“Una storia socialista (2): incontro con Gaetano Mantovani, ragazzo dello Psiup”

Finita la guerra con la liberazione dall’occupazione nazista e dai rigurgiti fascisti della Repubblica Sociale, molti fascisti riuscirono a riciclarsi nelle istituzioni, nell’esercito, nei Ministeri, nelle forze dell’ordine, negli stessi partiti protagonisti della lotta per la democrazia, con la Democrazia Cristiana in testa. Si creò una rete eversiva, che comprendeva esponenti della mafia e della Loggia massonica P2 di Lucio Gelli, e che fu responsabile degli episodi della strategia della tensione che nel 1969 provocavano la strage di piazza Fontana a Milano. Un anno dopo, nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970, il principe Julio Vittorio Borghese, esponente del Movimento Sociale, fondatore di Fronte Nazionale, già comandante della X Flottiglia MAS, esponente della Repubblica Sociale fedele a Mussolino e ai nazisti occupanti in armi la nostra bella Italia seminando morte e terrore tra i civili inermi, Julio Vittorio Borghese, dicevo, soprannominato il principe nero, diede il via al colpo di Stato che doveva instaurare un nuovo regime di stampo fascista e ultra filo americano con tanto di impegno ad inviare truppe a combattere in Vietnam. Diverse centinaia di congiurati si concentrarono a Roma, Milano e altre città. Venne occupato il Ministero dell’interno armi alla mano, il generale dell’Areonautica Casero e il colonnello Lo Vecchio presero posizione al Ministero della Difesa mentre 187 uomini del Corpo Forestale dello Stato si appostarono non lontano dalle sedi televisive della RAI e un carrarmato raggiungeva la stazione Termini. Un passo dall’occupazione della RAI e dal rapimento del Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat (Socialdemocratico). Il tutto operativo fin verso le due di notte, poi Borghese stesso telefona e ferma gli insorti. Sembra abbia ricevuto a sua volta una telefonata dal segretario di Andretti (esponente DC) che annunciava il venir meno del consenso dell’ambasciata americana. Il tutto resta secretato, sminuito, progetto per il momento affossato, i giornali tacciono, nessuno ha piena coscienza degli avvenimenti della notte nera. Anche la sinistra dorme sonni tranquilli, ignara dei fatti. Così io, giovane sedicenne studente in terza superiore, dopo l’inevitabile manifestazione per la strage fascista di piazza Fontana e contro i depistaggi di Stato che vorrebbero coinvolti anarchici come il ferroviere Pinelli, bado al rapporto con Giuliana perché, come si sa, l’amore è blu, dipinto di blu, quando con me ci sei tu. Leggiamo una rivista, Due più, con all’interno allegato chiuso e sigillato che parla di educazione sessuale, all’epoca argomento assolutamente tabù. In classe avevamo chiesto di parlarne nell’ora di religione ma la risposta fu negativa. Quindi autogestione, aula occupata, fuori l’insegnante, porta chiusa. Ma l’esperienza non portò grandi risultati: mancavano certezze, mancava un esperto o un’esperta. Ci rifugiammo nella lettura collettiva dell’inserto di Due più. Fine autogestione di desiderio di conoscenza scientifica della sessualità. Trionfo del fai-da-te. A ciascuno le sue esperienze e chi ne ha bene, altrimenti s’arrangia. Il tutto nell’attesa dell’anno nuovo con la speranza di passare insieme a Giuliana quella notte magica. Ma 16 anni son pochi, i genitori di lei non lasciano che scenda in città. Così s’affaccia il 1971 e, a marzo, ho 17 anni quando il governo rivela i fatti del golpe Borghese. Creando gran scompiglio tra ex partigiani e soprattutto comunisti. Molti anni dopo Graziana mi racconterà che il padre salutò casa tornando nei luoghi della Resistenza, forse in montagna, dove ancora erano conservati depositi segreti di armi. Per paura, per sicurezza, per una nuova Resistenza. Penso, per quanto possa ricordare, che il giorno dopo alla sede dei Collettivi del Movimento Studentesco di via Borghetto ci fu una forte discussione sul fatto se accettare una convocazione di tutta la sinistra extraparlamentare presso la sede dello Psiup. Non so come non so perché alla fine ne venni incaricato io. “Ma non so cosa dire, come muovermi“. Nessun problema, “tu ascolti, poi riferisci cosa vogliono quelli“. Ma perché tanto settarismo, compagni? Comunque fu così che mi ritrovai davanti al portone in via Campagna dove all’esterno stava quella targa con falce e martello e la scritta P.S.I.U.P, Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Erano presenti diversi ragazzi rappresentanti dei tanti movimenti, gruppuscoli e partitelli nei quali si frammentava la sinistra. Oggetto dell’incontro la minaccia fascista e il pericolo di un nuovo possibile colpo di Stato. Occorreva organizzare la Resistenza definendo per ogni gruppo la zona di pertinenza a difesa della città. Era la seconda volta che incontravo quel ragazzo, Gaetano, sicuramente più vecchio dei miei 17 anni, almeno una decina d’anni in più e forse di più ancora, forse studente universitario, forse già laureato. Pacato ma deciso, autorevole, quando necessario pacificatore dei conflitti che inevitabilmente nascevano. “Questo, un giorno, sarà il mio Partito“, annunciai al mio io futuro, ammirato da quel compagno, dalla sua autorevolezza. Nel frattempo tornai alla sede dei Collettivi con l’annuncio che il nostro compito sarebbe stato realizzare barricate sul ponte di Po. Ad altri gruppi il blocco della stazione, del ponte ferroviario, dell’autostrada, dei diversi punti di accesso alla città. Una situazione da far accapponare la pelle, sapendo che si poteva non portarla a casa. Ma come: noi, io ragazzino dietro le barricate mentre avanzano militari insorti e armati? Per fortuna di colpi di Stato non se ne parlò più anche se la canea fascista, con violenze e bombe, continuava a minacciare la democrazia in sospetto di combutta con settori deviati delle istituzioni democristiane con il supporto della CIA americana. Semplicemente con Fausto andammo in piazza, seduti sul monumento al Romagnosi ad ascoltare il comizio di un esponente MSI (forse Almirante? Non ricordo). Vantava quanto di buono fatto dal regime e noi ridendo si commentava ad alta voce “sì, i campi di concentramento, le leggi razziali”. Due ragazzi, giacca corta e stretta come usava tra i fascisti, s’avvicinarono sfidando Fausto a seguirli nella piazzetta vicina. “Sì, dai, chiamiamo anche i vigili che facciamo una bella compagnia”. Se ne sono andati, solo cagasotto. Intanto giungeva la fine dell’anno scolastico, qualcuno veniva rimandato ma a settembre il gruppo si ricompattava iniziava la quarta superiore. Naturalmente la coppia più coppia che c’era proseguiva il suo percorso, anche Giuliana era stata promossa. La quarta superiore fu indice di grandi cambiamenti. Chi s’impegno’ sulle strade del rock, Lele con gli extraparlamentari. Il gruppo d’amici, maturando, non era più prioritario, protagonista assoluto. Per tutti ormai prima le ragazze. Un bene. Con un nuovo ingresso, Lorenzo, figlio del comandante del distretto militare, segretario del fronte della gioventù locale (solo anni dopo, il babbo trasferito in non so bene quale città, ho saputo che era diventato segretario di una sezione del PCI). Intanto però un compagno del Movimento m’avvicina, dice che si tratta d’una frequentazione ambigua, che devo badare alle gomme della mia macchina (che in realtà è la macchina del babbo) ma l’amicizia rimane pur avendo chiaro che, in caso di scontri in manifestazione, ognuno sarebbe stato dalla sua parte senza sconto alcuno. Già, ma tornando alla macchina, una delle primissime Fiat 124, a febbraio 1972 arrivano i 18 anni e la patente, diminuiscono le presenze alle riunioni in via Borghetto e aumentano i viaggi in provincia da Giuliana. Così la testa vola altrove, Mino scrive sul diario “dopo aprile viene maggio, dopo maggio viene giugno e noi ce l’abbiamo tutti nel c…“. Infatti fioccano bocciature e anch’io vengo rimandato a settembre: un’estate passata a studiare! Però una piccola vacanza al mare con Angelino e il Lele ci scappa. Nel paese a poca distanza dalla colonia marina di Misano Adriatico dove lavora Giuliana (lei promossa con buoni voti) che pause e momenti pro spiaggia libera insieme, lontani dagli affollamenti di Rimini e Riccione, si riesce a recuperarli. Ma queste sono buone notizie. Meno buona la notizia che arriva da Roma: il 12 luglio il IV Congresso dello Psiup decide lo scioglimento del Partito per mancato risultato elettorale. Il Partito che, come avevo affermato al mio io futuro, sarebbe stato il nostro Partito con quel ragazzo, Gaetano Mantovani, già individuato quale guida, maestro di politica. Invece. Il 67% degli iscritti, tra i quali proprio Gaetano Mantovani, confluiscono nel PCI. Per me inaccettabile, non posso dimenticare Praga, i gulag, Stalin, Lenin. No, comunista è diverso, è altra cosa, ci si allea, si collabora ma il socialismo dal volto umano è altro. Divisi pur nel massimo rispetto, con rammarico almeno da parte mia. Gaetano nemmeno sapeva chi fossi, ero semplicemente uno dei tanti, indistinto, uno del Movimento che ciclostilava volantini parlando poco e pensando molto alle ore passate o da passare con Giuliana. A questo proposito, un inciso. Durante tutto quell’anno andavo a scuola in anticipo, aspettavo la corriera in piazzale Cittadella e, quando lei arrivava, restavamo appoggiati all’ingresso dell’austero Istituto a scambiarci dolcezze e baci appassionati. Solo dopo parecchio tempo ci giunse voce che in Consiglio d’istituto i professori discussero sul da farsi, se richiamarci, se addirittura sospenderci ma alla fine conclusero che l’amore è blu e del nostro stare abbracciati, dei nostri baci non se ne parlò più. Intanto il mio babbo, capotreno nelle Ferrovie dello Stato, quindi dipendente pubblico, veniva convocato in Questura e Sua Eminenza il Questore in persona lo informava della mia disdicevole propensione agli scioperi, alle proteste, sempre in prima fila nei picchetti, abituale volantinatore contro il partito al governo. Quindi, il consiglio? Riprendermi, darmi una calmata. Il mio babbo sorridendo ha risposto che ero grande, responsabile, che mi asumevo le mie responsabilità, che, per quanto lo riguardava, ero una persona libera e lì il colloquio ebbe fine, papà Fabio tornò a casa tranquillo sapendo che, per un certo tempo, i suoi turni potevano essere quelli scomodi, quelli che tutti volevano evitare. Di tutto questo ho avuto notizia solo molti anni dopo, incontrando in treno zio Maurizio, ferroviere a sua volta, fratello di papà. Me ne sono commosso allora, a ripensarci mi commuovo ancora oggi. Papà di quel colloquio, di quel richiamo, non me ne ha mai fatto parola e men che meno ho mai saputo di quali turni, di quali treni, di quali tratte di viaggi gli venissero assegnate.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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