Ci sono persone che non possiamo dimenticare, che non invecchiano, che continuano a vivere anche se non ci sono più, tali e quali a come le ricordiamo. Ci sono luoghi che non sono mai cambiati, nel nostro cuore, nella nostra mente, nei nostri sentimenti. E ci sono momenti della nostra vita che sono passati in un soffio, ma sono ancora vividi e reali, seppure in un’altra dimensione. C’è un paese, il mio paese. Vi sono nata, vi sono cresciuta, me ne sono andata quando mi sono sposata. Oggi è irriconoscibile, ma nella mia mente è sempre uguale. Il bar del Gianni, la merceria, i giardini pubblici, la farmacia. Le persone sono inventate, ma è come se fossero quelle che ho conosciuto. Le storie sono inventate, ma avrebbero potuto essere vere. Gli anni Sessanta, ero bambina, ne ho nostalgia. Racconto del mio paese, quello di una volta, che in me non è mai cambiato. Vi strapperò un sorriso e forse anche un sospiro di rimpianto.
Perché ho scritto questo libro?
Il paese in cui sono nata, Carpaneto, da cui manco da trent’anni, a cinquanta chilometri da dove abito ora. Il bar del Gianni, dove la nostalgia trasporta i miei pensieri. Perché non scrivere qualcosa che appartiene al mio passato, ma che a volte è più vivo e presente che mai? Erano i mitici anni Sessanta, c’era voglia di fare, di creare un futuro, di lavorare. C’era cameratismo, forse ci si voleva più bene. Forse ammantiamo i ricordi di buoni sentimenti, travisando la realtà. Mi sono raccontata una storia.
Il libro di Mara può essere prenotato in pre-ordine (con uscita a luglio 2019) collegandosi al link https://bookabook.it/libri/bar-del-gianni/ al costo di € 10,00. Obiettivo minimo 250 pre-ordini entro i prossimi 99 giorni (diciamo entro il 20 gennaio prossimo, una ottima occasione per sè e per magari un bel regalo natalizio ad amici e parenti che possono conoscere le storie e le atmosfere di ‘quel’ paese della bassa contadina d’anni fa).
A dodici anni mi chiesi quanto fosse difficile scrivere un libro. Pensai che non lo avrei mai saputo fino a che io stessa non lo avessi fatto. Così nacque il mio primo “libro”. Da lì in poi non ho più smesso di scrivere. Felicemente sposata con Lorenzo da trent’anni, madre orgogliosa di Luca da 21, mi divido tra la scrittura, la lettura, i viaggi, l’arte e tanto altro. Premiata da Garinei nel 1996, da Sgarbi nel 1999, ho vinto altri premi, di cui sono orgogliosa. Nel tempo libero dal lavoro cerco di vivere appieno la vita, dalla quale poi traggo gli spunti per le mie storie.
Quel maggio del 2014. Quel mese ha rappresentato e rappresenta un momento importante della mia vita.
Era di maggio, nel 1968, quando un mondo giovanile in pacifica rivolta, ‘mettendo dei fiori nelle bocche dei cannoni’, contestava ‘ciò che spesso era mascherato con la fede, i miti eterni della patria o dell’eroe, tutto ciò che è falsità, le fedi fatte di abitudine e paura, una politica che è solo far carriera, il perbenismo interessato, la dignità fatta di vuoto, l’ipocrisia di chi sta sempre con la ragione e mai col torto’. Pretendevano (sognavamo) maggiore giustizia, libertà, equità per tutte le classi sociali, comprese quelle degli ultimi e degli invisibili.
Era di maggio quando iniziava il percorso di vita comune con Dalila, oggi compagna da 37 e moglie da 33 anni.
Era ‘Il maggio’ il circolo culturale del quale sono stato presidente ed era di maggio, nell’ormai lontano 1983, il mio primo giorno di lavoro nella sanità pubblica piacentina.
Ancora: era quel maggio del 2014 quando appariva nelle vetrine delle librerie piacentine “Piacenza poesia, poeti all’ultimo km della via Emilia”, un’iniziativa di Eugenio Gazzola, editore in Piacenza: proponeva la prima antologia in versi all’ombra del Gotico che, unendo passato recente e presente, accomunava venti sognatori nati, vissuti, viventi dalle parti dei cavalli del Mochi e, tra quei venti, stavano le mie poesie.
Ma non solo: era quello stesso maggio del 2014 quando in via Pace, a pochi passi dalla piazza del culto e dei colori del mercato, s’inaugurava il Museo della Poesia per iniziativa di Massimo Silvotti. Un’esperienza, nel tempo a seguire, che è stata innanzitutto di grande umanità. Mi ha avvicinato ad altri poeti, tra loro mi sono confuso, a loro accomunato, da loro arricchito. Massimo, Carla, Stefano, Sabrina, Alberto, Paolo Maurizio, Giusy, Ottavio, Maria Teresa, Luca, Enrica, Gilda, Eugenio, solo per citarne alcuni tra i tanti.
La poesia è fatto individuale, ogni poeta un piccolo mondo a sé stante, ogni poeta con il suo bagaglio, il suo metodo, il suo stile, la sua visione. Ognuno col suo modo di vedere il mondo, di provare stupore e ‘maraviglia’ di fronte alla bellezza e alla profondità dell’essere e del vivere, ciascuno lungo un sentiero suo e suo soltanto di espressione, di modo, di metodo, di visione.
No, non esiste un movimento poetico piacentino e tuttavia, grazie al piccolo museo, ho avuto, abbiamo avuto la possibilità di conoscerci, di ascoltarci, di proporci, di confrontarci, di crescere insieme individualmente pur ciascuno con il suo proprio essere diverso. Nella città, con e per la città. Che ha dimostrato di aver bisogno dei suoi poeti, di scoprirli, di ascoltarli, di essere accompagnata da quella capacità di uscire dal gelido materialismo di una quotidianità purtroppo orientata sempre meno alla materia dei sogni, delle illusioni, delle speranze, delle utopie che poi comunque sia pur in piccola parte dobbiamo riuscire e riusciamo, tutti insieme, poeti, cultori e semplici uditori della visione onirica, a trasformare in schegge e frammenti presenti nella nostra odierna realtà.
Così mi associo alla preghiera di quanti altri mi hanno preceduto sulle colonne del quotidiano Libertà: non abbia a finire quel piccolo sogno, non siano i calcoli dell’arida economia (il costo ‘interessante’ fissato nel contratto di locazione) a sopprimere l’illusione e la speranza, quella piccola isola racchiusa laggiù, un po’ nascosta dietro quel portone di via Pace, a due passi dalla piazza del culto e dei colori del mercato. Che diventi patrimonio della città, di chi governa questa nostra città, che si identifichi, tra tanti palazzi vuoti sovente in stato di abbandono, una sede, un luogo ‘magico’ che dia ancora respiro a quella che è e deve continuare ad essere un’esperienza patrimonio di tutti.
Vedo. Vedo un’oasi e, lo so bene, si tratta di certo di un miraggio, immagine evanescente ed inconsistente. Vedo l’ex mercato ortofrutticolo lì alla Lupa, di fianco alla stazione delle corriere, tra gas da cattiva carburazione e fumi di scarico, locali oggi abbandonati, rifugio degli invisibili e dei topi che s’aggirano tra le immondizie, vedo riaprire le saracinesche ed apparire botteghe di artigiani dell’arte, pittori, collanari, artisti di strada, grafettari, musici, cantori, illustratori e, al centro, un luogo permanente dedicato alla poesia, un museo nuovo che come araba fenice sorge sulle ceneri del passato.
Stupore, maraviglia, ma perché devo riaprire gli occhi alla desolata realtà? Si studia economia, si sviluppa ingegneria, s’allarga la logistica, nessuno spazio per la poesia. Anche qui sorgerà un altro ‘albero di trenta piani’ in ferro e cemento? Povera, povera la mia città.
Claudio Arzani
(intervento pubblicato da Libertà, quotidiano di Piacenza, nell’edizione di sabato 3 dicembre 2016)
Qualche giorno fa un amico, Ivano Marchioni, dopo aver commentato con stupore l’interesse (che lui pensava sepolto dalla polvere del tempo) sugli eventi di riferimento del mio ultimo libro (“Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo“, appunto i trent’anni passati dall’incidente nucleare di Chernobyl con gli effetti che ancora interessano la nostra quotidianità), quell’amico dicevo ‘pescava nel torbido’ sosteneva che “è l’ora di pensare ad un nuovo libro“.
Penso non si rendesse conto. Mai svegliar il pennaiolo (che par) dormiente! Nulla sapeva e men che meno immaginava quel buon Ivano, del rischio che correva (perchè ovviamente lui ora, colpevole di sollecitazione, non potrà evitare l’acquisto).
Eccolo dunque. Una raccolta di racconti, ‘Un arco nel portaombrelli‘.
Pronta la copertina, in questi giorni Fabio Martini, promotore dell’iniziativa, porterà i file dall’editore per la stampa e a Natale il libro sarà in libreria in almeno 15 città di questo nostro BelPaese, le città dove risiedono i 15 autori narranti.
Per parte mia sarà da leggere la storia della bella Maria Florencia, italo-argentina, nipote di Agostino e Giuseppina, pioverini d’inizio secolo, nati nell’alessandrino vicino alle acque del Tanaro, al crepuscolo dell’Ottocento, 1896 lui, 1897 nonna Giuseppina, in bilico tra la fine delle illusioni del Risorgimento e le musiche ballerine della Belle Epoque. Emigrati per sfuggire alla miseria seguita alla fine della Grande Guerra e alla violenza del regime che stava prendendo il potere con la connivenza dei Carabinieri e del Re.
Una nuova avventura, quando verrà Natale, insieme ai racconti di Roberto Furcillo da Salerno, Amanda Buissan Ferrer da Perugia, Antonio Martone da Napoli, Daniela Silvestri da Pordenone, Angela Luisa Malino da Genova, Miguel Capriolo da Torino, Fabio Martini da Pescara, Annalinda De Toffol da Padova, Stefania Balsamo da Palermo, Marco Belli da Frosinone, Tiziana Lari Scatarzi da Firenze, Sandro Scardigli da Empoli, Massimo Guizzo da Savona, Susan Moore da Milano.
Che dire? Buona lettura, carissimo amico profeta Ivano.
Protagonista questa sera all’ombra del porticato di Santa Fara a Bobbio la tragedia dell’incidente nucleare nella centrale V.I. Lenin di Chernobyl. Sono passati trent’anni da quella notte quando una catena di errori umani provocò il risveglio del feroce, incontrollabile, terribile drago che vomitò fuoco radioattivo nei cieli dell’Europa.
Il libro racconta in particolare di quando l’invisibile, impalpabile pioggia radioattiva arrivò in Italia e nella zona di Caorso in particolare mentre per tutta la mattina i vessilli rossi della festa dei lavoratori avevano riempito le piazze del BelPaese.
Arriva la nube radioattiva, titolavano i quotidiani, ma nessun problema per l’Italia. L’elemento che focalizzava l’attenzione dei media e dell’occidente era il silenzio delle autorità russe: per due giorni nessuno aveva avuto notizia del disastro del quale si era avuta percezione solo grazie ai rilievi dell’aumentata radioattività in Scandinavia. Insomma un’attenzione più alla ‘critica politica’ che non una percezione della drammaticità della situazione.
Nessun problema? Non era così, infatti e purtroppo: due giorni dopo si scoprì che le mucche al pascolo in quella giornata di splendido sole, in quel 1° maggio di festa, presentavano dati di contaminazione.
Al primo racconto fatto di molte verità romanzate, nel libro ne seguono altri per poi passare alle testimonianze, alle immagini, alla rassegna stampa di quel lontano maggio di paura, alle poesie, alle illustrazioni Edoardo, fino all’attualissimo problema delle scorie radioattive che residuano anche nei depositi della ‘nostra’ Caorso, di Arturo, la più grande centrale nucleare italiana, quel cilindro argentato che svetta nella pianura padana custodendo al suo interno un altro drago per ora dormiente.
La presentazione avviene a Bobbio non a caso. Certo nell’importante cornice dell’iniziativa organizzata dalla Municipalità e dalla casa editrice (rappresentata da Bruna Boccaccia e da Daniela Gentili) ma soprattutto richiamandosi alle associazioni che da anni operano nel territorio piacentino per accogliere i ‘bambini di Chernobyl‘ temporaneamente accolti proprio in Val Trebbia.
Chernobyl e la centrale sono nel territorio dell’Ucraina ma al confine con la Bielorussia. Mentre però l’Ucraina riceve contributi da tutto il mondo per affrontare e superare i problemi della radioattività del terreno, pochissime risorse arrivano a Minsk che pure ha subito e subisce i danni maggiori. Infatti l’economia bielorussa era basata sulla produzione di legname e sull’agricoltura ma ancora oggi radioisotopi di diversa natura impregnano gli alberi delle foreste e i terreni per esempio rendendo pericolosissimi i funghi e minacciando gli abitanti col rischio soprattutto di tumori alla tiroide.
Per questo, a trent’anni di distanza, il drago di Chernobyl mantiene tutta la sua drammatica attualità e, insieme ai ‘bambini di Chernobyl’ che periodicamente vengono ospitati nel nostro paese e che stasera ascolteremo a Bobbio, un grazie particolare va agli ‘angeli di Chernobyl‘, ovvero chi da anni si fa carico di trovare famiglie disposte ad ospitare per un mese, per due mesi all’anno questi ragazzi contribuendo a rafforzare le loro difese immunitarie: parliamo di Adele Mazzari, già Preside dell’Istituto scolastico del Comprensorio di Bobbio che stasera presenterà il libro, di Carmela Caserta, Presidente del gruppo di accoglienza ‘Le rondini di Chernobyl‘ che racconterà la sua esperienza di accoglienza e di adozione, di Annibale Gazzola, Presidente del gruppo di accoglienza Travo-Val Trebbia che non potrà essere presente ma la cui testimonianza è presente nel libro.
Ma non solo: si prevede anche l’intervento di Agostino Zanetti che lascerà la testimonianza di un viaggio fatto nel 2008 nella ‘Exclusion zone‘ e per concludere la lettura da parte di Daniela Gentili di alcuni brani in prosa mentre Dalila Ciavattini presenterà una poesia già premiata a Cortemaggiore, “La foresta rossa di Chernobyl”.
A conclusione della serata infine, l’attore Luca Isidori con Elisabetta Pallavicini proporranno una piece dedicata ai Quattrocento anni dalla morte di William Shakespeare.
Presenza eccellente stasera a Bobbio nell’ambito della Settimana della letteratura organizzata da Bruna Boccaccia e Daniela Gentili ovvero Pontegobbo edizioni. Andrea Vitali, prolifico scrittore (sono praticamente 50 i romanzi pubblicati dei quali almeno 11 best seller) e medico di professione presenta la sua ultima fatica, ‘Le mele di Kafka’.
Ispirato da un aneddoto legato a un soggiorno a Lucerna del grande scrittore Kafka, Vitali mette in scena il meglio dei suoi personaggi. Abramo, quello della ferramenta di Bellano, è un giocatore di bocce quasi imbattibile. Ora ha tutte le carte in regola per vincere le semifinali del Campionato provinciale in programma domenica prossima. Ma c’è un intoppo. Suo cognato, l’Eraldo, quello che vive a Lucerna, sta male. Quarantotto ore gli hanno dato i medici di là, svizzeri, precisi. E adesso la moglie di Abramo, Rosalba, vuole a tutti i costi raggiungere la sorella, ma soprattutto dare all’Eraldo un ultimo saluto, magari un ultimo bacio. Ma ce la faranno ad andare e a tornare in tempo per le semifinali? Dipende. Se l’Eraldo muore entro martedì, mercoledì al massimo, si può fare. Bon, via allora. Un’occhiata al 1100, olio freni gomme; carta d’identità rinnovata all’ultimo minuto; prima tappa il passo del San Bernardino, poi giù dritti fino a Lucerna.
A Giangiacomo Schiavi, vicedirettore al Corriere della Sera fino al settembre 2015, l’impegno di intervistare l’uomo di Bellano, il tranquillo paese in costa lecchese del Lago di Como.
Sarà invece Stefano Quagliaroli, docente, ad introdurre Stefano Ghigna e il suo romanzo ‘Il lato oscuro dei giorni‘ edito da Pontegobbo, una novel story ambientata nella verde e rigogliosa Val Trebbia e per l’esattezza ai tempi bui del Medioevo. Violenze, stupri, scontri, esecuzioni affliggono i giorni. I precetti della Chiesa impregnano gli animi, scandiscono il tempo, guidano persone e atti. Un servo della gleba, intelligente e curioso, in fuga dal feudo dei Landi di Niviano, tra avventurose vicende e incontri significativi, sale oltre il livello di strumentale oggetto di lavoro. Passioni travolgenti e dolorose complicazioni si intrecciano a serene ore di lavoro e di studio presso l’Abbazia di Bobbio. Finché nel 1348 la Peste Nera si abbatte sui destini umani. Corpi di ogni rango e di ogni età, a migliaia, colmano le fosse comuni. Il notaio De Mussi, dolente cronista di quei giorni, dà a Piacenza il merito di testimonianze, ovviamente rare, e all’autore gli stimoli per imbastire storia e fantasia lungo le vallate del Trebbia. Imperdibile.
Prosegue la settimana tra i libri nei porticati di piazza Santa Fara e nel chiostro di San Colombano a Bobbio. Stasera, alle 21, intervistata da Nicoletta Bracchi, Elena Stancanelli presenta il suo romanzo ‘La femmina nuda’, candidato al Premio Strega. Elena (Firenze, 1965) ha scritto romanzi e racconti, tra questi Benzina (1998; Premio Giuseppe Berto), Firenze da piccola (2006), A immaginare una vita ce ne vuole un’altra (2007), Mamma o non Mamma con Carola Susani (2009) e Un uomo giusto (2011). Collabora con “la Repubblica”.
Si riporta dal sito dell’editore ‘La nave di Teseo’:
“Anna è una donna intelligente, bella, con un lavoro interessante, ma di colpo tutto questo non serve più. Dopo cinque anni la sua storia d’amore con Davide affonda in una palude di tradimenti, bugie, ricatti. E la sua vita va in pezzi. Si trasforma in un’isterica, non dorme, non mangia, fuma e si ubriaca ogni sera per riuscire ad addormentarsi. Compulsivamente inizia a frugare nel telefonino di lui, nelle chat, sui social. Non sa cosa sta cercando, non sa perché lo sta cercando. Per un anno rimarrà prigioniera di quello che lei stessa chiama il regno dell’idiozia, senza riuscire a dirlo a nessuno. Questo racconto è la sua confessione, sotto forma di lettera, a Valentina, la sua più cara amica, che l’ha vista distruggersi sera dopo sera. Anna dice tutto, senza pudore. I dettagli umilianti e ridicoli, l’ossessione, la morbosità. Anna somiglia a tutti noi, che combattiamo questa guerra paradossale che chiamiamo amore. Ogni tanto vinciamo, più spesso perdiamo. L’unica cosa su cui possiamo sempre contare, l’unica capace di indicarci i nostri confini, i nostri bisogni, è il corpo. E sarà al corpo che Anna si aggrapperà per sconfiggere il dolore.”
In seconda serata la presentazione di ‘Invecchiamento – Istruzioni per l’uso‘, il libro edito da Pontegobbo edizioni col quale Renato Zurla, medico geriatra con tanti anni di professione alle spalle e tanti libri scritti e divulgati, propone un vademecum, un vero e proprio ‘portolano della salute’, da tenere sempre a portata di mano, per essere consultato in ogni momento della giornata, dagli anziani e non solo, perché a invecchiare bene si comincia da giovani. Una testimonianza, da usare come aiuto e sostegno all’invecchiare in maniera fisiologica, come guida nella scelta di uno stile di vita corretto. Ad introdurre l’evento Elisabetta Pallavicini, bibliotecaria.
Infine, a conclusione della serata, l’attrice Sara Marenghi porterà nel mondo di Miguel De Cervantes a 400 anni dalla morte dello scrittore spagnolo.
Apre stasera a Bobbio la “Settimana della letteratura” organizzata da Pontegobbo edizioni con la collaborazione della Municipalità e sarà appunto il Sindaco, Roberto Pasquali, a dare il via ai ‘lavori’.
I 70 anni dal riconoscimento del diritto di voto alle donne sono il tema che caratterizza questa prima serata, un traguardo quello del diritto di voto che è il risultato di un lungo percorso attraverso la trasformazione della condizione, del ruolo e dell’immagine della donna. La battaglia per il suffragio femminile, è costata alle poche donne in prima linea, sacrifici personali, vessazioni e un malcelato disprezzo. In Italia per legge la donna era ritenuta incapace e quindi soggetta alla tutela dell’uomo. Aveva bisogno dell’autorizzazione maritale per donare, alienare beni immobili, non poteva gestire i soldi guadagnati con il proprio lavoro, non aveva il diritto di esercitare la tutela sui figli legittimi, né quello ad essere ammessa ai pubblici uffici.
La conquista dell’uguaglianza giuridica e la parità dei diritti, risulta il frutto di un cammino lento, irto di ostacoli, in un periodo di grandi avvenimenti storici che coinvolgeranno le donne come mai si era visto prima: la grande industrializzazione con l’accesso di migliaia di operaie nel mercato del lavoro, la Prima Guerra che vede le donne impegnante anche in lavori di responsabilità, ma anche il fascismo che, nonostante voglia le donne angeli del focolare e soprattutto prolifiche madri, con le organizzazioni femminili fasciste finisce involontariamente per farle uscire dalle case e modernizzarle. Il grande salto avviene con la lotta partigiana, schierate fianco a fianco agli uomini, le donne si affacceranno nell’Italia del dopoguerra con una nuova consapevolezza e, il 31 gennaio 1945 con l’estensione del diritto di voto firmato dal Governo provvisorio guidato da Ivanoe Bonomi, diventano per la prima volta cittadine a tutti gli effetti.
A celebrare l’importante traguardo Ermanno Mariani, giornalista e scrittore, e Filippo Zangrandi, giornalista. A seguire le ricerche degli studenti degli istituti di Bobbio e Calendasco.
Nella seconda parte della serata Mariani presenterà l’ultima sua fatica letteraria, Stuka su Piazza Cavalli, il libro che analizza le fasi embrionali della lotta armata nel Piacentino.
Infine un focus sui cento anni di Natalia Ginzburg, con Maria Grazia Cella, docente.
Lumturi Lume Plaku è una scrittrice e poetessa nata in Albania. Fuggita dal suo paese nel 1981, è approdata in Italia, a Taranto prima, quindi inviata a Piacenza. Per dieci anni ha vissuto a Ponte dell’Olio. Dopo aver conseguito il diploma di Mediatrice culturale, collabora a diversi progetti dedicati al tema della multiculturalità. Nel 2005 ha ricevuto dal Comune di Piacenza il premio Nada per la sua storia di donna coraggiosa. Ha scritto diversi libri di poesie e racconti nella sua lingua madre, un romanzo bilingue e l’ultimo lavoro, “Mi Manchi“, in italiano (fatto che la rende emozionata e naturalmente orgogliosa).
Nel libro l’autrice racconta l’Albania, l’amato paese natale, prima della sua partenza, le condizioni che hanno costretto tante persone ad andarsene e le difficoltà del viaggio. In evidenza inoltre 100 poesie riferite alle diverse stagioni della vita di Lume, a volte delicate come una brezza estiva o il tocco d’ali di una farfalla sui petali di un fiore, altre volte grandi onde nella tempesta, che con forza si infrangono contro la roccia, quasi a voler svuotare un grande dolore.
Instancabile la penna di Carmelo Sciascia, artista e filosofo, osservatore delle cose del mondo con impressioni e riflessioni che propone attraverso il quotidiano cittadino Libertà e, non lo dimentichiamo, spesso attraverso questo blog, Arzyncampo. Siamo ormai giunti alla quarta raccolta annuale e, ne possiamo star certi, la lunga strada non vede ancora l’ultimo chilometro. Ma perchè ‘note’? Così si chiamano, in redazione, le opinioni che spesso accompagnano la prima pagina o comunque rappresentano un approfondimento dei fatti di cronaca, di politica, della cultura. In attesa della presentazione del pomeriggio vale la pena rileggere la nota scritta (quella volta per presentare Carmelo) in occasione della precedente presentazione:clicca qui.
Il festival Bologna In Lettere è un luogo di incontro tra autori, performer, critici ed editori nel quale stimolare e generare un dibattito sulla letteratura, in particolare la poesia, che vada oltre la promozione del singolo testo, e che sviluppi ricerca, condivisione e scambio attraverso la multi-disciplinarietà. Naturale in questa ottica mantenere la completa gratuità degli eventi e il profilo internazionale delle proposte. Lateralmente, il festival promuove concorsi per adulti e ragazzi, redazione e pubblicazione di libri, antologie e cataloghi, organizzazione di convegni, workshops ed eventi letterari, al fine di promuovere la realtà bolognese quale punto focale della diffusione della letteratura contemporanea. La IV edizione si svolgerà nel mese di maggio 2016 (12-13-14, 20-21 e 27-28). Siamo alla ricerca degli spazi che accoglieranno gli eventi, la proiezione di cortometraggi, le esposizioni di fotografia e poesia visiva, le performance, i workshop e i momenti conviviali.
SARÀ PIÙ FACILE CON IL VOSTRO AIUTO! A PARTIRE DA LUNEDÌ 15 FEBBRAIO 2016 E PER 40 GIORNI PUOI SOSTENERE IL NOSTRO CROWDFUNDING! COME?
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Grazie per il tuo contributo Lo staff di BOLOGNA IN LETTERE 2016
Durante la Seconda guerra mondiale, in alcuni campi di concentramento nazisti, venne effettuata sperimentazione umana usando come cavie i deportati. Tali esperimenti sono stati ritenuti crudeli, al pari di quelli operati nello stesso periodo dall’Unità 731 dell’esercito giapponese, e per questo medici e amministratori coinvolti furono condannati per crimini contro l’umanità in alcuni Processi secondari di Norimberga. I fini dichiarati erano in molti casi quello di verificare la resistenza umana in condizioni estreme o di sperimentare dei vaccini, ma in alcuni casi i fini non sono riconducibili ad altro che alla perversione del personale medico. Particolarmente raccappriccianti le ricerche condotte sui gemelli monozigotici. Gli esperimenti erano condotti da Josef Mengele, ad Auschwitz e Birkenau. Le ricerche partivano da misurazioni meticolose e assolutamente precise di comparazione fra i gemelli (che erano di ogni nazionalità, ma soprattutto ungheresi, senza distinzione di sesso, età o altro dato genetico se non l’essere gemelli). Dopo aver misurato e indagato ogni singolo centimetro del corpo dei gemelli, appurate le eventuali differenze fra fratelli, i soggetti venivano addormentati con un’iniezione di Evipan sul braccio e poi uccisi con un’iniezione di cloroformio fatta personalmente da Mengele direttamente nel cuore. I corpi venivano a questo punto sezionati e studiati dall’interno. Pare che il 15% dei gemelli esaminati sia stato ucciso in questo modo o durante qualche operazione chirurgica. Nella foto: il MURO DELLA MORTE tra il blocco 10 (dove venivano condotte le sperimentazioni) e il blocco 11 (dove erano le celle, la cella 18 dove si moriva di fame, la cella 20 dove si moriva per soffocamento, la cella 22 dove si moriva murati vivi). Siamo nel campo di concentramento di Auschwitz, il muro è stato ricostruito per ricordare quanti proprio lì furono fucilati.
Un grande professore universitario docente di filosofia, come sua consuetudine ormai da 20 anni, arriva in aula e scrive alla lavagna.
COME O AMATO TE NON O MAI AMATO !!!
Con una voce triste come non mai, chiede ai suoi alunni. Cosa ho scritto?
Tutti imbarazzati tacciono. Dai, dice il prof è facile da leggere. Una ragazza si alza e legge:
COME HO AMATO TE NON HO MAI AMATO!!!
Bene, dice il profesore. Ieri sera ho invitato a cena una donna che è stata capace di farmi sentire nel profondo del mio cuore queste parole. Ci siamo frequentati per 2 mesi. Le nostre anime hanno vibrato insieme, tutto era meraviglioso. Ieri volevo chiederle di sposarmi. L’ho portata a cena. Tutto era favoloso. Lei era favolosa. Sentivo la mia voce strozzarsi in gola. Ho tirato fuori il mio quaderno ,ne ho strappato un pezzetto e come si faceva da bambini le ho scritto:
COME O AMATO TE NON O MAI AMATO !!!
Come un bambino, mi aspettavo di vedere sorgere un sorriso sulle sue meravigliose labbra. Il suo viso si è spento. Ha iniziato a piangere. Si è scusata perchè non riusciva a trattenersi ed è andata via. Incredulo, l’ho rincorsa . Volevo, DOVEVO sapere perchè di quella reazione. Alla fine mi ha risposto: Tu sei un grande professore di filosofia. Io una stimata professoressa di lettere. Come puoi aver commesso quell’errore ? Non riesco a crederci , NON RIESCO !!!
Avrei potuto spiegargli che lo avevo fatto consapevolmente solo per fingere di essere tornati bambini. Per dimostrarle che l’amore che provo per lei è capace di trasportarmi a quando non sapevo distinguere una O da una HO. Ma in quell’ attimo ho capito. Amarsi non è essere perfetti. Amarsi non è fare sempre la cosa giusta. Lei cercava un amore perfetto. Io non l’avrei mai resa felice. Sono stato zitto.
RAGAZZI CERCATE DI NON AMARE LA FORMA AMATE IL CONTENUTO!!!
Quando la poesia perde la sua natura selvaggia perde il suo potere di comunicazione, rimane imprigionata nella gabbia dei pochi “eletti” e diventa microscopica, perde la sua naturale massa perdendo di fatto quella massa di fruitori in costante scambio poetico, quando la poesia perde il potere di comunicazione perde il suo naturale linguaggio universale diventando il ghetto di quel pugno di mosche che continuano a parlare a se stessi. Quando lo scrittore perde il lettore, ha perso il suo vero mondo di comunicazione e inesorabilmente muore nella banalità delle inconsapevolezze. Oggi auguro buona vita a quella poesia che ancora riesce a parlare ai suoi lettori, quella poesia che evade dalle gabbie per tornare libera e universale.
Il mese magico di maggio che ho vissuto merita una riflessione passando attraverso l’uscita dell’antologia con 20 poeti piacentini io per primo (grazie all’ordine alfabetico), il reading in biblioteca a Piacenza voluto da Barbara Petruzzi, il reading a Milano con Michael Rothenberg, Terri Carrion e il gotha artistico all’ombra della Madùnina, alla Casa dei Diritti di via De Amicis.
Facciamone occasione per due riflessioni sulla mia esternazione poetica. Le mie poesie? Sembrano più parole per musica. In altri termini, non poesia. Canzoni. E spesso noto, in chi lo afferma e lo commenta, un sostanziale distacco, una presa di distanza, l’attestazione di un quid minoris. Alé, touché. Poeta? Canzoniere? Artista? Hobbista?
Certo, c’è assolutamente del vero, un pizzico di tutto un pò. Il punto è: quale l’intento del poeta? Rivolgersi ad una platea dei pochi capaci d’intendere una lirica complessa, profonda, interiore. Per dirne unoi, facciamo Dante Alighieri. Oppure parlare al cuore dei tanti, gente semplice di facile orecchio e magari scarsa cultura intellettual-poetica? Per intenderci: la cultura intellettual-poetica definita dai culturi della poesia, quella poesia che in libreria nemmeno la trovi poiché non si vende, son ben pochi i lettori della poesia, di quella poesia.
Purtroppo. Perché semplice o complessa che sia la poesia va letta sempre, va letta tutta. E ascoltata. Per farsi l’orecchio.
Certo. Sì, non voglio essere un poeta. Non ‘quel’ poeta. Sono un cantore, un po’ saltimbanco, un po’ menestrello senza musica ma con parole per musica. Raccontastorie. Che talvolta, orecchiabili, vanno e parlano al cuore della gente, che ascolta, recepisce la storia, il messaggio per nulla nascosto. Non sottinteso, da interpretare, da immaginare. Esplicito. Io non sono Dante, non sono Gabriele, non sono Paolo. Paolo chi? Non so, ci sarà pure un Paolo poeta ed io non voglio essere quel Paolo, nessun Paolo. Perchè io sono io, semplicemente, solamente io. Con le mie storie. In versi e in prosa.
Arrovellarsi per definire quale e cosa sia poesia? Ma perché? Chi ha diritto di stabilire chi o cosa?
Non è la forma quella che conta, è quel che dici e il suo impatto. A ciascuno la scelta di come dirlo, di come poetare, di come cantare, di come raccontare e nessuno può giudicare. Se non chi ascolta, che forse condivide uno e non l’altro. E c’è chi condivide uno e chi condivide l’altro. Chi sente scaldare il cuore dalla voce di Ungaretti e chi dal canto di De André. Io DeAndreizzo, altri Danteggiano. Poesia è libertà individuale.
Anni fa ho partecipato ad un concorso fotografico. Con due giurie: quella composta da cinque autorevoli esponenti della cultura, dell’arte, del giornalismo. Nemmeno presa in considerazione, la mia immagine. Erano tre lampioni di quelli lungo collo e la lampada lassù, che poteva essere la testa. Tre lampioni di sghimbescio, come tre dinosauri erbivori a passeggio. Nemmeno presa in considerazione. Poi il verdetto della giuria popolare, i visitatori della mostra realizzata con tutte le fotografie. Alcune centinaia di voti (non ricordo esattamente quanti). Di questi, la larga maggioranza ha premiato i miei tre dinosauri, senza badare alla realtà dei tre lampioni. Avevano parlato al cuore di quei visitatori, i dinosauri. Oppure erano i lampioni? Chissà. E comunque non importa. Comunque hanno votato. Capito, sognato, ascoltato il rombo delle possenti zampe col terreno che tremava. Senza se e senza ma. Non la tecnica. L’idea. Perché quel che conta è l’idea, la sensazione, il messaggio trasmesso.
Fare poesia ed ecco gli approdi. I reading in biblioteca a Piacenza, il reading a Milano alla Casa dei Diritti, l’antologia con le mie poesie. Fare poesia. Ma prima ancora certo leggere, leggere, continuamente leggere. Dante, Petrarca, Verlaine, Ovidio, Orazio, Leopardi. Poi. Ascoltare, ascoltare, ascoltare. Nei reading. I poeti affermati e i poeti novelli, quelli grandi, quelli medi, quelli sconosciuti. Per crescere, migliorare, perfezionare i propri metodi di comunicazione, di espressione, in modo che quei versi nei quali amalgamiamo le nostre verità sappiano diventare condivisione da parte di chi ascolta. Insomma. Ascoltare per farsi ascoltare, per farsi capire.
Purtroppo a Piacenza, come a Milano, il pubblico era miserello, pochello, pochello. Forse la poesia fa paura? Sono i poeti a far paura? Sono i poetoni che presenta la scuola invece di insegnarci ad amare la poesia, ad esprimerci in poesia, a farci paura? Eppure siamo tutti poeti, abbiamo tutti qualcosa da trasmettere, da indirizzare al cielo, siamo in tanti a scrivere. Relegando spesso, forse per vergogna, forse per timore, quei versi in un cassetto. Così siamo in pochi ad ascoltare. A leggere. Credetemi, un vero peccato.
Certo per me è stato emozionante recitare o sentir recitare le mie poesie. Ma addirittura impareggiabile ascoltare le poesie così diverse dalle mie di Guido Oldani, di Pino Ballerini, di Carla DelMiglio, di Anna Bassi, di Maddalena Freschi, di Enrica Lisoni, di Adam Vaccaro, di Eugenio Mosconi, di Serenella Gatti Linares, di Giusy Cafari Panico, di Pina Piccolo, di Barbara Petruzzi.
Per questo dico e ribadico, scrivete, leggete ma soprattutto ascoltate, gente, ascoltate. Poesia. Ogni poesia in ogni forma di poesia. Perchè la poesia fa bene e ci fa scoprire che siamo tutti poeti. Dunque, fuori i versi da quei cassetti. A/traVerso la poesia puntiamo tutti all’arcobaleno che in forma di aquilone ci porta oltre l’azzurro cielo.
Con il reading “Dai labirinti della violenza alle zagare dell’amore, poesia per il cambiamento“, alla Biblioteca Giana Anguissola è stata celebrata in versi la Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, attraverso la partecipazione delle componenti del gruppo di Bologna del movimento “100Thousand poets for change”, al quale aderiscono anche i piacentini Barbara Petruzzi, ideatrice dell’iniziativa, e Claudio Arzani, che già il 28 settembre a Roma aveva preso parte all’evento dei centomila poeti per il cambiamento tenutosi in contemporanea in tutto il mondo per sensibilizzare sulla cultura della pace. Alla Giana Anguissola l’attenzione si è soffermata su poesie di denuncia della violenza sulle donne da parte degli uomini (spesso i mariti o comunque loro familiari) e di tutte le violenze, espresse in modo distruttivamente tragico nelle guerre, ma anche nel ladrocinio delle classi dominanti che agiscono promulgando leggi ingiuste o meramente difensive dei loro interessi di casta. Lo sguardo ha abbracciato anche le subdole forme di violenza nei confronti dei più deboli fino a spingerli al suicidio, aprendosi però poi pure alla speranza legata ai sentimenti. Dopo l’introduzione di Giusy Cafari Panico, si sono alternate le letture di: Serenella Gatti Linares (autrice del “Progetto Patchwork: una rete di Poesia delle Donne”), Giovanna Gentilini, Marina Mazzolani (direttrice artistica del Festival Ddt Diversi teatri della diversità/Diversi dirompenti teatri” di Imola), Pina Piccolo (autrice di poesie su migrazione, razzismo, politica internazionale, diritti umani e ambiente), Meth Sambiase (vincitrice nel 2011 del Woman in Art sezione poesia) e Mirella Santamato (poetessa e giornalista), oltreché di Arzani e Petruzzi. Nel corso del pomeriggio è stata inoltre presentata l’antologia 100 Thousand poets for change-Bologna primo movimento, edizioni Qudulibri, raccolta delle poesie recitate da 129 poeti nel settembre 2012 in luoghi diversi del capoluogo emiliano e si è parlato del libro 100 Thousand Poets for Change. Italia, 28 settembre 2013, scaricabile gratuitamente sul sito dell’editore romano Albeggi e che comprende anche la poesia di Arzani, associato al gruppo romano su invito di Ilaria Catastini grazie alla rap-presentazione tenuta a Gropparello nello scorso maggio Fango, lacrime e fame, 1937-1945 un popolo tra guerra e pace, ispirata all’esperienza sul fronte russo del borgonovese Federico Chiesa, il cui diario è stato pubblicato dall’editrice Scritture. Una suggestione speciale è giunta, infine, dai landai, brevissimi componimenti delle donne afghane, spesso limitati ad appena due versi, che il gruppo Gimbutas è impegnato a far conoscere.
La poesia è l'arte di usare, per trasmettere un messaggio, il significato semantico delle parole insieme al suono e il ritmo che queste imprimono alle frasi; la poesia ha quindi in sé alcune qualità della musica e riesce a trasmettere emozioni e stati d'animo in maniera più evocativa e potente di quanto faccia la prosa.
Una poesia non ha un significato necessariamente e realmente compiuto… come un brano di prosa, o, meglio, il significato è solo una parte della comunicazione che avviene quando si legge o si ascolta una poesia; l'altra parte non è verbale, ma emotiva.
Poiché la lingua nella
poesia ha questa doppia funzione di vettore sia di significato sia di suono, di contenuto sia informativo sia emotivo, la sintassi e l'ortografia possono subire variazioni (le cosiddette licenze poetiche) se questo è utile ai fini della comunicazione complessiva.
Ma credo che la
poesia esca dal cuore,l'hai dentro di te e come un disegno esce dal foglio bianco perchè gia era impressa in esso, l'anima si rivela in versi.