A Langhirano, prosciutto crudo e salame di Felino, ospite del “mio” Direttore Generale Asl Piersergio Serventi, autore del libro “Sanità vendesi – Perché è successo, perché nessuno è innocente”, e i ricordi scorrono come il Taro in piena

Piersergio, Augusto, Giovanni, un pomeriggio nelle verdi colline di Langhirano

Un pomeriggio tra le verdi colline a Langhirano. Con due amici, Giovanni e Augusto, ospiti di PierSergio Serventi, il “Direttore generale dell’aziendalizzazione dell’Ausl di Piacenza”. Un pomeriggio tra gustosissimo prosciutto crudo, culatello, un salame di Felino tagliato a fette della giusta misura, perfetti chisolini (o torta fritta che si dica) preparati al momento dalla signora e mille ricordi tipo uno che tira l’altro esattamente come le fette di salame accompagnate da parmigiano reggiano quello a 24 mesi. Erano gli anni tra il 1994 e il ’99.

Ecco, ci mancava quel ’99. Giusto un secolo prima il General Cadorna chiamava “i ragazzi” del ’99 nonostante “facessero ancora la pipì nel letto” e così tutti, giovani e inesperti, a morire là al fronte a Caporetto nel nome di un potere (quello della corona e dell’incapace General Cadorna) indifferente alle sorti della meglio gioventù del nostro popolo. Beh, non so fino a che punto il paragone possa reggere ma quando nel successivo ’99 (1999 per la precisione) l’assessore alla sanità dell’Emilia Romagna chiamò in Direzione a Piacenza per informare del siluramento del “mio” Direttore Generale personalmente pensai che la storia spesso si ripete e per chi non si allinea al potere del momento (di qualunque colore sia), per chi osa discutere determinate scelte che calano dall’alto, non c’è speranza: il percorso (di vita e soprattutto in primo luogo professionale) diventa in salita.

Comunque, sì, per me Piersergio era e rimane il “mio” Direttore anche se soprattutto inizialmente e indirettamente “me ne ha fatte di tutti i colori“. Perché io, all’epoca ancora ViceDirettore amministrativo, me ne vivevo tranquillo in quel dell’ospedale di Castel San Giovanni nell’allora Usl n. 1 appunto nel 1994 inglobata nella nuova Azienda Unitaria piacentina. Dovevano essere nominati i vertici dirigenziali di quel segmento organizzativo che appunto era la Val Tidone ed io lavoravo al fianco e a supporto del Direttore Sanitario Mario Camoni inviso ai nuovi dirigenti scelti da Serventi, tal Teggia in primis. Il quale riteneva che io rappresentassi un importante puntello della posizione del Camoni. Mi chiamò in città l’allora Direttore Amministrativo maximus, tal Forlani, e la questione era ‘semplicemente‘ il vender cara la pelle.

Ero poco più d’una semplice pedina e, in quel gioco agli scacchi, Teggia era almeno a dir poco una possente Torre Nera ancorché tinta di bianco (sostenuto da Comunione e Liberazione, da un giovane quantomeno opus Dei, tal Delfanti, dalla D.C. e dall’ex Sindaco democristiano di Gragnano Angelo Bergamaschi). Insomma, il mio destino pareva segnato: una vecchia e polverosa seggiolina mi asoettava al Distretto piacentino sul Corso Vittorio Emanuele, strappato alla mia vocazione ospedaliera della quale ormai da quattro anni a Castello ero protagonista. Ovviamente vice del vice del vice e giù sempre più giù come il più reprobo dei reprobi. Perché, come mi disse il Forlani “quando si è d’ostacolo ai piani dei potenti (nell’occasione il Teggia e il cardinale nero, il Bergamaschi) per noi amministrativi non c’è nulla da fare“. No, dissi, così non va, non è questo il modo di far gestione, presunto mega direttore amministrativo ipergalattico, tu non sei il padrone dei miei destini.

Purtroppo se il Teggia (astro nascente democristiano) era potente, il Forlani (democristiano a sua volta) lo era ancora di più e, siccome democristiano non mangia democristiano, io avevo luogo ad abbaiare. Quindi, coda tra le gambe e impegno nella ricerca di limitare il più possibile il danno personale e professionale. Intanto barattai la mia testa per un corso di formazione a Roma e comunque fu un dicembre durissimo quanto a tensione tantoché ne pagai lo scotto finendo in un letto dell’ospedale per imbarazzanti problemi sanitari appunto nella non più “mia” Castello. Comunque, un paio di settimane ed ecco il rientro a casa e qui, mi tese una mano Roberto Spinola, biologo, Direttore del Distretto della Montagna comprendente Val Trebbia e Val Nure, competenza legata ai servizi del territorio e all’ospedale di Bobbio.

Dove ho garantito impegno fino al 1997 partecipando dalla montagna alla fase di crescita dell’Azienda, una fase che il Direttore Generale appunto Serventi stava basando sull’innovazione e sulla partecipazione. Con prudenza ma lentamente cambiavano i protagonisti della dirigenza almeno nei limiti consentiti dalla burocrazia ingessante delle strutture pubbliche. Limiti eppure per esempio venne “promosso” (con gran soddisfazione di molti) a nuovo prestigioso (?) incarico di studio l’ormai ex direttore del personale di sempre, Marchetta (ovviamente democristiano) e infine giunse a conclusione la carriera dello stesso Forlani (e i soliti molti, increduli, dichiararono festa nazionale).

Insomma, piccoli passi prudenti, ma il Serventi, ex Psiup e successivamente in quota PCI, stava lentamente innovando i vertici aziendali d’una Piacenza da sempre ingessata, dominata dal potere del bianco fiore. Spazio ai giovani in tutti i settori, quello amministrativo e ancor più quello sanitario con l’arrivo di dimissioni di regola formalmente volontarie dei precedenti ‘storici’ primari.

Per quanto mi riguarda, la collaborazione con Roberto Spinola in quel di Bobbio durò fino al ’97 contribuendo alla crescita dell’ospedale della montagna anche con alcune coraggiose innovazioni (per esempio i contratti per ottenere servizi infermieristici attraverso convenzioni esterne stanti le lentezze farraginose dei concorsi pubblici gestiti dall’ufficio personale) poi venne il momento di cambiare aria e così chiesi allo stesso Direttore Generale. Si parlò di diverse ipotesi ma gli aspiranti erano agguerriti per cui alla fine sembrò liberarsi una scrivania in Direzione Sanitaria in una posizione amministrativa che doveva essere “a tre”. Anche in questo caso però fu netta l’opposizione di Graziano Dainese (curiosamente democristiano proveniente dall’Amministrazione della Provincia), in quel momento responsabile unico della posizione che non aveva alcuna intenzione di dividere il cappello del comando. Beh, comunque quel tempo trascorso in Direzione Sanitaria si sarebbe poi rivelato fondamentale: lì ho conosciuto una collega impiegata, Lidia, che sarebbe diventata negli anni a seguire la mia “dama azzurra“, la mia collaboratrice diretta, custode a tutela della mia tranquillità e sicurezza di tutte le numerose “pratiche scottanti” gestite nel tempo, fondamentale difesa dai denti da squalo soprattutto dei molti colleghi che avrebbero volentieri veder cadere la mia testa.

Comunque, nell’attesa, ecco il passaggio alle dirette dipendenze della Direzione generale ma senza ufficio. Vagante in base alla scrivania libera. Inventando letteralmente un ruolo. Che forse non voleva o non interessava nessuno. Erano i giorni dell’invenzione a livello nazionale del Servizio Ispettivo per contrastare il doppio lavoro senza regole e il lavoro in nero, fenomeno abbastanza diffuso anche a Piacenza. Non solo: arrivò anche la riforma Bindi che portava alla regolamentazione e alla gestione dell’attività libero professionale dei medici. Per tacere della necessità di contrastare il malvezzo del fumo in ambiente sanitario (ad esempio nelle camere operatorie o nei bagni dei reparti), di regolamentare la presenza notturna di badanti (spesso senza nessuna adeguata preparazione specifica) nei reparti talvolta gestite da vere e proprie organizzazioni clandestine esterne con la disponibilità e l’aiuto di qualche compiacente collaboratore interno con tanto di generoso aiutino. Per tacere ancora del controllo sulle attività delle imprese esterne di assistenza ai familiari per la gestione dei pazienti ospedalieri deceduti, altro settore potenzialmente “remunerativo“.

Con la collaborazione innanzitutto appunto di Lidia, poi di Graziana Orlandi da Fiorenzuola e di Carla Fornasari da Castello si costruì innanzitutto la regolamentazione dei primi due settori (regolamentazione tuttora in essere salvo modifiche risibili, a quanto mi risulta) e successivamente, con la fondamentale collaborazione di due colleghe sanitarie, Emanuela Damiani (capo sala) e Lorena Bandini (operatrice sanitaria) messe a disposizione dal Direttore Sanitario ospedaliero Capra, nell’applicazione organizzativa degli stessi regolamenti. In pratica “mettere le mani e gli occhi nelle tasche dei medici” e soprattutto dei baroni della medicina: da brivido!

Nel frattempo finalmente ‘conquistavo’ un ufficio nel corridoio dell’ex Convento Olivetano dove stava la sala per le attività di rappresentanza dell’Azienda (la monumentale Sala Colonne) e dove peraltro era in programma il trasferimento di tutta la Direzione Generale, Serventi incluso.

Ma la mannaia dell’assessore regionale, come si diceva, in quel 1999 calò sulla poltrona del Direttore Generale e, in breve, tutto cambiò.

Per quanto mi riguarda però, quei due settori rimasero tra le mie competenze di direzione che lentamente mi avrebbero portato alla più generale e specifica nomina quale Direttore della Unità Operativa Complessa D.A.R.O., Direzione Amministrativa di Rete Ospedaliera, agli interventi rispetto alle altre situazioni che richiedevano controlli e regolamentazione come quelli già descritti oltrechè, per aggiungerne uno, l’intervento gestito con il Direttore Sanitario Pedrazzini relativamente al riordino delle cartelle cliniche, documento essenziale per ricostruire gli interventi sanitari eseguiti sui pazienti, riordino indispensabile dopo il clamoroso caso dell’essere pervenute alla Procura tre copie della stessa cartella ciascuna con diverso numero di pagine o comunque altri casi con mancanze o inadeguatezze nella compilazione.

Per arrivare infine, con i nuovi Direttori Generali e pur passando per quanto mi riguarda dall’afferenza alla Direzione Generale a quella del Dipartimento Amministrativo relativamente alla Direzione amministrativa della Rete Ospedaliera, al mantenimento del rapporto con la Direzione con riferimento all’attività ispettiva e alle intervenute nomine quale Presidente del Comitato di Garanzia per le pari opportunità e del Comitato trasparenza e anticorruzione rendendo fatto praticamente ordinario il rapporto con organi di controllo esterni (Guardia di Finanza, Carabinieri dei N.A.S., Polizia locale, magistratura, oltreché ovviamente Regione e lo stesso Ministero, Dipartimento della Funzione Pubblica per l’esattezza).

Quanto al Direttore Piersergio Serventi, molti anni dopo il suo ritorno nella sua natia provincia parmense, ho avuto l’opportunità di invitarlo, nel 2022, alla presentazione, presente altresi Cosimo Franco primario pneumologo, appunto in Sala Colonne del mio libro “Fate nere, Fate infermiere – Covid, Post Covid, long Covid, si lotta, si sogna, si vive“, resoconto del mio calvario negli 88 giorni di ricovero dal 23 marzo al 17 giugno 2020 e delle successive vicende del long Covid, presentazione che è stata contemporaneamente opportunità per il tardivo saluto a posteriori alle colleghe e ai colleghi in occasione del pensionamento formalmente avvenuto durante il ricovero il 2 maggio 2020.

Ed ora? Ora l’amico Piersergio, giovedì 5 giugno 2025, alla tavola di fronte al parmigiano e alle ultime fette di salume, stappando una bottiglia di buon immancabile vino emiliano, ha informato di aver pubblicato un nuovo libro suo.

Sanità Vendesi – Perché è successo, perché nessuno è innocente”.

Una riflessione sui malesseri della sanità e sul fallimento della vocazione universalistica dell’intervento sulla salute voluto dalla riforma del 1978, fallimento determinato anche dagli errori della aziendalizzazione.

Una tesi in odor di eresia? Vedremo cosa ne penserà il nuovo assessore regionale alla sanità.

Per il momento non mi è rimasto altro che, al momento dei saluti, ringraziare Serventi, il “mio” Direttore Generale, per avermi chiesto di presentare con lui il libro a Piacenza.

Non so se così sarà o se verranno individuati altri (l’iniziativa sarà organizzata di concerto con gli amici Augusto e Giovanni) ma l’averlo da parte sua pensato e proposto … beh, una bella soddisfazione. Grazie.

I chisolini, il culatello e un buon vinello emiliano in quel di Langhirano giovedì 4 giugno

Inaspettato ritorno al passato … proiettato sul futuro: di nuovo, 38 anni dopo, nominato Presidente del “Cral USL di Piacenza Il Pellicano”

1987, la prima festa del Pellicano a Perino, due giorni di musica, calcio, ciclismo, calcio femminile, escursioni, salame cotto e pisarei, solidarietà e difesa dell’ambiente

“Correva” (è d’uso dir così) l’anno 1987 e il fatto richiese molti confronti, discussioni, conciliaboli: l’Agnese Gelmini (CGIL), eletta solo un anno prima presidente di un Cral USL 2 ormai “spento” da rifondare, s’era dimessa causa trasferimento in altra città. Chi ne avrebbe raccolto l’eredità? Alcuni del direttivo hanno ipotizzato fossi io. Lusingante. Il punto era che stavo iscritto alla UIL (proprio in antitesi politica con il rappresentante del comparto sanità CGIL col quale avevo avuto pesanti scontri nell’ambito del comune Partito) e qui c’erano noci da rompere. Ma alla fine la nomina fu all’unanimità e lì ebbe inizio una stagione che ancora oggi definisco entusiasmante. 

C’erano tra gli altri Stelio Braga, Giancarlo Cardetti, Piero Calza, il dottor CarloAlberto Tacchini, il dottor Grumi, Floriana Frazzani, Piero Molinaroli e s’inventò il simbolo grafico del Pellicano. A seguire la prima festa del Pellicano, due giorni di musica e salame cotto su in Val Trebbia, a Perino, le feste di S.Lucia per bambini, le lotterie, le gare di briscola, di pesca, le mimose per l’8 marzo alle dipendenti, i tornei di calcio, le cartoline inviate al Presidente della Repubblica contro il progetto di costruire una diga a San Salvatore a rischio di rovinare il nostro mare, il fiume Trebbia poco prima di Bobbio, le feste di saluto con premio ai soci nel momento della pensione, le mostre d’arte nella sala biblioteca dell’ospedale, gli incontri sempre in sala biblioteca dalla parte della pace, il mensile cartaceo “Il Pellicano” con informativa dei bandi di concorso utile per sopperire alle carenze informative del servizio risorse umane, i corsi di ginnastica, le altre feste del Pellicano a Roncaglia, Marsaglia, a Sant’Antonio in cooperativa, i corsi di inglese, di fotografia, le caldarroste per i pazienti del Simap. 

Nel 1989 ho accettato un incarico temporaneo all’USL di Mirandola ma al Cral USL 2 “il Pellicano” amici e amiche del consiglio mi hanno confermato come Presidente e, quando nel 1991 mi sono trasferito all’allora USL 1 di Castel San Giovanni (tornando cioè in provincia) pure. E così fino al 1992 quando ormai l’incarico diventava anacronistico visto che di tornare dipendente dell’USL 2 di Piacenza proprio non ci pensavo né ci tenevo. Gli amici e colleghi del Cral mi fecero omaggio d’una targa/diploma con tanto di medaglia d’oro che fa ancora mostra di sé appesa ad una parete in casa. Piero Calza fu eletto nuovo Presidente.

La targa che amici e amiche del Circolo Ricreativo Lavoratori dell’USL 1 di Piacenza mi salutavano nel 1992 dopo le dimissioni dall’incarico di Presidente ricoperto dal 1987

Per qualche anno, da giornalista pubblicista iscritto all’albo, ho garantito la firma in Tribunale come direttore responsabile del mensile “Il Pellicano”. Del resto nel 1994 iniziò il processo di fusione tra le tre USL della provincia in un’unica Azienda per cui mio malgrado mi ritrovai socio del nuovo Circolo Ricreativo Aziendale ma, come si suol dire, ‘in ombra’ ovvero socio inattivo. In seguito peraltro (mi pare negli anni del terzo millenio) la pubblicazione del periodico “Il Pellicano” è stata sospesa dato l’aumento delle spese per le spedizioni postali. Nello stesso tempo, occupato dalle aumentate responsabilità professionali, pur continuando ad essere iscritto al Circolo, comunque la mia partecipazione si è limitata al ritiro del pacco dono natalizio. 

Poi, lo si sa, venne quel 23 marzo 2020, l’ambulanza, la rianimazione, l’ossigeno, intubato, tracheostomizzato, il miracolo eparina, il miracoloso risveglio circa un mese dopo, ancora ossigeno, muscoli distrutti, incapace di alzarmi, di camminare, di parlare. Così fino al 2 maggio, primo giorno di pensionamento chiuso ancora in isolamento con quell’infermiera completamente bardata che rompendo tutti i protocolli è entrata nella camera chiusa con un sorbetto al limone e quella è stata la mia festa. E così proseguendo ancora fino al 17 giugno, giorno del ritorno a casa. Ma non finì lì: venne il post covid e poi il long covid e , a cinque anni di distanza, siam sempre li. 

“Trebbia libero, No alle dighe”: raccogliemmo centinaia di adesioni inviando poi le cartoline firmate al Presidente della Repubblica

Nel frattempo il Cral è completamente cambiato. Di quelli che “l’avevamo fatto insieme” non c’è più nessuno, come ho saputo. Tutti ormai pensionati e tanti non sono più: l’USL è altra cosa e altra cosa il Cral. Quando, poco tempo fa, gli attuali componenti mi hanno contattato per … “chiedermi una mano” sono rimasto interdetto. Io? Ma io sono ormai fuori. Come posso essere d’aiuto, io?

Ormai che c’entro io con i dipendenti USL? Da cinque anni oltreché alle cure post covid, sono impegnato con i miei romanzi e le mie pubblicazioni poetiche. Da tre anni inoltre sono impegnato come direttore artistico dei “mercoledì coi grilli per la testa” ovvero l’organizzazione degli incontri settimanali appunto del mercoledì con autori, narratori, poeti e artisti piacentini che si svolgono in via Roma al 163 alla Scuola Azzurra dell’associazione di volontariato Fabbrica e Nuvole. Dove peraltro sono stati ospiti alcuni dipendenti della sanità pubblica ma in quanto narratori e scrittori per la presentazione di loro pubblicazioni (già, anche chi vive al servizio della sanità pubblica talvolta si cimenta con la letteratura).

Comunque, resta il fatto che il mio rapporto con la sanità da ormai cinque anni è ormai solo quello del cittadino suo malgrado paziente assistito da medici e infermieri molti dei quali estranei “al mio tempo” (il tempo da dipendente). Beh, per loro, per i dirigenti di oggi del Cral USL Il Pellicano indubbiamente posso ancora avere un ruolo, garantire in base alla mia esperienza un supporto attualmente necessario o quantomeno utile. Che devo dire? “Grazie, ragazze e ragazzi, sono lusingato, però … il tempo, gli impegni, gli interessi ….

Eppure, l’11 febbraio scorso, mi sono ritrovato nella sede all’interno del vecchio ospedale di via Taverna, nei chiostri dell’antico convento Olivetano e … mi sono emozionato. Ritrovando appesi al muro i manifesti delle iniziative di quegli anni ormai lontani. I manifesti delle feste del Pellicano, la serigrafia con l’Angelo azzurro che ci aveva omaggiato l’artista Giorgio Milani in 100 copie per autofinanziarci. Così, preso per la gola e il cuore, nonostante mille dubbi e perplessità, ho accettato di tornare a fare il Presidente. 

Per un anno, con lo scopo di garantire il supporto in questa fase necessaria di riorganizzazione. Un compito non facile, molte le cose cambiate da quei lontani anni ’80 ma pochi giorni fa abbiamo fatto una prima riunione del nuovo direttivo e ho sentito tanta voglia di fare, entusiasmo, voglia di avere idee e di impegnarsi per concretizzarle.

Bene ragazzi e ragazze, non è e non sarà facile ma ce la faremo anche stavolta. Comunque, da parte mia, grazie per le emozioni che già mi avete regalato facendomi trovare nella sede parte del mio passato vissuto con quello che è stato un Cral che ha saputo far parlare di sè.

Ed ora… è già tempo di futuro. Nell’ultimo mio periodo di lavoro come presidente del “Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità” dell’AUSL, avevo segnalato nell’ultima relazione del 2019 alla Direzione aziendale la necessità di una struttura per i figli minori (fino ai 3 anni) dei dipendenti. Nella riunione del direttivo che mi ha nominato ho avuto l’obiettivo di ripartire da quella necessità sempre attuale. 

Sì, mission impossible e tuttavia insieme ci proveremo. 

Un progetto sul quale già si è ottenuta l’attenzione dell’attuale Direzione in un incontro nei giorni scorsi. E allora … avanti così.

La serigrafia “l’angelo azzurro” realizzata in 100 copie dall’artista Giorgio Milani e dallo stesso omaggiate al Cral come strumento di autofinanziamento

E anche i miei primi 71 stanno alle spalle ed ora … gambe in spalla e si va oltre

14 febbraio 2025, fanno 71 con una carezza al cuore

Si dice che giunti ad un certo punto della vita i genitori diventino bambini e i figli se ne prendono cura. Beh, posso dire che è proprio vero. O comunque io così ho vissuto la fine dei miei 71 anni. Sì, grazie ad una telefonata con annessa battutaccia comunque a nostro modo, da figlio a padre, “affettuosa” dalla lontana Nuova Zelanda dove Fabrizio (con Elettra, Fara ed Olimpia) gioca le sue carte per un futuro radioso. Grazie poi alla solita festa nella consueta verde Val Trebbia (stupendo il fiume con i suoi colori) con una insperata giornata quasi primaverile dopo giorni freddi, di vento, piante divelte, pali caduti, grandine. Festa con Dalila, Edoardo, Daniela, Lorenzo, antipasto di salumi, formaggi, insalata russa, giardiniera, gnocchi alla Cernusca, per me patatine fritte (per loro cavallo crudo ma io ho dato forfait), buon vino, calice di spumantino, caffè con il nocino a far da ammazzacaffè e quella torta con la scritta “auguri papà“.

Beh, sono tante le vicissitudini della vita e le incertezze quando virtualmente si spengono 71 candeline e mia moglie, nel mio caso Dalila, mi tira le orecchie come usavano già in quei tempi lontani mamma e papà allora quando ero bambino. Vicissitudini, problemi, ma di fronte a quella torta e quella scritta, ripercorrendo i tanti momenti della mia vita, del passato, del presente e del futuro atteso e sperato… beh, mi sono commosso.

Proprio come succede agli anziani. A quei genitori che tornano bambini e si affidano alle cure (fisiche o morali che siano), alle mani, al sostegno espresso (anche “solo” con una telefonata e una battuta e un augurio scritto su una torta) da parte dei figli diventati adulti.

Non che le cose mi vadano male, anche se l’infezione da parte del virus del Covid del 2020 ha sicuramente cambiato la mia vita regalandomi un’invalidità al 100%, una mobilità parziale, molti problemi derivanti dal permanere del virus con le conseguenze che si chiamano Long Covid e che mi costringono ad impormi pur sempre una visione positiva, a crederci sempre sia pure talvolta stringendo i denti e comunque ringraziando il cielo per il supporto garantito dai servizi della sanità pubblica (tutto questo con un grazie sempreterno per Cosimo Franco, primario pneumologo, Matteo Scabini, chirurgo vascolare, Marica Calamari, infermiera A.D.I., senza dimenticare tutti gli altri professionisti che mi hanno garantito cure ed attenzioni).

Problemi ma, preso atto che sono stato “miracolato”, vedo di vivere al meglio possibile i miei giorni e non posso dire che le cose vadano male. Da martedì scorso sono stato eletto presidente del Cral, il circolo ricreativo dei lavoratori dell’Asl (Incredibile: lo ero già stato dal 1987 al 1992 ma ora, oltretutto a 5 anni dal pensionamento chi ci pensava mai?). Certo con un compito che sa di mission impossible: l’impegno di promuovere la realizzazione di un asilo per i figli dei dipendenti (un’esigenza che già avevo evidenziato come presidente del ‘Comitato Unico di Garanzia per le pari opportunità‘ appunto prima del pensionamento). Per quanto invece ai ‘mercoledì coi grilli per la testa’ (dei quali sono il promotore e il direttore artistico), rassegna letteraria settimanale in via Roma al 163 con narratori e poeti piacentini che a fine maggio spegnerà (forse le ultime) tre candeline. Infatti potremmo essere giunti al capolinea almeno per quanto alla disponibilità dell’attuale sede (le attività di inclusione sociale dell’associazione Fabbrica e Nuvole in fase di ampliamento richiedono, come evidenziato dal Presidente, la disponibilità degli spazi) ma proprio sabato scorso sottolineando il gradimento conquistato dall’iniziativa letteraria sono arrivate se necessarie diverse disponibilità che potranno garantire continuità (“avete fatto tanto, ormai vi conoscono tutti, non potere smettere. Se vi va, potete venire qui“, mi é stato detto, ed anche questo è stato un bel riconoscimento, letteralmente un’altra carezza al cuore). Senza tralasciare il fatto di quelle quattro bozze di pubblicazioni finora trascurate che presto o tardi dovranno pur essere concluse.

Dunque, gambe in spalla e via verso i prossimi dodici mesi, quelli dei miei primi 72.

“Gli anni settanta, quando i cuccioli abbaiarono forte”

Ore 3:00 del 31.12.2024: pochi minuti fa ho inviato la mail con il mio racconto per la partecipazione al Premio Guido Rossa indetto dall’editrice LiberEtà e dallo SPI-CGIL di Roma. Titolo “Gli anni settanta, quando i cuccioli abbaiarono forte”. Scadenza del concorso la mezzanotte del 31. Avevo visto l’invito a metà novembre, richiesto era un racconto di almeno 30 pagine 1800 battute per pagina. E’ stata un’impresa col poco tempo a disposizione ma ce l’ho fatta, poco prima dell’ultimo minuto l’elaborato è stato scritto, riletto, corretto, finito e spedito. 98 pagine!!! Letteralmente un’impresa. Ricostruiti 20 anni di vita in un’Italia che cambiava (perché i ’70 sono indissolubilmente legati all’Italia degli anni ’60). Non ho nessuna ambizione, nessuna pretesa, nessuna aspettativa. Il solo averlo scritto, aver rivissuto le vicende già vissute in prima persona è stata un’impresa di grande gratificazione. Grazie dunque a LiberEtà e allo SPI-CGIL per avermene dato lo stimolo, l’opportunità, la soddisfazione d’essere riuscito ad arrivare all’ultima battuta, la numero 179.319 (spazi inclusi). Ed ora posso dire: “2024, l’anno con un bel colpo di coda, finito bene“. ❤️🍀❤️

Mercoledì 19 novembre 2024: pranzo operaio per me e Dalila “Da Milion”, antica Trattoria in via Manfredi dove il tempo s’è fermato

Ne ha scritto Dalila:

Chiamatela Trattoria, chiamatela Osteria, chiamatela come volete, per me è la giovinezza vissuta in una Via Manfredi agli albori, quand a ghéra gninta, tútt camp da basaprét ma Milion al ghéra, al ghé ancura e al ga sarà nei secoli dei secoli amen…e si mangia sempre bene e sempre piacentino

Grazie Milion di avermi riaperto il cassetto dei ricordi😋🌈

Il vino sfuso servito con la “foglietta”, caraffa tradizionale da mezzo litro

Ed aggiungo io di mio:

No, “Milion”, Trattoria d’altri tempi, non ha fatto parte della mia gioventù. Abitavo nella prima parte di via IV Novembre, poi all’inizio di via Dante poco prima del campo dove sarebbe poi sorta la caserma dei pompieri e di quell’altro campo allora parzialmente occupato dal cinema all’aperto dove ora, sparita anche quella parte di campo ed é tutto cemento, si trova un supermercato, uno dei tanti. Via Manfredi e la Trattoria Osteria “Da Milion” praticamente era un’altra città, lontana dalle mie abitudini, dove non si vedeva ragione utile per arrivarci. Le cose sono cambiate nella seconda metà degli anni ’70, quando ho iniziato a frequentare la sezione ‘Rigolli’ del Partito Socialista che si trovava in via Bianchi, a poca distanza, ed era punto di ritrovo di molti compagni, per lo più operai, per proseguire i confronti iniziati in sezione e per gustare un buon bicchiere di vino accompagnando il tutto magari con qualche allegra cantata. In seguito venne il tempo del subentro nel Partito di Craxi e del suo lib lab sempre più lontano dai lavoratori delle fabbriche e le mie strade presero altre direzioni. Fino alla seconda metà degli anni ’90, quando lavoravo all’ospedale di Bobbio: spesso con Roberto Spinola dovevamo scendere in città per incontri e riunioni nelle sedi dell’Asl o nell’ospedale di via Taverna dove era la Direzione Generale ed era una buona occasione per una sosta “Da Milion” per consumare un buon “pasto operaio” (che allora chiamavamo, più normalmente “pasto di cucina tradizionale casalinga“) in un ambiente di lavoratori. Ecco. Tornarci martedì 19 novembre 2024 con Dalila, diversi altri ulteriori decenni dopo, e trovare ancora lo stesso ambiente, gli stessi piatti della cucina tradizionale, gli stessi tavolacci, le stesse sedie, gli stessi mobili del tempo che fu, lo stesso immancabile vino sfuso servito nella caraffa da un litro o nella “foglietta” da mezzo che ormai sono vintage e comunque introvabili, bene, è stata una carezza al cuore, un ritorno ai tempi andati che sicuramente erano più duri ma contemporaneamente e paradossalmente molto meno conflittuali nei rapporti con la gente. Quindi: nessun dubbio, torneremo.

Un succoso piatto di gnocchi al ragù con una sana spruzzata di padano
Madonna mia, il pezzo di pane pucciato nel vino: avevo un anno circa quando mio nonno, poco prima di lasciarci, mi fece assaggiare il vino con lo stesso sistema. Purtroppo non so, non ricordo della mia reazione però, per riavvicinarmi al vino, avrei poi atteso i giorni a militare, alpino in Val d’Aosta
Un bel piatto di cavallo crudo: quando negli anni ’80 studiavo a Torino e i soldi in tasca erano pochi pochi, appena sufficienti per pagare l’affitto d’una stanza divisa in comune nell’appartamento di un vecchio caseggiato con i proprietari che imponevano la “ritirata” alle 10.30, era il massimo che ci si poteva permettere.
C’era il tempo di quando il brodo s’arricchiva col vino. Un’abitudine oggi sconosciuta e, a parlarne, c’è chi inorridisce. Ah, povera gente: c’è chi dice che il vino fa mal / povera gente, povera gente / c’è chi dice che il vino fa mal / é tutta gente dell’ospedal …
immancabile per Dalila il dolce, uno strudel da leccarsi i baffi. Sparito in meno di un Amen|
E così, al tavolaccio insieme, l’uno di fronte all’altro, si chiacchiera, si ricorda, si commenta, si programma il prossimo ritorno

Il Campo Daturi gestito dagli alpini? Di quando incontrai quel tale con un’idea geniale: “facciamone un parcheggio” ed io da buon vecchio Caporale con la penna nera …

Il Campo Daturi di via Risorgimento attualmente affidato in gestione agli Alpini

Raccontavo, giusto ieri (leggi qui), della colazione al “Bar Pontieri” di piazzale Milano, riaperto nello scorso giugno dalle sorelle Simona e Daiana dopo l’incendio al tetto del dicembre 2022. Raccontavo di come sia stata buona occasione per festeggiare l’esito della visita medica effettuata alla Casa della Salute dell’Asl. Raccontavo della fortuna d’aver trovato parcheggio in via Romagnosi, a soli 200 metri di distanza nonostante le decine di posti auto di via Maculani eliminati per accogliere le corriere dedicate al trasporto studenti cacciate da piazzale Cittadella. Sì, proprio la piazza dove si vorrebbe realizzare un parcheggio interrato abbattendo l’ex autostazione da tempo abbandonata. Cantiere aperto nello scorso agosto e subito bloccato da centinaia di cittadini postisi a difesa innanzitutto delle piante da abbattere in nome della qualità dell’aria che respiriamo e comunque contrari al progetto nel suo complesso. Ma un passo alla volta. dicevo che al “Bar Pontieri” ho ritrovato un pezzo dei miei tempi delle mele verdi con il giardino di lato al locale riaperto, dove c’era quel dondolo a sdraio per due, luogo d’incanto per gustare Coca Cola con la ragazzina di molti, molti tanti anni fa, appunto i tempi mille colori delle mele verdi. Ma non solo. Consumata brioche con crema, caffè, bottiglietta d’acqua frizzante per prendere le medicine mattutine imposte dall’età, pagato il conto, salutate le ragazze della gestione, chi incontriamo io e Dalila? Pietro Caprioli, amico di Dalila e soprattutto SottoTenente alpino dei suoi tempi della naja. Salto nel tempo altro: avevo ottenuto il diploma e non avevo ancora definito quale sarebbe stato il mio futuro, così ho atteso la chiamata dell’esercito per gli allora 13 mesi di naja. Non ho fatto domanda per il corso ufficiali e ho rifiutato il reclutamento per il corso sottufficiali: indossavo la divisa (erano ancora anni nei quali era obbligatorio, non era ancora legge l’obiezione di coscienza) ma, come era stato per i socialisti neutralisti durante la Prima Guerra Mondiale, non accettavo ruoli di comando nel caso di conflitto che avrebbero avuto il significato di accettazione delle logiche guerrafondaie. Militare di truppa punto e basta. C.A.R. a Cuneo, poi compagnia di servizio alla Scuola Militare Alpina di Aosta. Niente più ragazzine, niente più tempo delle mele verdi, cappello con la penna verde, turni di guardia alla polveriera, turni di guardia nella notte temperatura a meno 19°, marce su per i monti, esercitazioni col Garrant, con le bombe e, scherzo del destino, grado di Caporale (spettava a un altro, ma io sapevo scrivere a macchina, lui no e… serviva quello) a guidare un piccolo drappello di soldati ma sempre pensando di “fare l’amore non la guerra perché si sta meglio a letto che sottoterra“, uccisi nell’interesse di Re, Presidenti, governanti e potenti che dichiarano guerre pur senza mai vivere la trincea. Ma soprattutto consapevole che molto si poteva fare – e si faceva -, con quella divisa, quelle stellette e quella penna nera a favore della gente, sempre presenti quando grandi catastrofi richiedevano il nostro (di noi soldati) intervento. No, poi, dopo il congedo, non ho mai pensato di iscrivermi all’A.N.A., tutta la mia vita si è indirizzata altrove. Tuttavia il legame è rimasto. Negli anni del secondo millennio alle serate di presentazione delle mie poesie contro la guerra ho avuto il sostegno e la presenza del VicePresidente provinciale dell’A.N.A., Pierluigi Forlini. Per questo l’invito di Pietro Caprioli di presentarmi alla sede locale al mercoledì per iscrivermi da un lato mi ha allietato. Anche se – ostacolo – non trovo più il foglio del congedo. Comunque, tornando alla cronaca dell’altro giorno, l’incontro in piazzale Milano uscito dal Bar è stata l’occasione per parlare del sottostante a lato ‘Campo Daturi’, affidato in gestione agli alpini fino al 2031. “Un vero e proprio polmone verde a disposizione soprattutto degli studenti delle scuole vicine per le tradizionali ore dedicate alla ginnastica e allo sport. In altre parole alla salute“. Parole, di Pietro Caprioli, che mi hanno riportato ad un dialogo di pochi giorni fa purtroppo non ricordo con chi circa le polemiche per quanto ai programmati lavori in piazzale Cittadella con il conseguente trasferimento delle corriere al servizio degli studenti in arrivo dalla provincia in via Maculani. Dove stavano decine di posti auto utilizzati tra gli altri dai dipendenti della vicina Casa della Salute e dagli stessi pazienti che quotidianamente si servono dei servizi sanitari offerti. Pazienti con difficoltà talvolta gravi di deambulazione o che necessitano di assistenza e quindi arrivano trasportati in auto con necessità di parcheggio in prossimità e non chissà dove – in particolare quanti necessitano di visite diabetologiche oppure di visite da parte della commissione invalidi -. “Beh”, mi diceva quel tale che non ricordo se non come partecipante al movimento di cittadini che si è schierato a difesa delle piante di piazzale Cittadella in quanto imprescindibile ed irrinunciabile polmone verde, “dov’è il problema? Asfaltiamo l’inutile Campo Daturi e facciamone un enorme parcheggio“. Non lo nego, per un attimo ho pensato di riprendere il cappello con la penna nera (che ho in casa) e soprattutto il buon vecchio Garrant ma poi ho pensato che non varrebbe la pena macchiare la mia fedina penale per una persona che (spero) rimanga uno e uno soltanto. Anche se non si sa mai, visto che per la mancanza di adeguati parcheggi contemporaneamente molti pensano ad un nuovo ospedale (di semplice ‘sostituzione’ dell’attuale quanto a servizi presenti) che avremmo ben che vada tra 10 anni spendendo milioni su milioni (500?), cementificando terreno destinato all’agricoltura fuori città in un’area priva di servizi, abbattendo il Polichirugico di via Taverna cioè una struttura inaugurata nel 1994 che possiamo tranquillamente definire giovane, declassando gli ospedali di Castello, Fiorenzuola e Bobbio a semplici ambulatori senza nemmeno un Pronto Soccorso declassandoli a semplici Cau. Che dire, dunque. Tra scempio di piazzale Cittadella, Casa della salute di piazzale Milano lasciata senza adeguati parcheggi, un faraonico nuovo ospedale con molte vetrate e un atrio degno della reception del miglior albergo ma con prospettive per quanto alle attività sanitarie non particolarmente definite, ed ora anche l’idea di asfaltare il Campo Daturi, che fare? Ci dobbiamo rivolgere a Striscia la Notizia?

Vecchio Alpino, penna nera e cappello verde, al Campo Daturi pensaci tu

Vado alla Casa della Salute di piazzale Milano, trovo parcheggio (miracolo!) e … ritrovo il “mio” Bar Pontieri con quel giardino dove 50 e più anni fa …

Simona e Daiana Manfredi, titolari del “Bar Pontieri” di piazzale Milano

Qualche giorno fa sono dovuto andare alla Casa della Salute dell’Asl in piazzale Milano. Intanto Dalila, che mi accompagnava in auto, ha trovato la possibilità di parcheggiare in viale Risorgimento a circa 200 metri di distanza. Già questo un buon risultato visto che i decisori delle cose di questa nostra città hanno ben pensato di eliminare decine di posti auto in via Maculani, con davvero poca attenzione per quanti per problemi di difficoltà di deambulazione devono venire accompagnati in auto. Aggravando ulteriormente una situazione già critica sin dai tempi nei quali i vertici ASL decisero l’oneroso acquisto del palazzo uffici ex ENI oggi appunto sede della Casa della Salute. Ma forse i decisori cittadini, buon per loro, non hanno particolari necessità di frequentare la Casa della Salute e non hanno particolare percezione della situazione di chi invece alla frequentazione è tenuto a tutela della propria salute. Insomma: l’eliminazione delle decine di posti auto di via Maculani? Apparentemente una grande idea rispetto alla volontà di sostituire il parcheggio per lo spostamento degli autobus scolastici che finora arrivavano in piazza Cittadella nella zona di Barriera Milano. “Siamo assolutamente consapevoli dei disagi che lavori di questa portata arrecheranno alla cittadinanza” ha detto l’assessore competente ma l’importante, per l’amministrazione, l’inizio dei lavori di riqualificazione di piazzale Cittadella per realizzare un parcheggio interrato. Lavori peraltro immediatamente bloccati dalla protesta dei cittadini. Nessun problema, comunque, per i parcheggi: già si pensa ad un riutilizzo del terreno di via delle Benedettine (piuttosto distante da piazzale Milano) che sicuramente, forse secondo qualche buontempone, renderebbe la vita facile per chi magari in carrozzina deve appunto recarsi nella Casa della Salute e necessita di accompagnamento. Ma, come dicevo, per quanto mi riguarda l’altro giorno nessun problema, parcheggio trovato a distanza più che gestibile. Fortunello de’ Fortunelloni. E lo stesso può poi dirsi per l’esito della consueta periodica visita sanitaria di controllo con definizione della prossima a sei mesi. Dunque, particolarmente soddisfatto, all’uscita ho notato che dall’altra parte della strada, era funzionante il vecchio “Bar Pontieri” che, per quanto ne sapevo, dal dicembre 2022 era chiuso dopo l’incendio al tetto causato dal mal funzionamento della canna fumaria. Locale per quanto mi riguarda “storico“, una presenza nella mia ormai lontana gioventù. Quindi, visti gli esiti della ricerca del parcheggio e della visita clinica, impossibile negarmi ad una buona brioche alla crema, un caffè e una bottiglietta d’acqua frizzante (necessaria per le indispensabili pastiglie mattutine). Un tavolino esterno al bar, un’aria freschetta dopo un’estate da forno acceso, una bella giornata di sole, il saluto ad un amico che passa, una colazione da Paradiso terreste, un grazie di cuore alle due sorelle Simona e Daiana Manfredi che, proseguendo con la gestione avviata dai genitori nel 1987, scopro che già da giugno hanno riaperto i battenti. Regalandomi, a loro insaputa, una carezza al cuore: la riapertura del “giardino estivo” a fianco del locale, un piccolo angolo appartato circondato dal verde dove entri e trovi qualche tavolino. Un viaggio a ritroso nel tempo ed eccomi a molti e molti tanti anni fa, prima ancora della gestione della famiglia Manfredi (perché il “Bar Pontieri” è presente qui in piazzale Milano da più di ottant’anni) eccomi ai primi anni settanta e mi ritrovo in quel giardino. C’era un dondolo a sdraio per due e spesso, con la ragazzina di quel tempo, eravamo soli. Si beveva una Coca, si parlava occhi negli occhi e poi erano baci, bacin, bacetti, baci eterni, baci senza fine. Per ore, finché si aveva la libera uscita genitoriale e finché non arrivava qualche ‘disturbatore’ con elegante signora al fianco e l’occhiata dei gestori abbastanza significativa su quel che dovevamo fare: liberare a favore dei due nuovi arrivati che ordinavano bevande ben più costose il dondolo a sdraio. I primi amori che non puoi dimenticare mai, che ancora, comunque sia andata, ti scaldano il cuore perché sono la mia gioventù, il tempo delle mele verdi. Sì, l’altro giorno una giornata fortunata, un grazie a Simona e Daiana, un sorriso per Dalila che m’accompagna (e mi sopporta) da 41 anni (più 4 di ‘morosamento‘) e via, pagato il conto, si torna a casa nostra. Ma sicuramente, prometto, torneremo, magari – medico permettendo – per una buona fresca birra. Torneremo, anche senza occasione di visite mediche, per sederci in quel giardino. Anche se non c’è più il dondolo a sdraio e anche se non sono più i giorni delle mele verdi. Sperando di trovare ancora parcheggio: non sarà facile ma ci proveremo.

15 agosto 2024, Ferragosto in Val Trebbia alla locanda Vacca ‘l Suino all’ombra della Parcellara con Dalila e la “famiglia larga”, una foto vecchia 51 anni, la storia mai pensata e mai nata con Cesarina, il saluto d’obbligo a Valentina around route 45 e poi a Roberto per finire la giornata dal Perazzi a San Giorgio nella trattoria anni ’50, quadri partigiani alle pareti, dove puoi gustare i gnocchi annegati nel gorgonzola della signora Maria. Serviti nell’apposito tegamino.

15 agosto 2024, Ferragosto: dalle nebbie del tempo riemerge una storia di 51 anni fa

L’altro giorno, 15 d’agosto 2024, un Ferragosto vivacizzato innanzitutto da diciamo un piccolo fatto curioso capace di alzare un velo sul lontano passato e strappare un sorriso. A pranzo in Val Trebbia alla Cernusca con buona parte di quella che ormai si può definire la nostra (mia e di Dalila) “famiglia larga” (che comprende figli, nuore, nipoti, consuoceri), ad un certo punto Sandro, consuocero col quale avevamo condiviso gli ultimi due anni delle superiori, ha mostrato la foto di classe di quel tempo lontano, giusto per ricordare come eravamo. Insomma, classico momento amarcord che inevitabilmente mi ha suscitato emozioni, ricordi di questo e di quella. La compagna rimasta incinta durante l’anno scolastico, il campioncino ammesso ad un provino con l’Inter, lo studente diventato dirigente della banca pur da ‘semplice’ ragioniere (oggi anche con la laurea ben che ti vada fai il cassiere), la bella coppia che si sarebbe poi persa, quel ragazzo che avrebbe poi indossato l’abito talare, l’amico che ha lasciato la città per andare a gestire un campeggio lassù tra i monti al confine, l’amica che col suo ragazzo gestiva una piccola sala cinematografica d’essai in provincia, la ragazza che si sognava lassù nei cieli in volo con la divisa da hostess, i tanti e le tante dei e delle quali non si sarebbe più saputo nulla (senza tacere di quei due, in fondo occasionali compagni di classe senza apparenti interessi comuni, che mai e poi mai avrebbero immaginato di ritrovarsi un giorno appunto consuoceri). Che io sappia quella classe non si è mai più ritrovata come normalmente si usa. In fondo mi sono mancate, quelle cene da reduci, era la mia classe e quelli erano gli studenti e le studentesse miei e mie compagni e compagne di studi. Eppoi … Il mio sguardo è scivolato sul volto di Cesarina. La classe aveva una rigida divisione: a sinistra della cattedra tutte le ragazze, i maschietti relegati nelle altre due file di banchi. Cesarina stava ovviamente nella fila di sinistra. Io completamente dall’altra parte, sostanzialmente estranei o poco di più, tanto per l’uno quanto per l’altra. Un giorno una delle ragazze mi dice “siete una bella coppia, potreste stare insieme“. “Ma stai pazziando? Coppia addirittura? Mai pensato io, mai pensato lei. Eppoi io sto con Giuliana” (che stava in un’altra classe ed eravamo insieme da almeno tre anni, praticamente promessi sposi). Insomma, Cesarina era indubbiamente interessante come persona, oltretutto carina, gentile, regolarmente sorridente ma … non c’era trippa per gatti. Tutto finito lì senza neanche pensare di iniziare chissà che. L’anno scolastico così è giunto alla fine ed è arrivato il tempo dell’esame, lei confermata la più brava della classe con un sonante 60 finale (allora il massimo dei voti), io nella media col mio 48, la festa di saluto a San Nicolò alla trattoria La Noce e chi s’è visto s’è visto. Cesarina non so, io a festeggiare con una settimana al mare con Giuliana, in pensione come due sposini novelli (all’insaputa dei genitori). Poi, a settembre, imprevisto e mai spiegato, il fulmine a ciel sereno. Dai fiori d’arancio all’ognuno per la sua strada, così lei ha deciso (perché come sempre sono loro, le donne, che ti scelgono, ti prendono, si concedono, cambiano idea, ti lasciano, se ne vanno – però a volte ritornano -). Una botta da restarci secco. Infatti un amico anni dopo rivelò d’aver pensato ad un mio suicidio. Beh, no, mai pensato a nulla del genere, figuriamoci. Solo con due amici, Mino e Lorenzo, sono tornato nella zona di Ancarano, nei boschi non troppo lontani da casa sua a raccogliere funghi… senza trovarne uno che fosse uno e a novembre iniziavo il percorso comune con Antonella, conosciuta grazie a due amici. Una curiosità a posteriori: quel giorno siamo andati a cena con amici in provincia, ad Agazzano e da quel locale siamo usciti mano nella mano. Agazzano era il paese di Cesarina. Un fatto irrilevante ma comunque curioso. Cancellare d’un botto gli anni con Giuliana non era però così facile e infatti dopo pochi mesi il percorso con Antonella è arrivato all’inevitabile capolinea. Non c’era ancora possibilità per iniziare un rapporto nuovo di lunga durata, era stata una superficialità da parte mia l’uscire con Antonella, di fatto illudendola e deludendola (cosa della quale per lungo tempo mi sono rammaricato sentendomi superficiale e colpevole). Nei mesi successivi, qualche amicizia, qualche uscita con altre ragazze, serate a ballare ma chiacchiere e Coca Cola, niente ‘birra’ . Con nessuna. Avevo altro per la testa. L’università: ero stato a Pavia per scienze politiche. Non avevo capito niente rinviando tutto ad altri giorni da venire (se ne sarebbe riparlato al ritorno dalla Naja) e contemporaneamente avevo avuto opportunità di lavoro con una compagnia d’assicurazioni prima, un’impresa edile poi è infine qualche mese in banca a Castell’Arquato. Anni dopo da altri avrei saputo che anche Cesarina si era avvicinata all’università a Piacenza ma … aveva sbattuto il naso sulla porta a specchio, quella che porta non era e, alla fine, sarebbe arrivata all’impiego in banca. Insomma, un ottimo partito, “una brava ragazza che meriterebbe più di un pensiero“, ma non era per me il tempo d’amare. Nessuna. Avevo altro per la testa. Certo, in gita all’Elba avevo conosciuto Giovanna e in città Stefania aveva combinato di farci ballare stretti stretti al People, localino in via Chiapponi. Ma lei era molto giovane e poi, ripeto, avevo altro per la testa e con Mino siamo partiti per la Costa Azzurra alla ricerca di spiagge libere e di belle ragazze. Ne abbiamo vista una in topless da lontano ma altre due pur sorridendoci guardando i nostri jeans, le nostre camicie, i fazzoletti al collo, han detto “ma vestiti così con voi non balla nessuna“. Eravamo a Cannes, la snob, mica a Milano Marittima! Così via, partenza per Misano al festival rock vietato dal PCI, l’autostrada occupata, gli idranti della polizia, per concludere personalmente quell’estate 1974 con un treno che mi portava a Cuneo prima e Aosta poi. Lassù tra i monti, la penna nera al cappello, alzabandiera e “signorsi, signor Tenente” e via un calcioinculo dal SottoTenente alla prova di lancio della bomba a mano perché “soldato, sei un cagasotto!” (“fà ‘n culo, cretino bastardo, fa che ti ritrovi dopo il congedo…Signorsì signor SottoTenente”). Agosto 1974, “La sveglia del mattino rompimento di coglion, il primo che si sveglia è il più fesso del battaglion“. Nel mio cuore sempre Giuliana e un certo rammarico per Giovanna. Gli altri stavano con la foto della ragazza nel taschino, ricevevano lettere e telefonate. Io niente salvo qualche telefonata con mamma e papà, mi sentivo un po’ molto solo così… ho scritto a Giuliana. Lei ha risposto. Raccontandomi del suo nuovo amore. Ma che gratificazione, lei paro paro al SottoTenente. Mai pensato invece di scrivere all’amica Cesarina. Fu forse un errore non pensarci? Chissà. Comunque chi dorme non piglia pesci e sarebbe inutile poi rammaricarsi 50 anni dopo. Ma intanto, a dicembre, in licenza, festa di capodanno, ho conosciuto Mina. Qualche giorno dopo ho suonato a casa sua, siamo usciti e Giuliana, coi suoi nuovi amori (nel frattempo come mi scrisse, finiti) era dimenticata. Ma anche lei, Mina, nonostante altri anni insieme, non era la donna della mia vita. Un giorno, anni dopo, di nuovo libero, avrei conosciuto Dalila e così eccoci, l’altro giorno, noi due insieme, una lunga vita alle spalle, una vita ancora da vivere davanti, eccoci qui con la “famiglia larga” alla Cernusca, un figlio, Fabrizio, e una nuora, Elettra, con due nipotine in Nuova Zelanda da ormai quasi due anni sentiti in mattinata via whatsapp, un altro figlio, Edoardo, con un’altra nuora, Daniela, e nipotino di appena 20 mesi seduti con noi insieme agli altri nonni. E Cesarina? Un volto sorridente tra i tanti su una fotografia di 51 anni fa! Mai rivista, da allora, mai cercata e quell’idea di quell’altra nostra compagna di classe che ci avrebbe visti bene insieme persa nelle nebbie del tempo passato. Mai rivista, Cesarina, dicevo. Fino a pochi anni fa (10? 15?) quando nel corridoio dell’Ausl dove stava il mio ufficio t’incontro una ragazza coi capelli neri che mi saluta, mi ferma, mi parla, “ma lo sai chi sono?” “Ma certo!” la mia pronta risposta ma in realtà l’ho presa per un’altra e solo quando se n’è andata ho capito chi, dopo tanti anni, avevo ritrovato… a mia insaputa. E a quel punto inevitabile il chiedermi “ma se in quei giorni lontani, finita la scuola, l’avessi cercata? Una telefonata, un giro fino al suo paese?”. “Se da lassù, in marcia sul Cervino a quota 2400 avvolti nella tempesta di neve col cappello e la penna nera intirizziti, avessi ben pensato di scrivere a lei invece che a Giuliana? Se quella comune amica che c’avrebbe visti bene insieme avesse avuto ragione? Chissà, magari le nostre vite sarebbero state altre vite“. Ma coi se e coi ma tardivi non si va da nessuna parte. E a tavola, in questo 15 agosto 2024, Ferragosto, qui alla locanda Vacca ‘l Suino, sarei con chissà quali altre genti. Già. Ma sui se e sui ma non si costruisce il passato e tanto meno il futuro per cui tutto finito lì. Solo che passati altri anni, nel 2016 presentando un mio libro in un paese della provincia … tra il pubblico riconosco proprio lei. Mi sarebbe piaciuto scambiare qualche chiacchiera, raccontarci di quello che avevamo fatto dopo il diploma, che vita ha avuto lei, in quale banca ha lavorato, chi ha sposato, quali figli ha avuto, ma non ne abbiamo avuto la possibilità, io ero richiesto al firma copie e lei impegnata coi suoi conoscenti per poi andarsene. Il libro l’ha acquistato. Si raccontava di quel 1° maggio 1986, quando la nube radioattiva fuoruscita dalla centrale nucleare di Chernobyl è arrivata e scesa sulla pianura padana. Spero le sia piaciuto. Nella stessa biblioteca sono poi tornato nel 2021 con un nuovo libro, speravo in un nuovo incontro ma niente da fare. Come mi è stato detto da Elisabetta, la bibliotecaria, “probabilmente sta occupata a far la nonna“. Diamine, come passa il tempo, “anche lei già nonna?“. Per inciso: ho poi pubblicato altri due libri, nel 2022 e nel 2023, ma dalla biblioteca di quel paese non ho più ricevuto inviti. Comunque intanto, di fronte al mio stupore per quella foto, Sandro ha rivelato che gliel’avevo mandata io qualche anno fa!!! “Ma và, cosa dici, quella foto non è mia“, ma Daniela conferma, “l’hai proprio mandata tu via whatsapp” e, davanti alla nuora che è voce di verita non posso far altro che tacere. Il guaio è che ha ragione e quindi probabile si possa parlare di rincojonimento mio? Succede poi alla sera dello stesso 15 agosto, Ferragosto 2024, faccio una ricerca e scopro che effettivamente due anni fa (maggio 2022) un’altra compagna di classe di quegli anni, Loredana, dopo avermi ‘riscoperto’ in facebook me l’ha inviata ed era stata occasione per parlare anche allora di Cesarina e di quella ‘simpatia’ che ho sempre pensato fosse amicizia e niente di più, da parte di entrambi. Poteva essere altro? C’era una possibile base nascosta di un interesse diverso? Una notizia che Loredana ha definito un vero e proprio scoop, sorprendente, mai per parte sua sospettato nulla del genere. Un inciso a latere: ero andato a trovarla, Loredana, negli anni della scuola. A casa sua, forse con Angelino, a Borgonovo, paese della Val Tidone che in un allora ancora lontano futuro avrebbe avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. Lì abitava un amico e collega di lavoro a partire dagli anni ’90, Fausto Chiesa, che ho frequentato e insieme abbiamo girato per la provincia portando le mie poesie e le musiche all’organetto diatonico di Francesco Bonomini, abbiamo insieme fatto due libri e li abbiamo portati nel castello del paese, il salone stracolmo. Emozioni da leggenda. Ho chiesto a lui e ad altri borgonovesi notizia di Loredana ma niente da fare, probabilmente aveva lasciato il paese. Mi ha fatto piacere quando, via facebook, mi ha contattato praticamente 49 anni dopo. A questo punto mentre il cameriere, il nostro amico Paolino porta i primi (a ciascuno il suo ordinato: gnocchi al sugo di fassona, anolini stesso sugo, pisarei e fasò), ho restituito il cellulare con la foto a Sandro dedicandomi al gustoso piatto. Ovviamente accompagnato dal tradizionale scodellino di vino rosso come d’uso nelle bettole, nelle locande e nelle osterie dei tempi andati che per fortuna ritornano. Ed ecco il Ferragosto edizione 2024, “sapete che a dicembre partiamo, abbiamo già i biglietti, 22 ore di volo, 10 ore di soste negli scali e finalmente saremo a Wellington, Nuova Zelanda, da Fabrizio, Elettra e le bambine“, dice nonno Roberto, “sicuro, lo sappiamo” e par di notare un velo di invidia da parte di chi non può andare per fatti di salute. “Resteremo tre mesi, fino ai compleanni delle bambine a febbraio” e qui qualcuno s’attacca alla sedia per non ritrovarsi sdraiato a terra: “ma allora infierisci, questa è una pugnalata al cuore senza pietà“. Chiacchiere, ovviamente grandi attenzioni per il nipotino che mangia, beve da solo e giunta l’ora del gelato si prende lo scodellino del babbo e chi s’è visto s’è visto. Salvo un imprevisto involontario movimento maldestro e lo scodellino (comunque ormai vuoto) prende il volo e finisce in mille pezzi. Succede ai grandi, figurati ad un bimbo di non ancora 20 mesi. Succede. Paolino arriva con scopa e paletta, i cocci finiscono nell’apposito bidone e la festa continua. Fino a quando “scusate ma devo andare a trovare mia madre, sapete che ha problemi“, dice nonna Luigia, ci si alza, è l’ora di metter mano chi alla carta di credito chi al bancomat, far di conto e quel conto pagarlo con l’oste cuoco d’eccellenza, Marco, che ringrazia di tutto cuore e invita tutti a ritornare quanto prima, “tranquillo, succederà presto” assicura Dalila pienamente condivisa da me, da Edoardo, da Daniela che della locanda siamo estimatori da tempo. Ora ammiratori dei primi, ora dei secondi, per tacere dei salumi. Salame con la gussa, coppa, prosciutto e quella pancetta che la mangi ad occhi chiusi così ti senti volare su in Paradiso al desco degli Dei. E la glicemia sale alle stelle e il diabete balla suonando l’ocarina. Così, dichiarata conclusa la festa, ciascuno alla sua auto, “ciao a tutti, alla prossima festa“, tutti al rito del bacetto al nipotino felice tra le braccia del suo babbo e per questo generoso di saluti con la manina e baci di ritorno per poi essere seduto da mamma sul seggiolino nel sedile posteriore dell’auto. Ed è partenza verso un altro orizzonte. Così io e Dalila, 41 anni di vita insieme per tacere dei 4 anni da fidanzatini, con tanto di vissuto, non ci neghiamo una sosta a Casino Agnelli da Valentina e dalla mamma Maria Rosa per un caffè e un arrivederci perché, dice, “sapete, il pizzaiolo che doveva lasciarci è tornato così ora facciamo la pizza anche a mezzogiorno, mi raccomando, vi aspetto“. “Certo, non mancheremo, magari quando ci sarà meno confusione“. “Vi aspetto, tornate presto“. Mi fermavo a Casino Agnelli già negli anni di quando lavoravo in ospedale a Bobbio, si mangiava, si scambiavano due chiacchiere con MariaRosa e col marito ma soprattutto con un saluto a quella ragazzina che era Valentina e che ora il piccolo Daniel chiama mamma. Con Dalila siamo poi tornati con i nostri figli piccoli e intanto Valentina cresceva, studiava giù in città. Poi è arrivata l’esondazione della Trebbia, il campeggio allagato, la nostra piccola isola felice distrutta. Eppure abbiamo continuato a venire mentre Valentina si diplomava ragioniera e infine, ormai sposa, prendeva in mano la conduzione dell’impresa con la mamma al fianco e l’aiuto del marito. “Certo che verremo, ne potresti mai dubitare?“. Di nuovo in auto lungo la vecchia Statale 45 giù verso la pianura e a Rivergaro deviazione per Gossolengo, poi a prendere stradine di campagna dove ormai tanti anni or sono se n’approfittava per qualche sosta tra verdi e fresche frasche ch’era poi meglio tacerne al babbo di lei mentre il babbo mio avvertiva “sii prudente, figlio mio, vacci piano se non volete trovarvi in compagnia prima del tempo“. Altri tempi, ricordi della nostra vita passata, dei nostri anni spensierati che cullano la mente e il cuore, che fanno sorridere. E via fino a Strada della Regina per un saluto alla casa dove tante volte siamo stati a chiacchierare con Fabrizio ed Elettra e le due nipotine prima della loro partenza per la Nuova Zelanda. E ancora Quarto, “che ne dici“, propone Dalila, “perché non telefoni a Roberto?“. Già, abbiamo passato diversi Ferragosto insieme a lui e Rita ed ormai son 4 mesi che è in ospedale, “penso gli faccia piacere“. Faccio il numero, risponde, si sente malissimo, riprovo con Whatsapp e la linea cade. Riprovo e “accidenti Roberto, finalmente ti si sente la voce, l’hai ritrovata“, parliamo, cazzeggiamo, ritroviamo l’amico di sempre anche lui finalmente nonno e il viaggio di nulla e d’amicizia prosegue. San Bonico, di provinciale in provinciale, Pontenure, Valconasso, San Giorgio. “Sai che stasera potresti venire a mangiare con noi dal Perazzi?“. Proposta che cade nel vuoto. Naturalmente. Ci vorrà qualche giorno ancora prima che i camici bianchi forse lo lascino finalmente libero. Però dal Perazzi ci fermiamo lo stesso. Per salutare Alessio. Trattoria Perazzi, sembra d’entrare in un locale anni ’50, prima stanza il bancone del bar, due tavoli con tovaglia a quadretti bianchi e rossi difficile manchi una bottiglia di vino e qualcuno che parla in dialetto, a sinistra la cucina regno della signora Maria, poi la sala pranzo con la stufa a legna al centro, vecchie tavole e sedie bianche di legno che sembrano uscite da un film del dopoguerra, alle pareti immagini del partigiano combattente, lo zio di Alessio. Alessio, laureato, figlio e aiutante della signora Maria, regina della cucina rigorosamente casalinga. Abbiamo sempre il Roberto al cellulare, vogliamo farlo salutare dall’Alessio. Che non c’è. C’è la Maria che è la mamma e soprattutto la cuoca così il telefono lo passiamo a lei, “mi raccomando, l’aspettiamo presto, signor Roberto“. Così lo salutiamo “ciao Roberto, a presto allora, ci raccomandiamo” “ciao ragazzi, grazie, vi faccio sapere” “click” e ci sediamo. Chiacchieriamo con la Maria, “oggi è stata una bella giornata, avevamo la sala piena e gente che mangiava fuori“. Arriva gente, gente di paese, un manovale e il suo socio muratore, un ragazzo con un ragno tatuato sul polpaccio, pare lavori nei campi qui vicino. “Maria, per noi tre bianchi“. Entra la Stefania, si gioca sui doppi sensi e un altro prende una birretta. Entra un francese, ordina per un tavolo esterno, per un attimo cala il silenzio al bancone. “Ma quello è straniero?“, chiedo io. “No, no, quello è francese“. “Son quelli che non hanno il bidè“, “e portano la baguette sotto l’ascella sudata“, “brutta gente“, “io a uno di quelli gli ho fatto mangiare i denti!“, “ma dai, perché puzzava?“, “no perché m’aveva detto figlio di puttana e la mia mamma va lasciata stare!“. Giusto, la mamma non si tocca mai. “E nemmeno le sorelle!” “lè una bela fiola to surela“, dice uno con un sorriso malizioso, “lo so che c’hai voglia di toccarle il culo ma prima o poi ta stac la testa” e vola una pacca sul braccio che poco ci manca lo rompa davvero. Intanto arriva Alessio, qualcuno chiede un altro bianco, si cerca il bottiglione che la Maria dice essere nel frigo ma nel frigo l’Alessio non lo trova, la compagnia degenera in frizzi, lazzi e risate. “Dalila, son le sette, sarà ora d’andare a casa, che dici?“, “come vuoi, aspetta che porto ad Alessio i saluti di Roberto“. Così salutiamo tutti con appuntamento ad una prossima cena a base dei succulenti gnocchi annegati nel gorgonzola serviti in apposito pentolino, magari presenti Roberto e Rita che se vorranno possono scegliere i tortelli burro e salvia il tutto annaffiato col buon vino rosso di cantina contadina della Val Chero. Decisamente una giornata con Dalila, Edoardo, Daniela, nipotino, consuoceri e consuocere oltre idealmente – sia pur da distanza – a Fabrizio, Elettra e nipotine … ricca di sorrisi. Chissà dove e come avranno passato il Ferragosto Cesarina, Giuliana, Antonella, Loredana e tutti i ragazzi e le ragazze di quella foto di 51 anni fa ritrovata oggi nel cappello magico del cellulare di Sandro, allora uno dei compagni della V^ sezione A oggi, incredibile ma vero, nostro consuocero. Quanto al domani … si vedrà, aspettando il 15 d’agosto del 2025 quel che sarà, sarà.

POIANA e PARCELLARA poiana e pietra parcellara 0 foto di Luigi Ziotti (soffientini)

Quella tessera conquistata sul campo, maciullata (anni fa) in lavatrice, messa in discussione da un provvedimento disciplinare, al fin tutto ben, venerdì arrivata nuova

Ci sono raccomandate che sanno scaldare il cuore. Con di contraltare PEC che raggelano l’anima. La PEC in questione risale a qualche mese fa: si trattava della notizia di un provvedimento disciplinare per non aver adempiuto all’obbligo formativo per il triennio 2017-2019 in quanto iscritto all’albo dell’Ordine dei Giornalisti. In effetti PEC preceduta da altre con le quali mi si chiedeva di fornire spiegazioni. Dato il mio silenzio colpevole (era tempo che non aprivo la mia PEC considerato lo scarso utilizzo) inevitabilmente si era arrivati alla sanzione. Praticamente una censura fortunatamente senza conseguenze pratiche nell’immediato. Il problema era che non avevo poi adempiuto allo stesso obbligo anche nel triennio successivo (quello degli 88 giorni di ricovero per Covid-19 e a seguire per post Covid, long Covid e po’ ‘ta fat spusslon d’un Covid). Una situazione a dir poco disdicevole: al secondo provvedimento disciplinare infatti è possibile la cancellazione dall’Albo. “Una cosa che, nella tua posizione, non puoi permetterti“, mi ha detto un amico (e collega compagno della mia ultima avventura nel campo della comunicazione) consigliandomi piuttosto di chiedere direttamente la cancellazione come rinuncia personale evitando ogni clamore. Del resto sono già alcuni anni che la mia attività come giornalista langue anzi latita (salvo il blog che considero la mia rivista virtuale personale pur non avendo mai provveduto alla registrazione presso il Tribunale e l’avventura appunto con i mercoledì letterari coi grilli per la testa). Addirittura sono senza tessera, finita maciullata nella lavatrice sempre da qualche anno. Cose che non mi preoccupavano in verità più di tanto. Che io scriva nel mio ambiente di vita lo sanno anche i sassi, di regola – almeno per quanto agli ambienti che mi interessano – non ho bisogno di mostrare tessere o di qualificarmi (nemmeno quando mi sono trovato a fotografare i Black bloc in azione a- Caorso in manifestazione antinucleare senza che nessuno mi aggredisce – mica eran fassisti di Casa Pound – ). Però tessera o non tessera, ho sempre pagato la quota annuale dovuta all’Ordine, nessuno mai ha messo in discussione il mio essere giornalista anche se il mio principale impegno professionale alla fine è stato prevalentemente altro. Pensate un pò, giornalista regolarmente tesserato da 37 anni!!! Dunque di dimettermi o di accettare la cancellazione d’ufficio proprio no. Non senza rivendicare il diritto alla qualifica che ritengo di aver conquistato e meritato “sul campo” innanzitutto con la corrispondenza con l’Avanti! (finché Craxi non è diventato dominus totale del Partito snaturandone etica e valori), lo storico quotidiano del socialismo italiano e gli articoli su temi sociali come la diffusione di droghe, la sicurezza in materia nucleare, lo sviluppo in funzione antioperaia del sistema industriale e finanziario italiano, argomenti poi diventati oggetto delle mie pubblicazioni. Così ho contattato la Segreteria del mio Ordine regionale e qui devo ringraziare il responsabile per avermi seguito, indicato, consigliato, consentendomi di presentare la documentazione utile per chiarire la mia posizione e, nell’occasione, per chiedere – anche su insistenza di Dalila – una tessera sostitutiva di quella originale come dicevo maciullata in lavatrice. Così ecco, venerdì verso le 11.30, mentre Marica, l’infermiera del servizio di Assistenza Domiciliare dell’Ausl, stava come di consueto provvedendo alla medicazione periodica necessaria per i tanti problemi post Covid che ancora dopo 4 anni non mollano alla faccia dei No Vax, è suonato il campanello. Dalila, accertato che era la postina, é scesa all’ingresso perché “c’era da firmare“. Certo, era la raccomandata dell’Ordine con tanto di tessera allegata che, giuro, metterò in un cassetto a ricordo del mio essere stato e di essere giornalista. Tanto non avrò bisogno di mostrarla, di qualificarmi. Infatti nella mia città non ci sono sedi di Casa Pound e chi o cosa politicamente e professionalmente io sia lo si sa, tessere a parte: “#oraesempreResistenza e #sempredallapartedellapace, contro l’invio di armi in Ucraina e in Israele, e ancora #bastagenocidioaGaza.

“Una settimana dal 17 al 23 giugno che a muso duro si spacca il muro, tonfi, trionfi, stelle, stalle: alfine finalmente è arrivato lunedì 24.06 ma alle 9.00 squilla il cellulare e …”

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All’orizzonte, in riva all’Arno appare l’ombra d’una gamba di legno

Una settimana decisamente da batticuore. Già al debutto lunedì 17 giugno: partenza per Pisa via A1 prima, deviazione per l’autostrada della Cisa poi, arrivo in albergo per scoprire che la prenotazione di due notti partiva da domenica. Un errore da rincojonimento cronico. Oppure da mente distratta per lo scopo del viaggio: verifica dello stato del mio piede sinistro, ormai… in fasce da più d’un anno con futuro incerto circa i tempi ancora necessari per tornare alla normalità, almeno quella possibile, da definire. Comunque intanto se pensavo di avere a disposizione due notti, l’errore nelle date significa già all’indomani essere a piedi anzi per la strada. Comunque andiamo subito all’ospedale Cisanello, una struttura enorme, per pagare la visita in libera professione dell’indomani, troviamo l’edificio 29, Dalila spinge la porta d’ingresso e… chiusa! Ma come, l’orario dichiarato sul sito dell’azienda garantisce apertura dalle 8.00 alle 20.00, sono sicuro di non aver sbagliato anche questo. Certo, mi dicono al centralino, ma oggi giorno del Santo Patrono la chiusura è anticipata! Non ci resta che tornare nell’albergo e approfittare dell’annesso ristorante per un gustoso piatto di paccheri e relativo conto ovviamente pepatino ma nel giusto. Q.B.: quanto basta.

Una bella e sana dormita aria condizionata accesa e sorge il sole di martedì 18. Dobbiamo lasciare la stanza alle 12 per poi panino e acqua frizzante in un bar d’occasione e infine sotto il sole cocente aspettare le 17.30, ora della visita medica all’ospedale Cisanello per la situazione del piede a seguito dell’amputazione dell’alluce subita un anno fa per una circolazione venosa deficitaria (un po’ causa diabete, un po’ effetto post Covid) . Visita con esito infausto. Si parla di nuova rivascolarizzazione per cattivo funzionamento del bypass inguinale senza escludere nuova amputazione a livello metatarso. Pensa un po’, doveva solo essere un problema di chiusura di un decubito laterale! Con Dalila restiamo perplessi, la situazione non sembrava e a noi non sembra a questo punto ma in questo caso non vale il detto che il miglior medico per i nostri problemi di salute siamo noi stessi. Almeno così pare. Va beh, poi si vedrà, ci penseremo, calma e gesso. Prendiamo l’auto e torniamo in autostrada dove ci raggiunge una telefonata: dovremo tornare a Pisa venerdì 21 per una visita del chirurgo vascolare: una vera e propria pugnalata alle spalle per cui… decidiamo di fermarci a Sarzana per festeggiare, cerchiamo un b&b via booking.com, lo troviamo, una stanza al secondo piano d’uno storico palazzo che fu convento delle suore, arriviamo, parcheggiamo un po’ distante, ci sistemiamo e ci regaliamo una gustosa cenetta all’aperto in una piazzetta che troviamo vicina.

Ed ecco mercoledì 19.06 (lo 06 è un dato certo, fermo, sicuro, almeno per altri 7 giorni). Si rientra a casa, breve relax e alle 17.30 in via Roma al 163 in città per la prima delle tre serate di presentazione di libri di autori locali previste in settimana. Finisce alle 20 tra brindisi e abbracci, con Alessandro Bersani, autore, fotografo, cieco dalla nascita, e soprattutto con l’abbraccio all’ospite Chiara Morini medico oculista nell’ospedale cittadino, sempre “così carina, così educata” come faceva una simpatica canzonetta della Mina old style. Subito di nuovo in auto e alle 21 ecco la seconda presentazione, a Carpaneto, nella storica sala BOT del Castello sede municipale. Ovviamente sempre con fine serata in gloria, in pizzeria insieme a Francesco Saverio Bascio ed Emilia, la moglie. Pizza, risate, birra rossa, Coca Cola, vino rosso delli colli, limoncello, nocino e buon caffè. Viva la vita, viva l’amor e chi lo sa far.

Ovviamente giovedì 20 ripartenza per Pisa con prenotazione in un più economico b&b. Arriviamo poco dopo le 19, fuori orario per cui niente reception d’accoglienza, si entra attraverso codici che aprono scatolette con chiavi all’interno. Purtroppo niente codici per aprire il cancello che immette al parcheggio auto a pagamento, portiamo l’auto al parcheggio pubblico abbastanza distante (ma una bella camminata poi non fa mai male) naturalmente intasato, completo ma per nostra fortuna un’ auto lascia libero uno spazio, saluta e se ne va. Torniamo dunque al b&b escludendo di muovere la macchina per non perdere il posto ma nessun problema, al piano terra ci sono le macchinette distributrici, prendiamo acqua (qui non s’ha il vezzo della minerale di cortesia) e magici TUC, saliamo in camera al 1° piano, mangiamo, dopo aver invano cercato di accendere il condizionatore e aver invano telefonato per chiedere un intervento tecnico. . Beh, vabbè, teniamo nella memoria “B&b Il Mattino ha l’ oro in bocca”, guardiamo perdere una penosa Italietta contro le Furie Rosse Spagnole e dormiamo un poco sudaticci.

Alba di venerdì 21 sveglia per le 8, buffet decisamentea chiaro scuro, nessun succo, solo acqua e tante bustine per il the. Buone brioche e biscottini però peccato niente prosciutto. Insomma buffet così così, sufficiente ma ne abbiamo visti di meglio. Alle 10 via di fretta, di nuovo ospedale, controllo del livello di ossigenazione del piede e, a seguire, la visita del chirurgo vascolare che parla di intervento complicato, complesso, con margini di possibile insuccesso e comunque occorre una angioTAC aortica che prescrive. Morale sottoterra e molta confusione, si riparte.

Rientro a casa, decisamente provati, ci si rifugia nel sonno ristoratore fino a mattino di venerdì 22 giugno (sempre lui) inoltrato ma… poco dopo le 8.00 suona il cellulare, sul display appare il prefisso: 050, PISA!!!! Vien da pensare “meglio un morto in casa che un pisano al cellulare, Dio buono!”. Comunque sia una gentilissima dottoressa, la voce carina, carina, milla volte carina capace di far sognare ma in un amen il sogno svanisce ed è la cruda realtà del camice bianco, uomo o principessa che sia: informa che l’angioTac è stata fissata (durante la notte!!!) per lunedì 24. Altri 450 chilometri? Ma no, adesso basta, lasciateci tirare il fiato! Pensare che a casa nostra ci lamentiamo delle lunghe liste d’attesa, settimane e talvolta mesi per un esame. A Pisa 48 ore! SuperDott! I punti esclamativi si sprecano e comunque vorrei intanto un confronto con i sanitari che finora hanno seguito il mio caso a Piacenza per cui stavolta dico no, lundì 24.06 l’angioTac non s’ha da fa’! Restiamo a letto ancora giusto un paio d’orette quindi contatto via whatsapp con Fabrizio in Nuova Zelanda, il nostro “figlio grande” a breve quarantenne ed Elettra, quindi fuori a pranzo al China Town con Edoardo il nostro “figlio piccolo” e Daniela col loro figliuolo. In altre parole, summit familiare di riflessione con tensione, perplessità e nervosismo serpeggianti. Fino alle 17.30 quando salutati tutti partiamo per la terza serata di presentazione di un libro di un amico studioso storico, Umberto Battini. A Calendasco, dove, bloccati per 10 minuti buoni dalla sbarra di un passaggio a livello Ferroviario, arriviamo alle 18. 05. Nella suggestiva location del cortiletto dell’antico medievale Romitorio ospitale del gorgolare restaurato dal pittore Bruno Grassi (presente), dove Corrado Confalonieri nel 1315 indosso’ il saio francescano iniziando un percorso di vita di accoglienza e assistenza ai bisognosi che lo avrebbe infine portato al riconoscimento della santità. Ma di questo parleremo in separata sede. Di rilievo invece la conclusione della serata: in pizzeria, noi due, io e Dalila, a Gossolengo, dove eravamo stati con Fabrizio, Elettra e le loro due figlie (le nostre nipotine), poco prima della loro partenza per la Nuova Zelanda, ormai quasi 18 mesi fa. Insomma, un buon posto per guardarci negli occhi e guardare alle spalle una settimana tra magnifici trionfi (le presentazioni di libri e dei loro autori) e irrefrenabili tonfi. Ma tant’è.

Ed ecco giunge alfin domenica 23, finalmente la settimana di ferro e fuoco volge al termine ma… alle 8 suona il cellulare per fortuna è “solo” Edoardo, chiama per una colazione tutti insieme al Pin Up di La Verza, brioche al pistacchio da leccarsi i baffi e soprattutto per festeggiare “cosino” che oggi fa 18 mesi con noi per cui sarebbe ormai “grandino” . Poi loro partono destinazione Rimini, il mare e noi in casa, devo leggere il romanzo di Paola Chimisso, ultima presentazione prevista il 26 giugno in via Roma al 163 per i “mercoledì coi grilli per la testa” prima della pausa estiva. Ma soprattutto devo festeggiare la fine di una settimana di trionfi e di tonfi.

Sperando la successiva (quella attuale) sia una settimana più tranquilla anche se non so, la mia vita è così e va bene così, mi piace così. A muso duro si spacca il muro.

Infatti ieri, lunedì 24.06, alle 9.00 di nuovo ha squillato il cellulare. Prefisso sul display 050, Pisa! Ho sentito un gran krak al naso, come aver sbattuto contro il muro duro come il calcio d’un mulo! Ahi!

Comunque una cosa sia chiara: niente gamba di legno per me in quel di Pisa, pisano avvolto nel rosso di sera non avrai la mia gamba di carne ed ossa intera!

Tramonto sull’Arno a Pisa

Casalmaggiore: ritorno 45 anni dopo ed è ancora emozione e musica rock. Luci, colori, voglia di libertà, di giustizia, equità, solidarietà

Il mitico pulmino della volkswagen, simbolo degli anni ’60 e ’70 in un’immagine esposta al bar Liston in piazza Garibaldi a Casalmaggiore

Casalmaggiore. Un punto fondamentale di riflessione e di svolta nella mia vita. Tarda primavera 1978, avevo 24 anni, un percorso universitario traballante anche per la difficoltà creata da un rapporto di coppia intenso, tanto da spingere alla ricerca di un lavoro nella prospettiva di una convivenza lanciando il sasso oltre le difficoltà poste dalla sua famiglia timorosa che la mia presenza potesse allontanarla dagli studi. Scoprendo che, in assenza del ‘pezzo di carta‘ adeguato, le scelte erano molto ridotte e al massimo con stipendi di bassissimo profilo. Così, quella ragazza che ritenevo per sempre invece, sotto stress per via degli studi, delle difficoltà poste dai suoi genitori, dalla mancanza di una possibilità al momento di dare sbocco al rapporto, se ne andava per la sua strada anche “per non farmi male“. No, non voleva farmi male, diceva, per questo meglio lasciarmi, scrivere la parola fine a quel rapporto troppo coinvolgente, intenso, passionale. Una scoppola mica tanto da ridere. Come un pugile rintronato per la botta presa direttamente sul muso e per il colpo allo stomaco. Non mi rimaneva altro che la molta militanza politica tra riformismo e simpatie anarco-libertarie-movimentiste in quegli anni nei quali la rivoluzione e il cambiamento sembravano ad un passo. Poi la notizia: a Casalmaggiore, paese della bassa padana a due passi dal Po, il Grande Placido Fiume, provincia di Cremona, dai 70 agli 83 km da Piacenza in base al percorso scelto, si organizzava un concerto con Joe Cocker. Nell’agosto del 1969, salito sul palco a Woodstock, Joe si era rivelato rock star con With a little help from my friend. Erano gli anni dei figli dei fiori, del fate l’amore non la guerra, della libertà, del rifiuto al conformismo, dei capelli lunghi, della contestazione contro tutte le giacche e le cravatte, della scoperta dei jeans, della rivolta e della ribellione. Per alcuni della rivoluzione, della lotta armata, della clandestinità. Compagni che sbagliavano gli strumenti di opposizione (le P38) ma pur sempre compagni in lotta contro un sistema iniquo.

Bernardo Lanzetti (già frontman della storica PFM) annunciato a Casalmaggiore per martedì 5 settembre alla Polisportiva Amici del Po a Casalmaggiore

Così Casalmaggiore, anno 1978, era l’invito alla mia personale Woodstock italiana. Sono partito con Mino, l’amico di sempre. In tasca un involucro che da tempo conservavo in camera mia, sotto all’ultimo cassetto della scrivania, lontano dalle mani di mammà. Me l’aveva passato Alberto che mi vedeva fumare MS, Gauloise, eccezionalmente Camel o Marlboro, “tutta merda“, diceva lui, “gettala, fuma sano, fuma pakistano” e mi aveva passato quel pane di hashish. Allora tutti fumavano spinelli. Compreso quell’amico, assunto dal Comune e inquadrato nel corpo dei vigili urbani. Lui, uomo d’ordine, di regole, di legge e regolamenti, vestito con una divisa, fumava hashish. Io no. Cioè, fumavo ma niente più che normale tabacco legale. Quel ‘pane’ dunque stava nel fondo della scrivania da mesi, non sapevo bene che farne. Curioso ma non convinto dell’opportunità del consumo, dell’abbandono al viaggio nel mondo dei sogni artificiali. Ma lì, a Casalmaggiore, sdraiato nel prato, nel buio della notte illuminata dai fanali sul palco, vivevo in bilico tra un recentissimo passato e un futuro tutto da definire. Preparata quella canna, accesa, fumata, l’effetto fu meraviglioso.

Casalmaggiore, piazza Garibaldi. Sulla destra il Bar Caffè Tubino, luogo del rock

Luci, colori, la musica vissuta ‘dentro’, la batteria nello stomaco, la chitarra nel cuore, il basso sembrava corrente, un fiume di suoni totalmente avvolgenti, un fluido a passare, a scorrere nelle gambe, a farmi muovere le mani, le braccia, a intorpidire la mente. La mente fluttuante, leggera, vagante, immagini abbaglianti ma incerte, indefinite, vaganti. Lei era lì, nei ricordi lucidi e fluidi, chiari, precisi e indefiniti, nel mio essere interiore, profondo. Ma la voce, la voce di Joe mi portava altrove, oltre, in una dimensione diversa, avanti, indietro, altrove. Un’esperienza intensa, oltre il mondo del reale quotidiano. Troppo oltre. Lei c’era e la sua assenza faceva male ma ormai la musica mi portava oltre, lei restava ma solo come un ricordo, un fantasma, un’ombra sfuggente, un sorriso evanescente. Così ho deciso il mio futuro, il mio cammino. No, il mio futuro non poteva stare in quel mondo di emozione ma miseramente virtuale. Quel che restava di quel pane, finita la musica, avvolto nello stesso scartoccio, è tornato nel fondo della scrivania. Rimasta la simpatia per gli indiani metropolitani ma nessun rapporto con la lotta armata, con chi usava i cortei per sparare alzo uomo, la scelta è stata per il riformismo socialista, il lavoro democratico per il cambiamento sociale, la realtà. Una scelta di vita. Così dopo qualche anno è arrivata la laurea. Il lavoro prima alla Fabbrica Italiana Automobili Torino nella vana e ingenua speranza che forme di cogestione fossero possibili ma nel grande impero industriale del Gianni Agnelli ogni forma di collaborazione, ogni apertura da parte del padronato era solo fittizia e alla fine il dominus era sempre lui, il comandante del vapore e all’occorrenza nel nome dell’utile aziendale l’operaio, il lavoratore, licenziato con un encomio assimilabile a una pedata nel culo. Quindi, salutata la Fiat, il lavoro all’Asl con quella collega che abitava in un quartiere residenziale per benestanti e non sapeva neanche chi fosse Francesco Lorusso il compagno di Lotta Continua ucciso a Bologna nel 1977 da un Carabiniere. Come dire che avevamo sognato di cambiare il mondo ma nei quartieri residenziali della placida, conformista, allineata Piacenza borghese nessuno s’era accorto di noi, dei nostri sogni, di quanto per quei sogni alcuni avevano pagato caro, anche con la vita.

Casalmaggiore: Paesaggio, stampa fotografica digitale su tela di Guglielmo Pigozzi

Seguì l’incontro con Dalila, un rapporto che sarebbe durato 4 anni per poi arrivare al matrimonio, ed ecco l’arrivo dei figli, contemporaneamente la collaborazione col mondo del giornalismo e, a quel punto, il contenuto di quello scartoccio da tempo dalla scrivania era passato per lo scarico del bagno di casa. Insomma, niente rivoluzione ma integrazione nella società pur cercando nel mio piccolo di cambiarla con strumenti democratici. Sono diventato dirigente nella sanità pubblica ma molti a dire che comunque “ero diverso“. Già, dalla parte non delle regole rigide della burocrazia dominus del cittadino ma dalla parte della gente, privilegiando i bisogni dei cittadini. L’ho pagata. Passando attraverso un processo penale, un’indagine per l’accertamento di eventuali reati penalmente rilevanti e infine una procedura di pignoramento dei mobili di casa. Ma, alla fine, anche quei signori in toga nera hanno riconosciuto l’aver agito in nome dell’interesse dei cittadini. Perché la legge, comunque scritta, è al servizio dei bisogni della gente e non viceversa. Così oggi eccomi qui, pensionato, 69 anni, il Covid quello pesante alle spalle salvo qualche strascico col quale continuare a fare i conti. E ancora: un figlio con sua moglie e le mie due nipoti emigrati in Nuova Zelanda per un investimento lavorativo di alta professionalità, contatti limitati (che comunque sono tanta manna) via whatsapp. Il secondo figlio con consorte che, otto mesi fa, mi hanno fatto trinonno “regalandomi” la nascita del primo nipote maschio. Beh, a questo punto credo sia chiaro perché, dopo tanti anni e una vita vissuta intensamente e concretamente, senza fughe nel mondo alternativo dei sogni e delle visioni indotte, dei voli psichedelici, ecco perché tornare a Casalmaggiore sia stata una grande emozione: soprattutto quando, entrato al bar caffè Tubino, in piazza Garibaldi, municipio alle spalle, all’interno ho visto decine di foto di concerti rock, l’annuncio di una serata live per il martedì successivo col barista che parlava dei tempi vissuti con i fumetti che scuotevano il mondo, da Diabolik a Zakimort, a Kriminal, Satanik, fino a Lando o La Compagnia della Forca e Alan Ford con Gruppo TNT. Il mondo dei personaggi oltre il Corriere dei Piccoli del Signor Bonaventura e di Lucky Luke, entrambi comunque gentili, ben educati, alla fine allineati.

Casalmaggiore, per me, è così. Luci, colori, musica, voglia di libertà, impegno per contribuire ad un mondo migliore, giusto, equo, solidale senza necessità di ricorrere a coadiuvati di visioni indotte cogliendo anzi l’occasione per evidenziare che 23 anni fa scegliendo di vivere la vita ho anche rinunciato a quelle 30/40 sigarette legali che fumavo giorno dopo giorno. Dunque, 45 anni dopo il primo incontro sul sentiero del rock, felice di un ritorno dopo il cammino sulla lunga e tortuosa strada della vita per scoprirci ancora uguali, ancora con gli stessi sogni e le stesse illusioni..

Casalmaggiore: Giochi di luce, olio su tela di Luiso Sturla

A Cerignale, io, Massimo Castelli e “Fate in Blu, Fate Infermiere – Covid, post Covid, long Covid”, il diario del ritorno alla vita

Agosto 2023: con Massimo Castelli, ex Sindaco di Cerignale, e il mio “Fate in Blu, Fate Infermiere”, il libro dedicato al recupero della vita post Covid

Cerignale, paese d’origine medioevale, 750 metri sul livello del mare nell’appennino ligure emiliano, 70 km da Piacenza, 80 da Genova, letteralmente un’isola tra i monti. Qui, grazie alla disponibilità e alla compresenza dell’allora Sindaco Massimo Castelli, conosciuto ai tempi della militanza tra i Democratici di Sinistra, nel 2016 ho presentato il mio libro dedicato alla tragedia di Chernobyl, “Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo“. Negli anni successivi non ho mancato un passaggio per assaporare un buon piatto di pini burro e salvia, tortelli ai funghi, tagliolini con le ortiche al ragù, magistralmente cucinati dalla signora Teresa al ristorante dell’albergo del Pino. Costretto ad evitare il viaggio lungo la tortuosa e suggestiva Statale 45 nel 2020 a causa dei postumi del contagio dal virus, il Covid-19, nell’anno dopo il ritorno con prenotazione come pensionante di una camera per qualche giorno all’albergo del Pino. Per la presentazione, sempre con Massimo – che nel frattempo aveva aderito a Coraggiosa, il movimento di Elly Schlein -, del libro pubblicato sul finire del 2020, “Nelle fauci degl’Agnelli“, storia di un’esperienza negli anni ’80 a contatto con il vertice dell’impero Fiat. Ma soprattutto un momento di “recupero e ritorno della vita“, convalescente dopo il ricovero in malattie infettive (2021) per l’infezione da Klebsiella Polmonae, un virus contratto un anno prima (2020) durante la permanenza in rianimazione sempre causa Covid (senza opportuno accertamento a titolo di tempestiva prevenzione prima della dimissione da parte dell’Ausl). Da allora l’appuntamento per il pernottamento di qualche giorno sul finire dell’estate è diventato un imperativo. Anche se nel frattempo tante cose sono cambiate. La signora Teresa, ormai superata quota 94 anni, non è più in cucina. E così anche Luigina, sua magistrale aiutante si fornelli, è ormai pensionata (salve emergenze). Massimo, da par suo, non è più Sindaco, costretto alle dimissioni per un’indagine che sembra coinvolgerlo, forse per qualche difetto di procedura nell’azione comunale dove sembra non si tenga conto – da parte di chi indaga – dei limiti operativi e di adeguato supporto tecnico in una realtà amministrativa periferica dove comunque quel che conta sarebbe più che la forma ineccepibile il saper fare e il conseguente fare considerato che la pubblica amministrazione è e deve essere al servizio del cittadino. Proprio come norme e diritto mentre non deve prevalere l’opposto ovvero che il cittadino debba essere sempre succube di un diritto che si fa burocrazia, immobilismo, prevaricazione. Quindi, rinnovando da parte mia la fiducia e la stima a Massimo per l’efficace azione nella veste di Sindaco, di amministratore e di politico, eccomi di ritorno in quel di Cerignale e naturalmente non potevo mancare di proporre una foto comune con tanto di evidenza del mio ultimo libro “Fate in Blu, Fate Infermiere – Covid, post Covid, long Covid, diario di giorni resistenti“, nel quale un capitolo è appunto dedicato a Cerignale, l’isola tra i monti dove “tutti finiscono col conoscersi, basta incrociarsi e ci si saluta, salve, buongiorno, ciao e un sorriso. In pianura, nella città, spesso non sappiamo nemmeno chi sia l’occupante dell’appartamento di fianco al nostro. Davvero un altro mondo, si vive di un senso diverso dell’essere, si è amici, anche se appena arrivati“, Quindi… arrivederci Cerignale. Al 2024 e … al prossimo libro.

Senza trascurare un inciso pubblicitario: il libro è reperibile a Piacenza presso la Libreria Fahrenheit di via Legnano, la libreria Romagnosi nell’omonima via, la libreria Postumia a Sant’Antonio e ve l’assicuro, vi saprà far sorridere, cosa che non riuscirete a fare leggendo il libro del generale Roberto Vannacci.

Cerignale, un’isola tra i monti

L’incontro in piazza Santa Fara a Bobbio con Claudia, OSS a Castel San Giovanni ai tempi del Covid

Claudia Negromanti era un’operatrice socio sanitaria in servizio nel reparto di riabilitazione pneumologica e fisica dell’ospedale di Castel San Giovanni (all’epocanei giorni del mio ricovero per Covid. Incontrarla a tre anni di distanza è stata una grande emozione come ho scritto in un post in Facebook ma ancora più emozionante è stato leggere il suo commento di risposta. Un riconoscimento utile per ripagarmi dei mesi di impegno oltre Covid, post Covid e Long Covid. Un abbraccio, Claudia.

Bar Tavernetta in piazza Santa Fara a Bobbio

Il mio post

“A Bobbio, seduto al Bar in piazza Santa Fara a far colazione, 1087 giorni dopo quel 17 giugno 2020, 88° dall’arrivo in urgenza in Pronto Soccorso a Piacenza per poi seguire il calvario del passaggio tra la vita e la morte in malattie infettive, rianimazione, trasferimento a Castel San Giovanni in terapia intensiva prima e riabilitaziine fisica e respiratoria poi, mi ha visto e salutato Claudia Negromanti. Era una delle “Fate” che, in quei lunghi mesi del 2020, hanno seguito il mio ritorno alla vita oltre Covid. Cosa posso dirti, Claudia? Grazie, dal più profondo del cuore. Rivederti è stata una carezza al cuore, un’emozione profonda, ripensando a quei lunghi giorni di immobilità nel letto ospedaliero con voi bardate, il volto nascosto dalla mascherina, la paura di essere a vostra volta contagiate, l’incertezza del mio recupero. Per me resterete sempre tutte e tutti, mediche, medici, Infermiere e operatrici socio sanitarie, Fate azzurre, angeli che mi avete assistito con dolcezza per tutti quegli 88 giorni come ho scritto nel libro dedicato al ricordo di tutte e tutti voi. Davvero un piacere e un’emozione ritrovarti, salutarti, ammirarti in compagnia oggi del tuo nipotino, simbolo della vita che procede nel tempo. In effetti oggi molte cose sono cambiate, anch’io sono nonno, anzi da 8 mesi trinonno, anche tu sei pensionata, quel “nostro” reparto castellano non è più, trasferito a Fiorenzuola e, per quanto mi riguarda, ho potuto scrivere due libri (ricordi? Non riuscivo più a parlare, a comunicare, a scrivere una lettera dopo l’altra). Insomma, siamo qui, oltre quei giorni, oltre Covid. Ciao, alla prossima occasione, al prossimo incontro lungo le strade di questo nostro mondo.”

Piazza Santa Fara, Bobbio: i tavolini sotto i portici

Il commento di Claudia

Non sono brava a scrivere come te ma in breve posso dirti che stamattina ti ho notato subito e mi sono tornate in mente certe situazioni vissute proprio in quel brutto periodo. Sono cambiate tante cose alcune belle, altre un po’ meno nella vita di ognuno di noi .. è la vita. Ciò che ho trovato di immutato sono le espressioni del tuo viso, il tuo modo di parlare… umanità, sensibilità, gentilezza. Nonostante in quei giorni tu vivessi nella sofferenza, dal tuo sguardo trasparivano comunque queste qualità. Nel mio piccolo e con il mio umile lavoro spero di essere stata corretta nei tuoi confronti, avrei sicuramente dovuto fare di più perdonami se ho mancato in qualcosa. Tu hai dato a noi, almeno a me una bella lezione di vita. Speranza, forza e coraggio. Una cosa mi è spiaciuto non fare.. un bel selfie 🤣ma magari capiterà chissà. Un abbraccio Claudio e grazie per il tuo post mi hai fatto emozionare e tanto.

I lunghi giorni del Covid e a seguire il post Covid e il long Covid senza mollare mai così l’essere qui, con voi, ancora oggi ammirando il mio “Fate in Blu, Fate Infermiere – Diario di giorni resistenti” allo stand della Libreria Fahrenheit alla Settimana della Letteratura di Bobbio: impareggiabile! Ribadendo un grazie di cuore a chi si è preso e si prende cura dei miei giorni e tra questi appunto Claudia Negromanti, operatrice socio sanitaria a Castel San Giovanni oggi felicemente in pensione

40 anni del Corriere Padano e quel pezzo della storia fatto insieme nel segno di una città vivibile (3)

I 40 anni di pubblicazione festeggiati dal periodico Corriere Padano e in particolare l’articolo dedicato all’informazione locale di quegli anni ’80 della giornalista professionista Antonella Lenti sono l’ occasione per un viaggio della memoria tra i miei ricordi del vissuto personale. Confesso: avevo due sogni. Scrivere un libro e diventare giornalista. Sul finire degli anni ’70 avevo bussato alla porta di una ‘Scuola (privata) di giornalismo’ (allora non esistevano i corsi universitari) nei pressi di piazza Duomo a Milano. Con un vecchio amico d’infanzia e compagno di Partito, Augusto Bottioni. Eravamo entrambi in crisi lungo il percorso universitario ed eravamo pronti ad intraprendere quella scelta che doveva coincidere col nostro futuro. Fummo ammessi ad un dialogo con il Direttore della Scuola che, ascoltati i nostri sogni, fu impietoso: ormai superato il primo quarto di secolo, eravamo troppo anziani, non c’era posto per noi nel dorato mondo della carta stampata.

La laurea con la tesi sui progetti di legge in materia di tossicodipendenza

Tornati a casa con un filo di rassegnazione riprendemmo in mano i rispettivi libri universitari, ci laureammo, Augusto ingegnere, giurisprudenza per quanto mi riguarda, ma quei sogni rimanevano. La mia tesi di laurea esaminava i progetti di legge sul tema della tossicodipendenza. Ne proposi la pubblicazione ad una casa editrice piacentina specializzata in pubblicazioni giuridiche (La Tribuna). Anche in questo caso fui ricevuto da un editor in giacca e cravatta comodamente seduto dietro ad elegante scrivania. Mi disse di diventare prima un famoso avvocato, poi ne avremmo riparlato. Almeno a quarantanni compiuti. Beh, non mi sono abbandonato allo sconforto, mi sono rivolto ad una casa editrice sempre locale e di sinistra, La Nazionale. Adeguandomi al fatto di pagare di persona la stampa (un milione circa per 300 copie). Era se non ricordo male il 1982. Lo presentai in occasione della Festa socialista dell’Avanti al Palazzetto dello sport a Piacenza e alla fine, a conti fatti, vendendo 150 copie circa anche i conti economici tornarono ma soprattutto fu positivo il ritorno tanto per quanto all’aver realizzato un sogno e considerando le successive porte che mi si aprirono.

Corrispondente con l’Avanti! nazionale e l’iscrizione all’Albo dei Giornalisti (sezione pubblicisti)

Ecco dunque intanto la collaborazione redazionale con il periodico “L’opinione socialista di Piacenza“, mensile della Federazione del PSI e, poco dopo, con Cronache Padane, altro mensile indipendente ma sempre di area socialista diretto da Enrico Sperzagni. Infine, nella seconda metà degli anni ’80, grazie al sostegno di Franco Benaglia, Presidente della Provincia, l’incarico quale corrispondente dell’Avanti!, quotidiano nazionale organo del PSI. E qui il mio secondo sogno sembrava realizzato ma la politica, si sa, è fatto aleatorio. Intanto vero che avevo ottenuto come pubblicista l’iscrizione all’albo dei giornalisti ma quanto a compensi, poche lire che mai mi avrebbero permesso di vivere e ormai “tenevo famiglia“, moglie e due figli in crescita “che tenevano fame“.

La collaborazione con Corriere Padano

Non solo. All’interno del Partito sempre più mi allontanavo dai compagni che sembravano tutti abbagliati dal flauto magico delle moderate teorizzazioni craxiane. Non ricordo come fu e quando avvenne l’incontro con Giuseppe De Petro, padre padrone dell’allora settimanale “Corriere Padano” da molti considerato scandalistico ma che, dal mio punto di vista, aveva un pregio: scoperchiava la cappa di conformismo calata sulla città da parte dei “padroni” della stessa rivelandone il volto nascosto, quei fatti che il quotidiano locale, Libertà, taceva. Era il 1988 e Giuseppe mi affidò uno spazio preciso, seguire le attività del consiglio comunale dove appunto dominava quell’uomo che dall’ombra di fatto governava la città, Corrado Sforza Fogliani, avvocato, liberale, banchiere, NH ovvero Nobil Uomo. Fu divertente rintuzzare nei commenti dei giorni dopo le sue argomentazioni, contrapponendole al fare di quello che definivo il Cavalier che viene dal contado, ovvero Franco Benaglia, socialista di sinistra, prossimo a diventare Sindaco della città, magiostrino. Il quale però era stato chiaro: scegliere Corriere Padano diventata incompatibile con il rapporto con l’Avanti! e non solo.

Il Cavalier che viene dal contado

Quel fantastico nomignolo (che, per quanto mi riguarda, lo contrapponeva simpaticamente all’austero e supponente NH, Nobil Uomo, avvocato, banchiere, padre padrone del Partito Liberale e della città), quel richiamo al contado il compagno Benaglia proprio non lo digeriva, gli pareva canzonatorio così il rapporto sia politico che personale diciamo si afflosciò per ritrovare vigore non prima della seconda metà del decennio successivo, dopo lo scioglimento del Partito e la nascita del Movimento Laburista di Valdo Spini.

La possibile collaborazione con Italia Oggi grazie a Luigi Altrocchi e il crollo della Torre Civica di Pavia

L’esperienza con il Corriere di De Petro fu molto stimolante (e ben compensata) a partire dal rapporto con il resto della redazione anche e se non privo di qualche strisciante dissenso (in particolare con Antonella Lenti, ‘anima politica‘ di area comunista del settimanale). Ma, fatti i debiti conti, anche qui c’era il problema dei bisogni della famiglia. Comunque risultava di grande soddisfazione poter scrivere non solo dei fatti ma commentando pure: in altre parole nello stesso articolo fatti e opinione. Intanto, grazie all’allora direttore responsabile Luigi Altrocchi si erano aperte le strade per una collaborazione con il quotidiano nazionale Italia Oggi. Mi vennero pubblicati un paio d’articoli poi la redazione affidò a Luigi e a me la realizzazione di un inserto speciale su Pavia. Gambe in spalla realizzammo diverse interviste con rappresentanti economici e sindacali ma, mentre assemblavamo il lavoro fatto, il 17 marzo 1989 la torre civica della piazza crollò causando 4 morti e 15 feriti. Quello speciale che in breve doveva portare ad una collaborazione organica, venne dimenticato.

L’ipotesi di due anni di praticantato e le necessità del buon padre di famiglia

Fermo restando che, nel caso di una pur ventilata assunzione per poter aspirare al professionismo avrei dovuto aspettare almeno due anni con un praticantato a compenso minimo, adatto per un giovane ma non certo per un buon padre di famiglia (qui finalmente si capisce il senso del peso dell’età ormai troppo avanzata evidenziato dal direttore della Scuola di giornalismo milanese anni prima). Così affrontai l’avventura di un posto dirigenziale alla USL di Mirandola salutando a settembre 1989 (con grande rammarico) De Petro, la redazione del Corriere Padano e i miei sogni di un futuro nel giornalismo italiano.

Direttore responsabile del Pellicano, periodico del Circolo ricreativo dell’Ausl

Tornai in via Scalabrini, allora sede del Corriere, nel 1990, salendo le scale col cuore in gola per l’emozione. Trovai la porta chiusa con i ragazzi della redazione all’interno che stavano occupando la sede del settimanale. E qui finiva la mia avventura nel mondo del giornalismo anche se per anni ancora sarei rimasto per il Tribunale e per l’Ordine dei giornalisti direttore responsabile del mensile del Circolo ricreativo dell’Ausl, Il Pellicano, ma, questa, fu un’altra storia.

Narratore, Scrittore e Poeta

Intanto mi allontanavo o comunque limitavo anche la militanza politica sia pure collaborando a vari livelli con Laburisti, Pds, Ds, Sinistra Democratica, Sel. Infine sostenendo col voto Movimento 5 Stelle e Sinistra Italiana. No, non finivo con la mia partecipazione alle battaglie di quegli anni: la pace, il no al nucleare, la tutela dei diritti dei lavoratori, i diritto civili, la tutela degli anziani. Semplicemente valori, idee espresse con modalità diverse: soprattutto grazie alla scoperta di internet attraverso specifici siti dedicati mi confrontavo in versi, con la poesia. Liriche sociali, sfociate nella pubblicazione in un’antologia di un’editrice milanese (della quale ho fatto omaggio a quell’Antonella Lenti che ho sempre considerata mia ‘maestra‘ di giornalismo) e in un importante premio a Lodi Vecchio. Sono passati alcuni anni di incubazione poi, nel 2004, dopo la partecipazione ad un corso a Bobbio con Aldo Bellocchio – fratello del regista Marco – (dove con mio grande stupore ho ritrovato partecipante proprio Antonella) è uscito il mio primo libro di poesie, “È severamente proibito servirsi della toilette durante la fermata nella stazione” . Poesie di lotta e di resistenza. Pagata la stampa ma grazie a rap-presentazioni nei vari paesi i conti son tornati sia quanto a contenuti, riconoscimenti, ritorno economico. Qualche mese fa, sul quotidiano locale, una giornalista, Elisabetta Paraboschi, mi ha citato definendomi Scrittore e Poeta. Beh, in effetti oggi i libri alle spalle sono nove, le rap-presentazioni più di 80, la definizione data da Elisabetta può considerarsi meritata e dunque realizzato il primo sogno e quanto al secondo, in fondo pure: l’iscrizione all’Ordine è ancora attuale. Non mi resta che ringraziare Giuseppe De Petro e augurare ulteriore lunga vita al Corriere Padano, anche se oggi con foliazione ridotta e periodicità mensile. A proposito: Augusto Bottioni nel frattempo, dopo quel viaggio a Milano, continua a pubblicare libri storici a raffica e Antonella Lenti diventata giornalista professionista, è stata redattore capo al quotidiano Libertà e attualmente, oltreché tornata a collaborare col Corriere Padano, dipinge. Purtroppo invece Luigi Altrocchi poco dopo quei tempi ormai lontani ci ha lasciati come del resto altri hanno intrapreso nuove diverse strade salvo alcuni che hanno saputo ricavarsi un ruolo collaborando con il quotidiano locale, come Patrizia Soffiantini o Ermanno Mariani. Insomma, il fascino sottile del narrare storie, i fatti accompagnati da commenti e opinioni: gratificante, irrinunciabile. Con un solo consiglio: iniziare da giovani, quando il fatto economico può considerarsi speranza di un futuro da venire.

Roberto Spinola, uomo del fare, nato per essere Sindaco, ci ha lasciato

Roberto Spinola

Già sono trascorse due settimane da quando ho saputo che ci ha lasciati Roberto Spinola, 76 anni, biologo, già Sindaco a Podenzano e poi a Ponte dell’Olio, ex dipendente Ausl, responsabile del laboratorio analisi dell’ospedale di Bobbio, in seguito direttore del Distretto sanitario della Montagna e per finire responsabile dell’impianto del Centro Servizi Ambulatoriali a livello provinciale. Aderente al Partito Socialista, in seguito protagonista della diaspora socialista: successivamente allo scioglimento del Partito è stato candidato alle votazioni regionali per la Lega Nord mancando di poco l’elezione.

Nella prima metà degli anni novanta, col passaggio dalle Usl all’Azienda Unitaria Sanitaria provinciale, l’occasione per incontrarlo. Travolto da una lotta di potere tra esponenti cattolici e democristiani, fui costretto ad abbandonare la sede Asl di Castel San Giovanni in quanto collaboratore dell’allora direttore sanitario ospedaliero e soprattutto in quanto socialista. Roberto, conclusa con le dimissioni (a seguito di contrasti interni alla sua stessa maggioranza) l’esperienza di Sindaco a Podenzano, fresco di nomina a Direttore del Distretto della Montagna nell’ambito dell’Asl piacentina, venuto a conoscenza del fatto, mi contattò proponendomi la collaborazione come responsabile amministrativo del Distretto con sedi a Bettola e all’ospedale di Bobbio. Un’esperienza durata tre anni, stimolante, propositiva, di soddisfazione, intensa ma non priva di aspetti controversi. Perché Spinola, a mio giudizio, era sicuramente un uomo del fare ma nel nome innanzitutto di un’ambizione personale senza fine. Che lo portava ad ottenere ottimi risultati di grande interesse per gli assistiti e i cittadini in generale ma che, ad un certo punto, lo portavano anche a grandi contrasti e in buona sostanza a concludere in malo modo le diverse esperienze amministrative.

Personalmente ritengo si siano ottenuti, lavorando insieme, buoni risultati, nell’interesse soprattutto dell’ospedale di Bobbio e degli anziani residenti nel Distretto comprendente Val Nure e Val Trebbia ma, dopo tre anni di lavoro comune, ho ritenuto opportuno dividere i nostri percorsi iniziando una nuova esperienza nella sede piacentina dell’Asl. Dopo qualche anno a sua volta ebbe un importante incarico in città ma, con l’arrivo da Roma di un nuovo Direttore Generale, finì col sentirsi emarginato dimettendosi dall’Azienda. Riuscì a farsi eleggere Sindaco a Ponte dell’Olio ma, come dicevo, l’uomo aveva carattere e motivazioni di fondo controverse oltre in alcune situazioni scarso equilibrio nei rapporti interpersonali per cui, ad un certo punto, inevitabilmente, la sua stella lentamente perdeva e perse splendore, finendo nell’ombra dei ricordi.

Certo, la sua partenza per l’Altr/Ove mi ha sconcertato e voglio ricordare un piccolo lavoro costruito insieme: si realizzò un giardinetto con tanto di panchine di fianco all’ospedale bobbiese dove i pazienti ricoverati potevano trascorrere un pò di tempo all’aria buona, come si suol dire. Tornato all’ospedale qualche anno dopo, quando entrambi ne eravamo ormai trasferiti, l’erba alta praticamente copriva le panchine, rendendo l’area inutilizzabile. Ecco, Roberto Spinola non avrebbe mai permesso tanta incuria e decadenza.

26 giorni di ricovero, il rilascio e l’inizio del recupero del mio mondo nella nuova dimensione (1)

Già lo si é detto: 26 giorni di ricovero, dal 30 maggio a sabato 24 giugno e alfin della fiera il ritorno a casa, i primi timidi passi, le medicazioni alle ferite da parte di Marica, l’infermiera dell’assistenza domiciliare, il campanello che suona, arriva Lucia, bionda fisioterapista. Ricordi. Anni fa con un collega era venuta in ufficio per trovare il modo per poter svolgere attività in libera professione presso l’Asl ma idea e progetto finirono nel nulla. Il naso fuor di casa. Occorre salire in ascensore, in piedi, con le stampelle, Dalila introduce la carrozzina piegata, scendo a piano terra, si riapre la carrozzina ma devo ancora scendere lo scalino dell’ingresso, finalmente sedermi e Dalila mi spinge fino al garage. Salgo in macchina, si va all’Ipercoop.

M’aggiro, giusto un pò perso tra gli scaffali, devo trovare il senso della mia nuova dimensione. Dalila acquista, io suggerisco, é sempre un lavorar in coppia. E quando s’avvicina l’ora dell’uscita lei ha un’intuizione: mi tampona!!! Un incidente volontario che le perdono e del resto niente colpo di frusta, anzi. Col carrello mi spinge io non faccio fatica e lei praticamente neppure e la gente che ci vede sorride esaltando la genialità e la furbizia della gentil consorte. Ah, ma le donne…

E non finisce qui, il rientro nel mio mondo prosegue. A breve primo controllo in reparto e visita medica fisiatrica nell’ambulatorio di via Caffi per prendermi in carica. Niente cena di festeggiamento per il compleanno di Dalila. Tutto segretamente organizzato, prenotazione effettuata, all’ultimo minuto Edoardo lamenta un possibile principio d’influenza. Disdetta, inevitabile rammarico del ristoratore, alla sera a tavola in cucina ci regaliamo un dolcetto gentile e gradito omaggio di Alessandra, pristinera sottocasa, da dividere in due. Sarà festa grande la prossima volta. Parte l’organizzazione per un mercoledì poetico musicale in via Roma al 163 da Fabbrica&Nuvole di saluto all’estate. Sarà il 12 alle 18.30, un’ora la durata, poi ricco buffet. Annunciato un incontro del Comitato Salviamospedale: inutile nuovo cemento, nuovo consumo di terreno verde, risistemiamo il nosocomio attuale di via Taverna ampliandolo e riorganizzandolo destinando le risorse alla medicina del territorio. Ma non solo. Si va nell’agriturismo dove nostra nipote, Olimpia, andava all’asilo e, sapendola lontana, dall’altra parte del mondo, un pò piange il cuore. Arriviamo, parcheggiamo ed è come rivederla che mi corre incontro, ed io la prendo in braccio, l’alzo verso il cielo beandomi del suo sorriso. Ah, la nonnitudine… Comunque nessun problema. Il comitato di ricevimento, tre quattro donzelle s’avvicinano, mi accolgono, mi salutano, mi regalano dolcezza e tenerezza. Ho la fortuna di avere apprezzamenti. Tuttavia devo riconoscere che, un tempo, le donzelle eran diverse, di tutt’altra specie. Qualcosa non quadra.

Così termina per ora la prima fase del rientro del Signor Bonaventura che non spera di vincere un milione ma d’essere esonerato almeno per un periodo significativo dal ritorno in ospedale e nell’attesa, chiedendo scusa alle gentil donzelle che, per salutarmi, han perso il posto in coda d’attesa della mungitura, si prosegua con la festa. Bando a dubbi e titubanze! Due fette di salame, due di pancetta, due di coppa, una di crescenza, una pallina di ricotta, una fetta di frittata. A seguire pisarei e per finire budino al cioccolato al sapore di tempi andati. Immancabili l’acqua, un pó di vino, un buon caffè e si torna a la maison. Prosit!