“Letti, lenzuola e vacche: le richieste piacentine al duca Francesco Sforza”, contenziosi del 1452 ai quali il duca di Milano rispondeva per risolvere la situazione. Ricerca a cura dello storico Umberto Battini pubblicata ne ILPiacenza.it
Sono curiose le lettere di ricorso per varie cause, rivolte al duca di Milano, Francesco Sforza, dai piacentini, alle quali poi seguiva una risposta. Tra le migliaia di lettere inviate dallo Sforza a Piacenza per decisioni su istanze varie ed eventuali, ne abbiamo estrapolate alcune tra quelle più fantasiose. Stiamo parlando, in questo caso, dell’anno 1452 e tanto basta ed avanza per farne una selezione. Anzi, già è curioso il fatto che il duca si prenda la briga di risolvere di persona alcune “beghe piacentine” che fanno quasi sorridere. Di prassi anche a quel tempo si “passava” per il tribunale, ma alcune cause venivano risolte dal duca in persona, che ne dava una sua lettura. Sono davvero migliaia le lettere su fatti piacentini ben conservate nell’Archivio di Stato a Milano. Scrive nel 1452 al luogotenente di Piacenza di far pagare ai “nostri homini d’armi” il prezzo di “un bove et una vacha” che erano stati rubati a un certo “Guglielmo Malaraza”. Il 9 maggio ordina che a “Iohannis Fulgosii” sia da tal Francesco restituito il letto che gli aveva rubato “restituendo dicto supplicanti lectum”. Lo stesso 19 maggio addirittura ordina al “dilecto potestati nostro Placentie” di liberare il “fiolo de Finogio”, cioè il figlio di tal Finogio che aveva “furato uno linzolo”, rubato un lenzuolo che sarà restituito al proprietario. Altra missiva del duca Sforza ordina, sempre al Podestà di Piacenza, di dargli notizie precise sul “detenuto Alberto da Groppo” che “fu trovato in tempo de nocte che l’era intrato in casa d’uno dei cittadini” per rubare. Con altra lettera d’ordine stabilisce che “misser Iacomo da Piasenza nostro famiglio” abbia riscossione di dazi in “Cropparello”, cioè Gropparello, ma non gli sia dato “el datio del porto de Trebia” che rimarrà di proprietà ducale. Con un ordine del 7 settembre 1452 stabilisce che “il cavaliero messer Otto da Mandello” non abbia più da un certo “Ihoanni de Mediolano abitante in Caorso” il taglio per dispetto del legname dei boschi “per dispecto gly fai tagliare el ligname suo delli boschi de Caorso”. Nel febbraio di quell’anno esige una indagine sugli uomini di “Gragnano Soprano, Gragnano Sottano, Campo Remoto sottano (Campremoldo di sotto) e Casalechio (Casaliggio)” perché hanno ucciso un famiglio di un uomo d’armi. Ordina “che per modo alcuno tale apto passi impunito” oltretutto gli uomini di quei luoghi “sonarono la campana ad martello et fecero cohadunare tucti li vicini circumastanti”. Addirittura con altra missiva il duca ordina al Podestà che Giacomino e Castellino “fratrum de Corvis” cioè due fratelli “abitatorum ville Quarti” abitanti a Quarto in diocesi piacentina, siano assolti e non paghino nessuna penale per i loro porci. Infatti erano accusati dai piacentini di tenere “ob certum numerum porcorum” cioè tanti porci oltre ciò che legalmente era stabilito negli “statutorum civitatis eiusdem nostre” ma per il duca non aveva più vigore quella legge particolare. In agosto manda un ordine perentorio addirittura al vicario vescovile di Piacenza con il quale lo ammonisce di non vietare ad alcuni frati di mendicare in città e nella diocesi. Infatti il vicario del vescovo aveva proibito “più in Piasentina, che in li altri loci” ai frati “questori per la casa de Sant’Antonio, de San Bono, de San Bernardo, de Sancta Maria de Roncivalia, de San Iacomo et de Sancto Spirito” le loro “questue in quella diocesi de Piasenza”. Nel caldo luglio ordina al Podestà di ridare al condottiero “Bivilaque da Verona” tutte le “vacas ex vacis” cioè le tante vacche presegli da un certo Bassano Gobbo e Giovanni del Meno, ed anzi ordina pure di rendere anche “pro vachis, quam earum fructibus” cioè i vitelli nati dalle vacche. Insomma i piacentini facevano delle istanze che, per non passare in tribunale, erano dirette personalmente al duca Francesco Sforza, il quale si prendeva la briga di leggerle e decidere, anche su questioni frivole, come abbiamo visto. Un mondo particolare, dove alle solide questioni politiche ed economiche di Piacenza, si mischiavano fatti più terra terra, popolari, dove anche un semplice letto od un lenzuolo rubati, potevano essere un serio problema da risolvere.