
Ricordo che un giorno feci un gioco con voi ero la luna e voi due stelle il fiume era il cielo e i sassi i pianeti barche di carta le nostre astronavi la terra da salvare una palla perduta nel mare
Ricordo che un giorno feci un gioco con voi ero la luna e voi due stelle il fiume era il cielo e i sassi i pianeti barche di carta le nostre astronavi la terra da salvare una palla perduta nel mare
Dovunque sia, ti troverò. Se ti desidero, è segno che ci sei. Anche fra mille ti distinguerei; e come un cieco ti accarezzerò l’orma del viso, per essere sicuro che tu sia proprio tu. Non ti dirò nemmeno una parola; o forse un grido improvviso, sfuggito alla mia gola, volerà via come un cigno ferito. E sarà notte, e sarà giorno: ed io, sperduto nell'universo, troverò finalmente in te il mio posto. E sarò uomo, donna, bambino, sarò tuo figlio, sarò tuo padre, sarò una tua piccola cosa, come un gingillo dentro le tue mani. Le mie catene diverranno ali infinite, quando mi legheranno per sempre al tuo richiamo Sconosciuto.
Un mondo di luci incantato nello spalancato giardino dono al desiderio dell'occhio nel trapassare del giorno dal chiaro terso allo scuro e sta il cuore sospeso a udire il canto dell'angelo con il compagno all'ingresso insieme alla luna d'argento fra tante stelle nel cielo.
La poesia è un momento musicale dell'anima tradotto in versi Un'immersione profonda nell'Io con il coinvolgimento di tutti i sensi l'abbandono la ricerca la libertà l'inconscio, l'invisibile l'essere e non esserci i sogni anche la sofferenza e l'Amore... Un ricamo di emozioni trasportato da una pazzia una verità, un mistero, una creatura dell'anima un respiro... E potrei andare avanti all'infinito perché per me la poesia è un canto lirico senza fine...
O anno nuovo, che vieni a cambiare il calendario sulla parete, ci porti sorprese dolci o amare? Vecchie pene o novità liete? Dodici mesi vi ho portati, nuovi di fabbrica, ancora imballati; trecento e passa giorni ho qui, per ogni domenica il suo lunedì; controllate, per favore: ogni giorno ha ventiquattr’ore. Saranno tutte ore serene se voi saprete usarle bene. Vi porto la neve: sarà un bel gioco se ognuno avrà la sua parte di fuoco. Saranno una festa le quattro stagioni se ognuno avrà la sua parte di doni.
E camminerai, nuovamente tra gli occhi delle strade, e respirerai con timore il vento del cambiamento. Correrai tra le braccia di chi ancora è lì, e che con forza, ha saputo aspettare. Senza paura danzerai sotto la pioggia del nuovo giorno tenendo tra le mani i fiori della vita Scambierai parole mute con occhi pieni di gioia, e godrai del calore che un sorriso ti può scatenare. Farai tante soste per un pieno di ossigeno e prenderai quel treno del coraggio un tempo perso. E sentirai il cuore che ti scapperà dalle mani e volare in alto, sempre più in alto… tra le nuvole della nuova libertà. Lacrime di gioia solcheranno le rughe che hanno scritto la sofferenza, ora asciugate dal più bel sole di una interminabile estate.
IL GIUDIZIO DELLA GIURIA
Essere poeti significa saper vedere oltre. In un momento difficile, come quello della pandemia da coronavirus, Giuseppina riesce a vedere al di là delle nuvole, riesce a scorgere l’arcobaleno alla fine della tempesta e ne porta i suoi colori qui, oggi. I suoi versi aprono al lettore una via di speranza, dove respirare finalmente a pieni polmoni il vento del cambiamento, dove ogni senso è riattivato. Nello stesso tempo in cui il gelido inverno si muta in una interminabile e calda estate, scorrono sul volto lacrime di sofferenza che pian piano si mutano in gocce di gioia.
Lunga e radiosa vita ai ribelli, ai lunatici dei della natura, ai sogni non contaminati, ai grandi amori capitati a caso e che per caso non trovano la fine. Lunga e radiosa vita ai ribelli alle donne e agli uomini senza compromessi, alle piante, alla terra, alla fatica, ai miei animali, a tutte le speranze, a tutto ciò che vedo e che mi piace. Lunga e radiosa vita ai ribelli, a chi persegue uno scopo con passione, a chi si batte contro l’egoismo, a chi non crede di essere speciale, a chi riflette prima di parlare. Lunga e radiosa vita ai ribelli, alle parole che sono maltrattate e a quelle che sono state abbandonate, ai tempi, ai modi, alle coniugazioni, ai tanti libri che sono stati scritti a quelli di ieri, di oggi, di domani. Lunga e radiosa vita ai ribelli, a chi si sente fuori dagli schemi, a chi non spaccia menzogne ed emozioni, a chi prova a vivere ogni giorno senza risparmio, senza assuefazioni. Lunga e radiosa vita ai ribelli! A volte sono strani personaggi, ma sono loro che scrivono la storia. Abner Rossi
Per i morti, signori per i morti. Per loro e per chi ne esce con i polmoni rovinati Per i morti e per quelli che ogni giorno rischiano la vita Per i morti signori per quel morire soli Non si può restare in silenzio Mentre viscidi vermi di cadaveri in putrefazione Gridano di complotti e negano la pandemia Non si può restare in silenzio e tacere Mentre le larve fuoriescono dalle fogne Per i morti e per tutto il personale sanitario Questi viscidi negazionisti vanno insultati, bannati e cacciati Questa genia turpe e criminale va gettata nell'inferno del silenzio profondo
Passerà questo vento di morte che ha scardinato porte e spalancato finestre senza schianti seminando lutti e pianti. La morte non ha ali e zampe grosse ma arriva con un colpo di tosse uno starnuto o un abbraccio e si avvinghia al corpo come un laccio. La morte arriva con luci abbaglianti e suoni di sirene assordanti e ti lascia senza forze e fiato in un letto solo e abbandonato. Ti dicono che sei anziano ma tu hai le ali di un gabbiano non c’è spazio in questo mondo per chi vorrebbe fare un girotondo. Guardi intorno a te e sono abbattuti i tanti volti stanchi e sconosciuti solo occhi dietro maschere in giro che corrono senza un attimo di respiro. Guardiamo gli altri con sospetto ma ci manca tanto un po’ di affetto mani strette in altre mani come se non ci fosse più un domani. Il virus ci ha fatto allontanare, nonni senza nipoti da abbracciare, giovani senza bocche da baciare, piccoli senza amici per giocare. E non c’è chi piange lacrime di omaggio ad accompagnarti nell’ultimo tuo viaggio, ma in silenzio come un fuoriscena abbandoni questo mondo e la sua arena.
Sto nella calma del nulla come una regina seduta su un trono di nuvole assenti di un cielo ancora e ancora oscuro nel silenzio imposto dai sentimenti ribelli dalla chiusura del cerchio che la vita accade e morte ci circonda in una esangue lotta e ci si perde in un mutamento senza fine condannati al cammino di meta incerta seduta, io sogno di me stessa autarchica e depredata il cuore sterile le mani intrise di diademi il tempo non placa la sete e la conoscenza si fa labile nemmeno so se esisto in questo tempo marcio di menzogne mi tocco l'anima e col dito rivolto verso il cielo chiedo quale il senso del fiume di luce e di tanta bellezza non raccolta nella notte che va schiarendo.
Sono arrabbiato... anzi molto, ma molto ato... perchè?... perchè sono un pezzo di legno no? soltanto un pezzo di legno e sto lontano dai tuoi sogni. E' per difetto che sono lì a volte mi spostano un pò di lato talvolta in corridoio e quasi cotto,... mi hanno messo su quel vecchio... ha il virus hanno detto! si... quella cosa nuova di cui si parla tanto e sembra quasi un poco andato. Magari fossi un monopattino con un panino in mano e un cellulare rotto... sfreccerei incurante degli impegni tra pizzette e libri, e magari un pollo fritto. Azz ridi?... va bè...le regole dici? azz... anche quelle son per me non per gatti che van felici... no, sono per me e per quelli un poco matti. Ma al bisogno come adesso sono un legno, un pò stanco che non sogna un pò fuori da quel solito fienile... e per punizione... mi hanno messo lì, in quel cortile lì... appena fuori l'ospedale come un morto senza segni per sembrare solidale.
Padre ti ricordo cosi pietra granitica liscia e levigata anche quando la grandine anno dopo anno ti ha corroso la carne e un poco la mente anche quando il tuo racconto ti passava accanto e senza riconoscerlo ne ammiravi la forza.
Seduti sulla luna con una chitarra e una birra Mentre sul Mekong qualcuno beveva Jonny Walker Annarita in minigonna Mimmo che suonava Faber E la terra che sembrava annoiata Seduti sulla luna all'alba di una rivoluzione Quando Torres predicava di un Cristo che imbracciava il fucile Mentre gli studenti occupavano il cielo Seduti sulla luna con gli amori acerbi Aspettando una rivoluzione in do maggiore
Mi amavi sempre un po' meno delle stelle e sul confine del mondo lucciole straniere Sembravano spegnersi vicino al bosco mentre sentivo battere il tuo cuore di pelle Mi baciavi sempre un po' di più delle lune che qualche volta accendevano fuochi Da spegnere subito prima che il mattino arrivasse a sussurrare parole di pietra E gocce di lacrima nera.
Non avere paura della notte; attraverseremo questo buio affiancati, silenziosi, guardandoci negli occhi, a malapena visibili nell'ombra così cupa, ad ogni nuovo tratto, di questa sorda eclissi. E non chiedermi la mano: sarà già sul mio cuore a controllare che batta come un tamburo di latta, per questa nostra guerra, mite, d'un suo furore estraneo ad ogni sangue, per una nuova terra, mai davvero promessa, ancora da conquistare, sconosciuta allo sguardo, ma non al nostro ricordo, al suo lontano richiamo sempre più forte. È la vita o la morte che sussurra in questo urlo, tenace, di farfalla? Non possiamo saperlo come di fronte a grotte cieche, su approdi o abissi, al fondo della notte: dai, non temere, andiamo.
Vi dirò che mi preferisco zucca ma la fatina volle diversamente e mi fece carrozza per Cenerentola. Adesso che lo sanno le altre zucche sapeste come mi vengono a noia con tutte le loro domande curiose. Come le fiabe mi credete bugiarda? Eppure l'anima si nutre d'immaginazione e ben poco le serve una saggezza sciocca. [E chi ha detto che le zucche non fanno poesia?]
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