“Quando per la vox populi il delinquente, corrotto, colluso, truffatore ero io (con altri 6) e nelle chiacchiere al bar qualcuno mormorava al rogo, al rogo!”

Correva l’anno 2012 e nel mio ufficio si presentarono due Carabinieri in borghese per avere informazioni sull’accordo tra Asl e Cooperativa Inacqua circa l’affitto – causa mancanza di spazi interni in ospedale adeguati – di un piano del Centro privato in via Caffi da destinare ad ambulatori per l’attività privata dei medici, la c.d. attività in libera professione. Accordo che aveva come contraltare la dismissione dei precedenti diversi onerosi contratti con altre strutture private. Mi sentivano come “persona informata dei fatti” e in effetti ero l’estensore di buona parte del provvedimento di proposta alla Direzione di approvazione dell’accordo sia delle successive conseguenti comunicazioni dirette ai diversi poliambulatori privati interessati di recesso dai contratti precedenti. Niente altro che ordinaria routine, rispetto alla mia posizione in Asl che spesso mi portava ad avere rapporti con i N.A.S. di Parma e con i militi della Guardia di Finanza piacentini. Ma non era così. Passò qualche tempo e, a casa, non ricordo se fosse venerdì o sabato, il postino mi consegnò una busta verde. Una multa, ho pensato. Presa chissà dove e chissà quando. Nientaffatto: era un avviso di garanzia, il provvedimento col quale dal Tribunale mi si informava che ero indagato. Con il Direttore Generale Andrea Bianchi, con l’ex Direttore Generale Francesco Ripa di Meana, con il Direttore Amministrativo Francesco Magni e il suo predecessore Luca Baldino, con l’ex Direttore Sanitario Stefano Mistura e con l’allora Presidente della Cooperativa Marco Carini, consigliere in Regione in quota PD.

“Male non fare, paura non avere“, dice la saggezza popolare, ma è anche vero che, se una pattuglia di Carabinieri ti ferma in autostrada per un controllo non sai mai come va a finire. E qui ricordo quando, nel lontano 1977, con l’amico Mino eravamo andati oltre confine, sulla Costa Azzurra, a cercar ragazze e avventure. Quando però a Cannes cercammo di agganciarne due offrendo uno smagliante sorriso e chiedendo se venivano con noi in qualche discoteca, risposero che vestiti come eravamo stile figli dei fiori non c’avrebbero neanche fatto entrare. Fine dell’approccio. Ne individuammo un’altra – una bellissima ragazza vestita di blu, quasi una sirena in libera uscita dal mare – ma prima di riuscire ad avvicinarla una splendida Jaguar s’affiancò al marciapiede e lei concordò qualcosa come duecentomila lire (in franchi). Totalmente esclusi. Non ci rimase che visitare il sexy shop, all’epoca locali pressoché introvabili nel BelPaese dove in spiaggia la quasi totalità delle ragazze sfoggiava un costume intero. Insomma, ripartimmo sulla via del ritorno scornati e beffa delle beffe al confine ci fermarono i doganieri italiani letteralmente smontando la Fiat 127 alla ricerca di droga (vestiti come eravamo, con tanto di chitarra e armonica a bocca al seguito era lapalissiano che ne facevamo uso, consumo e mercimonio). Niente da fare, avevamo solo stecche di sigarette Gauloises e nessuno dei finanzieri fumava. Avevamo però i preservativi acquistati nello sexy shop. Preservativi con alla testa l’effige di Topolino, Paperino, Pippo, Gastone, Nonna Papera. Era una confezione da far crepare d’invidia i compagni piacentini che al massimo conoscevano i banali Hatù. Niente da fare, i finanzieri se li son presi e noi zitti e mosca a rimontare il rimontabile (sedili, portacenere, tappetini, coperture delle portiere, sacchi a pelo, zaini, coperte, tutto sull’asfalto) oltre a scoprire che erano sparite anche le riviste sempre acquistate al sexy shop da rivendere agli amici curiosi e affamati. Insomma, male non fare certo, ma quando finisci nelle mani della giustizia non sai mai bene come va a finire. Rischi sempre che, a loro dire, una gomma sia più liscia del normale. Se poi ti muovi nel marasma delle leggi, circolari, controcircolari, disposizioni, cavilli e codicilli che caratterizzano il sistema pubblico italiano, di certezze assolute non puoi mai averne.

Nel mio caso l’ipotesi di reato era abuso d’ufficio, falso in atto pubblico, truffa ai danni dell’Azienda e dello Stato e, nel caso di condanna, ne sarebbe conseguita l’interdizione dai pubblici uffici, il licenziamento, senza escludere la reclusione. Come avrei potuto pagare il mutuo della casa? Nessun problema, dicevano Fabrizio ed Edoardo, “troveremo una vecchia cascina semidiroccata e apriremo un agriturismo“. In pratica dalle stelle Asl alle stalle. Insomma, certo non era facile dormire di notte, iniziava un lungo periodo di palpitazioni e di solitudini. Perché, per quanto alla vox populi, la condanna era indiscutibile, accertata per il solo fatto della pubblicazione sul quotidiano locale (e subito dopo sulla stampa nazionale) della notizia dell’indagine con tanto di nomi e cognomi, il mio compreso. Sono stati mesi e mesi e ancora mesi di relazioni e di chiarimenti predisposti – anche con la mia collaborazione – dalla Direzione aziendale ma anche mesi di fango da parte di politici che, per evitare una nuova denuncia, forse è meglio ch’io non definisca quale sia il mio giudizio nei loro confronti di Inquisitori senz’arte, senza conoscenza ma solo “di parte” giudicante, Inquisente, condannante a priori. Che infatti si sciacquarono la bocca esprimendo pubblicamente la convinzione di malaffare a nome del PD – essendo coinvolta una cooperativa “rossa” e un consigliere regionale altrettanto “rosso” – certo, sicuro, garantito. Del resto chi più e chi meno eravamo tutti di sinistra o di centrosinistra per cui il tutto era evidente e lapalissiano. Così pontificavano il segretario locale della Lega, Pietro Pisani, così l’esponente della destra Tommaso Foti (oggi paradossalmente a sua volta inquisito per una questione d’appalti pubblici presuntivamente – per la magistratura inquirente – “teleguidati”). Certo l’obiettivo vero di questi personaggi non era tanto la verità o la giustizia, erano il sistema delle cooperative, il presunto potere politico economico rappresentato dal PD, dalla Regione, dall’Azienda il cui vertice era riconducibile appunto al PD stesso (io escluso ma io per tutti ero nessuno, al massimo agnello sacrificale in quanto firmatario della proposta originaria poi approvata dalla Direzione Aziendale). Per quanto alla mia posizione, ero un funzionario amministrativo, a nulla contava la mia persona, se bruciavo con tutte le streghe, erano fatti miei che a Pisani o Foti (ma non solo) importavano poco o nulla. Solo un conoscente di vecchia data, un’amico d’infanzia perso di vista da anni, Filiberto Putzu, di Forza Italia, mi telefonò per esprimermi solidarietà perché “spesso il funzionario è il capro espiatorio del sistema“. Comunque, anche se con le toghe nere non si sa mai, ero abbastanza certo di aver lavorato nell’interesse pubblico e di aver lavorato bene, secondo norma. Sì, è vero che ero stato sollecitato (dall’allora segretaria del Direttore Generale) alla rapidità nella firma della proposta di atto per la decisione di competenza della Direzione. Vero che invece una collega pure coinvolta nella stesura improvvisamente aveva negato la firma in condivisione senza darne motivazione. Ma quella proposta l’avevo scritta di persona, studiata a fondo, sapevo che sarebbe stata osteggiata da qualcuno ma confidavo nella giustizia e nella mia conoscenza del diritto. Per questo, ad esempio, una volta inquisito non ho formalizzato alcun incarico ad avvocati – differenziandomi dai colleghi del vertice aziendale che alla fine della procedura erano responsabili della decisione finale di approvazione -, cosa che avrei fatto solo in caso di rinvio a giudizio.

Un solo fatto fece vacillare le mie sicurezze. Quando, mesi dopo, durante una riunione in Regione, un funzionario mi disse che l’essere inquisito era motivo d’orgoglio. Beh, quell’affermazione mi preoccupò, mi “impadronii della materia” – come invitavo spesso a fare i miei collaboratori di fronte ad ogni quesito e situazione di dubbio normativo – con un approfondimento ulteriore e, nel marasma delle circolari regionali, trovai un codicillo che sembrava poter smentire quanto attestato dall’ingegnere capo, una delle basi che caratterizzavano il provvedimento. Certo, questione d’interpretazione – all’epoca con il Direttore Generale Andrea Bianchi si cercava di individuare ogni possibile punto debole della nostra azione – ma appunto non si sa mai. Anche perché anche il magistrato cercava quel punto debole, ovviamente col fine opposto al nostro.

Insomma, è stata dura. Con la sensazione di poter essere appunto l’ideale vittima sacrificale di fronte alle diverse posizioni politiche, assolutamente prescindendo dall’interesse pubblico perseguito o meno che fosse. Già, perché talvolta proprio per perseguire l’interesse di tutti inevitabilmente si può accettare qualche forzatura, qualche interpretazione “coraggiosa” della normativa e qui può essere che caschi l’asino. Il mio mantra è sempre stato che il diritto e le leggi sono al servizio del benessere del cittadino, che la lettura di una norma non deve essere formale, letterale ma adeguata alla situazione, alla tutela dell’interesse concreto della collettività, dell’interesse pubblico che s’identifica con l’interesse della collettività. Non all’opposto. Ripeto: il diritto, lo Stato, la Pubblica Amministrazione devono porsi al servizio del cittadino – inteso come collettività – mentre non è vero il contrario, ovvero che il cittadino sia succube delle norme e dello Stato se queste confliggono oggettivamente con l’interesse dei cittadini stessi. Ed è a questo punto che l’azione eclatante di questi giorni della Procura piacentina mi lascia perplesso.

Spettacolarizzazione: conferenza stampa, 300 Carabinieri impegnati contemporaneamente in uffici pubblici per sequestri di atti, arresti di imprenditori e Sindaci, divieti di dimora, arresti domiciliari, ulteriori decine di indagati, roba che manco la banda di Al Capone. Fatti che lasciano costernati. Tanto più perché alcuni dei coinvolti sono protagonisti della rinascita dei paesi della Montagna piacentina. Qualcuno ha presente Cerignale? Zerba? Bobbio? La stessa Perino? Certo, avevano avuto momenti di particolare capacità attrattiva. Anni e anni fa. Decenni fa. Quando ancora Cattolica era più lontana e irraggiungibile di Dubai. Poi comunque la decadenza, il fenomeno dell’abbandono della montagna, la fuga delle attività produttive, il miraggio della facile vita in pianura, delle 40 ore settimanali in fabbrica, sabato e domenica liberi, ferie garantite. Provate in questi giorni invernali a passeggiare nella centralissima via Roma di Bobbio dal lunedì al venerdì. Se forse il vostro cammino incrocerà altri due (sicuramente) anziani, sarete fortunati. Le vetrine di piazza Santa Fara sono vuote, chiuse, impolverate. I bar semideserti, solo l’edicola è sempre disponibile. I Sindaci Pasquali prima, Castelli poi hanno fatto miracoli e se applicare le norme, avere i contributi del caso è facile a Milano diventa invece un’impresa lassù tra i monti dove specie d’inverno sono sempre meno i residenti. Può darsi che Castelli e Pasquali abbiano bypassato qualche regola nell’ottica del risultato e con questo fare siano caduti vittime di imprenditori affaristi? Può essere e allora hanno peccato d’ingenuità e di pressapochismo ma nell’ottica del risultato mentre non credo siano delinquenti come sembrerebbero dalla lettura degli atti d’indagine e come tanti già li definiscono tanto da meritare l’arresto in pompa magna, il carcere e quant’altro. E men che meno credo, fino a prova documentata e accertata, abbiano agito per interesse personale. Così proprio come nel caso di Mimmo Lucano, duramente condannato in prima istanza, colpevole di “solidarietà umana” interpretata da un magistrato come azione finalizzata ad un interesse politico personale. Certo, stiamo a vedere, aspettiamo. In fondo per quanto mi riguarda nel mio caso tutto è finito bene. Da quel marzo 2012, dall’arrivo della busta verde con l’avviso di garanzia, sono poi passati due anni. Il 2 febbraio 2014, 12 giorni prima del mio sessantesimo compleanno, ero a Londra, quartiere Blackheat, a due passi da Greenwich e dall’Isle of Dogs, l’Isola dei Cani (luogo reso famoso per le gesta di Jack lo Squartatore), nell’appartamento dove mio figlio, Fabrizio con Elettra, compagna d’allora (oggi moglie), vivevano. Eravamo in casa, io, Dalila, Fabrizio mentre Elettra era al lavoro. Si preparava il pranzo ed io, escluso dall’avvicinarmi ai fornelli per manifesta incapacità, navigavo col cellulare capitando per caso sul link www.libertà.it e quasi non credevo ai miei occhi: “Inchiesta sull’accordo Ausl-Inacqua. Il pm ha chiesto l’archiviazione. Due lunghi anni e, quasi a sorpresa, era quasi finita. Quasi perché ancora doveva pronunciarsi il Gip, Giudice delle indagini preliminari. Dovevano passare ancora altri mesi. Comunque era un bel regalo, una vera e propria Chicca – non a caso il pubblico ministero si chiamava Ornella Chicca -. Potevo rientrare nel BelPaese riabilitato, ad attendere le scuse di Foti, del leghista giustizialista Pisani, di tutti quanti al bar, nei corridoi, nei conciliaboli già m’avevano avviato al rogo dell’Inquisizione. Avrei atteso invano. Del resto rispetto a loro, politici d’alto rango – a loro dire -, ero nessuno o forse appunto attendevano la definitiva decisione del Gip?

Comunque ovviamente la soddisfazione personale era enorme. Come però enorme erano anche “i danni collaterali” della situazione vissuta: lo stress di quei due anni, i timori, i dubbi sulle prospettive di un futuro che poteva essere incerto mi avevano lasciato qualche strascico per quanto alla mia salute, problemi che poi avrei pagato a marzo 2020, all’arrivo dell’infezione da Covid-19 con tanto di post-Covid pronto ad assalire qualsiasi punto debole possa trovare. Ed è su questo che ritorno agli attuali inquisiti. Comunque vada a finire, parlo dei Sindaci e dei politici coinvolti, per loro ogni porta, presente e futura si chiude. Politicamente, come Amministratori, come persone. Chi restituirà loro le sofferenze dei giorni di carcere? Chi, anche in caso di assoluzione potrà restituirgli la dignità? Perché nei social pietà l’è morta, dominano le certezze. Solo i residenti di Cerignale tacciono attoniti ricordando che il loro Sindaco, Massimo Castelli, ha fatto del bene e senza di lui è la fine del paese, perso lassù tra i monti dell’Appennino, a 700 metri s.l.m., poco più di 60 abitanti tutti molto anziani, una sola bottega di alimentari con disponibile il solo quotidiano piacentino, due vetrinetta con libri usati a disposizione di chiunque voglia leggerli e poi riportarli, un albergo con ristorante e bar che d’inverno chiudono.

Chiudo a questo punto con i dubbi espressi, ribadendo la contrarietà rispetto alle troppe posizioni giustizialiste espresse nei social in queste ore e ricordando quel 6 giugno 2014 quando il quotidiano locale pubblicò la notizia che il Gip confermava l’insussistenza di reato. Naturalmente le scuse da Pisani o da Foti le aspetto ancora oggi e sono certo non arriveranno mai. Politici in prima fila quando si tratta di spalare fango addosso agli avversari ma indifferenti all’emergere di verità diverse. Del resto appunto ben altra statura pubblica hanno i politici indagati oggi (Castelli in primis) ai quali invece auguro in un giorno da venire di riceverle, quelle scuse, con l’affermazione che non erano corrotti ma più semplicemente ingenui, caduti nella rete tesa dagli affaristi. Ricordando che, come ha detto in conferenza stampa il Procuratore Grazia Pradella, siamo tutti innocenti fino a prova contraria e a conclusione dell’intero iter processuale che, come noto, prevede tre livelli di giudizio e un conseguente percorso che purtroppo sarà molto lungo. Fermo restando che un dubbio persiste: era proprio necessaria la spettacolarizzazione, i Carabinieri che alla mattina hanno bussato alla porta invitando a seguirli destinazione carcere, l’arresto dei Sindaci e la conferenza stampa in pompa magna? La mano pesante del Procuratore che già si era resa protagonista nei mesi scorsi dell’arresto di alcuni sindacalisti poi puntualmente rilasciati. Non bastavano un normale avviso di garanzia, la prosecuzione dell’indagine, l’eventuale successiva proposta di rinvio a giudizio da inviare al GIP per la valutazione e la decisione di competenza? Si temeva forse che Castelli e Pasquali potessero rifugiare ad Hammamet?

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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