Sistema sanitario al collasso:”Urge nuova riforma perché non imploda”. L’articolo-resoconto pubblicato da Antonella Lenti per il periodico Corriere Padano

Si pubblica il resoconto della giornalista Antonella Lenti relativamente alla posizione sindacale in merito alla situazione della sanità pubblica piacentina ricordando che comunque non sarà certo dalla costruzione di un nuovo ospedale delocalizzato che potranno risolversi gli attuali enormi problemi legati in particolare alla situazione di grande sofferenza relativamente alla sanità del territorio.

Ex clinic< Bwlvsxwew attuakmente in stato d’abbandono: potrebbe diventare il primo OSCO (Ospedale di Comunità) piacentino

Sanità, da qualunque punto la si guardi i problemi e le emergenze
non mancano. Vecchie e nuove e forse hanno una sola matrice la
convinzione-scelta, sedimentata da anni, che il sistema
universalistico, fiore all’occhiello delle civiltà avanzate europee e
finanziato con la fiscalità generale, nel nostro paese non può
restare in equilibrio. Fino a che punto questo è un fatto oggettivo e
quando diventa una scelta politica convinta?


Una domanda che oggi si va facendo sempre più cogente. Lo si
vede dalle difficoltà del sistema che si ripercuotono sui cittadini
costretti sempre di più a rivolgersi a servizi privati per trovare
risposte che nel pubblico faticano ad avere in tempi ragionevoli.
Finanziamenti ridotti, tagliati o negati, aumento della richiesta di
servizi per le cronicità sono una miscela che rischia di far
esplodere tutto se non si provvede.

Ci sono due fattori che hanno preparato il terreno alle condizioni
che si vedono oggi: i tagli continui e ripetuti degli ultimi 30 anni e
il progressivo invecchiamento della popolazione che pone una
domanda sempre più alta di servizi e di presa in carico.
Come fare allora? Attivi su questo tema anche i sindacati, insieme
a diverse associazioni, che hanno programmato una
manifestazione nazionale tenuta il 24 giugno proprio sulla difesa
della sanità pubblica come diritto costituzionale di tutti i cittadini
e intitolata “Articolo 32: salute, diritto fondamentale delle persone
e delle comunità”.

Promotore un gruppo inter-associativo “Insieme per la
Costituzione” a cui, oltre ai sindacati Cgil, Cisl e Uil aderiscono
diverse associazioni che hanno illustrato i contenuti dell’iniziativa.
Presenti il segretario Cgil Ivo Bussacchini con Bruno Carrà e
Stefania Pisaroni per il sindacato e quindi Romano Repetti (Anpi),
Antonella Liotti (Arci), Angela Cordani (Federconsumatori)
Giuseppe Castelnuovo (Legambiente).
Tra gli scopi della manifestazione – hanno ricordato – ci sono “la
tutela del diritto alla Salute per un Servizio Sanitario Nazionale e
un sistema socio sanitario pubblico a cui garantire le necessarie risorse economiche e organizzative ma soprattutto il personale per contrastare il continuo indebolimento
della sanità pubblica, recuperare i divari nell’assistenza
effettivamente erogata, a partire da quella territoriale e dalle liste
d’attesa, e valorizzare il lavoro di cura.

Alla base della manifestazione di piazza la richiesta di “un piano
straordinario pluriennale di assunzioni che vada oltre le
stabilizzazioni e il turnover, superi la precarietà della cura e di chi
cura per garantire la salute e la dignità delle persone non
autosufficienti, per la tutela della salute e sicurezza sul lavoro,
rilanciando il ruolo dei servizi della prevenzione, ispettivi e di
vigilanza. “La sicurezza sul lavoro e la salute vanno di pari passo
– ha ricordato Bruno Carrà – gli infortuni mortali sul lavoro nel
2022 in Italia sono stati 1090 (tre morti al giorno) e gli infortuni
assommano per lo stesso periodo a 700mila e, se vogliamo dare un
dato piacentino, eccolo: nei primi quattro mesi del 2023 gli
infortuni da noi sono stati 1.440. Una questione grave che
richiama a gran voce il rilancio del sistema di prevenzione,
ispettivo e di vigilanza e, in secondo luogo, la necessità di non
concedere finanziamenti alle imprese che non rispettano i
protocolli di legalità”.

Avere una sanità pubblica – sostengono gli aderenti a Insieme per
la Costituzione – vuol dire garantire le cure per tutte e tutti, in tutto
il Paese, e fermare la privatizzazione della sanità e della salute”.

Un sistema da riformare perché non imploda

Di recente l’assessore alla sanità della Regione Emilia Romagna
Raffaele Donini ha parlato della necessità di riformare il sistema
per evitarne il collasso e quindi il progressivo smantellamento e la
conseguente privatizzazione che, per certi aspetti, è già in atto.
“Ciascuno di noi – ha richiamato Romano Repetti (Anpi)
nell’incontro con il sindacato – si trova già nelle condizioni di
rivolgersi obbligatoriamente
ai servizi a pagamento per accelerare gli esami ed accertamenti.

L’interrogativo che si pone dunque è come riformare, senza
ridurlo, il livello delle prestazioni ai cittadini. È qui la vera sfida
che sembra quasi rasentare l’impossibile. Al momento i problemi
maggiori sono due e investono anche il sistema piacentino: da un
lato la carenza di medici e infermieri soprattutto in certi reparti. In
primis quello dell’emergenza che colpisce i Pronto soccorso – i
concorsi sono andati deserti – come anche la rianimazione e le
terapie intensive dove si registra la carenza di anestesisti, ma nella
stessa situazione si trova anche la medicina di base con una
mancanza preoccupante dei medici di medicina generale.
“La situazione nella nostra realtà si può dire drammatica non solo
per alcuni reparti ma per tutte le 24 categorie professionali della
sanità – segnala Stefania Pisaroni, sindacalista Cgil. Una
situazione – ha proseguito – che sta portando, in assenza di
finanziamenti, ad allungare le liste d’attesa”. Finanziamenti che,
per quanto si sta profilando a livello nazionale non arriveranno.
Un fatto grave che porta a penalizzare quelle regioni che, in tempi
di pandemia, hanno predisposto (e pagato) servizi e interventi
previsti a livello statale e che ora non vengono rimborsati.
“Tra le regioni più attive – ricorda a questo proposito il segretario
della Camera del lavoro di Piacenza Ivo Bussacchini – c’è la
regione Emilia Romagna. Quello che sta succedendo non è altro
che il frutto di una scelta politica che agisce su un sistema
sanitario che si trova in grande affanno. Sì, non ci sono dubbi: è
una scelta politica di parte”.

Rivedere il piano sanitario locale del 2017

Sul fronte sanitario a Piacenza c’è una piattaforma – presentata
nel novembre dello scorso anno – in cui si chiede la revisione del
piano sanitario provinciale “Futuro in salute” perché confezionato
nel 2017 prima della pandemia.

È evidente che quell’esperienza ha completamente messo in discussione tutte le scelte di politica sanitaria adottate fino a quel momento. Anche su questo il
coordinamento di sindacati e associazioni è concorde nel ritenere
che quel piano debba essere riaperto, ridiscusso chiedendo,
soprattutto, che le nuove indicazioni siano confrontate con il
territorio.

“Non devono restare decisioni ad esclusiva valutazione da parte
dei tecnici – rimarca Giuseppe Castelnuovo di Legambiente e del
Coordinamento medicina territoriale. Se è indubbio che ci sono
problemi nazionali (il numero chiuso nelle università oppure la
scelta di non finanziare le borse di specializzazione) a livello
locale è necessario fare di più per la sanità territoriale. Ogni
giorno arrivano segnali che aggravano la preoccupazione sul
venire meno di servizi fondamentali per il territorio come per la
chirurgia a Fiorenzuola o per la Rianimazione a Castel San
Giovanni, ogni giorno porta una carenza per i futuri servizi…”.
Anche sul tema della Case della Comunità (ex Case della salute)
l’orizzonte non è molto chiaro secondo il sindacato. È esplicito il
segretario Bussacchini. È fondamentale – dice – definire quale
modello di sanità si vuole seguire. Questo comprende tutto il
sistema: le 6-7 Case della Comunità, gli ospedali territoriali fino
anche al nuovo ospedale. La sua sollecitazione tocca un nervo
fondamentale: dare gambe ai presupposti fino ad ora solo elencati
nei programmi teorici. “Ma vediamoli nel concreto questi
progetti” Esorta. Bussacchini poi, riferendosi alla prospettiva
dell’uso tecnologico come la diffusione della telemedicina su cui
si punta anche attraverso gli investimenti strutturali, si dice
convinto che questo non potrà avvenire da un momento all’altro
ma che sarà necessaria una fase di transizione e di passaggio. E
quindi la domanda implicita: il sistema sanitario attuale è pronto
per gestire questa fase delicata?

Secondo associazioni e sindacati resta dunque più che valida la
richiesta avanzata alcuni mesi fa di rivedere il piano provinciale
sanitario che è datato 2017 e quindi non considera la “rivoluzione”
imposta dall’esperienza condotta durante la pandemia da Covid 19.

“Il modello di sanità che vorremmo
dovrà essere incentrata sull’integrazione tra servizi sanitari e
servizi sociali con una riorganizzazione della Rete ospedaliera che
dovrà essere più flessibile con strutture ospedaliere modulari, più
tecnologiche e inserite in modo ottimale nel contesto urbano e
territoriale. È con queste caratteristiche – sottolineava tra l’altro il
documento sindacale – che si dovrà realizzare il nuovo ospedale di
Piacenza, senza penalizzare ma valorizzando il ruolo e la funzione
degli ospedali periferici (Fiorenzuola, Castelsangiovanni,
Ospedale di montagna di Bobbio). È indispensabile inoltre
completare la pianificazione delle strutture territoriali per garantire
una reale continuità di cura tra ospedale e territorio anche al fine
di intercettare precocemente i bisogni di salute: Dovrà essere data
priorità al completamento e a nuove realizzazioni di Case di
Comunità con riferimento a quanto previsto dalla Missione 6 del
Pnrr”.

Investimenti sì, ma l’insoddisfazione resta alta

Su una griglia generale insiste una realtà locale la cui voce si fa
sentire più da vicino. Ci sono aspetti peculiari di cui la sanità
piacentina ha sempre sofferto e riguarda i tempi di attesa nodo
cruciale per la risposta al bisogno di salute. Si fa strada una forte
insoddisfazione da parte dei cittadini preoccupati di intravedere lo
spettro di un ridimensionamento dei livelli essenziali di assistenza
.
L’altra componente della discussione intorno alla salute e ai
servizi necessari per mantenere il sistema sono i tempi necessari
per dare concretezza agli investimenti. E qui sta il primo
paradosso. Infatti, se dopo la pandemia le carenze del sistema
sanitario hanno portato all’allargamento delle maglie europee per
poter dare linfa ai servizi mancanti (soprattutto nei paesi più
colpiti dal Covid), a distanza di alcuni mesi dalla dichiarazione
della fine dell’emergenza pandemica sembra che il Piano di
ripresa e resilienza, che avrebbe dovuto avere la sanità come

centro degli interventi, sia diventato molto meno impellente e
urgente. Tanto da far pensare che la strada che si vuole
intraprendere sia un’altra. Quale? Si vedrà. Intanto resta stampata
sulla carta la “missione 6” del Pnrr sulla sanità indirizzata su due
filoni. Da un lato l’obiettivo di “Migliorare gli ospedali e le
strutture sanitarie, anche contro i terremoti; diffondere di più
l’assistenza di prossimità così da garantire le cure, soprattutto alle
categorie più fragili”. E poi per l’aggiornamento tecnologico e
digitale con lo scopo di “Rinnovare i sistemi digitali, rafforzare gli
strumenti di raccolta, elaborare e analizzare i dati per garantire la
diffusione del fascicolo sanitario elettronico ed erogare i livelli
essenziali di assistenza in maniera omogenea”.

Questi i progetti da realizzare entro il 2025


Per Piacenza sono 23 i milioni del Pnrr che finanzieranno opere
inserite nei due percorsi sopra ricordati e che saranno utilizzati per
riformare il sistema dell’assistenza territoriale. Così ha segnalato
di recente la direttrice generale dell’Ausl Paola Bardasi.
Finanziamenti quindi indirizzati a quali interventi? Quasi 8
milioni di euro sono destinati a sei strutture di Case di Comunità e
alla presa in carico delle persone. Secondo lo schema 1 milione e
mezzo dal Pnrr andranno al completamento della Casa di
Comunità di Fiorenzuola su un costo complessivo di 5milioni e
500mila euro. Troverà spazio nell’ex municipio di via Garibaldi;
233mila saranno destinati alla ristrutturazione di quella di
Piacenza 1 (Piazzale Milano) mentre una consistente cifra di 3
milioni e 404mila euro saranno destinati alla nuova costruzione
della Casa della comunità Piacenza Belvedere che troverà spazio
nell’ex omonima clinica di via Gadolini da anni inutilizzata e
abbandonata la cui progettazione è conclusa e i lavori saranno
terminati entro il 2025. Un’altra cifra importante 2 milioni
763mila euro per la nuova costruzione della Casa di Comunità a
Rottofreno e infine due piccoli interventi di manutenzione

rispettivamente di 35mila euro e 50mila euro rispettivamente per
la struttura di Borgonovo e Cortemaggiore.
Case della salute o di Comunità lo stato dell’arte
Nel post pandemia, insieme alle Case della Comunità (in Emilia
Romagna Case della Salute), altri nuovi termini sono diventati
familiari come gli Ospedali di comunità. Saranno tre quelli da
realizzare uno di questi troverà spazio nell’edificio dell’ex clinica
Belvedere e a Castel San Giovanni. Quali le funzione di un
ospedale di Comunità? Del tutto nuova perché dovrà coprire un
servizio che oggi è inesistente e occuparsi di chi non può più
restare nell’ospedale per acuti ma ancora non può accedere al
proprio domicilio.

Si sa che gli investimenti previsti e i progetti sulla carta dovranno
con attenzione essere riempiti di contenuti, di funzioni, di nuove
tecnologie e soprattutto di professionisti. La nota dolente, come si
è detto, che tutto il sistema sanitario lamenta.
Inoltre va detto che dopo 17 anni dalla loro istituzioni in molte
regioni non esistono ancora le Case della salute che ora dovranno
essere convertite nella nuova definizione di Case della Comunità.
In molti casi quindi si tratta di un progetto del tutto nuovo e
completamente da realizzare. Per quanto riguarda la Regione
Emilia Romagna sono 124 le Case della salute dichiarate attive
secondo un dossier prodotto dalla Camera dei deputati nel 2021,
nello stesso periodo in tutta Italia ne erano state censite 554.
Quanto agli ospedali di comunità in Emilia Romagna sono 26
attivi con 359 posti letto. Nello schema che fotografa lo stato
dell’arte, a quella data, alcune regioni tra cui la Lombardia, la
Puglia e la Campania non risultavano attive Case della salute. A
uno sguardo più ravvicinato la presenza di Case della salute in
Emilia Romagna non è distribuita con omogeneità sui territori
provinciali. A Piacenza si contano quella di Borgonovo, di Bettola
(che svolge anche un servizio per i malati oncologici), di
Carpaneto e Gropparello, di Cortemaggiore, di Monticelli, di

Podenzano, di San Nicolò e Piacenza. Edifici e finanziamenti a
parte, sono i contenuti delle Case della Comunità che sollevano le
maggiori preoccupazioni perché dovrebbero intensificare e
strutturarsi come un servizio capace di dare risposte all’aumento
delle cronicità che investono soprattutto gli anziani che se vivono
più a lungo, hanno una qualità della vita più compromessa.
Il contesto demografico

Tutto questo avviene in un contesto demografico che invecchia e
che pertanto necessita di strutture e servizi sempre più affinati.
Vale a dire medici sempre più vicini, capaci di prendere in carico
il paziente con costanza e periodicità. Iniziative che portano a
costi molto alti. Per dirla in breve: ostacoli e difficoltà
insormontabili che di giorno in giorno si evidenziano. Sullo
sfondo dei problemi contingenti di cui quotidianamente si dà
notizia, bisogna ricordare che sembra ormai quasi dimenticata
l’esperienza della pandemia. Ma quel periodo ha messo in
ginocchio (in tanti casi questo è successo) il sistema sanitario e ha
messo in evidenza come siano indispensabili – in tempi brevissimi
che forse sono già scaduti – le iniziative per potenziare i servizi
più vicini al cittadino. Detto e fatto? No. Tutto ancora di là da
venire.

Prosopopea, arroganza di fatto, presunzione, superficialità. Così la Sindaca al dibattito sul nuovo ospedale

Nessuna risposta diretta ieri alle osservazioni del Comitato Salviamospedale per il quale riqualificare e potenziare l’attuale struttura di via Taverna si deve e si può.

Non rrispondere, però, prescindere dall’analisi seria delle osservazioni, fa pensare e soprattutto ci fa chiedere “a quale scopo? .

Se ne riparlerà.

Più di 1600 piacentini se ne sono andati e ieri il quadro che li ricorda dall’atrio dell’ospedale se n’è andato pure lui

IMPORTANTE: DIMENTICARE, NEGARE, OCCULTARE

Quel cche disturba è quando la politica diventa parole di circostanza. Ieri i defunti per Covid sono stati celebrati e ricordati pubblicamente nel “Giardino di Vita” tra via Portapuglia e via dell’Orsina. Presenti Sindaca, Vescovo, rappresentanti di varie realtà pubbliche e, per l’Ausl, il Direttore Sanitario molto critico verso gli episodi in crescita di violenza contro i sanitari e verso le indagini avviate dalla magistratura per la verifica di quanto fatto all’epoca per i pazienti ipotizzando possibili errori.

Bene, sicuramente. Tuttavia se nel contempo il simbolo del ricordo di quei giorni di tragedia viene fatto sparire dall’atrio dell’ospedale, le parole nelle celebrazioni pubbliche svolte nel luogo lontano dalla tragedia vissuta da tanti piacentini, rischiano di suonare vuote, addirittura urticanti.

DIventa così impossibile dimenticare che quel quadro per mesi era stato dimenticato a terra dietro un vaso con pianta e che solo di recente mano anonima l’aveva pietosamente risistemato. Indubbiamente infastidendo qualcuno. Così però rendendo poco credibile la celebrazione in pompa magna al “Giardino di Vita”.

AGGIORNAMENTO DI DOMENICA 19 MARZO ORE 15.09: il quadro è tornato nell’atrio dell’ospedale, misteriosa libera uscita finita.