Piacenza: onore a Mario Cravedi, già deputato PCI, Presidente A.N.P.I. ( 2 )

Anni difficili. Anni settanta. Il PCI, per tanti, non era più l’opposizione alternativa al sistema di potere democristiano. Era ormai esso stesso potere. Al potere nei Comuni, nelle Province, nelle Regioni istituite nel 1970. Un pachiderma ormai colluso col sistema capitalistico, traditore delle istanze operaiste dell’autunno caldo. Addirittura il Segretario nazionale, Enrico Berlinguer, perseguiva la linea del compromesso storico, l’incontro con il BiancoFiore, la Balena Bianca, l’ingresso nella stanza dei bottoni, al governo del Paese. Altolà al revisionismo, altolà alla svendita in cambio di qualche poltrona di sottogoverno dei valori e degli interessi della classe lavoratrice. No, quel PCI non rappresentava la voglia di cambiamento di una larga parte degli italiani orientati a sinistra. Soprattutto dei giovani figli degli operai, quegli operai che nelle fabbrche avevano fatto il ’68 mentre gli studenti figli della benestante borghesia illuminata avevano manifestato nelle scuole e nelle università all’epoca riservate a loro. Dieci anni dopo. I figli non più della borghesia ma degli operai che avevano avuto il diritto allo studio ma non certo le porte aperte nel mondo del lavoro, appannaggio come sempre dei benestanti figli della borghesia, passati dalla protesta all’occupazione dei posti di potere. Giovani arrabbiati, consapevoli, che non ci stavano a stare disciplinati ad aspettare il loro turno, che volevano dir la loro e lo dicevano a modo loro. Da figli di lavoratori, non da benestanti figli di avvocati, di notai, di medici, di dirigenti d’Azienda come quelli  che avevano fatto il ’68 a Valle Giulia in giacchetta, pantalone ben stirato e cravatta. Fantasia al potere e, quanto a fantasia, non era certo il PCI della cultura monolitica a brillare. Così, laddove la fantasia veniva soffocata dal più grande Partito comunista dell’Occidente nel nome degli interessi d’una classe operaia che ormai aveva poche visioni comuni con i suoi giovani figli entrati nelle fabbriche con una ben diversa prospettiva di vita e di ruolo rispetto ai padri o magari nel frattempo laureati, trovavano spazio i cortei duri, gli espropri proletari, le armi. Fantasia, indiani metropolitani, streghe ritornanti e, anche, scontro armato. Circoli sociali, nuovi centri di aggregazione autogestiti, autonomia operia. Un’Italia ben rappresentata dalla copertina di Der Spieghel: piatto di spaghetti condito con P38, la pistola dello scontro armato di piazza delle frange violente dell’Autonomia Proletaria. Durissimo il PCI contro chi aveva osato cacciare Luciano Lama, gran capo della CGIL colluso con la logica del compromesso storico, dall’Università. Di tutte l’erbe un fascio: inaccettabile tutto il Movimento. Alla grande manifestazione di dibattito organizzata dal Movimento per tre giorni a Bologna, il PCI aveva risposto chiudendo tutte le sue sezioni. Ma, in questo modo, dicevamo noi giovani socialisti, si spingono inevitabilmente tutti questi ragazzi, questi compagni, verso l’eversione, verso i suadenti richiami flautati della lotta armata e del terrorismo. Così, a Bologna, nei tre giorni di dibattito sul futuro della sinistra movimentista, avevamo aperto tutte le nostre sezioni. Queste le posizioni che ci dividevano. Dialogo e apertura da parte socialista, scontro duro da parte del monolite PCI. A Piacenza, in fondo dorata provincia marginale e benestante, non si sparò un colpo che fosse uno ma furono diversi i cortei transitati in via Chiapponi lanciando slogan (eresia!) sotto le finestre della sede della federazione provinciale del PCI. Con i funzionari comunisti che, dalle finestre, realizzavano servizi fotografici immortalando i capi della protesta. Creando, accusava il Movimento, piccoli dossier secondo metodologie degne della Digos e delle schedature da parte dei questurini (“via, via la nuova Polizia“, era uno degli slogan prediletti lanciati contro i militanti comunisti). Per fortuna (può sembrare paradossale ma così è stato) le Brigate Rosse pensarono di rapire Aldo Moro iniziando un vero e proprio processo al sistema con le ‘confessioni’ estorte al massimo esponente del potere DC puntualmente rese note con comunicati e volantini ai quali veniva data massima diffusione. Quella, fu la svolta. Buona parte del Movimento prese le distanze, all’insegna dello slogan “nè con lo Stato nè con le BR” e fu quello il fallimento del progetto eversivo, l’abbandono dello scontro duro da parte di centinaia, di migliaia di giovani. Quello fu il momento nel quale ci si ritrovò, partiti tradizionali e nuovi movimenti, nella stessa piazza. Certo, non senza diffidenze e molto nervosismo (Moro era sempre prigioniero e si dibatteva, con toni accesi, se trattare o meno con le Brigate Rosse riconoscendone o meno il ruolo politico combattente). Questo era lo scenario di quel 1° Maggio 1978 nel quale si festeggiava, a Piacenza come nel resto del Paese, la festa del lavoro. Una giornata che non ha avuto la fortuna d’un tempo clemente: prima dell’inizio del comizio iniziò a piovere, ci spostammo sotto i portici di Palazzo Gotico. Il gruppo del PCI si trovò di fronte al gruppo del Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), nato da una costola dello storico Movimento Studentesco, spesso alla guida dei cortei di protesta che riempivano via Chiapponi. Non correva certo buon sangue, un pò come tra cani e gatti, qualche pelo arruffato, qualche sguardo torvo, qualche ringhio, un ringhio che tira l’altro, le prime parole grosse, un clima di tensione sempre più alto. Un istante prima dell’ormai inevitabile scontro, con i ragazzi del M.L.S. che brandivano minacciosamente le aste delle bandiere (in realtà manici di picconi), noi giovani socialisti ci buttammo di mezzo costituendo una doppia linea di separazione. Fu in quel momento che Mario Cravedi (all’epoca, credo di ricordare, capogruppo PCI nel Consiglio comunale del Sindaco PCI Felice Trabacchi), naturalmente in testa ai rappresentanti comunisti, di fronte a quel balenare di manici di piccone (che non riuscivano a colpire nel segno per la nostra presenza), Mario, convinto con questo di agire a difesa della democrazia contro metodi (i manici di piccone) che, invece, ben poco avevano a che vedere  con la democrazia del confronto magari aspro ma pacifico, reagì allo svolazzar dei già detti manici di piccone cercando di portare a segno sulla testa del emmeelleessino che aveva di fronte una sana e sonora ombrellata. Ma, dato l’ostacolo di noi giovani socialisti, mancò il colpo. Quell’ombrellata finì sulla mia testa di separatore con intenti pacificatori. Perchè, come spesso succede, tra i due contendenti è il terzo incomodo che le prende. In ogni caso quell’ombrellata quietò gli animi, anche per la brutta rappresentazione di sè che, nel giorno di festa, aveva mostrato la sinistra nel suo insieme. Non credo che l’episodio sia diventato leggenda. Non ne ho più sentito raccontare. Fino a qualche anno dopo. Nella allora sezione PSI di via Bianchi, a Piacenza. Sezione ‘Luigi Rigolli’, partigiano socialista. Si discuteva della scelta di abbandonare l’alleanza di sinistra. Il Sindaco socialista degli anni ’80, Stefano Pareti, succeduto a Felice Trabacchi alla guida dell’alleanza PCI-PSI, stravolgendo la sua adesione alla sinistra lombardiana, si faceva promotore dell’alleanza pentapartitica. Ritorno della DC in amministrazione comunale. No, non potevo certo seguirlo come del resto nulla avevo a che vedere con il montante craxismo che ci allontanava dalla prospettiva del governo di alternativa, il governo delle sinistre. Fu Nene Massari, segretario di sezione, a sbottare, rosso in viso: “ma come, proprio tu li difendi (i comunisti, ndr), tu che hai preso una bastonata in piazza!?!”. Beh, caro Nene, quell’ombrellata (non bastonata) è stata casuale e comunque espressione di un confronto acceso ma comunque all’interno della sinistra. Oggi che il compagno Onorevole Mario Cravedi ci ha lasciati, mi resta un rammarico. Non aver avuto l’occasione di parlare di quei giorni, di valutare quei momenti rispetto agli anni che sono seguiti. Del resto però quella era e tanto più è acqua passata, l’Italia è radicalmente cambiata, superati gli anni di piombo e Mario, nell’Italia che cambiava, ha continuato ad impegnarsi per l’affermazione dei valori dell’equità, del lavoro e della dignità dei lavoratori. Per questo probabilmente non valeva la pena risollevare il velo su un fatto ormai passato che, semplicemente, non era stato altro che il mio secondo incontro, travagliato quanto il primo, con il compagno comunista Mario, lavoratore dalla parte dei lavoratori, fedele alla linea berlingueriana dell’incontro tra PCI e Democrazia Cristiana.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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