Dopo aver visto, rivisto, imparato ad amare la versione cinematografica (“La leggenda del pianista sull’oceano”), avvicinandosi alle 62 pagine del testo su carta stampata inevitabile una perplessità iniziale, il timore della delusione. Niente di tutto questo, in una forma o nell’altra Baricco riesce sempre a farci amare la vicenda di Danny Boodmann T.D. Lemon Novecento. Abbandonato in fasce (avrà avuto dieci giorni) sul Virginian, piroscafo che negli anni tra le due guerre fa la spola tra Europa ed America, adottato clandestinamente da Danny Boodmann, il marinaio negro di Philadelphia che una mattina lo trova in una scatola di cartone con la scritta stampata in blu T.D. Limoni , nessuno può dire come Novecento imparò a suonare il pianoforte meglio di un angelo. Di sicuro diventò il migliore, suonando un jazz capace di far sognare i viaggiatori, quelli ricchi del primo ponte, fino agli emigranti raccolti nella puzzolente terza classe. Mare. L’immensa distesa azzurra che nasconde la terra dei sogni, il miraggio d’una vita nuova, lo strappo dalla miseria più nera. Ma per quel ragazzo il mare è tutto, la vita, la casa, il jazz: racconta la leggenda che non ha mai messo e mai metterà piede a terra. Un monologo, un racconto che merita una posizione d’onore al pari dei migliori classici della letteratura italiana. Semplicemente, poesia.