BASTA ARMI, #sempredallapartedellapace
E cerco ancora
nell'oscura follia
di nascondermi ai momenti
la polvere è così fitta
e le piccole ali ormai
impastano soltanto il sangue
con il fango
senza stelo di paglia alcuno
e mentre l'acqua delle lacrime
scende
e si attacca al cuore
le ultime rondini cadono giù
e le cerco
le cerco ancora
vagando tra le fitte
tra le grondaie vuote
tra i balconi rotti
tra le case senza tetti
e tutto ciò che tu... supremo
hai detto che era mio
già non mi appartiene
(NdR) Nunzio, nato nel novembre 1938, con la poesia racconta della sua infanzia, quando Piacenza di notte veniva bombardata: era la guerra, morta la pietà, le bombe venivano giù, palazzi crollavano.
Urla di tardive sirene
ci hanno buttati giù dal letto:
scoppi, lampi
sono bombe che vengono giù.
La casa trema
la notte pare giorno.
Vengo preso
e sollevato,
avvolto
e quasi arrotolato,
nella trapunta
che stava sopra il letto.
Mio padre
mi prende in braccio
e mi porta via
correndo
verso il rifugio
all'angolo della strada.
Fuori c'è freddo e quel gelo,
comparato al tepore
all'interno della trapunta
in cui giaccio stretto,
mi dà una sensazione di benessere,
di sicurezza, di protezione.
Contento
e beato,
mi stringo
al petto
di mio padre,
e sono felice.(NdR) Nunzio è nato nel novembre 1938. Con la sua poesia racconta della sua infanzia, quando Piacenza di notte veniva bombardata.
Lascia agli altri cantare la pace
l’amicizia, la fratellanza e l’armonia.
Lascia agli altri il canto delle cornacchie
qualcuno strillerà tra le rovine nei miei versi
verso la nera civetta che caccia detriti di torri di colomba.
Lascia ad altri cantare la pace
mentre il grano si consuma nei campi
desiderando l’eco dei canti dei mietitori.
Lascia ad altri cantare la pace.
Mentre laggiù, oltre il filo spinato
nel cuore del buio
si stringe la tenda delle città.
I loro abitanti,
insediamenti di tristezza e paura
e la tubercolosi della memoria.
Mentre laggiù, la vita si spegne,
nella nostra gente,
negli innocenti, che mai fecero del male in vita!
E qui, nello stesso tempo,
molti hanno vissuto…in così tanta ricchezza!
I loro avi lasciarono tanta ricchezza per loro
e anche, ahimè, per altri.
Questa eredità –il dolore degli anni-appartiene a loro adesso!
Quindi lascia che gli affamati mangino a sazietà.
E lascia che gli orfani mangino gli avanzi dal banco del rancore.
Lascia che altri cantino la pace.
Nella mia terra, tra le sue coline e i suoi villaggi
la pace è stata uccisa.
L’autunno
vecchio eremita dei monti
scende giù
a placare il caldo pazzo.Dentro al cuore
curo i graffi della luna
che gira e rigira
ai margini del pozzo
lontana dal mio mare
dove impervia adesso
come sempre la bufera
con il sangue degli umani.Poi si stacca dalle foglie
e scende giù senza la fune
nella carrucola del tempo
e nell’acqua di quel cerchio
tremante
riflette tutte quelle stelle.
O voi che cadete ! Ogni giorno
E non è ancora il vostro autunno
Bambini, donne e giovani…
Voi cadete strappati dalle mani…
Dall’infamia del vostro destino
Alla vita! Io grido ai vostri assassini
A chi ha tritato le vostre case
E le vostre povere esistenze
Qual terrore è più spietato!
Qual terrorismo è più giustificato?
Vi è negato persino l’esilio…
Ma voi non avreste mai abbandonato
Il vostro paese tanto amato!
Amata gabbia, patria, qual volo è più soave
qual tragedia ora è più grave?
E il mondo davanti al vostro assassinio…?
Tace e vi guarda come rifiuti
Lui che ha germogliato i vostri lutti
E ora che dell’autunno siete i caduti
O voi che cadete! Vivrete tutti…
la terra amata è il vostro giaciglio
Io spero leggerà
egregio Presidente
la lettera presente
se tempo mai ne avrà.
La posta mi darà
prima di domattina
la vostra cartolina
che in guerra m’invierà.
Ma io non sarò mai
Egregio Presidente
il boia o l’assassino
di gente come me.
Mi creda ma non è
per darle del fastidio
in cuore ho già deciso
che io diserterò.Mio padre non c’è più
i miei fratelli andati
e i figli disperati
a piangere con me.
Mia madre come lui
è dentro la sua tomba
e i vermi od una bomba
che cosa cambierà.
Quand’ero in prigionia
qui tutto mi han rubato
la moglie, il mio passato
la mia migliore età.
Domani mi alzerò
e sbatterò la porta
in faccia alla memoria
e in strada me ne andrò.Di carità vivrò
sulle strade del mondo
e a tutti fino in fondo
io questo griderò
“Non obbedite più
gettate le armi in terra
e basta con la guerra
restatevene qui!”
Se sangue servirà
Egregio Presidente
c’è il suo, se mi consente
lo dia a chi ne vorrà.
La legge violerò
lo dica ai suoi gendarmi
io armi non ne ho…
“La mia canzone non è per nulla antimilitarista ma, lo riconosco, violentemente filo-civile”. Se c’è una canzone che più di tutte è stata uno dei simboli del pacifismo e della disobbedienza civile, questa è senza dubbio Le Déserteur, scritta nel 1954 dal francese Boris Vian. Eravamo all’inizio del 1954. La guerra in Indocina stava volgendo al termine, mentre un’altra – sempre con protagonista la Francia – stava per cominciare: la guerra d’Algeria. Il 15 febbraio di quell’anno, Boris Vian e Harold Berg mettono la firma in calce al manoscritto di una canzone dal titolo Le Déserteur. Il testo è la lettera di un obiettore di coscienza indirizzata direttamente al Presidente francese, che dichiara la propria volontà di disertare. Il testo non lascia spazio a mezze misure, né a fraintendimenti.
O uomo sconciato come una fossa
in te si lavano le mani i servi,
i servi del delitto
che ti cambiano veste parola e udito
che ti fanno simile a un fantasma dorato.
Viscidi uccelli visitano le tue dimore
sparvieri senza volto
ti legano i polsi alle vendette
degli altri
che vogliono dissacrare il Signore.
O guerra, portento di ogni spavento
malvagità inarcata, figlia stretta
generata dal suolo di nessuno
non hai udito né ombra:
sei un mostro senza anima che mangia
la soglia
e il futuro dell’uomo.
Avevo una scatola di colori,
brillanti, decisi e vivi.
Avevo una scatola di colori,
alcuni caldi, altri molto freddi.
Non avevo il rosso per il sangue dei feriti,
non avevo il nero per il pianto degli orfani,
non avevo il bianco per il volto dei morti,
non avevo il giallo per le sabbie ardenti.
Ma avevo l’arancio per la gioia della vita,
e il verde per i germogli e i nidi,
e il celeste per i chiari cieli splendenti,
e il rosa per il sogno e il riposo.
Mi sono seduta,
e ho dipinto la pace.