Nuovo ospedale: le false verità smascherate dal Comitato presieduto dall’Avvocato Augusto Ridella. I dubbi sulla scelta dei medici e sul futuro dell’attuale struttura in via Taverna (4) 

(Ndr) Costruire un nuovo ospedale significa costi milionari (oggi si parla di 309 milioni) e questo si traduce in appalti, in lavoro, in potenzialità economiche dirette e d’indotto. Questo spiega almeno in parte, a parere di chi scrive, la strana unanimità dei politici piacentini (di regola divisi tra favorevoli e contrari su ogni scelta) decisi a sostenere aprioristicamente la scelta della necessità di una nuova realizzazione anziché valutare tutti gli interessi in gioco e in particolare la ricaduta delle conseguenze dell’abbandono dell’attuale nosocomio e quindi sul deperimento di una zona della città, quella di via Taverna (salvo naturalmente si progetti anche in questo caso nuove realizzazioni residenziali o di servizi). In un lungo articolo pubblicato dal quotidiano on line ‘PiacenzaSera’ cittadini uniti in un Comitato per ribattere all’unanimità dei rappresentanti politici di maggioranza e di minoranza, ribadiscono che altre scelte tecnicamente sono possibili e opportune.

L’introduzione di PiacenzaSera.it

Con un articolato intervento – a firma del referente Augusto Ridella – il Comitato Salviamospedale prende nuovamente posizione contro il progetto del nuovo ospedale di Piacenza. “Non è vero – affermano – che il nostro ospedale è in una situazione tale da non permettere più di svolgere la propria funzione. La scelta di fare un ospedale nuovo, anzichè di adeguare l’esistente, non è una scelta tecnica, bensì meramente politica e quindi come tale opinabile sotto i molti aspetti che investono la responsabilità degli amministratori pubblici”.

Di seguito il testo dell’intervento del Comitato Salviamospedale (4):

Si dice che il nuovo ospedale va fatto perché “lo vogliono i medici“.

È questo l’argomento forte che viene opposto a chi come noi sostiene la possibilità di rigenerare l’attuale nosocomio. Su questo tema si sono recentemente espressi pubblicamente otto capi dipartimento. Se il punto di vista e i desiderata di chi opera nella struttura ospedaliera, medici, infermieri in primis è senz’altro da tenere in alta considerazione, compito di chi amministra una comunità e quello di portare a sintesi i diversi interessi in campo, quali ad esempio il consumo di suolo accennato, il destino di quella parte di città che verrà dismessa, l’utilizzo corretto delle risorse pubbliche. Se da una parte è comprensibile che i medici subiscano il fascino di poter operare in una struttura ospedaliera di nuova progettazione e realizzazione, dall’altra è stupefacente come gli stessi (il cui curriculum di studi peraltro non ricomprende la materia di cui trattasi) non si rendano conto che le loro motivazioni cozzano con i più elementari dati di realtà, quando non sconfinano in vere e proprie affermazioni che, se non risultassero evidenti forzature dialettiche a sostegno di un’ opinione e di un auspicio, avrebbero conseguenze ben più serie.

Ripercorriamo, i punti principali delle loro argomentazioni. Le esigenze della medicina moderna non sono più quelle di 20-30 anni fa e quindi l’Ospedale di Piacenza, in particolare il polichirurgico che contiene il 70% dei posti letto, progettato 40 anni fa e inaugurato nel 1994, non sarebbe più adeguato né, vista la loro presa di posizione, adeguabile. I sostenitori della inevitabilità dell’ospedale nuovo non fanno discendere da questa loro affermazione, la conseguenza che, se avesse un senso ciò che loro sostengono, l’intera rete ospedaliera italiana sarebbe inadeguata e da sostituire. La rete ospedaliera italiana è stata innovata mediante le risorse (30.000 miliardi di lire in 10 anni, poi diventati già 40) stanziate dal governo di allora con l’art.20 della legge 67/1988. Il nuovo ospedale, se si farà, sarà residualmente finanziato ancora da quello strumento normativo.

Come già ricordato il PNRR in fase di attuazione, che pur avrebbe potuto essere un’occasione epocale per risolvere ciò che i nostri medici evidenziano, non stanzia un solo euro per l’edilizia ospedaliera per pazienti acuti. Quindi tre governi (Conte2, Draghi e Meloni) hanno ritenuto che la rete ospedaliera italiana, innovata 40 anni fa, non necessiti di altri interventi strutturali, se non per la parte informatica e delle dotazioni di alte tecnologie diagnostiche e terapeutiche. Non solo tre Governi di diverso colore politico hanno condiviso tale scelta, ma nessuna forza politica, di maggioranza o opposizione, nè alcuna voce tecnico scientifica si è levata per sostenere una tesi diversa, pur condividendo tutti, i sacrosanti allarmi circa il futuro della sanità pubblica italiana, sul versante della formazione e del reclutamento di personale sanitario, ma non certo sul versante dell’edilizia ospedaliera per acuti. Perciò la prima argomentazione risulta essere un’opinione, tanto rispettabile, quanto assolutamente isolata e contraddetta dalla realtà.

Spazi, servizi igienici, rischi infettivologici, sicurezza, sterilità delle sale operatorie, criteri di accreditamentoI medici, evidenziando le criticità di una struttura di 30 anni fa, sembrano suggerire, poiché il Polichirurgico è ugualmente datato, che lo stesso non sia a normaChi si occupa professionalmente di gestione ospedaliera sa che il provvedimento di accreditamento di una struttura sanitaria è l’atto conclusivo di un procedimento di verifica di tutti i requisiti obbligatori riguardanti proprio rischi, spazi, sterilità, procedure, servizi accessori e, in sintesi, tutto quanto concerne la garanzia della sicurezza per pazienti e operatori, oltre che della parametrata e misurata qualità dell’assistenza.  Sa anche che il possesso dei requisiti è oggetto di verifica periodica da parte della Regione, mediante codificate procedure di auditing.

Affermare che “i criteri di accreditamento e sicurezza di oggi non collimano con quelli di allora (di 40 anni fa)” è innanzitutto una perdonabile inesattezza per chi non si occupa professionalmente di queste materie. Quarant’anni anni fa si iniziava appena a parlare di accreditamento; senonché all’Ospedale di Piacenza si applicano i criteri di accreditamento di oggi, non quelli, peraltro inesistenti, di quarant’anni anni fa. E l’Ospedale di Piacenza risulta essere accreditato, checché incautamente scrivano i medici.

Ergo delle due l’una: o le “criticità” da loro evidenziate sono un artificio retorico a sostegno di un loro personale auspicio o, se sono frutto di una meditata convinzione professionale, le stesse aprono un problema gravissimo per la salute e la sicurezza di tutti i piacentini e non solo, perché risulterebbe che l’Ospedale di Piacenza non sarebbe accreditabile e quindi andrebbe semplicemente chiuso. Poiché non è credibile che le autorità locali e regionali siano tutte complici nel mantenere aperta una struttura non a norma, per la tranquillità di tutti e soprattutto della sindaca di Piacenza, preferiamo propendere per la prima ipotesi. Ma suggeriremmo ai medici di fare attenzione nell’argomentare le loro opinioni.

Trasporti interni.

Di Ospedali a padiglioni, accreditati e funzionanti, oltre che prestigiosi, è piena l’Italia e il mondo. Uscendo dal generico, le necessità di trasporto interno di un paziente, sono assai limitate, se è vero come è vero che per la diagnostica di laboratorio si trasportano i reperti, per i consulti si muovono i consulenti e per l’imaging di bassa-media fascia, in genere i padiglioni, se non i reparti, hanno una dotazione autonoma. Resta l’imaging di alta fascia (Tac, PET, RMN…), per cui il dato andrebbe quantificato, non agitato genericamente. Gli altri centri starebbero “avanzando”. Quali? Parma e Pavia, per citare i viciniori, stanno progettando e realizzando padiglioni aggiuntivi, non certo pensando a ospedali sostitutivi di nuova realizzazione.

Conclusione: la scelta di fare un ospedale nuovo, anzichè di adeguare l’esistente, non è una scelta tecnica, bensì meramente politica e quindi come tale opinabile sotto i molti aspetti (costi-benefici, consumo di suolo, tempi ecc.) che investono la responsabilità degli amministratori pubblici.

Quale futuro per la struttura esistente? 

Dopo le proposte abbastanza indefinite se non sciagurate, abbattimento del Polichirurgico, avanzate nei primi studi di fattibilità, abbiamo appreso dal Direttore Generale dell’AUSL, nella seduta di Consiglio ricordata, che la Regione creerà un fondo regionale ad hoc per il recupero e la valorizzazione degli immobili e delle aree dismesse di Piacenza, Carpi e Cesena. Se da un lato questa scelta conferma quanto da noi sempre sostenuto, e cioè che ad oggi, dopo otto anni! Non si sa ancora cosa fare di questo patrimonio, patrimonio stimato in oltre 150 milioni, e il rischio che venga abbandonato ad un inesorabile degrado è quanto mai probabile, dall’altro l’idea del fondo ad hoc, non può lasciare assolutamente tranquilli, specialmente noi piacentini, che abbiamo purtroppo una lunga esperienza di beni in capo al demanio o alla difesa, inutilizzati e abbandonati (si veda l’ultimo crollo in via Castello) e non abbiamo assolutamente bisogno di aggiungervi la struttura dell’ospedale di Via Taverna, condannando al declino una parte importante della città.

. 4 – Fine –

L’avvocato Augusto Ridella, referente del Comitato Salviamospedale

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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