Piacenza: onore a Mario Cravedi, già deputato PCI, Presidente A.N.P.I. ( 1 )

Mario Cravedi, partigiano a 17 anni, operaio, parlamentare PCI per due legislature, segretario della federazione comunista di Piacenza, negli ultimi anni Presidente dell’ANPI, ci ha lasciati. Dovuto un saluto ‘levando il cappello’, ammainata la mia rossa bandiera con lo stemma della falce e del martello, del libro e del sol nascente, di fronte ad una persona ed un compagno che ho imparato a stimare per la sua rettitudine e onestà intellettuale pur non essendo certo allineato (non sempre, almeno) con il suo pensiero. Posso però dire di avergli sempre dato atto dell’impegno, anche quando mi son preso un’ombrellata sulla testa, in manifestazione. Ricordi lontani. All’epoca, mi par di ricordare anni tra la fine dei settanta e i primi ’80, ero il segretario della FGSI, giovanile socialista. Il nostro primo incontro fu a Piacenza, nel cortile di via Chiapponi, allora sede del più grande Partito comunista del mondo occidentale. Si scendeva lo scalone al termine di una riunione presenti i giovani della FGCI (segretario Jimmy Bonetti) e, fatto del tutto straordinario, i giovani del bianco fiore, Bruno Cassinari in testa, simpatico baciapile di ferreo orientamento conservatore. I primi passi del compromesso storico teorizzato a livello nazionale da Enrico Berlinguer con concrete aperture da parte di Aldo Moro. Bonetti aveva proposto un documento a firma comune. Per noi inaccettabile.Teorizzavamo l’alternativa socialista e di sinistra. Vero che il Psi era al governo con la Balena Bianca ma, quella, era una fase di passaggio verso il vero obiettivo: il governo delle sinistre sia pure dopo un riequilibrio tra le forze dei due maggiori partiti. Non eravamo anticomunisti ma certo, per dirla con Riccardo Lombardi, oltrechè antidemocristiani, acomunisti. Attenti e tendenti verso le elaborazioni di quanti criticavano il centralismo democratico nel quale noi, socialisti secondo alcuni con tendenze anarcoidi e libertarie, non potevamo certo riconoscerci. Dunque, nei fatti ed inevitabilmente, sabotatori – lo confesso – di quel compromesso storico, dell’incontro tra le due grandi chiese che, in nome l’una del collettivismo e l’altra della superiorità divina, tendevano all’annullamento dell’individualità. Noi. Sabotatori della “linea”. Probabilmente quest’immagine passò nella testa del compagno Mario quando, incrociandoci nel cortile, chiedendo sorridente l’esito dell’incontro, speranzoso e certo del momento storico della prima firma comune, si sentì raccontare da Jimmy, segretario figiciotto (come canzonavamo quei giovani allineati del PCI), che non se n’era fatto nulla, che noi eretici socialisti c’eravamo messi di traverso, che non c’era stato nulla da fare, non se n’era cavato un ragno dal buco! Il suo sguardo si fece incredulo, ascoltò le nostre parole di chiusura, l’affermazione della volontà di alternativa, di unità delle sinistre, altrochè di trastullamenti con l’immobilismo borghese del biancofiore e così, dopo un pò, Mario sbottò: “fascisti!“. Beh, diciamo che spesso i compagni comunisti, fin dal nascere del ventennio, a torto o a ragione, hanno accusato i socialisti di “socialfascismo” ma sinceramente l’espressione sembrò eccessiva, una forma di settarismo e di intolleranza verso l’idea diversa e soprattutto verso  la cultura socialista della terza via rispetto alle grandi culture di massa. Non meritò ribattuta, semplicemente superammo il portone d’uscita, convinti delle nostre posizioni nonostante il compagno Cravedi, fiero e convinto assertore e custode della linea dettata dal vertice romano del segretario Berlinguer. Ecco, questo fu il mio primo, infelice, incontro con il compagno comunista Mario Cravedi. Un incontro franco. Paradossalmente, però, tra compagni.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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