“Teodolinda, la gallina che fa scattare l’indignazione dell’altra metà della mela e l’immancabile Monaca (forse di Monza, forse di Zena) che brinda e ridacchia del turista un pò belinone”

La bella Teolinda, regina dei Longobardi

In una giornata di caldo africano niente di meglio di una granita in piazza Duomo, seduti all’ombra dell’ombrellone di uno dei bar che si offrono al turista accaldato. A Monza. Senza poi potersi negare una visita alla Cappella di Teodolinda, bella regina dei Longobardi che, unica e originale, scelse come simbolo non i soliti leone, orso, bue ma… una gallina! E qui, pensando all’altra metà della mela, scappa un sorrisino maliziosetto con immediata occhiataccia della gentil consorte, dubbiosa se far scattare lo schiaffetto o per generosa pietà di fronte a cotanta maschia stupidità, lasciar correre.

Chioccia con i pulcini, Museo del Tesoro del Duomo di Monza: secondo una tesi il gioiello, che Teolinda voleva nella tomba, rappresenterebbe la Chiesa che amorevolmente si prende cura dei suoi fedeli (i pulcini)

Ma, fuor di celia, la visita allo stupendo Duomo (dedicato a San Giovanni Battista) della città ai più nota solo per l’autodromo, val bene la pena soprattutto appunto per conoscere questa anomala regina (nata nel 570 circa, defunta in Monza nel 627) di un popolo d’origine pagane che lei iniziò alla conversione cattolica. L’accesso alla Cappella che le è dedicata, interna al Duomo ma solitamente chiusa da una cancellata e dove si trova il sarcofago sua ultima dimora, è consentito ad un numero contigentato di visitatori e ad orari predefiniti con l’assistenza di una giovane guida che ne racconta le vicende illustrate sulle pareti della Cappella dai dipinti del 1400 del Maestro Franceschino Zavattari.

La Cappella di Teodolinda con l’altare e la teca dove è conservata la Corona Ferrea

Al culmine della visita la guida che ci accompagna apre la teca sull’altare alto 7 metri posto al centro della Cappella e ne estrae la Corona Ferrea che per secoli fu usata per la consacrazione di numerosi sovrani longobardi tra i quali i Re d’Italia. Secondo la tradizione (oggi smentita dalle analisi che ritengono argento la parte altrimenti dichiarata ferrea) la componente ferrea sarebbe costituita in parte da alcuni chiodi coi quali fu crocifisso Gesù e la Chiesa stessa la riconosce come reliquia anche se non esiste conferma storica del fatto (oggi sembra manchi una parte della corona originaria, quella appunto che potrebbe essere stata composta come racconta la leggenda).

La Corona Ferrea

Ma i primi a riconoscerne il valore di reliquia furono i monzesi che iniziarono a venerarla portandola in processione per le vie della città suscitando un ampio dibattito tra dotti e studiosi storici. Ne seguì un processo ecclesiastico che si concluse nel 1717 con decreto di Clemente IX che in linea generale e di principio permetteva il culto di una reliquia se valido e positivo per la pietà popolare anche in mancanza della certezza di un riferimento storico.

Teodolinda offre il Duomo alla città, Museo del Tesoro del Duomo

Comunque, reliquia o meno che sia, resta il valore simbolico e soprattutto il fatto che venne utilizzata per l’inconorazione e il riconoscimento di diversi Re d’Italia, tra i quali vanno ricordati Federico Barbarossa e lo stesso Napoleone Bonaparte. Invece gli ultimi due re d’Italia, Vittorio Emanuele III e Umberto II, non vollero alcuna cerimonia di incoronazione.

Museo del Tesoro del Duomo di Monza

Così conclusa la visita al Duomo del quale proprio Teodolinda fece omaggio alla città, usciti dalla Cappella dedicata alla regina longobarda, naturalmente visitato il Museo del Tesoro del Duomo, giunta l’ora del desinare ed escludendo un ritorno al troppo lontano Hotel de la Ville, usciti dall’ingresso museale sulla laterale via Lambro, escludiamo la sosta nel ristorante a pochi passi sulla destra con tavolini esterni e vetrine completamente avvolte dal sole e ci incamminiamo alla ricerca di miglior fortuna e soprattutto di un luogo arieggiato (fantasia come quella dei nudi che sperano in un buon inverno) e all’ombra.

A Monza non viene mai nessuno, aveva detto il taxista ma, a ben guardare…

Cammina, cammina, attraversando piazza Duomo nel bel mezzo dell’inclemente calura estiva, riflettiamo su quel taxista che dall’albergo ci ha portato in centro: diceva che a Monza non viene mai nessuno. Beh, noi incontriamo turisti, ragazzi con gli zaini, tedeschi che indicano e ammirano monumenti, gente del posto impegnata chi nella strisciata, chi indaffarato per questioni di lavoro, giapponesi e giapponesine con immancabile Canon a tracolla, un anziano su una panchina a leggere il giornale e altri due ad osservare il passaggio anche se, va rilevato, nessun ùmarel in un piccolo cantiere lavori in corso, ma, se un ùmarel non fa primavera, anche se nessun ùmarel è in vista non per questo vien meno la festa. Insomma, Monza bella gente.

Monza, c’è chi si ferma

E intanto, cammina, cammina, passata piazza Duomo, presa una via sulla destra, poi un’altra ancora, e via andando, camminando, sudando, finalmente giriamo a sinistra ed ecco un ristorantino coi tavolini e le tre vetrine al sole ma ormai stanchi del lungo peregrinare diciamo senza esitazione, la meta è raggiunta! Si chiama ‘La Cantina della Monaca‘ (non potrebbe essere diversamente, in fondo siamo nella Monza immortalata da quel tal Alessandro che venia dal lecchese, manoscritto sotto il braccio a raccontare la storia di tal Lucia Mondella). Cucina ricercata e selezione vini. Ci sediamo comodamente all’interno, presenti due giovani forse sposini novelli, una famigliola con piccola ragazzina che non smette di correre di tavolo in tavolo, una ragazza in pausa caffè che ordina uno yogurt e un’insalata per mantener la linea, una cameriera gentile e Giordano, il titolare, che non lesina qualche battuta a tutti. Insomma, un buon pranzetto e alla fine usciamo con quella Monachella che dal quadro dipinto ci guarda sorseggiando un buon vinello, la bocca a trattenere un sorriso gaudente e mi pare sussurri “un bel belinone“. Che confusione: vuoi che questa Monaca a Monza sia in realtà Monaca di Zena? Comunque usciamo e fatti pochi passi ci ritroviamo davanti all’ingresso del Museo del Tesoro del Duomo di Monza. Via Lambro, pochi passi dopo quel ristorantino che avevo assolutamente escluso – causa totale esposizione al sole cocente – conclusa la visita al Museo stesso. Insomma, cammina, cammina, abbiamo girato in tondo e siamo tornati al punto di partenza. Proprio vero: “un bel belinone“!!! Testificatio Monialis Monzae.

La Monaca di Monza alla Cantina di via Lambro

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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