15 agosto 2024, Ferragosto in Val Trebbia alla locanda Vacca ‘l Suino all’ombra della Parcellara con Dalila e la “famiglia larga”, una foto vecchia 51 anni, la storia mai pensata e mai nata con Cesarina, il saluto d’obbligo a Valentina around route 45 e poi a Roberto per finire la giornata dal Perazzi a San Giorgio nella trattoria anni ’50, quadri partigiani alle pareti, dove puoi gustare i gnocchi annegati nel gorgonzola della signora Maria. Serviti nell’apposito tegamino.

15 agosto 2024, Ferragosto: dalle nebbie del tempo riemerge una storia di 51 anni fa

L’altro giorno, 15 d’agosto 2024, un Ferragosto vivacizzato innanzitutto da diciamo un piccolo fatto curioso capace di alzare un velo sul lontano passato e strappare un sorriso. A pranzo in Val Trebbia alla Cernusca con buona parte di quella che ormai si può definire la nostra (mia e di Dalila) “famiglia larga” (che comprende figli, nuore, nipoti, consuoceri), ad un certo punto Sandro, consuocero col quale avevamo condiviso gli ultimi due anni delle superiori, ha mostrato la foto di classe di quel tempo lontano, giusto per ricordare come eravamo. Insomma, classico momento amarcord che inevitabilmente mi ha suscitato emozioni, ricordi di questo e di quella. La compagna rimasta incinta durante l’anno scolastico, il campioncino ammesso ad un provino con l’Inter, lo studente diventato dirigente della banca pur da ‘semplice’ ragioniere (oggi anche con la laurea ben che ti vada fai il cassiere), la bella coppia che si sarebbe poi persa, quel ragazzo che avrebbe poi indossato l’abito talare, l’amico che ha lasciato la città per andare a gestire un campeggio lassù tra i monti al confine, l’amica che col suo ragazzo gestiva una piccola sala cinematografica d’essai in provincia, la ragazza che si sognava lassù nei cieli in volo con la divisa da hostess, i tanti e le tante dei e delle quali non si sarebbe più saputo nulla (senza tacere di quei due, in fondo occasionali compagni di classe senza apparenti interessi comuni, che mai e poi mai avrebbero immaginato di ritrovarsi un giorno appunto consuoceri). Che io sappia quella classe non si è mai più ritrovata come normalmente si usa. In fondo mi sono mancate, quelle cene da reduci, era la mia classe e quelli erano gli studenti e le studentesse miei e mie compagni e compagne di studi. Eppoi … Il mio sguardo è scivolato sul volto di Cesarina. La classe aveva una rigida divisione: a sinistra della cattedra tutte le ragazze, i maschietti relegati nelle altre due file di banchi. Cesarina stava ovviamente nella fila di sinistra. Io completamente dall’altra parte, sostanzialmente estranei o poco di più, tanto per l’uno quanto per l’altra. Un giorno una delle ragazze mi dice “siete una bella coppia, potreste stare insieme“. “Ma stai pazziando? Coppia addirittura? Mai pensato io, mai pensato lei. Eppoi io sto con Giuliana” (che stava in un’altra classe ed eravamo insieme da almeno tre anni, praticamente promessi sposi). Insomma, Cesarina era indubbiamente interessante come persona, oltretutto carina, gentile, regolarmente sorridente ma … non c’era trippa per gatti. Tutto finito lì senza neanche pensare di iniziare chissà che. L’anno scolastico così è giunto alla fine ed è arrivato il tempo dell’esame, lei confermata la più brava della classe con un sonante 60 finale (allora il massimo dei voti), io nella media col mio 48, la festa di saluto a San Nicolò alla trattoria La Noce e chi s’è visto s’è visto. Cesarina non so, io a festeggiare con una settimana al mare con Giuliana, in pensione come due sposini novelli (all’insaputa dei genitori). Poi, a settembre, imprevisto e mai spiegato, il fulmine a ciel sereno. Dai fiori d’arancio all’ognuno per la sua strada, così lei ha deciso (perché come sempre sono loro, le donne, che ti scelgono, ti prendono, si concedono, cambiano idea, ti lasciano, se ne vanno – però a volte ritornano -). Una botta da restarci secco. Infatti un amico anni dopo rivelò d’aver pensato ad un mio suicidio. Beh, no, mai pensato a nulla del genere, figuriamoci. Solo con due amici, Mino e Lorenzo, sono tornato nella zona di Ancarano, nei boschi non troppo lontani da casa sua a raccogliere funghi… senza trovarne uno che fosse uno e a novembre iniziavo il percorso comune con Antonella, conosciuta grazie a due amici. Una curiosità a posteriori: quel giorno siamo andati a cena con amici in provincia, ad Agazzano e da quel locale siamo usciti mano nella mano. Agazzano era il paese di Cesarina. Un fatto irrilevante ma comunque curioso. Cancellare d’un botto gli anni con Giuliana non era però così facile e infatti dopo pochi mesi il percorso con Antonella è arrivato all’inevitabile capolinea. Non c’era ancora possibilità per iniziare un rapporto nuovo di lunga durata, era stata una superficialità da parte mia l’uscire con Antonella, di fatto illudendola e deludendola (cosa della quale per lungo tempo mi sono rammaricato sentendomi superficiale e colpevole). Nei mesi successivi, qualche amicizia, qualche uscita con altre ragazze, serate a ballare ma chiacchiere e Coca Cola, niente ‘birra’ . Con nessuna. Avevo altro per la testa. L’università: ero stato a Pavia per scienze politiche. Non avevo capito niente rinviando tutto ad altri giorni da venire (se ne sarebbe riparlato al ritorno dalla Naja) e contemporaneamente avevo avuto opportunità di lavoro con una compagnia d’assicurazioni prima, un’impresa edile poi è infine qualche mese in banca a Castell’Arquato. Anni dopo da altri avrei saputo che anche Cesarina si era avvicinata all’università a Piacenza ma … aveva sbattuto il naso sulla porta a specchio, quella che porta non era e, alla fine, sarebbe arrivata all’impiego in banca. Insomma, un ottimo partito, “una brava ragazza che meriterebbe più di un pensiero“, ma non era per me il tempo d’amare. Nessuna. Avevo altro per la testa. Certo, in gita all’Elba avevo conosciuto Giovanna e in città Stefania aveva combinato di farci ballare stretti stretti al People, localino in via Chiapponi. Ma lei era molto giovane e poi, ripeto, avevo altro per la testa e con Mino siamo partiti per la Costa Azzurra alla ricerca di spiagge libere e di belle ragazze. Ne abbiamo vista una in topless da lontano ma altre due pur sorridendoci guardando i nostri jeans, le nostre camicie, i fazzoletti al collo, han detto “ma vestiti così con voi non balla nessuna“. Eravamo a Cannes, la snob, mica a Milano Marittima! Così via, partenza per Misano al festival rock vietato dal PCI, l’autostrada occupata, gli idranti della polizia, per concludere personalmente quell’estate 1974 con un treno che mi portava a Cuneo prima e Aosta poi. Lassù tra i monti, la penna nera al cappello, alzabandiera e “signorsi, signor Tenente” e via un calcioinculo dal SottoTenente alla prova di lancio della bomba a mano perché “soldato, sei un cagasotto!” (“fà ‘n culo, cretino bastardo, fa che ti ritrovi dopo il congedo…Signorsì signor SottoTenente”). Agosto 1974, “La sveglia del mattino rompimento di coglion, il primo che si sveglia è il più fesso del battaglion“. Nel mio cuore sempre Giuliana e un certo rammarico per Giovanna. Gli altri stavano con la foto della ragazza nel taschino, ricevevano lettere e telefonate. Io niente salvo qualche telefonata con mamma e papà, mi sentivo un po’ molto solo così… ho scritto a Giuliana. Lei ha risposto. Raccontandomi del suo nuovo amore. Ma che gratificazione, lei paro paro al SottoTenente. Mai pensato invece di scrivere all’amica Cesarina. Fu forse un errore non pensarci? Chissà. Comunque chi dorme non piglia pesci e sarebbe inutile poi rammaricarsi 50 anni dopo. Ma intanto, a dicembre, in licenza, festa di capodanno, ho conosciuto Mina. Qualche giorno dopo ho suonato a casa sua, siamo usciti e Giuliana, coi suoi nuovi amori (nel frattempo come mi scrisse, finiti) era dimenticata. Ma anche lei, Mina, nonostante altri anni insieme, non era la donna della mia vita. Un giorno, anni dopo, di nuovo libero, avrei conosciuto Dalila e così eccoci, l’altro giorno, noi due insieme, una lunga vita alle spalle, una vita ancora da vivere davanti, eccoci qui con la “famiglia larga” alla Cernusca, un figlio, Fabrizio, e una nuora, Elettra, con due nipotine in Nuova Zelanda da ormai quasi due anni sentiti in mattinata via whatsapp, un altro figlio, Edoardo, con un’altra nuora, Daniela, e nipotino di appena 20 mesi seduti con noi insieme agli altri nonni. E Cesarina? Un volto sorridente tra i tanti su una fotografia di 51 anni fa! Mai rivista, da allora, mai cercata e quell’idea di quell’altra nostra compagna di classe che ci avrebbe visti bene insieme persa nelle nebbie del tempo passato. Mai rivista, Cesarina, dicevo. Fino a pochi anni fa (10? 15?) quando nel corridoio dell’Ausl dove stava il mio ufficio t’incontro una ragazza coi capelli neri che mi saluta, mi ferma, mi parla, “ma lo sai chi sono?” “Ma certo!” la mia pronta risposta ma in realtà l’ho presa per un’altra e solo quando se n’è andata ho capito chi, dopo tanti anni, avevo ritrovato… a mia insaputa. E a quel punto inevitabile il chiedermi “ma se in quei giorni lontani, finita la scuola, l’avessi cercata? Una telefonata, un giro fino al suo paese?”. “Se da lassù, in marcia sul Cervino a quota 2400 avvolti nella tempesta di neve col cappello e la penna nera intirizziti, avessi ben pensato di scrivere a lei invece che a Giuliana? Se quella comune amica che c’avrebbe visti bene insieme avesse avuto ragione? Chissà, magari le nostre vite sarebbero state altre vite“. Ma coi se e coi ma tardivi non si va da nessuna parte. E a tavola, in questo 15 agosto 2024, Ferragosto, qui alla locanda Vacca ‘l Suino, sarei con chissà quali altre genti. Già. Ma sui se e sui ma non si costruisce il passato e tanto meno il futuro per cui tutto finito lì. Solo che passati altri anni, nel 2016 presentando un mio libro in un paese della provincia … tra il pubblico riconosco proprio lei. Mi sarebbe piaciuto scambiare qualche chiacchiera, raccontarci di quello che avevamo fatto dopo il diploma, che vita ha avuto lei, in quale banca ha lavorato, chi ha sposato, quali figli ha avuto, ma non ne abbiamo avuto la possibilità, io ero richiesto al firma copie e lei impegnata coi suoi conoscenti per poi andarsene. Il libro l’ha acquistato. Si raccontava di quel 1° maggio 1986, quando la nube radioattiva fuoruscita dalla centrale nucleare di Chernobyl è arrivata e scesa sulla pianura padana. Spero le sia piaciuto. Nella stessa biblioteca sono poi tornato nel 2021 con un nuovo libro, speravo in un nuovo incontro ma niente da fare. Come mi è stato detto da Elisabetta, la bibliotecaria, “probabilmente sta occupata a far la nonna“. Diamine, come passa il tempo, “anche lei già nonna?“. Per inciso: ho poi pubblicato altri due libri, nel 2022 e nel 2023, ma dalla biblioteca di quel paese non ho più ricevuto inviti. Comunque intanto, di fronte al mio stupore per quella foto, Sandro ha rivelato che gliel’avevo mandata io qualche anno fa!!! “Ma và, cosa dici, quella foto non è mia“, ma Daniela conferma, “l’hai proprio mandata tu via whatsapp” e, davanti alla nuora che è voce di verita non posso far altro che tacere. Il guaio è che ha ragione e quindi probabile si possa parlare di rincojonimento mio? Succede poi alla sera dello stesso 15 agosto, Ferragosto 2024, faccio una ricerca e scopro che effettivamente due anni fa (maggio 2022) un’altra compagna di classe di quegli anni, Loredana, dopo avermi ‘riscoperto’ in facebook me l’ha inviata ed era stata occasione per parlare anche allora di Cesarina e di quella ‘simpatia’ che ho sempre pensato fosse amicizia e niente di più, da parte di entrambi. Poteva essere altro? C’era una possibile base nascosta di un interesse diverso? Una notizia che Loredana ha definito un vero e proprio scoop, sorprendente, mai per parte sua sospettato nulla del genere. Un inciso a latere: ero andato a trovarla, Loredana, negli anni della scuola. A casa sua, forse con Angelino, a Borgonovo, paese della Val Tidone che in un allora ancora lontano futuro avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. Lì abitava un amico e collega di lavoro a partire dagli anni ’90, Fausto Chiesa, che ho frequentato e insieme abbiamo girato per la provincia portando le mie poesie e le musiche all’organetto diatonico di Francesco Bonomini, abbiamo insieme fatto due libri e li abbiamo portati nel castello del paese, il salone stracolmo. Emozioni da leggenda. Ho chiesto a lui e ad altri borgonovesi notizia di Loredana ma niente da fare, probabilmente aveva lasciato il paese. Mi ha fatto piacere quando, via facebook, mi ha contattato praticamente 49 anni dopo. A questo punto mentre il cameriere, il nostro amico Paolino porta i primi (a ciascuno il suo ordinato: gnocchi al sugo di fassona, anolini stesso sugo, pisarei e fasò), ho restituito il cellulare con la foto a Sandro dedicandomi al gustoso piatto. Ovviamente accompagnato dal tradizionale scodellino di vino rosso come d’uso nelle bettole, nelle locande e nelle osterie dei tempi andati che per fortuna ritornano. Ed ecco il Ferragosto edizione 2024, “sapete che a dicembre partiamo, abbiamo già i biglietti, 22 ore di volo, 10 ore di soste negli scali e finalmente saremo a Wellington, Nuova Zelanda, da Fabrizio, Elettra e le bambine“, dice nonno Roberto, “sicuro, lo sappiamo” e par di notare un velo di invidia da parte di chi non può andare per fatti di salute. “Resteremo tre mesi, fino ai compleanni delle bambine a febbraio” e qui qualcuno s’attacca alla sedia per non ritrovarsi sdraiato a terra: “ma allora infierisci, questa è una pugnalata al cuore senza pietà“. Chiacchiere, ovviamente grandi attenzioni per il nipotino che mangia, beve da solo e giunta l’ora del gelato si prende lo scodellino del babbo e chi s’è visto s’è visto. Salvo un imprevisto involontario movimento maldestro e lo scodellino (comunque ormai vuoto) prende il volo e finisce in mille pezzi. Succede ai grandi, figurati ad un bimbo di non ancora 20 mesi. Succede. Paolino arriva con scopa e paletta, i cocci finiscono nell’apposito bidone e la festa continua. Fino a quando “scusate ma devo andare a trovare mia madre, sapete che ha problemi“, dice nonna Luigia, ci si alza, è l’ora di metter mano chi alla carta di credito chi al bancomat, far di conto e quel conto pagarlo con l’oste cuoco d’eccellenza, Marco, che ringrazia di tutto cuore e invita tutti a ritornare quanto prima, “tranquillo, succederà presto” assicura Dalila pienamente condivisa da me, da Edoardo, da Daniela che della locanda siamo estimatori da tempo. Ora ammiratori dei primi, ora dei secondi, per tacere dei salumi. Salame con la gussa, coppa, prosciutto e quella pancetta che la mangi ad occhi chiusi così ti senti volare su in Paradiso al desco degli Dei. E la glicemia sale alle stelle e il diabete balla suonando l’ocarina. Così, dichiarata conclusa la festa, ciascuno alla sua auto, “ciao a tutti, alla prossima festa“, tutti al rito del bacetto al nipotino felice tra le braccia del suo babbo e per questo generoso di saluti con la manina e baci di ritorno per poi essere seduto da mamma sul seggiolino nel sedile posteriore dell’auto. Ed è partenza verso un altro orizzonte. Così io e Dalila, 41 anni di vita insieme per tacere dei 4 anni da fidanzatini, con tanto di vissuto, non ci neghiamo una sosta a Casino Agnelli da Valentina e dalla mamma Maria Rosa per un caffè e un arrivederci perché, dice, “sapete, il pizzaiolo che doveva lasciarci è tornato così ora facciamo la pizza anche a mezzogiorno, mi raccomando, vi aspetto“. “Certo, non mancheremo, magari quando ci sarà meno confusione“. “Vi aspetto, tornate presto“. Mi fermavo a Casino Agnelli già negli anni di quando lavoravo in ospedale a Bobbio, si mangiava, si scambiavano due chiacchiere con MariaRosa e col marito ma soprattutto con un saluto a quella ragazzina che era Valentina e che ora il piccolo Daniel chiama mamma. Con Dalila siamo poi tornati con i nostri figli piccoli e intanto Valentina cresceva, studiava giù in città. Poi è arrivata l’esondazione della Trebbia, il campeggio allagato, la nostra piccola isola felice distrutta. Eppure abbiamo continuato a venire mentre Valentina si diplomava ragioniera e infine, ormai sposa, prendeva in mano la conduzione dell’impresa con la mamma al fianco e l’aiuto del marito. “Certo che verremo, ne potresti mai dubitare?“. Di nuovo in auto lungo la vecchia Statale 45 giù verso la pianura e a Rivergaro deviazione per Gossolengo, poi a prendere stradine di campagna dove ormai tanti anni or sono se n’approfittava per qualche sosta tra verdi e fresche frasche ch’era poi meglio tacerne al babbo di lei mentre il babbo mio avvertiva “sii prudente, figlio mio, vacci piano se non volete trovarvi in compagnia prima del tempo“. Altri tempi, ricordi della nostra vita passata, dei nostri anni spensierati che cullano la mente e il cuore, che fanno sorridere. E via fino a Strada della Regina per un saluto alla casa dove tante volte siamo stati a chiacchierare con Fabrizio ed Elettra e le due nipotine prima della loro partenza per la Nuova Zelanda. E ancora Quarto, “che ne dici“, propone Dalila, “perché non telefoni a Roberto?“. Già, abbiamo passato diversi Ferragosto insieme a lui e Rita ed ormai son 4 mesi che è in ospedale, “penso gli faccia piacere“. Faccio il numero, risponde, si sente malissimo, riprovo con Whatsapp e la linea cade. Riprovo e “accidenti Roberto, finalmente ti si sente la voce, l’hai ritrovata“, parliamo, cazzeggiamo, ritroviamo l’amico di sempre anche lui finalmente nonno e il viaggio di nulla e d’amicizia prosegue. San Bonico, di provinciale in provinciale, Pontenure, Valconasso, San Giorgio. “Sai che stasera potresti venire a mangiare con noi dal Perazzi?“. Proposta che cade nel vuoto. Naturalmente. Ci vorrà qualche giorno ancora prima che i camici bianchi forse lo lascino finalmente libero. Però dal Perazzi ci fermiamo lo stesso. Per salutare Alessio. Trattoria Perazzi, sembra d’entrare in un locale anni ’50, prima stanza il bancone del bar, due tavoli con tovaglia a quadretti bianchi e rossi difficile manchi una bottiglia di vino e qualcuno che parla in dialetto, a sinistra la cucina regno della signora Maria, poi la sala pranzo con la stufa a legna al centro, vecchie tavole e sedie bianche di legno che sembrano uscite da un film del dopoguerra, alle pareti immagini del partigiano combattente, lo zio di Alessio. Alessio, laureato, figlio e aiutante della signora Maria, regina della cucina rigorosamente casalinga. Abbiamo sempre il Roberto al cellulare, vogliamo farlo salutare dall’Alessio. Che non c’è. C’è la Maria che è la mamma e soprattutto la cuoca così il telefono lo passiamo a lei, “mi raccomando, l’aspettiamo presto, signor Roberto“. Così lo salutiamo “ciao Roberto, a presto allora, ci raccomandiamo” “ciao ragazzi, grazie, vi faccio sapere” “click” e ci sediamo. Chiacchieriamo con la Maria, “oggi è stata una bella giornata, avevamo la sala piena e gente che mangiava fuori“. Arriva gente, gente di paese, un manovale e il suo socio muratore, un ragazzo con un ragno tatuato sul polpaccio, pare lavori nei campi qui vicino. “Maria, per noi tre bianchi“. Entra la Stefania, si gioca sui doppi sensi e un altro prende una birretta. Entra un francese, ordina per un tavolo esterno, per un attimo cala il silenzio al bancone. “Ma quello è straniero?“, chiedo io. “No, no, quello è francese“. “Son quelli che non hanno il bidè“, “e portano la baguette sotto l’ascella sudata“, “brutta gente“, “io a uno di quelli gli ho fatto mangiare i denti!“, “ma dai, perché puzzava?“, “no perché m’aveva detto figlio di puttana e la mia mamma va lasciata stare!“. Giusto, la mamma non si tocca mai. “E nemmeno le sorelle!” “lè una bela fiola to surela“, dice uno con un sorriso malizioso, “lo so che c’hai voglia di toccarle il culo ma prima o poi ta stac la testa” e vola una pacca sul braccio che poco ci manca lo rompa davvero. Intanto arriva Alessio, qualcuno chiede un altro bianco, si cerca il bottiglione che la Maria dice essere nel frigo ma nel frigo l’Alessio non lo trova, la compagnia degenera in frizzi, lazzi e risate. “Dalila, son le sette, sarà ora d’andare a casa, che dici?“, “come vuoi, aspetta che porto ad Alessio i saluti di Roberto“. Così salutiamo tutti con appuntamento ad una prossima cena a base dei succulenti gnocchi annegati nel gorgonzola serviti in apposito pentolino, magari presenti Roberto e Rita che se vorranno possono scegliere i tortelli burro e salvia il tutto annaffiato col buon vino rosso di cantina contadina della Val Chero. Decisamente una giornata con Dalila, Edoardo, Daniela, nipotino, consuoceri e consuocere oltre idealmente – sia pur da distanza – a Fabrizio, Elettra e nipotine … ricca di sorrisi. Chissà dove e come avranno passato il Ferragosto Cesarina, Giuliana, Antonella, Loredana e tutti i ragazzi e le ragazze di quella foto di 51 anni fa ritrovata oggi nel cappello magico del cellulare di Sandro, allora uno dei compagni della V^ sezione A oggi, incredibile ma vero, nostro consuocero. Quanto al domani … si vedrà, aspettando il 15 d’agosto del 2025 quel che sarà, sarà.

POIANA e PARCELLARA poiana e pietra parcellara 0 foto di Luigi Ziotti (soffientini)

Quella tessera conquistata sul campo, maciullata (anni fa) in lavatrice, messa in discussione da un provvedimento disciplinare, al fin tutto ben, venerdì arrivata nuova

Ci sono raccomandate che sanno scaldare il cuore. Con di contraltare PEC che raggelano l’anima. La PEC in questione risale a qualche mese fa: si trattava della notizia di un provvedimento disciplinare per non aver adempiuto all’obbligo formativo per il triennio 2017-2019 in quanto iscritto all’albo dell’Ordine dei Giornalisti. In effetti PEC preceduta da altre con le quali mi si chiedeva di fornire spiegazioni. Dato il mio silenzio colpevole (era tempo che non aprivo la mia PEC considerato lo scarso utilizzo) inevitabilmente si era arrivati alla sanzione. Praticamente una censura fortunatamente senza conseguenze pratiche nell’immediato. Il problema era che non avevo poi adempiuto allo stesso obbligo anche nel triennio successivo (quello degli 88 giorni di ricovero per Covid-19 e a seguire per post Covid, long Covid e po’ ‘ta fat spusslon d’un Covid). Una situazione a dir poco disdicevole: al secondo provvedimento disciplinare infatti è possibile la cancellazione dall’Albo. “Una cosa che, nella tua posizione, non puoi permetterti“, mi ha detto un amico (e collega compagno della mia ultima avventura nel campo della comunicazione) consigliandomi piuttosto di chiedere direttamente la cancellazione come rinuncia personale evitando ogni clamore. Del resto sono già alcuni anni che la mia attività come giornalista langue anzi latita (salvo il blog che considero la mia rivista virtuale personale pur non avendo mai provveduto alla registrazione presso il Tribunale e l’avventura appunto con i mercoledì letterari coi grilli per la testa). Addirittura sono senza tessera, finita maciullata nella lavatrice sempre da qualche anno. Cose che non mi preoccupavano in verità più di tanto. Che io scriva nel mio ambiente di vita lo sanno anche i sassi, di regola – almeno per quanto agli ambienti che mi interessano – non ho bisogno di mostrare tessere o di qualificarmi (nemmeno quando mi sono trovato a fotografare i Black bloc in azione a- Caorso in manifestazione antinucleare senza che nessuno mi aggredisce – mica eran fassisti di Casa Pound – ). Però tessera o non tessera, ho sempre pagato la quota annuale dovuta all’Ordine, nessuno mai ha messo in discussione il mio essere giornalista anche se il mio principale impegno professionale alla fine è stato prevalentemente altro. Pensate un pò, giornalista regolarmente tesserato da 37 anni!!! Dunque di dimettermi o di accettare la cancellazione d’ufficio proprio no. Non senza rivendicare il diritto alla qualifica che ritengo di aver conquistato e meritato “sul campo” innanzitutto con la corrispondenza con l’Avanti! (finché Craxi non è diventato dominus totale del Partito snaturandone etica e valori), lo storico quotidiano del socialismo italiano e gli articoli su temi sociali come la diffusione di droghe, la sicurezza in materia nucleare, lo sviluppo in funzione antioperaia del sistema industriale e finanziario italiano, argomenti poi diventati oggetto delle mie pubblicazioni. Così ho contattato la Segreteria del mio Ordine regionale e qui devo ringraziare il responsabile per avermi seguito, indicato, consigliato, consentendomi di presentare la documentazione utile per chiarire la mia posizione e, nell’occasione, per chiedere – anche su insistenza di Dalila – una tessera sostitutiva di quella originale come dicevo maciullata in lavatrice. Così ecco, venerdì verso le 11.30, mentre Marica, l’infermiera del servizio di Assistenza Domiciliare dell’Ausl, stava come di consueto provvedendo alla medicazione periodica necessaria per i tanti problemi post Covid che ancora dopo 4 anni non mollano alla faccia dei No Vax, è suonato il campanello. Dalila, accertato che era la postina, é scesa all’ingresso perché “c’era da firmare“. Certo, era la raccomandata dell’Ordine con tanto di tessera allegata che, giuro, metterò in un cassetto a ricordo del mio essere stato e di essere giornalista. Tanto non avrò bisogno di mostrarla, di qualificarmi. Infatti nella mia città non ci sono sedi di Casa Pound e chi o cosa politicamente e professionalmente io sia lo si sa, tessere a parte: “#oraesempreResistenza e #sempredallapartedellapace, contro l’invio di armi in Ucraina e in Israele, e ancora #bastagenocidioaGaza.

“Una settimana dal 17 al 23 giugno che a muso duro si spacca il muro, tonfi, trionfi, stelle, stalle: alfine finalmente è arrivato lunedì 24.06 ma alle 9.00 squilla il cellulare e …”

.

All’orizzonte, in riva all’Arno appare l’ombra d’una gamba di legno

Una settimana decisamente da batticuore. Già al debutto lunedì 17 giugno: partenza per Pisa via A1 prima, deviazione per l’autostrada della Cisa poi, arrivo in albergo per scoprire che la prenotazione di due notti partiva da domenica. Un errore da rincojonimento cronico. Oppure da mente distratta per lo scopo del viaggio: verifica dello stato del mio piede sinistro, ormai… in fasce da più d’un anno con futuro incerto circa i tempi ancora necessari per tornare alla normalità, almeno quella possibile, da definire. Comunque intanto se pensavo di avere a disposizione due notti, l’errore nelle date significa già all’indomani essere a piedi anzi per la strada. Comunque andiamo subito all’ospedale Cisanello, una struttura enorme, per pagare la visita in libera professione dell’indomani, troviamo l’edificio 29, Dalila spinge la porta d’ingresso e… chiusa! Ma come, l’orario dichiarato sul sito dell’azienda garantisce apertura dalle 8.00 alle 20.00, sono sicuro di non aver sbagliato anche questo. Certo, mi dicono al centralino, ma oggi giorno del Santo Patrono la chiusura è anticipata! Non ci resta che tornare nell’albergo e approfittare dell’annesso ristorante per un gustoso piatto di paccheri e relativo conto ovviamente pepatino ma nel giusto. Q.B.: quanto basta.

Una bella e sana dormita aria condizionata accesa e sorge il sole di martedì 18. Dobbiamo lasciare la stanza alle 12 per poi panino e acqua frizzante in un bar d’occasione e infine sotto il sole cocente aspettare le 17.30, ora della visita medica all’ospedale Cisanello per la situazione del piede a seguito dell’amputazione dell’alluce subita un anno fa per una circolazione venosa deficitaria (un po’ causa diabete, un po’ effetto post Covid) . Visita con esito infausto. Si parla di nuova rivascolarizzazione per cattivo funzionamento del bypass inguinale senza escludere nuova amputazione a livello metatarso. Pensa un po’, doveva solo essere un problema di chiusura di un decubito laterale! Con Dalila restiamo perplessi, la situazione non sembrava e a noi non sembra a questo punto ma in questo caso non vale il detto che il miglior medico per i nostri problemi di salute siamo noi stessi. Almeno così pare. Va beh, poi si vedrà, ci penseremo, calma e gesso. Prendiamo l’auto e torniamo in autostrada dove ci raggiunge una telefonata: dovremo tornare a Pisa venerdì 21 per una visita del chirurgo vascolare: una vera e propria pugnalata alle spalle per cui… decidiamo di fermarci a Sarzana per festeggiare, cerchiamo un b&b via booking.com, lo troviamo, una stanza al secondo piano d’uno storico palazzo che fu convento delle suore, arriviamo, parcheggiamo un po’ distante, ci sistemiamo e ci regaliamo una gustosa cenetta all’aperto in una piazzetta che troviamo vicina.

Ed ecco mercoledì 19.06 (lo 06 è un dato certo, fermo, sicuro, almeno per altri 7 giorni). Si rientra a casa, breve relax e alle 17.30 in via Roma al 163 in città per la prima delle tre serate di presentazione di libri di autori locali previste in settimana. Finisce alle 20 tra brindisi e abbracci, con Alessandro Bersani, autore, fotografo, cieco dalla nascita, e soprattutto con l’abbraccio all’ospite Chiara Morini medico oculista nell’ospedale cittadino, sempre “così carina, così educata” come faceva una simpatica canzonetta della Mina old style. Subito di nuovo in auto e alle 21 ecco la seconda presentazione, a Carpaneto, nella storica sala BOT del Castello sede municipale. Ovviamente sempre con fine serata in gloria, in pizzeria insieme a Francesco Saverio Bascio ed Emilia, la moglie. Pizza, risate, birra rossa, Coca Cola, vino rosso delli colli, limoncello, nocino e buon caffè. Viva la vita, viva l’amor e chi lo sa far.

Ovviamente giovedì 20 ripartenza per Pisa con prenotazione in un più economico b&b. Arriviamo poco dopo le 19, fuori orario per cui niente reception d’accoglienza, si entra attraverso codici che aprono scatolette con chiavi all’interno. Purtroppo niente codici per aprire il cancello che immette al parcheggio auto a pagamento, portiamo l’auto al parcheggio pubblico abbastanza distante (ma una bella camminata poi non fa mai male) naturalmente intasato, completo ma per nostra fortuna un’ auto lascia libero uno spazio, saluta e se ne va. Torniamo dunque al b&b escludendo di muovere la macchina per non perdere il posto ma nessun problema, al piano terra ci sono le macchinette distributrici, prendiamo acqua (qui non s’ha il vezzo della minerale di cortesia) e magici TUC, saliamo in camera al 1° piano, mangiamo, dopo aver invano cercato di accendere il condizionatore e aver invano telefonato per chiedere un intervento tecnico. . Beh, vabbè, teniamo nella memoria “B&b Il Mattino ha l’ oro in bocca”, guardiamo perdere una penosa Italietta contro le Furie Rosse Spagnole e dormiamo un poco sudaticci.

Alba di venerdì 21 sveglia per le 8, buffet decisamentea chiaro scuro, nessun succo, solo acqua e tante bustine per il the. Buone brioche e biscottini però peccato niente prosciutto. Insomma buffet così così, sufficiente ma ne abbiamo visti di meglio. Alle 10 via di fretta, di nuovo ospedale, controllo del livello di ossigenazione del piede e, a seguire, la visita del chirurgo vascolare che parla di intervento complicato, complesso, con margini di possibile insuccesso e comunque occorre una angioTAC aortica che prescrive. Morale sottoterra e molta confusione, si riparte.

Rientro a casa, decisamente provati, ci si rifugia nel sonno ristoratore fino a mattino di venerdì 22 giugno (sempre lui) inoltrato ma… poco dopo le 8.00 suona il cellulare, sul display appare il prefisso: 050, PISA!!!! Vien da pensare “meglio un morto in casa che un pisano al cellulare, Dio buono!”. Comunque sia una gentilissima dottoressa, la voce carina, carina, milla volte carina capace di far sognare ma in un amen il sogno svanisce ed è la cruda realtà del camice bianco, uomo o principessa che sia: informa che l’angioTac è stata fissata (durante la notte!!!) per lunedì 24. Altri 450 chilometri? Ma no, adesso basta, lasciateci tirare il fiato! Pensare che a casa nostra ci lamentiamo delle lunghe liste d’attesa, settimane e talvolta mesi per un esame. A Pisa 48 ore! SuperDott! I punti esclamativi si sprecano e comunque vorrei intanto un confronto con i sanitari che finora hanno seguito il mio caso a Piacenza per cui stavolta dico no, lundì 24.06 l’angioTac non s’ha da fa’! Restiamo a letto ancora giusto un paio d’orette quindi contatto via whatsapp con Fabrizio in Nuova Zelanda, il nostro “figlio grande” a breve quarantenne ed Elettra, quindi fuori a pranzo al China Town con Edoardo il nostro “figlio piccolo” e Daniela col loro figliuolo. In altre parole, summit familiare di riflessione con tensione, perplessità e nervosismo serpeggianti. Fino alle 17.30 quando salutati tutti partiamo per la terza serata di presentazione di un libro di un amico studioso storico, Umberto Battini. A Calendasco, dove, bloccati per 10 minuti buoni dalla sbarra di un passaggio a livello Ferroviario, arriviamo alle 18. 05. Nella suggestiva location del cortiletto dell’antico medievale Romitorio ospitale del gorgolare restaurato dal pittore Bruno Grassi (presente), dove Corrado Confalonieri nel 1315 indosso’ il saio francescano iniziando un percorso di vita di accoglienza e assistenza ai bisognosi che lo avrebbe infine portato al riconoscimento della santità. Ma di questo parleremo in separata sede. Di rilievo invece la conclusione della serata: in pizzeria, noi due, io e Dalila, a Gossolengo, dove eravamo stati con Fabrizio, Elettra e le loro due figlie (le nostre nipotine), poco prima della loro partenza per la Nuova Zelanda, ormai quasi 18 mesi fa. Insomma, un buon posto per guardarci negli occhi e guardare alle spalle una settimana tra magnifici trionfi (le presentazioni di libri e dei loro autori) e irrefrenabili tonfi. Ma tant’è.

Ed ecco giunge alfin domenica 23, finalmente la settimana di ferro e fuoco volge al termine ma… alle 8 suona il cellulare per fortuna è “solo” Edoardo, chiama per una colazione tutti insieme al Pin Up di La Verza, brioche al pistacchio da leccarsi i baffi e soprattutto per festeggiare “cosino” che oggi fa 18 mesi con noi per cui sarebbe ormai “grandino” . Poi loro partono destinazione Rimini, il mare e noi in casa, devo leggere il romanzo di Paola Chimisso, ultima presentazione prevista il 26 giugno in via Roma al 163 per i “mercoledì coi grilli per la testa” prima della pausa estiva. Ma soprattutto devo festeggiare la fine di una settimana di trionfi e di tonfi.

Sperando la successiva (quella attuale) sia una settimana più tranquilla anche se non so, la mia vita è così e va bene così, mi piace così. A muso duro si spacca il muro.

Infatti ieri, lunedì 24.06, alle 9.00 di nuovo ha squillato il cellulare. Prefisso sul display 050, Pisa! Ho sentito un gran krak al naso, come aver sbattuto contro il muro duro come il calcio d’un mulo! Ahi!

Comunque una cosa sia chiara: niente gamba di legno per me in quel di Pisa, pisano avvolto nel rosso di sera non avrai la mia gamba di carne ed ossa intera!

Tramonto sull’Arno a Pisa

Casalmaggiore: ritorno 45 anni dopo ed è ancora emozione e musica rock. Luci, colori, voglia di libertà, di giustizia, equità, solidarietà

Il mitico pulmino della volkswagen, simbolo degli anni ’60 e ’70 in un’immagine esposta al bar Liston in piazza Garibaldi a Casalmaggiore

Casalmaggiore. Un punto fondamentale di riflessione e di svolta nella mia vita. Tarda primavera 1978, avevo 24 anni, un percorso universitario traballante anche per la difficoltà creata da un rapporto di coppia intenso, tanto da spingere alla ricerca di un lavoro nella prospettiva di una convivenza lanciando il sasso oltre le difficoltà poste dalla sua famiglia timorosa che la mia presenza potesse allontanarla dagli studi. Scoprendo che, in assenza del ‘pezzo di carta‘ adeguato, le scelte erano molto ridotte e al massimo con stipendi di bassissimo profilo. Così, quella ragazza che ritenevo per sempre invece, sotto stress per via degli studi, delle difficoltà poste dai suoi genitori, dalla mancanza di una possibilità al momento di dare sbocco al rapporto, se ne andava per la sua strada anche “per non farmi male“. No, non voleva farmi male, diceva, per questo meglio lasciarmi, scrivere la parola fine a quel rapporto troppo coinvolgente, intenso, passionale. Una scoppola mica tanto da ridere. Come un pugile rintronato per la botta presa direttamente sul muso e per il colpo allo stomaco. Non mi rimaneva altro che la molta militanza politica tra riformismo e simpatie anarco-libertarie-movimentiste in quegli anni nei quali la rivoluzione e il cambiamento sembravano ad un passo. Poi la notizia: a Casalmaggiore, paese della bassa padana a due passi dal Po, il Grande Placido Fiume, provincia di Cremona, dai 70 agli 83 km da Piacenza in base al percorso scelto, si organizzava un concerto con Joe Cocker. Nell’agosto del 1969, salito sul palco a Woodstock, Joe si era rivelato rock star con With a little help from my friend. Erano gli anni dei figli dei fiori, del fate l’amore non la guerra, della libertà, del rifiuto al conformismo, dei capelli lunghi, della contestazione contro tutte le giacche e le cravatte, della scoperta dei jeans, della rivolta e della ribellione. Per alcuni della rivoluzione, della lotta armata, della clandestinità. Compagni che sbagliavano gli strumenti di opposizione (le P38) ma pur sempre compagni in lotta contro un sistema iniquo.

Bernardo Lanzetti (già frontman della storica PFM) annunciato a Casalmaggiore per martedì 5 settembre alla Polisportiva Amici del Po a Casalmaggiore

Così Casalmaggiore, anno 1978, era l’invito alla mia personale Woodstock italiana. Sono partito con Mino, l’amico di sempre. In tasca un involucro che da tempo conservavo in camera mia, sotto all’ultimo cassetto della scrivania, lontano dalle mani di mammà. Me l’aveva passato Alberto che mi vedeva fumare MS, Gauloise, eccezionalmente Camel o Marlboro, “tutta merda“, diceva lui, “gettala, fuma sano, fuma pakistano” e mi aveva passato quel pane di hashish. Allora tutti fumavano spinelli. Compreso quell’amico, assunto dal Comune e inquadrato nel corpo dei vigili urbani. Lui, uomo d’ordine, di regole, di legge e regolamenti, vestito con una divisa, fumava hashish. Io no. Cioè, fumavo ma niente più che normale tabacco legale. Quel ‘pane’ dunque stava nel fondo della scrivania da mesi, non sapevo bene che farne. Curioso ma non convinto dell’opportunità del consumo, dell’abbandono al viaggio nel mondo dei sogni artificiali. Ma lì, a Casalmaggiore, sdraiato nel prato, nel buio della notte illuminata dai fanali sul palco, vivevo in bilico tra un recentissimo passato e un futuro tutto da definire. Preparata quella canna, accesa, fumata, l’effetto fu meraviglioso.

Casalmaggiore, piazza Garibaldi. Sulla destra il Bar Caffè Tubino, luogo del rock

Luci, colori, la musica vissuta ‘dentro’, la batteria nello stomaco, la chitarra nel cuore, il basso sembrava corrente, un fiume di suoni totalmente avvolgenti, un fluido a passare, a scorrere nelle gambe, a farmi muovere le mani, le braccia, a intorpidire la mente. La mente fluttuante, leggera, vagante, immagini abbaglianti ma incerte, indefinite, vaganti. Lei era lì, nei ricordi lucidi e fluidi, chiari, precisi e indefiniti, nel mio essere interiore, profondo. Ma la voce, la voce di Joe mi portava altrove, oltre, in una dimensione diversa, avanti, indietro, altrove. Un’esperienza intensa, oltre il mondo del reale quotidiano. Troppo oltre. Lei c’era e la sua assenza faceva male ma ormai la musica mi portava oltre, lei restava ma solo come un ricordo, un fantasma, un’ombra sfuggente, un sorriso evanescente. Così ho deciso il mio futuro, il mio cammino. No, il mio futuro non poteva stare in quel mondo di emozione ma miseramente virtuale. Quel che restava di quel pane, finita la musica, avvolto nello stesso scartoccio, è tornato nel fondo della scrivania. Rimasta la simpatia per gli indiani metropolitani ma nessun rapporto con la lotta armata, con chi usava i cortei per sparare alzo uomo, la scelta è stata per il riformismo socialista, il lavoro democratico per il cambiamento sociale, la realtà. Una scelta di vita. Così dopo qualche anno è arrivata la laurea. Il lavoro prima alla Fabbrica Italiana Automobili Torino nella vana e ingenua speranza che forme di cogestione fossero possibili ma nel grande impero industriale del Gianni Agnelli ogni forma di collaborazione, ogni apertura da parte del padronato era solo fittizia e alla fine il dominus era sempre lui, il comandante del vapore e all’occorrenza nel nome dell’utile aziendale l’operaio, il lavoratore, licenziato con un encomio assimilabile a una pedata nel culo. Quindi, salutata la Fiat, il lavoro all’Asl con quella collega che abitava in un quartiere residenziale per benestanti e non sapeva neanche chi fosse Francesco Lorusso il compagno di Lotta Continua ucciso a Bologna nel 1977 da un Carabiniere. Come dire che avevamo sognato di cambiare il mondo ma nei quartieri residenziali della placida, conformista, allineata Piacenza borghese nessuno s’era accorto di noi, dei nostri sogni, di quanto per quei sogni alcuni avevano pagato caro, anche con la vita.

Casalmaggiore: Paesaggio, stampa fotografica digitale su tela di Guglielmo Pigozzi

Seguì l’incontro con Dalila, un rapporto che sarebbe durato 4 anni per poi arrivare al matrimonio, ed ecco l’arrivo dei figli, contemporaneamente la collaborazione col mondo del giornalismo e, a quel punto, il contenuto di quello scartoccio da tempo dalla scrivania era passato per lo scarico del bagno di casa. Insomma, niente rivoluzione ma integrazione nella società pur cercando nel mio piccolo di cambiarla con strumenti democratici. Sono diventato dirigente nella sanità pubblica ma molti a dire che comunque “ero diverso“. Già, dalla parte non delle regole rigide della burocrazia dominus del cittadino ma dalla parte della gente, privilegiando i bisogni dei cittadini. L’ho pagata. Passando attraverso un processo penale, un’indagine per l’accertamento di eventuali reati penalmente rilevanti e infine una procedura di pignoramento dei mobili di casa. Ma, alla fine, anche quei signori in toga nera hanno riconosciuto l’aver agito in nome dell’interesse dei cittadini. Perché la legge, comunque scritta, è al servizio dei bisogni della gente e non viceversa. Così oggi eccomi qui, pensionato, 69 anni, il Covid quello pesante alle spalle salvo qualche strascico col quale continuare a fare i conti. E ancora: un figlio con sua moglie e le mie due nipoti emigrati in Nuova Zelanda per un investimento lavorativo di alta professionalità, contatti limitati (che comunque sono tanta manna) via whatsapp. Il secondo figlio con consorte che, otto mesi fa, mi hanno fatto trinonno “regalandomi” la nascita del primo nipote maschio. Beh, a questo punto credo sia chiaro perché, dopo tanti anni e una vita vissuta intensamente e concretamente, senza fughe nel mondo alternativo dei sogni e delle visioni indotte, dei voli psichedelici, ecco perché tornare a Casalmaggiore sia stata una grande emozione: soprattutto quando, entrato al bar caffè Tubino, in piazza Garibaldi, municipio alle spalle, all’interno ho visto decine di foto di concerti rock, l’annuncio di una serata live per il martedì successivo col barista che parlava dei tempi vissuti con i fumetti che scuotevano il mondo, da Diabolik a Zakimort, a Kriminal, Satanik, fino a Lando o La Compagnia della Forca e Alan Ford con Gruppo TNT. Il mondo dei personaggi oltre il Corriere dei Piccoli del Signor Bonaventura e di Lucky Luke, entrambi comunque gentili, ben educati, alla fine allineati.

Casalmaggiore, per me, è così. Luci, colori, musica, voglia di libertà, impegno per contribuire ad un mondo migliore, giusto, equo, solidale senza necessità di ricorrere a coadiuvati di visioni indotte cogliendo anzi l’occasione per evidenziare che 23 anni fa scegliendo di vivere la vita ho anche rinunciato a quelle 30/40 sigarette legali che fumavo giorno dopo giorno. Dunque, 45 anni dopo il primo incontro sul sentiero del rock, felice di un ritorno dopo il cammino sulla lunga e tortuosa strada della vita per scoprirci ancora uguali, ancora con gli stessi sogni e le stesse illusioni..

Casalmaggiore: Giochi di luce, olio su tela di Luiso Sturla

A Cerignale, io, Massimo Castelli e “Fate in Blu, Fate Infermiere – Covid, post Covid, long Covid”, il diario del ritorno alla vita

Agosto 2023: con Massimo Castelli, ex Sindaco di Cerignale, e il mio “Fate in Blu, Fate Infermiere”, il libro dedicato al recupero della vita post Covid

Cerignale, paese d’origine medioevale, 750 metri sul livello del mare nell’appennino ligure emiliano, 70 km da Piacenza, 80 da Genova, letteralmente un’isola tra i monti. Qui, grazie alla disponibilità e alla compresenza dell’allora Sindaco Massimo Castelli, conosciuto ai tempi della militanza tra i Democratici di Sinistra, nel 2016 ho presentato il mio libro dedicato alla tragedia di Chernobyl, “Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo“. Negli anni successivi non ho mancato un passaggio per assaporare un buon piatto di pini burro e salvia, tortelli ai funghi, tagliolini con le ortiche al ragù, magistralmente cucinati dalla signora Teresa al ristorante dell’albergo del Pino. Costretto ad evitare il viaggio lungo la tortuosa e suggestiva Statale 45 nel 2020 a causa dei postumi del contagio dal virus, il Covid-19, nell’anno dopo il ritorno con prenotazione come pensionante di una camera per qualche giorno all’albergo del Pino. Per la presentazione, sempre con Massimo – che nel frattempo aveva aderito a Coraggiosa, il movimento di Elly Schlein -, del libro pubblicato sul finire del 2020, “Nelle fauci degl’Agnelli“, storia di un’esperienza negli anni ’80 a contatto con il vertice dell’impero Fiat. Ma soprattutto un momento di “recupero e ritorno della vita“, convalescente dopo il ricovero in malattie infettive (2021) per l’infezione da Klebsiella Polmonae, un virus contratto un anno prima (2020) durante la permanenza in rianimazione sempre causa Covid (senza opportuno accertamento a titolo di tempestiva prevenzione prima della dimissione da parte dell’Ausl). Da allora l’appuntamento per il pernottamento di qualche giorno sul finire dell’estate è diventato un imperativo. Anche se nel frattempo tante cose sono cambiate. La signora Teresa, ormai superata quota 94 anni, non è più in cucina. E così anche Luigina, sua magistrale aiutante si fornelli, è ormai pensionata (salve emergenze). Massimo, da par suo, non è più Sindaco, costretto alle dimissioni per un’indagine che sembra coinvolgerlo, forse per qualche difetto di procedura nell’azione comunale dove sembra non si tenga conto – da parte di chi indaga – dei limiti operativi e di adeguato supporto tecnico in una realtà amministrativa periferica dove comunque quel che conta sarebbe più che la forma ineccepibile il saper fare e il conseguente fare considerato che la pubblica amministrazione è e deve essere al servizio del cittadino. Proprio come norme e diritto mentre non deve prevalere l’opposto ovvero che il cittadino debba essere sempre succube di un diritto che si fa burocrazia, immobilismo, prevaricazione. Quindi, rinnovando da parte mia la fiducia e la stima a Massimo per l’efficace azione nella veste di Sindaco, di amministratore e di politico, eccomi di ritorno in quel di Cerignale e naturalmente non potevo mancare di proporre una foto comune con tanto di evidenza del mio ultimo libro “Fate in Blu, Fate Infermiere – Covid, post Covid, long Covid, diario di giorni resistenti“, nel quale un capitolo è appunto dedicato a Cerignale, l’isola tra i monti dove “tutti finiscono col conoscersi, basta incrociarsi e ci si saluta, salve, buongiorno, ciao e un sorriso. In pianura, nella città, spesso non sappiamo nemmeno chi sia l’occupante dell’appartamento di fianco al nostro. Davvero un altro mondo, si vive di un senso diverso dell’essere, si è amici, anche se appena arrivati“, Quindi… arrivederci Cerignale. Al 2024 e … al prossimo libro.

Senza trascurare un inciso pubblicitario: il libro è reperibile a Piacenza presso la Libreria Fahrenheit di via Legnano, la libreria Romagnosi nell’omonima via, la libreria Postumia a Sant’Antonio e ve l’assicuro, vi saprà far sorridere, cosa che non riuscirete a fare leggendo il libro del generale Roberto Vannacci.

Cerignale, un’isola tra i monti

L’incontro in piazza Santa Fara a Bobbio con Claudia, OSS a Castel San Giovanni ai tempi del Covid

Claudia Negromanti era un’operatrice socio sanitaria in servizio nel reparto di riabilitazione pneumologica e fisica dell’ospedale di Castel San Giovanni (all’epocanei giorni del mio ricovero per Covid. Incontrarla a tre anni di distanza è stata una grande emozione come ho scritto in un post in Facebook ma ancora più emozionante è stato leggere il suo commento di risposta. Un riconoscimento utile per ripagarmi dei mesi di impegno oltre Covid, post Covid e Long Covid. Un abbraccio, Claudia.

Bar Tavernetta in piazza Santa Fara a Bobbio

Il mio post

“A Bobbio, seduto al Bar in piazza Santa Fara a far colazione, 1087 giorni dopo quel 17 giugno 2020, 88° dall’arrivo in urgenza in Pronto Soccorso a Piacenza per poi seguire il calvario del passaggio tra la vita e la morte in malattie infettive, rianimazione, trasferimento a Castel San Giovanni in terapia intensiva prima e riabilitaziine fisica e respiratoria poi, mi ha visto e salutato Claudia Negromanti. Era una delle “Fate” che, in quei lunghi mesi del 2020, hanno seguito il mio ritorno alla vita oltre Covid. Cosa posso dirti, Claudia? Grazie, dal più profondo del cuore. Rivederti è stata una carezza al cuore, un’emozione profonda, ripensando a quei lunghi giorni di immobilità nel letto ospedaliero con voi bardate, il volto nascosto dalla mascherina, la paura di essere a vostra volta contagiate, l’incertezza del mio recupero. Per me resterete sempre tutte e tutti, mediche, medici, Infermiere e operatrici socio sanitarie, Fate azzurre, angeli che mi avete assistito con dolcezza per tutti quegli 88 giorni come ho scritto nel libro dedicato al ricordo di tutte e tutti voi. Davvero un piacere e un’emozione ritrovarti, salutarti, ammirarti in compagnia oggi del tuo nipotino, simbolo della vita che procede nel tempo. In effetti oggi molte cose sono cambiate, anch’io sono nonno, anzi da 8 mesi trinonno, anche tu sei pensionata, quel “nostro” reparto castellano non è più, trasferito a Fiorenzuola e, per quanto mi riguarda, ho potuto scrivere due libri (ricordi? Non riuscivo più a parlare, a comunicare, a scrivere una lettera dopo l’altra). Insomma, siamo qui, oltre quei giorni, oltre Covid. Ciao, alla prossima occasione, al prossimo incontro lungo le strade di questo nostro mondo.”

Piazza Santa Fara, Bobbio: i tavolini sotto i portici

Il commento di Claudia

Non sono brava a scrivere come te ma in breve posso dirti che stamattina ti ho notato subito e mi sono tornate in mente certe situazioni vissute proprio in quel brutto periodo. Sono cambiate tante cose alcune belle, altre un po’ meno nella vita di ognuno di noi .. è la vita. Ciò che ho trovato di immutato sono le espressioni del tuo viso, il tuo modo di parlare… umanità, sensibilità, gentilezza. Nonostante in quei giorni tu vivessi nella sofferenza, dal tuo sguardo trasparivano comunque queste qualità. Nel mio piccolo e con il mio umile lavoro spero di essere stata corretta nei tuoi confronti, avrei sicuramente dovuto fare di più perdonami se ho mancato in qualcosa. Tu hai dato a noi, almeno a me una bella lezione di vita. Speranza, forza e coraggio. Una cosa mi è spiaciuto non fare.. un bel selfie 🤣ma magari capiterà chissà. Un abbraccio Claudio e grazie per il tuo post mi hai fatto emozionare e tanto.

I lunghi giorni del Covid e a seguire il post Covid e il long Covid senza mollare mai così l’essere qui, con voi, ancora oggi ammirando il mio “Fate in Blu, Fate Infermiere – Diario di giorni resistenti” allo stand della Libreria Fahrenheit alla Settimana della Letteratura di Bobbio: impareggiabile! Ribadendo un grazie di cuore a chi si è preso e si prende cura dei miei giorni e tra questi appunto Claudia Negromanti, operatrice socio sanitaria a Castel San Giovanni oggi felicemente in pensione

40 anni del Corriere Padano e quel pezzo della storia fatto insieme nel segno di una città vivibile (3)

I 40 anni di pubblicazione festeggiati dal periodico Corriere Padano e in particolare l’articolo dedicato all’informazione locale di quegli anni ’80 della giornalista professionista Antonella Lenti sono l’ occasione per un viaggio della memoria tra i miei ricordi del vissuto personale. Confesso: avevo due sogni. Scrivere un libro e diventare giornalista. Sul finire degli anni ’70 avevo bussato alla porta di una ‘Scuola (privata) di giornalismo’ (allora non esistevano i corsi universitari) nei pressi di piazza Duomo a Milano. Con un vecchio amico d’infanzia e compagno di Partito, Augusto Bottioni. Eravamo entrambi in crisi lungo il percorso universitario ed eravamo pronti ad intraprendere quella scelta che doveva coincidere col nostro futuro. Fummo ammessi ad un dialogo con il Direttore della Scuola che, ascoltati i nostri sogni, fu impietoso: ormai superato il primo quarto di secolo, eravamo troppo anziani, non c’era posto per noi nel dorato mondo della carta stampata.

La laurea con la tesi sui progetti di legge in materia di tossicodipendenza

Tornati a casa con un filo di rassegnazione riprendemmo in mano i rispettivi libri universitari, ci laureammo, Augusto ingegnere, giurisprudenza per quanto mi riguarda, ma quei sogni rimanevano. La mia tesi di laurea esaminava i progetti di legge sul tema della tossicodipendenza. Ne proposi la pubblicazione ad una casa editrice piacentina specializzata in pubblicazioni giuridiche (La Tribuna). Anche in questo caso fui ricevuto da un editor in giacca e cravatta comodamente seduto dietro ad elegante scrivania. Mi disse di diventare prima un famoso avvocato, poi ne avremmo riparlato. Almeno a quarantanni compiuti. Beh, non mi sono abbandonato allo sconforto, mi sono rivolto ad una casa editrice sempre locale e di sinistra, La Nazionale. Adeguandomi al fatto di pagare di persona la stampa (un milione circa per 300 copie). Era se non ricordo male il 1982. Lo presentai in occasione della Festa socialista dell’Avanti al Palazzetto dello sport a Piacenza e alla fine, a conti fatti, vendendo 150 copie circa anche i conti economici tornarono ma soprattutto fu positivo il ritorno tanto per quanto all’aver realizzato un sogno e considerando le successive porte che mi si aprirono.

Corrispondente con l’Avanti! nazionale e l’iscrizione all’Albo dei Giornalisti (sezione pubblicisti)

Ecco dunque intanto la collaborazione redazionale con il periodico “L’opinione socialista di Piacenza“, mensile della Federazione del PSI e, poco dopo, con Cronache Padane, altro mensile indipendente ma sempre di area socialista diretto da Enrico Sperzagni. Infine, nella seconda metà degli anni ’80, grazie al sostegno di Franco Benaglia, Presidente della Provincia, l’incarico quale corrispondente dell’Avanti!, quotidiano nazionale organo del PSI. E qui il mio secondo sogno sembrava realizzato ma la politica, si sa, è fatto aleatorio. Intanto vero che avevo ottenuto come pubblicista l’iscrizione all’albo dei giornalisti ma quanto a compensi, poche lire che mai mi avrebbero permesso di vivere e ormai “tenevo famiglia“, moglie e due figli in crescita “che tenevano fame“.

La collaborazione con Corriere Padano

Non solo. All’interno del Partito sempre più mi allontanavo dai compagni che sembravano tutti abbagliati dal flauto magico delle moderate teorizzazioni craxiane. Non ricordo come fu e quando avvenne l’incontro con Giuseppe De Petro, padre padrone dell’allora settimanale “Corriere Padano” da molti considerato scandalistico ma che, dal mio punto di vista, aveva un pregio: scoperchiava la cappa di conformismo calata sulla città da parte dei “padroni” della stessa rivelandone il volto nascosto, quei fatti che il quotidiano locale, Libertà, taceva. Era il 1988 e Giuseppe mi affidò uno spazio preciso, seguire le attività del consiglio comunale dove appunto dominava quell’uomo che dall’ombra di fatto governava la città, Corrado Sforza Fogliani, avvocato, liberale, banchiere, NH ovvero Nobil Uomo. Fu divertente rintuzzare nei commenti dei giorni dopo le sue argomentazioni, contrapponendole al fare di quello che definivo il Cavalier che viene dal contado, ovvero Franco Benaglia, socialista di sinistra, prossimo a diventare Sindaco della città, magiostrino. Il quale però era stato chiaro: scegliere Corriere Padano diventata incompatibile con il rapporto con l’Avanti! e non solo.

Il Cavalier che viene dal contado

Quel fantastico nomignolo (che, per quanto mi riguarda, lo contrapponeva simpaticamente all’austero e supponente NH, Nobil Uomo, avvocato, banchiere, padre padrone del Partito Liberale e della città), quel richiamo al contado il compagno Benaglia proprio non lo digeriva, gli pareva canzonatorio così il rapporto sia politico che personale diciamo si afflosciò per ritrovare vigore non prima della seconda metà del decennio successivo, dopo lo scioglimento del Partito e la nascita del Movimento Laburista di Valdo Spini.

La possibile collaborazione con Italia Oggi grazie a Luigi Altrocchi e il crollo della Torre Civica di Pavia

L’esperienza con il Corriere di De Petro fu molto stimolante (e ben compensata) a partire dal rapporto con il resto della redazione anche e se non privo di qualche strisciante dissenso (in particolare con Antonella Lenti, ‘anima politica‘ di area comunista del settimanale). Ma, fatti i debiti conti, anche qui c’era il problema dei bisogni della famiglia. Comunque risultava di grande soddisfazione poter scrivere non solo dei fatti ma commentando pure: in altre parole nello stesso articolo fatti e opinione. Intanto, grazie all’allora direttore responsabile Luigi Altrocchi si erano aperte le strade per una collaborazione con il quotidiano nazionale Italia Oggi. Mi vennero pubblicati un paio d’articoli poi la redazione affidò a Luigi e a me la realizzazione di un inserto speciale su Pavia. Gambe in spalla realizzammo diverse interviste con rappresentanti economici e sindacali ma, mentre assemblavamo il lavoro fatto, il 17 marzo 1989 la torre civica della piazza crollò causando 4 morti e 15 feriti. Quello speciale che in breve doveva portare ad una collaborazione organica, venne dimenticato.

L’ipotesi di due anni di praticantato e le necessità del buon padre di famiglia

Fermo restando che, nel caso di una pur ventilata assunzione per poter aspirare al professionismo avrei dovuto aspettare almeno due anni con un praticantato a compenso minimo, adatto per un giovane ma non certo per un buon padre di famiglia (qui finalmente si capisce il senso del peso dell’età ormai troppo avanzata evidenziato dal direttore della Scuola di giornalismo milanese anni prima). Così affrontai l’avventura di un posto dirigenziale alla USL di Mirandola salutando a settembre 1989 (con grande rammarico) De Petro, la redazione del Corriere Padano e i miei sogni di un futuro nel giornalismo italiano.

Direttore responsabile del Pellicano, periodico del Circolo ricreativo dell’Ausl

Tornai in via Scalabrini, allora sede del Corriere, nel 1990, salendo le scale col cuore in gola per l’emozione. Trovai la porta chiusa con i ragazzi della redazione all’interno che stavano occupando la sede del settimanale. E qui finiva la mia avventura nel mondo del giornalismo anche se per anni ancora sarei rimasto per il Tribunale e per l’Ordine dei giornalisti direttore responsabile del mensile del Circolo ricreativo dell’Ausl, Il Pellicano, ma, questa, fu un’altra storia.

Narratore, Scrittore e Poeta

Intanto mi allontanavo o comunque limitavo anche la militanza politica sia pure collaborando a vari livelli con Laburisti, Pds, Ds, Sinistra Democratica, Sel. Infine sostenendo col voto Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana. No, non finivo con la mia partecipazione alle battaglie di quegli anni: la pace, il no al nucleare, la tutela dei diritti dei lavoratori, i diritto civili, la tutela degli anziani. Semplicemente valori, idee espresse con modalità diverse: soprattutto grazie alla scoperta di internet attraverso specifici siti dedicati mi confrontavo in versi, con la poesia. Liriche sociali, sfociate nella pubblicazione in un’antologia di un’editrice milanese (della quale ho fatto omaggio a quell’Antonella Lenti che ho sempre considerata mia ‘maestra‘ di giornalismo) e in un importante premio a Lodi Vecchio. Sono passati alcuni anni di incubazione poi, nel 2004, dopo la partecipazione ad un corso a Bobbio con Aldo Bellocchio – fratello del regista Marco – (dove con mio grande stupore ho ritrovato partecipante proprio Antonella) è uscito il mio primo libro di poesie, “È severamente proibito servirsi della toilette durante la fermata nella stazione” . Poesie di lotta e di resistenza. Pagata la stampa ma grazie a rap-presentazioni nei vari paesi i conti son tornati sia quanto a contenuti, riconoscimenti, ritorno economico. Qualche mese fa, sul quotidiano locale, una giornalista, Elisabetta Paraboschi, mi ha citato definendomi Scrittore e Poeta. Beh, in effetti oggi i libri alle spalle sono nove, le rap-presentazioni più di 80, la definizione data da Elisabetta può considerarsi meritata e dunque realizzato il primo sogno e quanto al secondo, in fondo pure: l’iscrizione all’Ordine è ancora attuale. Non mi resta che ringraziare Giuseppe De Petro e augurare ulteriore lunga vita al Corriere Padano, anche se oggi con foliazione ridotta e periodicità mensile. A proposito: Augusto Bottioni nel frattempo, dopo quel viaggio a Milano, continua a pubblicare libri storici a raffica e Antonella Lenti diventata giornalista professionista, è stata redattore capo al quotidiano Libertà e attualmente, oltreché tornata a collaborare col Corriere Padano, dipinge. Purtroppo invece Luigi Altrocchi poco dopo quei tempi ormai lontani ci ha lasciati come del resto altri hanno intrapreso nuove diverse strade salvo alcuni che hanno saputo ricavarsi un ruolo collaborando con il quotidiano locale, come Patrizia Soffiantini o Ermanno Mariani. Insomma, il fascino sottile del narrare storie, i fatti accompagnati da commenti e opinioni: gratificante, irrinunciabile. Con un solo consiglio: iniziare da giovani, quando il fatto economico può considerarsi speranza di un futuro da venire.

Roberto Spinola, uomo del fare, nato per essere Sindaco, ci ha lasciato

Roberto Spinola

Già sono trascorse due settimane da quando ho saputo che ci ha lasciati Roberto Spinola, 76 anni, biologo, già Sindaco a Podenzano e poi a Ponte dell’Olio, ex dipendente Ausl, responsabile del laboratorio analisi dell’ospedale di Bobbio, in seguito direttore del Distretto sanitario della Montagna e per finire responsabile dell’impianto del Centro Servizi Ambulatoriali a livello provinciale. Aderente al Partito Socialista, in seguito protagonista della diaspora socialista: successivamente allo scioglimento del Partito è stato candidato alle votazioni regionali per la Lega Nord mancando di poco l’elezione.

Nella prima metà degli anni novanta, col passaggio dalle Usl all’Azienda Unitaria Sanitaria provinciale, l’occasione per incontrarlo. Travolto da una lotta di potere tra esponenti cattolici e democristiani, fui costretto ad abbandonare la sede Asl di Castel San Giovanni in quanto collaboratore dell’allora direttore sanitario ospedaliero e soprattutto in quanto socialista. Roberto, conclusa con le dimissioni (a seguito di contrasti interni alla sua stessa maggioranza) l’esperienza di Sindaco a Podenzano, fresco di nomina a Direttore del Distretto della Montagna nell’ambito dell’Asl piacentina, venuto a conoscenza del fatto, mi contattò proponendomi la collaborazione come responsabile amministrativo del Distretto con sedi a Bettola e all’ospedale di Bobbio. Un’esperienza durata tre anni, stimolante, propositiva, di soddisfazione, intensa ma non priva di aspetti controversi. Perché Spinola, a mio giudizio, era sicuramente un uomo del fare ma nel nome innanzitutto di un’ambizione personale senza fine. Che lo portava ad ottenere ottimi risultati di grande interesse per gli assistiti e i cittadini in generale ma che, ad un certo punto, lo portavano anche a grandi contrasti e in buona sostanza a concludere in malo modo le diverse esperienze amministrative.

Personalmente ritengo si siano ottenuti, lavorando insieme, buoni risultati, nell’interesse soprattutto dell’ospedale di Bobbio e degli anziani residenti nel Distretto comprendente Val Nure e Val Trebbia ma, dopo tre anni di lavoro comune, ho ritenuto opportuno dividere i nostri percorsi iniziando una nuova esperienza nella sede piacentina dell’Asl. Dopo qualche anno a sua volta ebbe un importante incarico in città ma, con l’arrivo da Roma di un nuovo Direttore Generale, finì col sentirsi emarginato dimettendosi dall’Azienda. Riuscì a farsi eleggere Sindaco a Ponte dell’Olio ma, come dicevo, l’uomo aveva carattere e motivazioni di fondo controverse oltre in alcune situazioni scarso equilibrio nei rapporti interpersonali per cui, ad un certo punto, inevitabilmente, la sua stella lentamente perdeva e perse splendore, finendo nell’ombra dei ricordi.

Certo, la sua partenza per l’Altr/Ove mi ha sconcertato e voglio ricordare un piccolo lavoro costruito insieme: si realizzò un giardinetto con tanto di panchine di fianco all’ospedale bobbiese dove i pazienti ricoverati potevano trascorrere un pò di tempo all’aria buona, come si suol dire. Tornato all’ospedale qualche anno dopo, quando entrambi ne eravamo ormai trasferiti, l’erba alta praticamente copriva le panchine, rendendo l’area inutilizzabile. Ecco, Roberto Spinola non avrebbe mai permesso tanta incuria e decadenza.

26 giorni di ricovero, il rilascio e l’inizio del recupero del mio mondo nella nuova dimensione (1)

Già lo si é detto: 26 giorni di ricovero, dal 30 maggio a sabato 24 giugno e alfin della fiera il ritorno a casa, i primi timidi passi, le medicazioni alle ferite da parte di Marica, l’infermiera dell’assistenza domiciliare, il campanello che suona, arriva Lucia, bionda fisioterapista. Ricordi. Anni fa con un collega era venuta in ufficio per trovare il modo per poter svolgere attività in libera professione presso l’Asl ma idea e progetto finirono nel nulla. Il naso fuor di casa. Occorre salire in ascensore, in piedi, con le stampelle, Dalila introduce la carrozzina piegata, scendo a piano terra, si riapre la carrozzina ma devo ancora scendere lo scalino dell’ingresso, finalmente sedermi e Dalila mi spinge fino al garage. Salgo in macchina, si va all’Ipercoop.

M’aggiro, giusto un pò perso tra gli scaffali, devo trovare il senso della mia nuova dimensione. Dalila acquista, io suggerisco, é sempre un lavorar in coppia. E quando s’avvicina l’ora dell’uscita lei ha un’intuizione: mi tampona!!! Un incidente volontario che le perdono e del resto niente colpo di frusta, anzi. Col carrello mi spinge io non faccio fatica e lei praticamente neppure e la gente che ci vede sorride esaltando la genialità e la furbizia della gentil consorte. Ah, ma le donne…

E non finisce qui, il rientro nel mio mondo prosegue. A breve primo controllo in reparto e visita medica fisiatrica nell’ambulatorio di via Caffi per prendermi in carica. Niente cena di festeggiamento per il compleanno di Dalila. Tutto segretamente organizzato, prenotazione effettuata, all’ultimo minuto Edoardo lamenta un possibile principio d’influenza. Disdetta, inevitabile rammarico del ristoratore, alla sera a tavola in cucina ci regaliamo un dolcetto gentile e gradito omaggio di Alessandra, pristinera sottocasa, da dividere in due. Sarà festa grande la prossima volta. Parte l’organizzazione per un mercoledì poetico musicale in via Roma al 163 da Fabbrica&Nuvole di saluto all’estate. Sarà il 12 alle 18.30, un’ora la durata, poi ricco buffet. Annunciato un incontro del Comitato Salviamospedale: inutile nuovo cemento, nuovo consumo di terreno verde, risistemiamo il nosocomio attuale di via Taverna ampliandolo e riorganizzandolo destinando le risorse alla medicina del territorio. Ma non solo. Si va nell’agriturismo dove nostra nipote, Olimpia, andava all’asilo e, sapendola lontana, dall’altra parte del mondo, un pò piange il cuore. Arriviamo, parcheggiamo ed è come rivederla che mi corre incontro, ed io la prendo in braccio, l’alzo verso il cielo beandomi del suo sorriso. Ah, la nonnitudine… Comunque nessun problema. Il comitato di ricevimento, tre quattro donzelle s’avvicinano, mi accolgono, mi salutano, mi regalano dolcezza e tenerezza. Ho la fortuna di avere apprezzamenti. Tuttavia devo riconoscere che, un tempo, le donzelle eran diverse, di tutt’altra specie. Qualcosa non quadra.

Così termina per ora la prima fase del rientro del Signor Bonaventura che non spera di vincere un milione ma d’essere esonerato almeno per un periodo significativo dal ritorno in ospedale e nell’attesa, chiedendo scusa alle gentil donzelle che, per salutarmi, han perso il posto in coda d’attesa della mungitura, si prosegua con la festa. Bando a dubbi e titubanze! Due fette di salame, due di pancetta, due di coppa, una di crescenza, una pallina di ricotta, una fetta di frittata. A seguire pisarei e per finire budino al cioccolato al sapore di tempi andati. Immancabili l’acqua, un pó di vino, un buon caffè e si torna a la maison. Prosit!

24 giugno 2023, magia di un ritorno a casa

Ci sono giorni che, una volta vissuti, è poi impossibile dimenticare. 24 giugno 2023. C’erano già stati i saluti del giorno prima ma, al cambio turno della mattina, ecco entrare in stanza quel ragazzo, Andrea, operatore socio sanitario, che, mi racconta, sogna di vincere il concorso per diventare milite di Guardia di Finanza e, poco dopo, con la sua casacca blu e lo zainetto in spalla, Deborah che, con la mano, non mi nega il lancio di un bacio. Parlavamo spesso, specie quando lei aveva il turno notturno ed io aspettavo l’antibiotico per via venosa delle 24. Ma ancora non è finita. Passano pochi minuti ed ecco Stella, a sua volta infermiera che tante volte si è presa cura, anche con la dovuta severità professionale, della mia persona tollerando le mie intolleranze e impazienze di paziente ribelle. A seguire, dopo un’ora circa, il saluto di Roberto, ultimo compagno di stanza nel tempo, che, arrivato il figlio, torna a casa. Ma finalmente arriva Dalila ed é la mia volta. 26 giorni dopo, l’ennesimo passaggio ospedaliero collegato – sia pure indirettamente, non in via principale – con il marzo 2020, gli 88 giorni di ricovero per polmonite interstiziale, Covid-19, Ultimo saluto di Carolina, Simona, Antonio e subito è stata festa. Avevo in programma una buona colazione in libertà al bar Tobruk a Borgotrebbia ma Il 24 agosto 2023 rappresenta anche il 5° anniversario di nozze di Edoardo con Daniela mentre loro figlio, Lorenzo, nato il 23 dicembre, ha superato i primi 6 mesi di vita. Pensavo festeggiassero per conto loro invece ecco la telefonata, “papà, ci vediamo al bar Pin-up a La Verza, dove fanno quelle brioches da sballo al pistacchio che tanto ti piacciono“.

Insomma, colazione insieme, ovviamente da tacere al medico di base e al diabetologo. Ci si fa del male, ma quando è festa, è festa. In veranda, con una bell’arietta, quasi come essere al mare o in montagna o in collina, dove porta la fantasia.

Poi Edoardo, Daniela e Lorenzo hanno salutato, sono andati a festeggiare a Rivergaro. Dal canto nostro, ovviamente inevitabile un saluto via whatsapp a Fabrizio & family emigrati in Nuova Zelanda, giusto dietro l’angolo di casa, precisamente e letteralmente geograficamente dall’altra parte del mondo, in procinto di visitare per la felicità delle bambine il parco di Jurassic World dove i dinosauri sono realizzati col magico Lego,

Fatto questo, ho guardato Dalila negli occhi. Ormai suonavano le campane del mezzodì, dovevamo tornare a casa? Ennò, non sia mai, poffarbacco! Ripeto, quando é festa la si onora e così eccoci alla Fattoria delle Bontà, a Pittolo, gambe sotto il tavolo. 26 giorni di ricovero ospedaliero valgon bene un piatto di lasagne e un bicchier di vino.

Pranzo “di lavoro”, primo, secondo, contorno, acqua minerale, quartino di vino, caffè, 14,00 €, cosa volere di più? Amaro Lucano, assolutamente proibito. Va bene sia festa ma non si può esagerare, siamo già oltre misura. Non riusciamo nemmeno a finire il secondo, otto fette di un ottimo roast beef che il ristoratore ci avvolge nella carta stagnola da portare a casa!

Ma non finisce in quel di Pittolo! Ancora, ci regaliamo un passaggio in libreria Fahrenheit, in città, nella centralissima via Legnano, parcheggio consentito per invalidi in piazza Duomo. Con la volontà di salutare Sonia e acquistare un vecchio romanzo di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli, ‘Tempo da elfi‘. Ma Sonia, informa Claudia che presidia il locale, é al mare con Enrico e anche il libro ormai datato non é più sugli scaffali.

Così, pur con mille altre idee d’immergerci nel nostro mondo dopo 26 giorni di ‘reclusione ospedaliera’, di fatto debellati dalla stanchezza, finalmente torniamo a casa. Ed io? Che dire, emozionato, di nuovo commosso. Proprio come quel 17 giugno 2020, quando allora con i due militi della Croce Rossa in ambulanza si conclusero i miei 88 giorni di ricovero per Covid-19 e iniziavano i lunghi giorni del post Covid e del Long Covid descritti nel mio libro “Fate in Blu, Fate Infermiere, scritto quando ancora non sapevo dei giorni dal 30 maggio al 24 giugno 2023. Ma poco importa, le belle infermiere che si prendono cura delle persone sono sempre splendide fate e quanto al ritorno a casa, é sempre home sweet home.

La festa con i ragazzi e le ragazze del centralino ospedaliero per il mio pensionamento. Al Bar Caffè Tobruk, a Borgotrebbia, da Davide e Sonia

Bar Caffè Tobruk, Borgotrebbia. Prima del Covid mi piaceva, finito il lavoro in Asl, fermarmi per una birra e, specie d’estate, godermi il bel fresco che la posizione all’ombra e un generoso refolo di vento regalavano.

Ma non solo: al Bar Tobruk capitava d’andare con Fabrizio, mio figlio, per una pausa mattutina dall’ufficio ospedaliero e una buona colazione, brioche, caffè, magari succo di frutta. E come dimenticare quella birra, la prima dopo i mesi di ricovero per Covid e di riappropriazione almeno parziale della mia normalità.

E per finire, quando al centralino dell’ospedale c’era qualche problema, lamentele da medici, da reparti, da cittadini, nella mia funzione di Direttore responsabile vedevo di incontrarmi al bar, lontano da orecchie indiscrete, con uno dei “ragazzi” cercando così di capire le ragioni del problema per risolverlo senza tragedie. Perché un errore, un’incomprensione, un malinteso, in un servizio al pubblico (interno ed esterno) sono all’ordine del giorno e il reo, a ben guardare, non è detto sia l’operatore del centralino.

Per esempio, capitò una notte che da parte di un reparto venisse richiesta una consulenza specialistica. Doveva essere chiamato il medico reperibile ma l’operatore “sbagliò” il numero di cellulare per cui prima della soluzione passò del tempo e, in caso di emergenze sanitarie, il tempo à tiranno,. Se ne pretendeva conseguentemente un provvedimento esemplare. Ma, carte e documentazioni alla mano, scoprii che non era stato comunicato a cura del reparto il cambio del numero da chiamare. Tutto risolto quindi con l’invito a tutti i reparti di aggiornare tempestivamente l’elenco dei numeri utili nei diversi casi.

Insomma, un posto speciale per cui, ho deciso tre anni dopo il 2 maggio 2020, giorno del mio pensionamento effettivo, di organizzare, nonostante Covid, post Covid e long Covid siano ancora all’opera, la mia festa di saluto ai ragazzi e alle ragazze del centralino. Rinviare ulteriormente significativa allontanarsi da maggio, perdendo il senso della ricorrenza. Quindi … inviti partiti, il dado è stato tratto.

Ovviamente per l’appunto appuntamento da Davide e Sonia, al Bar Caffè Tobruk, a Borgotrebbia, un luogo dove puoi sentirti a tuo agio, divertirti, gustare buoni panini e buoni tramezzini oltre alla straordinaria pan pinsa.

Per quanto alla festa per e con gli amici centralinisti, basata sulla lettura da parte di Dalila di alcune pagine del mio libro “Fate in Blu, Fate Infermiere“, che dire? Il tavolo col buffet alla fine era vuoto (patatine a parte) come le bottiglie, quelle di pro secco e quelle di spuma ed eravamo tutti allegri. In fondo in fondo, dopo tanti anni di lavoro insieme, emozionati. Con tanti saluti al loro Direttore, un capo dei capi che ha saputo farsi carico dei loro problemi. Cosa che, si badi bene, non ho detto io.

I mercoledì coi grilli per la testa in via Roma al 163. 3 maggio, giorno del ritorno, con Daniele Camia e, a sorpresa, il saluto in versi di Bernardo Carli

La ripresa dopo quasi due mesi di pausa forzata. Sono tornati i mercoledì coi grilli per la testa e, soprattutto, finalmente sono potuto ritornare in dialogo con l’autore piacentino invitato per la serata, Daniele Camia, in arte Antoine Daniel Lion. Difficile definire il livello d’emozione personale. Per quanto mi riguarda si trattava di un nuovo recupero della vita normale sia pure con diversi acciacchi in più (per camminate peraltro brevi devo avvalermi di due stampelle). L’ennesima ripresa, da quel 23 marzo 2020 quando un’ambulanza arrivava a sirene spiegate di fronte all’ingresso del mio condominio e due infermieri salivano di corsa le scale per verificare l’unica cosa da fare: di corsa in ospedale. Polmonite interstiziale, Covid-19, 88 giorni di ricovero: malattie infettive, rianimazione, terapia intensiva, una cartella clinica enciclopedica che ancora non ho il coraggio di aprire. A seguire la riabilitazione, il ritorno alla vita, il recupero del recuperabile ma ogni volta due passi avanti e un repentino come back e tutto a ricominciare ‘parallelamente’, ovvero con l’insorgere di una patologia nuova come appunto tra marzo ed aprile scorsi.

Sì! Decisamente mercoledì si presentava come una serata importante, l’ennesimo inizio della ripresa. Che delusione, quindi, quando alle 18 ho contato 5 presenti in sala e tante sedie vuote. Non mi è rimasto che temporeggiare. Poco più di cinque minuti e le sedie occupate sono diventate 22. Abituali frequentatori di ritorno, Luisella con una torta fatta apposta per salutarmi, diverse facce nuove, l’assessore comunale Mario Dadati. Insomma un successo, una delle iniziative letterarie a massima partecipazione tra le tante realizzate nei mercoledì da maggio 2022. E un caloroso applauso per darmi il benritrovato.

Ma non basta. Stavo per dire le prime parole, il consueto benvenuti tutti, la presentazione dell’autore Daniele Camia e del suo romanzo ambientato nella Piacenza del 1929 “T’ho sempre voluto bene” (LIR edizioni). Ma, a sorpresa, Bernardo Carli, già Preside del Liceo Artistico, Presidente dell’associazione di volontariato Fabbrica&Nuvole organizzatrice dei mercoledì letterari, ha preso la parola per leggere una poesia dedicata al saluto per il mio ritorno. Un fatto che mi ha lasciato talmente piacevolmente sorpreso da superare anche la stessa emozione inevitabile per cui credo non dover aggiungere nulla se non riprendere quella poesia, prima mAraviglia d’una serata che è poi proseguita splendida con Daniele prima, il pubblico poi e infine col buffet finale, graditissimo.

La poesia di ‘bentornato’ letta da Bernardo Carli

Se io fossi un gran poeta
come quello nato a Zante
scriverei in un istante
una composizione lieta,

All'amica risanata
Ugo dette il suo saluto
che non era un benvenuto,
ma piuttosto un ben tornata.

Scrivo questo sol per dire
al grillone Claudio Arzani
che ritorna tra i più sani
che i suoi guai han da finire.

Son diverse settimane
che il suo pubblico stimato
dei suoi libri affascinato
è privato delle trame.

Riprendiamo finalmente
le abitudini consuete
fatte d'ore tutte liete
da godere intimamente.

I presenti interpretando
faccio auspici ed anche auguri
ad Arzani perché si curi
la salute migliorando.

Alla fin della serata, 
mentre il sole sta calando,
ad un brindisi rimando
la salute ritrovata.

Prende la parola anche Stefano Ghigna, scrittore e poeta dalla Val Perino

Eppure non finisce qui. A commento della serata, in facebook ecco Stefano Ghigna, scrittore e poeta a sua volta. Scrive: “Claudio è il miglior conduttore in assoluto“. Salvo poi precisare “naturalezza, spontaneità, collaborazione, semplicità, immedesimazione, spirito sono doti tue, non facili da riscontrare. Lusingato, ma non esagerare, Stefano.

Insomma, chiedo perdono di un resoconto di serata letteraria ‘personalizzato’ ma per una volta funziona così e credo che il vero protagonista, lo scrittore e poeta Daniele, non se n’avrà a male considerando peraltro che il suo libro, con le atmosfere della Piacenza del 1929 magistralmente descritte, ha incuriosito e interessato i presenti tantoché se non è andato a ruba poco c’è mancato.

Ed ora? Non resta altro che annunciare il prossimo appuntamento mercoledì 10 maggio sempre ore 18.00, sempre in via Roma al 163, con Giorgio Soncini e il suo “Un pizzico di P.E.P.E. – Pensieri, Esperienze, Parole, Espressioni“, 100 poesie che si insinuano nei nostri sensi.

Bruna Boccaccia, 77 anni, ideatrice e promotrice delle edizioni Pontegobbo di Bobbio, ci ha lasciati: ti lascio un abbraccio e un grazie di cuore

Ci ha lasciati Bruna Boccaccia, 77 anni, già insegnante di lettere e dagli anni ’90 ideatrice e promotrice delle edizioni Pontegobbo, piccola coraggiosa casa editrice con sede a Bobbio in Val Trebbia. Grande attenzione al territorio piacentino, guide turistiche, diverse collane tra le quali i libri di “Storie nella Storia” con grande spazio alla Resistenza piacentina, le monografie dedicate a “Vite celebri e non” con protagonisti in particolare personaggi legati appunto al paese di San Colombano nominato Borgo dei Borghi 2018, e ancora Sport, narrativa, arte, resoconti di viaggi. Ritorno con la memoria all’anno 2015. Avevo alle spalle già diverse pubblicazioni con altri editori piacentini, un saggio sulla diffusione di droghe, quattro libri prima di poesie poi di racconti in versi e in prosa con un discreto apprezzamento da parte dei mass media locali e un buon ritorno di pubblico. Avevo però come si dice ‘nel cassetto’ un racconto nel quale credevo molto e che già aveva ottenuto un riconoscimento importante in una selezione condotta da un sito internet di Taranto. Inviato a quattro case editrici , la prima rispondeva che non rientrava tra le sue collane, la seconda che l’argomento non rientrava tra i suoi interessi, la terza fu una convocazione da parte di Bruna, a Bobbio. Solo silenzio da parte della quarta. L’incontro avvenne in un bar, con questa Signora di grande gentilezza, molto pacata, generosa di consigli ma anche di indicazioni circa parti aggiuntive che a suo dire (e aveva ragione) avrebbero arricchito l’opera. Chiese quale potesse essere, in base alle mie precedenti esperienze, la risposta da parte dei possibili lettori ed io ho ipotizzato la vendita di almeno cento copie, pur considerando che i miei libri precedenti erano opere in versi (e come noto in genere la poesia non dà da mangiare tantoché Bruna stessa mi disse che la casa editrice aveva pubblicato un’opera poetica ma non avrebbe ripetuto l’esperienza). Così abbiamo definito in 300 le copie da stampare in prima edizione. Poi, rientrato a casa, iniziai il lavoro di ampliamento e arricchimento del testo sfogliando in Biblioteca i quotidiani dell’epoca dei fatti narrati. Quindi incontrando personaggi protagonisti di quei fatti raccogliendo contributi e testimonianze, mano a mano integrando il manoscritto originale passando, attraverso diversi step di confronto con la figlia di Bruna, Daniela Gentili, dalla sessantina di pagine iniziali alle 125 finali e, a giugno 2016, “Il soffio del vento – Da Chernobyl a Caorso vent’anni dopo“, la mia sesta pubblicazione, era nelle librerie. Come dicevo la Signora Bruna è stata un’insegnante scolastica e, per quanto mi riguarda, maestra di metodo con i suoi consigli che mi hanno poi guidato nella realizzazione di – per ora – altri due libri, uno dei quali – il mio ottavo – ancora con la Pontegobbo ma con rapporto più diretto con la figlia nel frattempo subentrata con una presenza più assidua nella gestione editoriale. Sicuramente per il presentarsi di problemi di salute della mamma che comunque, ancora nello scorso agosto 2021, ha attivamente presenziato alle iniziative della ‘Settimana della letteratura‘ organizzata come tradizione a Bobbio. L’ho salutata con il rispetto e, in fondo, un filo di soggezione di fronte ad una persona discreta, severa ma capace di essermi insegnante e guida lungo il sentiero del parlare al mondo attraverso la carta stampata. Un saluto dunque con un ringraziamento che è personale e nel contempo come piacentino per il tuo lavoro col quale hai favorito la conoscenza del nostro territorio dando a tanti giovani (e non solo) la possibilità di pubblicare.

Un colpo basso, diritto all’anima e al cuore: dopo due anni di covid, post covid, long covid, la gente del Centralino dell’Asl, con la complicità di Dalila, saluta il pensionamento del loro ex Direttore: io in persona e gran festa fu!

… e mi trovai in una selva oscura (nei pressi del Grande Placido Fiume), un mio io con giacca cravatta, cappellaccio ed una donzella nascosta alle spalle, che non era Beatrice

Letteralmente… un colpo basso. Diritto all’anima e al cuore. Orchestrato da Dalila e Dorotea, ex collega impegnata nel Centralino Unico dell’Azienda Usl, uno dei diversi settori che faceva capo alla Direzione Amministrativa di Rete Ospedaliera dell’Asl piacentina che dirigevo fino al 1° maggio 2020, ultimo giorno di mia dipendenza con pensionamento all’indomani dopo 43 anni e 2 mesi di onorato servizio. Tanti saluti all’Azienda ma molti rapporti sono rimasti e, tra questi, con molti e molte centraliniste. Dorotea ma anche Libera, Carmelo, Clara, Fausta, Francesca, i due Andrea, Maurizio, Stefano, Marta, Claudia giusto per citarne alcune/i.

Comunque, Dalila, è tutta colpa tua, ti tengo d’occhio

Comunque. Dalila, per la prima volta nella nostra ormai lunga storia di coppia, decide di uscire per festeggiare, mi dice, i 43 anni di rapporto. Certo, ribatto io, era il 25 maggio del 1979, galeotto il luna park con le sue musiche, i suoi colori, l’immancabile galleria dell’amore, la ruota panoramica, l’autoscontro e fu un attimo, scattò il primo tenero bacio. Già, le ho osservato, ma tu ora proponi di uscire ed è ancora il 24 maggio, non c’è nulla da festeggiare. Bene, ha risposto lei parafrasando la risposta data ad Alice dal Cappellaio Matto e dalla Lepre Marzolina – con compartecipe il BianConiglio -, allora festeggiamo il Non-anniversario.

eccoli, i fedifraghi del Centralino Unico Azienda USL, ideatori della festa inattesa

E va bene, ma dove andiamo? Tu non ti preoccupare. Così mi ritrovo oltre Borgotrebbia, a due passi dal nostro Placido Grande Fiume, in una notte buia senza luna, in un agriturismo mai visto né conosciuto con tanto di asinello nella stalla, capre e gatti a gironzolare. Tutto avvolto nel silenzio d’una sera di Primavera ancora indecisa tra inizio di bella stagione e fine del fresco tardo invernale. Entro nel locale e… mi trovo davanti un pupazzo, una specie di spaventapasseri con camicia bianca, giacca, cappellaccio, cravatta con la foto della mia faccia a far da viso! Diavolo, ma io qui non conosco nessuno, chi mai ha orchestrato un fatto del genere? Il pensiero subito smentito: dietro alla testa del pupazzo intravedo i riccioli biondi di una ragazza, che non è la Beatrice del Sommo Poeta ma la diavoletta Dorotea. Mi giro e nella sala pranzo eccoli: gli ex colleghi e le ex colleghe del Centralino Unico Aziendale che applaudono, che vociano, e il Carmelo che mormora misteriose parole. “dottore, è pronta la giacca e la cravatta!”. Ma che dici, non le ho mai portate nemmeno in servizio di fronte ai gran dottoroni e ai Direttoroni venuti da lontano. Tu non ti preoccupare, se non lo hai fatto allora, lo farai adesso. Mah, povero Carmelo, sarà l’età ch’avanza senza pietà?

Musica, allegria, buoni piatti, vino e un sacco di risate, ma che bella compagnia.

Non capisco e non ci bado, entro nella sala e mi ritrovo seduto a capotavola, sulle pareti altre immagini, fotocopie tarloccate con i volti dei Blues Brothers, il mio e quello di Dalila. Mamma mia, ma che serata sarà? Beh, sono emozionato e ancora non so come e quanto lo sarò alla fine. Perché certo s’inizia la cena tra ricordi, racconti, aneddoti, risate. Ma poi…

Clara, Marta, Fausta, Libera, e …

Poi Libera, Dorotea. Fausta, Clara, Anna vanno in bagno. Normale, direte tutti perché si sa, tutte le donne vanno in bagno in compagnia. Certo. Ma non per trasvertirsi al modo dei Blues Brothers, uscirne dopo aver attaccato un disco che suona “Everybody needs Somebody to love” e … costringermi a travestirmi a mia volta. Così, nonostante i muscoli della gamba sinistra grazie al post e al long covid lamentino dolia, dopo 40 e più anni… ballo una specie di twist tra lo stupore generale. Mi sembra di rivivere i tempi lontani d’una sera scatenata al King di Castel San Giovanni o quell’altra notte al Pierrot di Sarmato, con quell’amica imboscata nei bagni con tal Renato Zero, sperando d’essere la sorcina della vita di quel giovin cantante.

Carmelo, Claudio, Stefano, Andrea seduto, Maurizio, Andrea e qualcuno che diceva “niente corna, mi raccomando”

Non dura molto, invero e dopo poco mentre le ragazze si scatenano, devo sedermi ma la soddisfazione è incontenibile. Ma non è finita. Si riprende la cena dopo avermi permesso di tornare agli abiti ‘normali’. Ma giusto per consumar un piatto di portata poi s’allontana Libera, sempre verso il bagno stavolta sola. Torna con toga e cappello da laureato che mi fa indossare per una piccola cerimonia: nel silenzio ossequioso di tutti gli astanti dà lettura della pergamena che mi consacra pensionato con tanto di laurea honoris causa non so bene in quale disciplina, forse dottore in Direttorite acuta della… Dart. Cioè sbaglia tutto, mai avuto a che fare con la Direzione Amministrativa di Rete Territoriale e infatti esplode la risata e la protesta collettiva. “Noi siam della Daro, siam gente dell’ospedal”. Daro e Dart, ospedale e territorio, un pò come Milan e Inter, Samp e Genoa, Torino e Juventus. Ma alla fine è sempre sanità, al servizio della salute di tutti.

Con Dorotea, l’innarrestabile

E ancora Libera, balla con il mio pupazzo lasciandomi in discussione con la solita gamba sinistra che s’impone e mi sconsiglia d’avventurarmi in un ulteriore roteante ballo fuor di pista per onorar la stupenda festa. Musica, allegria, buoni piatti, vino e un sacco di risate, ma che bella compagnia. Per festeggiare due anni dopo il mio pensionamento. La festa che finora, tra covid, post covid, long covid e chi più covid più ne metta, non era possibile e che comunque era del tutto inaspettata. A mia insaputa!

L’incoronazione: Direttore che fu, pensionato che è

Così, con la consapevolezza di un grande inatteso omaggio per aver saputo da Direttore – che ancora oggi Andrea chiama ‘capo‘ – coinvolgere, rispettare, aiutare chi collaborava con me sempre al servizio dei cittadini, così è giunta l’ora di salutarci, di abbracciarci e dico la verità, ero e sono a giorni e giorni di distanza ancora emozionato e commosso: pura e sacrosanta verità. Grazie a tutti, a Dalila, a Dorotea, a Libera ispiratrici del malaffare, e naturalmente un abbraccio a tutte. Quanto agli ometti, s’accontentino oltre al ringraziamento, d’un sentito Ciao.

e come sempre, arriva il brindisi finale

.

Ciao, compagno Francesco, ti saluto. Ancora e sempre a pugno chiuso

Francesco Cacciatore

Così anche Francesco ci ha lasciati. Giovane, 63 anni, in pensione da poco dopo una vita al servizio della gente in Amministrazione Provinciale, già VIceSindaco cittadino. Non era una conoscenza approfondita, diciamo che entrambi muovevamo passi nell’area di sinistra, sia pure in spazi ed ambiti per lo più diversi. L’avevo incrociato negli anni settanta, quando entrambi frequentavamo la biblioteca comunale per reciproca necessità di studio. In quell’epoca il luogo di studio era nell’ala diciamo storica al primo piano con accesso attraverso una stanzetta destinata poi alle pause e alle conseguenti chiacchiere. Sì, avevamo un confronto d’idee abbastanza intenso sia pur occasionale. Io su posizioni di socialismo libertario col mito dell’autogestione, lui abbastanza in linea con il comunismo berlingueriano sia pur con qualche posizione diciamo … eretica, diciamo moderatamente “fuori linea” rispetto all’ortodossia di via Chiapponi allora sede del P.C.I. piacentino, all’epoca – a mio parere -, espressione di un comunismo piuttosto “bulgaro“. No, di questo non posso dire di Francesco, piuttosto attento al confronto con i compagni che maturavano scelte diciamo movimentiste schierati ad esempio con D.P., M.L.S. o con i radicali di Marco Pannella oppure, come nel mio caso, con la sinistra socialista che teorizzava l’alternativa di sinistra in antitesi al compromesso storico di Enrico Berlinguer. Comunque, passato il tempo della biblioteca, ci siamo un pò persi di vista, lui impegnato con la politica amministrativa nelle istituzioni come consigliere comunale prima e assessore poi, io nella politica di strada almeno fino all’abbandono negli anni ’90 del Partito socialista ormai egemonizzato dal craxismo. Salvo, alla fine di quegli anni’ 90 e dei primi anni dele terzo millennio, il tempo comune dei Democratici di Sinistra, punto di approdo dopo la mia militanza laburista: entrambi nella direzione provinciale tuttavia le posizioni restavano sostanzialmente diverse. No, non conflittuali ma appunto sostanzialmente diverse. Del resto, giunti al Congresso del 2007 lui seguì l’indicazione di Valter Veltroni di concludere l’esperienza del partito orientato verso l’approdo socialista per arrivare allo storico incontro con le masse cattoliche e la conseguente nascita del Partito Democratico. Un’esperienza che lo avrebbe ulteriormente impegnato nel percorso politico amministrativo con l’approdo alla nomina quale ViceSindaco appunto con il P.D. sostanzialmente egemonizzato dalla componente cattolica rappresentata in particolare dal cattolico Roberto Reggi di provenienza e cultura democristiana (e, non lo nego, resto impressionato e stupito leggendo sul quotidiano locale della profonda intesa tra Francesco e l’allora Sindaco, appunto quel Reggi di cultura cattolica, moderato con pennellata di timido orientamento progressista, che negava ai cittadini le porte aperte del suo ufficio di piazza Mercanti, trasformato in un bunker inespugnabile). Ma non finì lì, i nostri incontri sia pure occasionalmente sono proseguiti in particolare quando lui ha lasciato il P.D. del democristiano conservatore Matteo Renzi seguendo Pierluigi Bersani nella nuova esperienza di Articolo 1 – Liberi e Uguali. Un’esperienza politica – vista da osservatore esterno – interessante, per molti aspetti condivisibile anche perché, per quanto mi riguarda, era conclusa l’esperienza con Sinistra Democratica. Così ho partecipato – come osservatore – alla prima riunione costitutiva, ho ascoltato con attenzione l’intervento di Francesco, ho rivisto con gioia tanti compagni che avevo perso di vista dopo il 2007 (non avevo mai capito la loro adesione al P.D. che avrebbe espresso personaggi come Matteo Renzi, assolutamente estraneo alla cultura e alla tradizione socialista e di sinistra). I tempi per il ricongiungimento comunque non erano e non sono maturi, difficile distinguere e scegliere – per quanto mi riguarda – tra Art. 1 e Sinistra Italiana formazione nella quale si riconoscono altri miei compagni storici, socialisti, tuttavia non ho fatto mancare il mio sostegno per esempio in occasione delle ultime elezioni amministrative comunali quando Francesco indicava la necessità di votare quale candidata alla poltrona di Sindaco Sandra Ponzini. No, non mi sono candidato direttamente a sostegno, ho caldeggiato però la candidatura di Dalila (mia moglie e compagna di vita) anche perché l’esperienza di Articolo 1 o di Liberi e Uguali era ancora tutta da valutare. Ricordo poi di aver incrociato Francesco in una manifestazione con assembramento di fronte alla Questura. Nell’occasione mi ha diciamo “ripreso” con l’accusa e il rimprovero d’essere pigro, di non impegnarmi in prima persona. Chissà, forse aveva ragione. Diciamo che mi ha strappato un sorriso, della serie “convincimi, toglimi i dubbi e forse ti seguirò”. Anche se analoga insistenza, a parte Articolo 1, viene dai compagni di Sinistra Italiana. Chissà, magari aspettavo il tempo della pensione, la conclusione dell’esperienza lavorativa in Asl (che, vista la mia posizione dirigenziale, grazie al ministro berlusconiano Renato Brunetta poneva molti limiti alle mie possibilità di partecipazione politica diretta). Poi il Covid ha posticipato il tutto, per quanto mi riguarda ma chissà, Francesco se avesse voluto in un futuro prossimo venturo poteva riuscire a coinvolgermi in un impegno politico diretto. Diciamo così: era un politico sostanzialmente dalla parte giusta, la parte della gente, oserei dire prescindendo dal passato berlingueriano “un compagno socialista” (chissà se lui, comunista prima e post comunista poi, m’avrebbe perdonato quest’affermazione). Per questo mi mancherà la possibilità di riprendere un giorno quel confronto iniziato ai tempi di quella stanzetta della biblioteca comunale con panca di legno e il nobil uomo Manfredi a vigilare che nessuno fumasse. Che, lo confesso, da ieri, quando ho saputo della partenza di Francesco per il Regno dell’Altr/Ove, mi mancano ancora di più.

Ciao, compagno Francesco, ti saluto, ora e sempre a pugno chiuso.