“Il segreto di Angela”, romanzo giallo di Francesco Recami, Sellerio editore, 2013

Terzo romanzo della serie “La casa di ringhiera”: Angela Mattioli, ex insegnante, vive a Milano, separata, compagna di Amedeo Consonni, vedovo con figlia. Ha un “rospo da sputare” e lo butta giù per iscritto, dato che il suddetto Consonni non ce la fa ad ascoltarla. Titolo “Il segreto”. Una parte della sua vita, insomma, o meglio gli ultimi cinque anni. Non proprio esaltante: madre da accudire, suocera e marito da sopportare, fratelli menefreghisti, classe liceale da seguire e un allievo che sparisce in Sardegna con relativo riscatto (altissimo) richiesto alla famiglia. Quel ragazzo è uno di quelli che Angela non può sopportare. Straricco, protetto dai genitori parvenus, strafottente stupido e (purtroppo) bello. Ma giusto per l’ultimo compito in classe, ha scritto un tema stranamente interessante, prima di scomparire. Un tema in classe che pone qualche dubbio. Che il rapimento se lo sia organizzato da solo?

Intanto lei stessa viene “rapita” da Michele, un ragazzo belloccio con un “membro di straordinarie dimensioni” che può far comodo (in quel senso). E inizia l’avventura decisamente incasinata che addirittura la porta in Sardegna nelle vesti di una famosa scrittrice e sarà ricercata dalle cosche, finirà prigioniera, addirittura presa per morta, insomma un continuo, incessante, frenetico movimento. Una storia che il Consonni legge sbalordito sul water (al gabinetto si legge da meraviglia, come tutti ben sappiamo). Altri protagonisti la signorina Mattei Ferri, falsa invalida che occhieggia dappertutto in questa famosa casa di ringhiera e il signor Antonio, uno degli inquilini, scomparso (perché?).

Domande: ma come ha fatto, l’Angela, a mantenersi economicamente, lei che ha lasciato il liceo dove insegnava ed è troppo giovane per avere la pensione? Di chi sono in realtà gli appartamenti dove va regolarmente a bussare per riscuotere la pigione mensile? E come si giustifica quella preziosa collezione di servizi da caffè che brillano nella vetrina del suo salotto? E i soldi del riscatto che fine hanno fatto? E che fine ha fatto il romanzo di Angela?

Ironia, battute di spirito, frecciatine a destra e a manca, citazioni di libri per sorridere. Una vicenda allegra e nello stesso tempo sfilacciata con una caterva di domande che annichiliscon. Forse in parte una voluta parodia del giallo e del rosa erotico ma proprio per questo, per la capacità di Recami di riempire la trama di colpi di scena risultaimpossibile staccarsi dalla lettura.

Francesco Recami (1956), scrittore fiorentino entrato in età matura nell’olimpo della narrativa italiana ma subito con grande successo sia di pubblico che di critica

“Malammore – Una chimera tra i vicoli di Napoli”, romanzo giallo di Anna Vera Viva, Garzanti editore, 2024

Grazie a una scrittura coinvolgente e a descrizioni particolareggiate è come se avessimo costantemente davanti a noi la ricostruzione tridimensionale del Rione Sanità di Napoli, con la sua tipica e inconfondibile corografia di viuzze e maestosi palazzi storici assiepati l’uno accanto all’altro.

E’ in questi scorci che al calar delle tenebre Antonio Capasso mostra il suo io, la sua anima più vera, e diventa Brunella, una bellezza mozzafiato tra le drag queen più famose e richieste, un’assoluta chimera del Rione Sanità. Quando però viene ritrovato senza vita nel suo alloggio, è subito lampante che si tratti di un omicidio, e tutto conduce a una particolare frequentazione di Brunella, a un uomo che ha fatto letteralmente invaghire. La persona sbagliata.

Sarà il parroco Don Raffaele, aiutato dalla preziosissima perpetua Assuntina, a fare luce sull’accaduto e a sciogliere il mistero, malgrado l’incombente presenza del fratello Peppino, il boss incontrastato del quartiere.

Sono diverse le tematiche che dalla lettura di questo romanzo si impongono all’attenzione, tutte importanti e niente affatto banali. C’è la diversità, e non tanto vista con gli occhi dell’altro, bensì quella vissuta in prima persona, perché alcune di esse sono prima di tutto condanne, con cui è molto complicato convivere in maniera serena e libera. C’è l’onnipresente malavita organizzata, manco a dirlo uno Stato nello Stato, il bello e il cattivo tempo, giudice e giurato di qualsiasi vicenda economica e sociale del luogo.

L’elemento più incalzante, attorno al quale alla fine ruotano spirito e sostanza del romanzo, è senza dubbio Don Raffaele, e non tanto per il classico ruolo manicheo nella storia. Lui non è protagonista di azioni roboanti, e non fa a gara a chi alza di più la voce per vincere la cacofonia del chiacchiericcio dei potenti. Ciò nonostante, non agisce come un suo lontano predecessore letterario, che paragonò la propria condizione, divenuta proverbiale, a un vaso di terracotta tra vasi di ferro; o comunque non vive tale disposizione alla stregua di un handicap. Don Raffaele porta avanti il suo impegno sociale senza particolari echi, senza ostentazioni, senza artificiosità, ma professando quotidianamente il senso di giustizia, di lealtà, di correttezza e di solidarietà, come una goccia d’acqua che con pazienza logora e consuma la roccia.

A un certo punto di questa storia viene da chiedersi dove stia l’esile confine tra diversità e normalità. Se questo confine esista davvero, oppure sia solo nelle nostre teste. In evidenza una bellissima e potentissima riflessione di Brunella, che racchiude la sua essenza dolce amara: il lieto fine certe vite non lo prevedono, e non lo consentono. 

Fonte: https://www.thrillercafe.it/ dalla recensione (rivisitata) di Damiano Del Dotto

Anna Vera Viva ha pubblicato tre romanzi gialli: Malammore, L’artiglio del tempo e Questioni di sangue con protagonisti il rione Sanità di Napoli e un prete, Don Raffaele indagatore per amore di verità

“Il Tao delle macchine – Dieci racconti di androidi, IA e altri futuri possibili” a cura di Chen Qiufan, Luiss editore, 2025

Che cosa succede quando il nostro cervello non riesce più a distinguere un volto umano da uno artificiale? È davvero possibile innamorarsi di un robot capace di simulare le emozioni con perfezione inquietante? E quale destino attende l’identità umana in un’epoca in cui la tecnologia può replicare pensieri, ricordi e sensazioni? Le storie raccolte in questo libro, curato da uno dei maggiori autori di fantascienza contemporanei, uniscono la potenza immaginifica della science fiction alla profondità dell’esplorazione filosofica, invitando a riflettere sui rischi e le opportunità legate al progresso, in un mondo dove intelligenza artificiale e robotica influenzano sempre più la nostra quotidianità. Questi dieci racconti, scritti da altrettante/i autrici e autori della vibrante scena letteraria cinese ancora largamente sconosciuta al pubblico italiano, esplorano ciò che accadrà, passando in rassegna il possibile, l’improbabile e l’apparentemente assurdo – che, come il nostro tempo ci mostra sempre più spesso, rischia d’un tratto di diventare reale. Tra rivolte meccaniche, missioni di spionaggio ai confini tra umano e postumano e meditazioni sul valore della memoria, Il Tao delle macchine ci conduce in un universo al tempo stesso affascinante e perturbante, dove ogni innovazione tecnologica può trasformarsi in una sfida, in un dilemma per l’etica e la società. Dai robot-idol venerati da fan solitari alle silenziose ribellioni contro superintelligenze elettroniche, ogni storia diventa un’occasione per esaminare ipotesi e possibilità che non sono più solo il frutto della fantasia, ma scenari del nostro futuro imminente. Decisamente interessanti, suggestivi e coinvolgenti i primi racconti, poi la lettura diventa frammentaria, pesante, incapace di portare il lettore in un ipotetico “mondo al/tro”. Quindi poco a vedere con la fantascienza storica aggiungendo che non convince la tesi del cambiamento della tecnologia e della realtà basata su un mondo sempre più legato al potere delle macchine.

Ma verrà il giorno che gli androidi mangeranno spaghetti elettici?

“Sono mancato all’affetto dei miei cari”, romanzo di Andrea Vitali, Einaudi editore, 2022

Nella Lombardia di fine anni Sessanta, ci ritroviamo a bighellonare tra una ferramenta e l’appartamento che vi si trova sopra, abitato dalla classica famiglia italiana di quegli anni: marito (il proprietario della ferramenta, per l’appunto), moglie e tre figli.

Il proprietario della ferramenta, nonché capofamiglia e protagonista in prima persona del libro, è uno di quegli uomini tutto casa e lavoro; instancabile in negozio, burbero e di poche parole in famiglia, dove lascia le redini alla moglie, si trova ad avere a che fare con le beghe quotidiane di un genitore che non ha dubbio alcuno in merito a quale debba essere il percorso da seguire.

La prima figlia, l’Alice, vuole studiare per diventare maestra, il secondo, l’Alberto, sui banchi di scuola ci sta solo per perdere tempo e poi c’è lui, l’Ercolino, l’ultimo, il più piccolo, quello che, forse, si sarebbe detto a quei tempi lì, è stato un incidente, un arrivo inaspettato.

L’Ercolino è magro magro, ma mangia tanto e sui banchi di scuola, a differenza del fratello, ci sta più che volentieri, tanto che di lui si dice che il cibo gli finisca tutto nel cervello! Insomma, nella visione del capofamiglia, un figlio perso.

In uno spaccato di storia e di vita che attraversa vent’anni, Vitali ci regala la storia di questa famiglia come tante, con le sue disgrazie, le piccole gioie, ma, soprattutto, ci regala la visione di un genitore, di un padre, uomo tutto d’un pezzo, tenacemente avvolto nella sua personale visione del mondo, che cerca non senza fatica di adattarsi ai cambiamenti che avvengono tra le mura domestiche, dove i figli crescono e paiono scappargli di mano, e la moglie borbotta; ma anche ai cambiamenti di una società che si evolve più in fretta di quanto lui sia disposto ad accettare.

Dunque é solo tra gli scaffali della sua ferramenta che il nostro protagonista si sente a proprio agio; tra viti e bulloni, lì dove tutto è conosciuto e lì trova la sua pace. Ed avrebbe la pretesa che l’Alberto, secondogenito ma comunque primo maschio di casa fosse il continuatore dell’attività della ferramenta.

Ma in un brutto giorno arriva il sollecito per una fornitura che non risulterebbe pagata anche se il nostro ricorda benissimo di aver onorato il debito consegnando il contante nelle mani del rappresentante della ditta. E qui la baracca inizia a traballare, le certezze del mondo così come le viveva il nostro protagonista sono messe in discussione dai figli stessi e come sempre la moglie sta dalla loro parte.

Una prova più che convincente da parte del Vitali che, diversamente dal consueto, si presenta serio, indagatore a suo modo del costume dell’Italia così com’era nel secolo scorso. Il finale lascia forse l’amaro in bocca ma realizza perfettamente il contesto nel quale appunto si sviluppa l’intero romanzo. Lettura più che interessante.

Andrea Vitali

“La pelle dell’orso”, romanzo di Matteo Righetto, TEA editore, 2025

Domenico è un ragazzino dodicenne orfano di mamma, che abita con il padre in un villaggio delle Dolomiti nei primi anni Sessanta. Vive nei boschi intorno al paese, passa ore al torrente a pescare e a sognare, mescolando, come succede ai ragazzini in procinto d’affacciarsi all’età adulta, fantasticherie e realtà.

All’inizio d’autunno in paese tutti parlano con timore di un orso gigantesco, al Diaòl, che s’aggira nei boschi, e che tracce insanguinate disseminate nei boschi rivelano come creatura di una ferocia inusitata. Pietro, padre di Domenico, con un gesto inaspettato, una sera al bar Posta sfida i paesani e scommette che esibirà la sua pelle in piazza. Una sbruffonata? Sicuramente, per la gente del paese, tantoché c’è chi si dichiara disposto a mettere in palio un milione. Ma Pietro allora torna a casa, dice al figlio di prepararsi e zaini e fucili in spalla, partono verso le forsete sulle montagne. Padre e figlio, da soli, per giorni dietro orme via via più consistenti, percorrendo valloni e boschi di straziante bellezza, e soprattutto a misurarsi con la severità di una natura straordinaria ma a tratti spietata. Un’esperienza che si rivela unica, che cambia la loro vita. Domenico finalmente conosce il padre, inizia a capirne i silenzi e le rudezze del suo vivere appartato, ne indovina le emozioni dei ricordi del troppo breve tempo vissuto serenamente accanto alla moglie. Insomma tra i due si crea quel rapporto che sempre era mancato. E, a questo punto, arriva l’orso e il drammatico epilogo che comunque sa stupire e che peraltro passa attraverso uno squarcio di storia patria, la tragedia del Vajont: Concludendo, un romanzo di formazione da leggere a fiato sospeso che sa essere per tutti, ragazzetti e adulti, amore per la montagna e soprattutto che sa diventare poesia pura.

Matteo Righetto

“Effetti collaterali – Storie di resistenza quotidiana”, racconti di Leonardo Tancredi, Pendragon editore, 2023

Ormai forse anche quei cani che mi avvicinano seduto al bar per il mio caffé lo sanno e il loro avvicinarsi è un pò come un istante di compiacimento per ritrovarmi ancora lì. Il 23 marzo del 2020 l’ambulanza mi caricava e a sirene spiegate correva per portarmi all’ospedale. Pronto Soccorso prima, Malattie Infettive poi e ancora Rianimazione dove la mia vita era appesa a un filo, oltre ogni capacità o conoscenza medica del domani, poi una mezza nuova alba e si proseguiva in un letto in Pneumologia terapia intensiva e finalmente Fisiatria e recupero respiratorio. 88 giorni, una trentina dei quali a un passo dall’ultimo respiro ancorché assistito. 88 giorni vissuti “Altrove”, l’altrove di letti ospedalieri lontano dal mondo, infermiere e medici bardati, a malapena ne intuivo gli occhi, sacchi neri che passavano sulle lettighe con chi non ce l’aveva fatta, settimane di incoscienza, di sogni indotti da micidiali intrugli di sostanze allucinogene. Il mio Covid, 88 giorni vissuti in un altro Altr/Ove, molti dei quali senza contatti, senza notizie della mia gente, senza notizie dal mondo Altro che in realtà era il mio mondo, il mondo di tutti i giorni, i mondi del lavoro, degli incontri, delle emozioni, dei caffè al bar. Il mondo finito a gambe all’aria. Cosa succedeva nei giorni del mio mondo quello ordinario? Qualcosa me la racconta il libro di Leonardo Tancredi, narratore debuttante, libro al quale mi sono avvicinato con curiosità. Proprio per avvicinarmi ai giorni di chi in quei giorni ha continuato a vivere appunto nel mondo della normalità. Che tuttavia normalità non era per nulla. Non si poteva uscire di casa. Salvo che per andare a far spesa, a portar fuori il cane, a garantire lavori essenziali. Personalmente non riesco a capire o immaginare quelle città – a partire dalla mia – deserte, con i negozi chiusi, con le finestre chiuse perché, come mi raccontano, si temeva che anche l’aria potesse essere infetta. Momenti che non ho vissuto, che non capisco a fondo. Non capisco quell’amico che mi racconta d’aver rischiato una crisi di nervi, quell’altro di essere precipitato nella depressione e Dalila che mi racconta di quel gatto sdraiato tranquillo nel bel mezzo del piazzale di fronte al balcone di casa di regola invaso da moto e auto e bus rombanti minuto per minuto senza sosta. Tancredi, alla sua prima esperienza narrativa, racconta cinque vicende, cinque vite, cinque esistenze che si intrecciano in quello che appunto sarebbe stato – come mi si racconta – uno dei periodi più drammatici della storia recente vissuto nel mondo ordinario. Vicende ambientate tra le strade deserte e gli appartamenti serrati di una Bologna in pieno lockdown. Ecco quindi Mirella e Renato, due vedovi costretti a sospendere una appena nata focosa storia d’amore che si vorrebbe tutta sesso a causa delle “zone rosse”; Ibrahim, giovane gambiano vestito con la divisa della sicurezza fuori dal supermercato; Melissa, tossicodipendente alle prese con l’astinenza quando trovare una dose sembra essere diventata una vera e propria Odissea (infatti, come mi racconta Dalila, nel solito piazzale sotto il nostro balcone al muretto laterale, quello del supermercato, non si vedevano più né albanesi né marocchini seduti in attesa dei clienti consueti); e infine Lucia e Lucio il cui rapporto letteralmente scoppia e la loro vita cambia radicalmente. Storie insomma di disperata umanità, ritratto di un momento che ha accomunato le vite di miliardi di persone in tutto il mondo. Momento che, come dicevo, ho vissuto (e poi raccontato)a mia volta. Ma in un versante diverso. Quello del mondo “Altro”, di chi il Covid l’ha incontrato, conosciuto, affrontato. Il mondo dal quale sono rientrato. Miracolosamente comunque vivo.

Nel silenzio della solitudine ai tempi del Covid19, tecnica mista (acrilico e pastello ad olio su tela con supporto in legno), di Guido Irosa

“Sera sul Choper”, raconti gotici di Mikhail Zagoskin, ABEditore, 2024

Questo volume è una raccolta di racconti, scritta da Mikhail Zagoskin (1789 – 1852), drammaturgo e scrittore russo pressoché sconosciuto in Italia. Visto per caso in libreria (era in uno scatolone appena arrivato che il libraio stava aprendo per esporre i libri negli scaffali), mi ha attirato per l’illustrazione di copertina poi confermata dalle successive d’accompagno ai singoli racconti. A casa dunque la benevola determinazione di passare in lettura un paio di serate in riva al fiume Choper con l’annessa curiosità di conoscere uno scrittore russo nonostante il rischio d’essere accusato – solo per questo da parte dei soliti guerrafondai da divano del momento – di filoputinismo ma del resto, come ormai ben si sa, basta che un sistema (politico, culturale, scientifico) condanni all’oblio qualcuno a prescindere ed il fatto per quanto mi riguarda costituisce invito alla conoscenza del presunto reprobo inviso appunto ad un sistema autoproclamato democratico ma in realtà monodiretto per quanto alla gestione dell’informazione.
Dunque, romanzo di stile gotico: un giovane narratore senza nome, ossessionato dai misteri dell’occulto, e il suo caro amico Zaruckij si ritrovano nella campagna russa, sulle rive del fiume Chopër assieme a un gruppo di gentiluomini. Sono ospiti di Ivan Alekseevič Asanov, anziano bizzarro e pronto a parlare delle sue esperienze incredibili. La sera, davanti a un fuoco scoppiettante, decidono di rendere onore a una delle tradizioni più sacre e antiche: raccontarsi storie. Fantasmi, criminali, patti col diavolo e concerti demoniaci, il narratore e i suoi compagni di serata esplorano il mondo del sovrannaturale prendendo spunto dalle proprie esperienze di vita. Sei racconti dove si parla di soldati che si trovano a passare la notte in una casa praticamente disabitata che si rivela infestata e dove misteriose figure daranno vita ad un macabro banchetto. A seguire la storia di un soldato russo ferito durante la battaglia di Novi Ligure che, in convalescenza, viene inviato nei dintorni di Torino dove si ritrova in una depandance infestata da un fantasma bianco. Nel terzo racconto invece il padre del narratore ha ricevuto in casa propria un gruppo di cosacchi che si rivelano grandi bevitori e mangiatori e il cui atteggiamento si fa presto sguaiato e minaccioso. Segue il concerto dei demoni: il narratore racconta d’essersi perdutamente innamorato di Lauretta, una cantante di Napoli che giunge in Russia per esibirsi: arriva la sera della rappresentazione e il nostri protagonista trasecola notando in platea nientemeno che Mozart e Cimarosa e altri illustri compositori tutti già morti da tempo. Conosciamo poi la storia di due donne, due cognate, Žosefina e Kazimira, che hanno stretto un patto tra di loro, qualcosa che le lega anche se sono lontane, così quando Kazimira si trasferisce a Parigi e il periodo è infelice, perché siamo a cavallo del Terrore e Parigi certamente non è una città sicura e infatti … Per finire in grandezza ecco ‘Il corteo notturno’, il racconto conclusivo tutto degno di un’ansiosa lettura. Insomma, una raccolta capace di sorprendere, col pregio che i racconti sono tutti brevi ma pieni di colpi di scena, intriganti, coinvolgenti pur senza scivolare nell’orrore devastante che caratterizza il genere ai giorni nostri.

Michail Nikolaevič Zagoskin

“Genitori cercasi”, romanzo di Andrea Vitali, Einaudi editore, 2023

Restiamo leggermente increduli (ma in seguito peggiora) già dalle prime pagine: il protagonista, nonché io narrante della storia, è invisibile. Dunque un fantasma, uno spirito fluttuante che appare nella cantina d’una vecchia casa che risale ai primi del secolo scorso? Nientaffatto. L’invisibile, come ci assicura Vitali, è un giovane ragazzo ben vivo. Nato come tutti siam nati. In carne, ben visibile anche se forse palliduccio salvo poi ad un certo punto riscoprirsi trasparente, appunto invisibile. Basta si tolga i vestiti e magari il cappello che indossa e così, nudo come mamma l’ha fatto, entra nel mondo degli ignorati, invisibili ai più (perché un invisibile non può che esser visto solo da un altro invisibile salvo dover verificare se sia mai che esistano altri invisibili). Insomma, una storia fantastica che si vorrebbe definire favola umoristica, carica di ironia, capace di farci ridere di gusto.

All’inizio del romanzo il protagonista osserva segretamente, approfittandosi della sua invisibilità, i genitori, un uomo e una donna d’affari affermati che sono ormai dei senzatetto. Come i due si sono ridotti in quelle condizioni? E il giovane loro figlio, che ruolo ha avuto nell’amaro destino? Scopriamo dunque di come i due si siano incontrati, colpevole un tassista che intravede la possibilità di guadagni esorbitanti, arrivando ad uno strambo matrimonio inframezzato da voli che ciascuno deve prendere, telefoni che squillano ad ogni istante, incontri di lavoro che hanno la precedenza su tutto, persino sulla felicità o la salute, soldi da accumulare a chili di banconote del taglio più alto. Una vita tutta di corsa, pianificata al millesimo di secondo e soprattutto per quanto ad incombenze estranee agli affari e al dio danaro delegando l’esecuzione a qualche “commissionato” dietro lauto pagamento (appunto il tassista ché tanto per i due ‘datori di lavoro’ i soldi non sono un problema). 

Insomma, un romanzetto di facile lettura ma il troppo, come si suol dire, stroppia. Certo, potremmo dire che siamo di fronte alla critica morale della nostra società che corre continuamente trascurando gli affetti al fine di ottenere un benessere economico che alla fine non si ha neanche il tempo di godersi. Eppure, nonostante tutto, nonostante in effetti pagina per pagina si sia sorriso e qualche volta addirittura il solito Vitali sappia strapparci una risatina, probabilmente sarebbe servito qualcosa in più, per farcelo ricordare e magari a suo tempo rileggere la vicenda di questo ragazzo invisibile e dei suoi genitori ridotti a mal partito che lui, invisibile, sadicamente osserva in qualche modo a titolo di vendetta personale.

The invisible man against the background of a blank wall by Andbiz

“Gli scheletri nell’armadio”, secondo romanzo della serie “La casa di ringhiera” di Francesco Recami

Seconda puntata della serie “La casa di ringhiera” di Francesco Recami. Ritroviamo dunque innanzitutto l’anziano Amedeo Consonni che si vede arrivare in casa una vecchia conoscenza, il Barzaghi che porta con sè un armadio antico con la richiesta di lasciarlo per qualche tempo. Una richiesta tutto sommato banale. Almeno fino a quando il Consonni scopre conservati all’interno dell’armadio tre scheletri regolarmente appesi e, per quanto al momento scocciato, toccherà a lui, appassionato cultore di cronaca nera (raccoglie da anni gli articoli che parlano dei peggiori crimini italiani), darsi da fare sia per dare un nome a quei resti, sia per evitare che i suoi terribili vicini ne scoprano l’esistenza. A quest’ultimo proposito non sembrano esistere particolari problemi: ogni condomino ha già i suoi fatti cui badare e non bada certo a quell’armadio. Tranne a dire il vero la signora Angela Mattioli che coll’Amedeo – vedovo – ha un filarino per buona pace della di lui figlia Caterina convinta che quella strega punti all’appartamento del padre. Che peraltro, sempre a parere della Caterina, deve pensare al nipotino Enrico, andarlo a prendere a scuola, portarlo a passeggio, tenerlo in casa risparmiando sulla baby-sitter, mica perdersi – alla sua età – con estranee. L’Angela, appunto, che come si diceva, su quell’armadio ci conta convinta sia un regalo per lei, una gentilezza dell’Amedeo per soddisfare un suo desiderio.

Quanto agli altri, ritroviamo il De Angelis che tradisce la sua vecchia vettura per una mega BMW nuova di zecca: l’ha avuta in custodia temporanea ma non si nega il piacere di un viaggetto scatenando il rombo del motore e il contachilometri. Quanto a Claudio l’alcolista, dopo la separazione, tenta di rimettersi in piedi come può e intanto scopre che non è impossibile vivere senza alcol. Ma ancora, ritroveremo Erika col marito forse uscito per l’acquisto delle sigarette e scomparso nel nulla per arrivare al mistero della scomparsa dell’orsacchiotto Bubù. Ordinarie vicende di vita quotidiana che si svolgono contemporaneamente alla piccola indagine dell’Amedeo, ex tappezziere, investigatore da poltrona e pantofole, che con le sue ricerche tenta di alzare il velo del passato scoprendo la storia dei tre scheletri che intanto si rivelano essere due maschili e uno femminile, morti giovani e senza aver subito traumi violenti. Facile immaginare di vicende legate alla Resistenza, a conflitti interni alla lotta partigiana ma ben presto si scopre ben altra verità ovvero la vicenda di tre ragazzi scomparsi e mai più ritrovati all’inizio degli anni Novanta durante una escursione scout sul Monte Disgrazia, in Val Malenco. Ma attenzione: non si tratterebbe di un incidente ma di qualcosa di ben più grave e doloroso. Insomma, non resta che abbandonarsi al piacere della lettura, alle sorprese che ogni pagina sa regalarci fino al punto di quando Consonni, aiutato dal Barzaghi, decide di liberarsi degli scheletri bruciandoli in un luogo isolato in riva all’Adda. E qui Recami ci lascia senza parole portandoci ad un finale sorprendente, del tutto inatteso dal lettore pur attento. Per cui … non resta che passare al successivo romanzo della serie, “Il segreto di Angela”.

Casa di ringhiera, opera di Giancarlo Berlusconi

“I sette corvi”, romanzo di Matteo Strukul, Newton Compton editori, 2025

Gennaio 1995. A Rauch, minuscolo paese della Val Ghiaccia, gola sperduta in una delle più remote lande delle Alpi Venete, quasi al confine con il Friuli, viene ritrovato il cadavere della giovane insegnante Nicla Rossi. Il volto, escoriato, è stato privato degli occhi, come se qualcuno glieli avesse strappati. Ma non solo, tutto il cadavere è martoriato, graffi, carne strappata come se decine di corvi avessero infierito. La polizia di Belluno incarica l’ispettrice Zoe Tormen e il medico legale Alvise Stella di recarsi sul luogo, poiché le dinamiche dell’omicidio fanno pensare a un potenziale serial killer. I due non potrebbero essere più diversi: Zoe ha trent’anni, è figlia della montagna e sembra uscita dalla copertina di un disco di musica grunge; Alvise, invece, è un uomo di città, ama i completi, la musica classica e gli scacchi. Anche se i loro mondi sembrano destinati a collidere, dovranno unire le forze, perché nella morte di Nicla niente è come sembra. A Rauch si annida un male profondo, ancestrale, che neanche la neve è riuscita a spazzare via; un male che affonda le sue radici nella sete di giustizia e in un’antica leggenda. Il passato è diventato presente e forse non è un caso che proprio Zoe sia giunta a Rauch. Questo l’incipit formale che accompagna la descrizione del romanzo pubblicato da Newton Compton con la conseguente aspettativa di una vicenda horror/thriller che avvolga in una spirale di mistero e terrore. Se questo era l’intento dell’autore si può dire che l’obiettivo, pur sfiorato, alla fine sia mancato. Certo, sono molti gli elementi che arricchiscono le pagine. Dalla sposa infelice però stanca del rapporto con l’amante che scaccia coltello alla mano, all’anziana locandiera capace di conoscere i tragici eventi di un passato lontano nel quale una donna sospettata di stregoneria viene arsa viva insieme a sette corvi accusati di mentire (ed è forse questo il mistero che più incuriosisce), ai due giovani che durante la partita d’allenamento non esitano a far male scientemente all’avversario. Storie e vicende che improvvisamente sono spezzate dall’arrivo di uno stormo di feroci corvi imperiali che probabilmente hanno assistito alla proiezione del film di Hitchcock, Uccelli, e ne seguono l’esempio scagliandosi contro finestre, porte, tetti, automobili, alla caccia di umani da ammazzare per banchettare col cadavere dopo averne strappato gli occhi. Il tutto con scaltrezza e intelligenza perché, ove non riescono completamente nell’intento, pensano bene di allearsi con un branco di famelici lupi che si aggirano nelle valli bellunesi affamati e pronti a tutto pur di placare i morsi della fame. Comunque, tra sangue che scorre, fughe disperate, fosche ombre che riemergono dal passato, fiocchi di neve che scendono incombenti ad imbiancare strade, case, baite, cadaveri e sentieri il romanzo alla fine sa farsi leggere ma, appunto, senza mai “saper volare” tantomeno per quanto al campo dell’horror puro.

Matteo Strukul è nato a Padova nel 1973. Romanziere e sceneggiatore ha vinto il Bancarella 2017 col suo libro I Medici.

“Piccole morti”, romanzo di Ivana Sajko, Voland editore, 2024

Tutto ha inizio con la fine di una relazione, un fallimento che appunto costituisce una piccola morte ma, a ben guardare, non è altro che l’ultima di una serie di tanti piccoli fallimenti, appunto tante piccole morti. Lui, giornalista e scrittore, professionista che sostanzialmente non vanta altro che insuccessi, decide di prendere il treno, partire dalla sua città, affrontare un lungo viaggio fino a Berlino. Un viaggio che gli consente di rivivere tutti i fallimenti, le delusioni, le speranze svanite, una grande occasione di riflessioni che vengono trascritte sul fedele taccuino, compagno inseparabile dello scrittore. Pagina dopo pagina riviviamo dunque il passato tempestato da traumi familiari ed esistenziali fino ad arrivare al presente che sicuramente non rappresenta il migliore dei mondi possibili. Le guerre che non sono mai finite con le genti costrette a scappare dalle proprie case, i muri abbattuti ma la delusione per le speranze di cambiamento radicale che si sono rivelate illusorie, un’Europa che ancora resta un semplice sogno perché si rivela insieme di interessi locali e nella quale diversi fascismi ne minano la cosiddetta democraticità passando attraverso le politiche di chiusura nei confronti dei migranti, un mondo occidentale che comunque, ne è consapevole, non può regalargli una nuova vita. Sono queste le piccole morti attraverso il cui ricordo e la presa di coscienza delle stesse si sviluppa il viaggio del protagonista per arrivare ad accettare il fallimento evitando di sprofondare nel gorgo dell’alcol.

Ultimo treno per Berlino

“Bubu di Montparnasse” romanzo di Charles-Louis Philippe, edizione illustrata, Intransito editore, 2024

“Bubu di Montparnasse” è una sorta di ménage à trois: Metenier Berthe, è una ragazza ventenne, di professione fiorista, che decide, contro il parere del padre, di seguire Maurice Bélu, detto Bubu, un ragazzotto che inizialmente lavora ma alla fine capisce che il lavoro è cosa per gli stupidi. Conquista Berthe ma ben presto i soldi finiscono e nella Parigi della Ville Lumière e della Belle epoque meglio “convincere” Berthe ad offrire il suo corpo passeggiando nei Boulevard concedendosi al miglior offerente perché chi ha i soldi vuole donne, e occorre ovviamente che i magnaccia gliele procurino. Maurice, divenuto di mestiere il magnaccio, colui che “prende le donne in mano e le plasma“, ha scelto Berthe per la sua bellezza e in fondo ne è innamorato ma quella è la Parigi di quei giorni del primo Novecento, lui è l’uomo come tale padrone della sua donna: in cambio della sua protezione avrà ben il diritto di sfruttarla! Così come di picchiarla all’occorrenza, quando occorre evidenziarle i suoi errori. E così Berthe diventa oggetto del piacere di Bubu e di chiunque, nelle fasce orarie prestabilite, sia disposto a pagare un’ora di compagnia. Infine ecco il terzo protagonista, Pierre Hardy, uno squattrinato giovane provinciale arrivato a Parigi, che a sua volta si innamora di Berthe conosciuta sul Boulevard Sebastopol che paga per poterle parlare, per poter passeggiare con lei e naturalmente per beneficiare del suo corpo. Questa è la realtà della Ville Lumiere che ci presenta Charles-Louis Philippe che quella realtà ha vissuto in prima persona come giovane a sua volta squattrinato giunto nella grande città impersonale e indifferente alle sventure dei suoi abitanti, impegnati solamente a sopravvivere. Sono i tempi degli albori della società industrializzata, che manda a braccetto desideri e miserie per soddisfare i propri bisogni spesso fittizi. Siamo agli albori della “Belle Epoque” crocevia di un rinnovamento culturale, sociale, artistico e urbano che farà storia in tutto il mondo e che sarà un modello di bellezza, innovazione e di ricchezza. Un’epoca irripetibile che porta al miglioramento delle condizioni di vita di molti e ad una sensazione di ottimismo verso il futuro che purtroppo sarà spazzato via dall’avvento della Prima Guerra Mondiale. Certo, come suggerisce questo libro, per ottenere il benessere e una vita di agiatezza che è quanto sognano Bubu e Berthe sarebbero e sono necessari sacrifici immensi da fare se la via scelta é quella di stare appresso a mode e lussi barattando una volta il proprio corpo, un’altra volta la propria morale, in seguito vendendo i propri vestiti e i mobili di casa per sopravvivere correndo il rischio che quando le luci sfavillanti si spengono subentrino debiti, fame e per concludere la rovina che non lascia scampo. Un libro che può aiutarci a riflettere anche sui nostri giorni e sulle scelte di vita che possiamo o vogliamo fare. Buona lettura.

La parigina, olio su tela di Vincenzo Migliaro

“Ti ho dato gli occhi e hai guardato le tenebre”, romanzo gotico di Irene Solà, Mondadori editore, 2023 

Ci troviamo nel cuore dei Pirenei in un tempo non definito ma che potrebbe ricordare le nostre montagne e certa nostra gente di inizio ‘900. Il romanzo si svolge in un casolare isolato, Mas Clavell, luogo misterioso, buio, triste, luogo di cacciatori di lupi, banditi, fantasmi, bestie, dominato dal diavolo e dagli altri demoni dell’Inferno in varie forme e vesti (il diavolo si presenta ora in forma di toro, ora di capra oppure di gatto) coi quali le donne che lì vivono vanno a letto. Conosciamo dunque Joana, la capostipite che ha stretto un patto con Satana in cambio di un uomo da sposare e che dato vita ad una discendenza maledetta: Bernadeta nata senza ciglia, Blanca senza lingua, Margarida con un cuore a tre quarti, Marta col suo specchio magico nel quale vivono folletti, Angela con la gobba, Elisabet insaziabile amante di qualunque uomo di passaggio nei paraggi. Tutte insieme preparano una festa, naturalmente a base di capretto, animale simbolo che caratterizza con la sua presenza tutto il romanzo: é il commiato dall’anziana Bernadeta, che giace a letto ormai in punto di morte. Naturalmente non mancano gli uomini che, a loro volta, sono feroci, briganti, selvaggi, tanto da meritare la cattura, la tortura, il patibolo finale dove subiscono tra urla disumane una morte agghiacciante. Tenebre, serpenti, montagne di feci e di fuoco, valli di braci, immancabile il vento e le urla degli alberi coperti da gazze e corvi. Personaggi che si trasformano in animali, il tutto condito con una sessualità e un erotismo brutalI, sporchi, qualcosa che mi ha ricordato un film che dipingeva i poveri delle nostre baraccopoli in quanto “brutti, sporchi e cattivi” perché chi vive nel degrado, negando Dio, ridendo spesso sguaiatamente e senza senso, rendendosi autore di ogni brutalità non può che essere quello. Un povero, reietto, un dimenticato dal Dio che ha abbandonato queste terre, e naturalmente brutalmente respinto o addirittura cacciato dagli uomini dell’ordine costituito. Insomma, un romanzo duro nel quale gotico, magia, Inferno si alternano spesso risultando disturbanti per chi arriva in zona ma anche per chi legge perché l’autrice non ha paura di sviscerare i lati oscuri dell’animo umano risultando talvolta eccessiva, urticante. Eppure l’arrivare alla fine del romanzo risulta inevitabile e tantopiù orrore avremo provato tantopiù resteremo esterrefatti di fronte alla rivelazione finale.

“La casa di ringhiera”, romanzo (forse) giallo, forse noir, forse semplicemente forse di Francesco Recami, Sellerio editore Palermo, 2011

Il signor Consonni, protagonista principale, è un amabile pensionato di mezza età. Ex tappezziere di professione, ha arredato il suo appartamento secondo un gusto preciso e originale che mal si concilia con il resto delle volgarità degli altri condomini. Il Consonni inoltre è un aspirante detective, si appassiona ai crimini e collezionando indizi, articoli, foto, cerca di risolverli a suo modo. A parte quella spasimante di troppo all’interno del palazzo, ha un nipote, al quale è molto affezionato, che gli viene affidato dalla figlia quando esce da scuola. Vive in un condominio o meglio in una casa di ringhiera, dove per definizione più appartamenti condividono lo stesso balcone, o meglio ballatoio, e gli affari dei tuoi vicini sono per forza anche affari tuoi. Per questo quando in un paese vicino al suo avviene il brutale omicidio di un uomo sulla sessantina, appassionato di storia egizia e a suo modo collezionista come lui, il signor Consonni inizia una nuova pagina del suo raccoglitore (dove incolla gli articoli di giornale sottolineando le notizie importanti aggiungendo impressioni), si mette in viaggio ed interroga bibliotecari e vicini di casa. A questo punto l’autore ci porta ad indagare vizi e virtù della gente di provincia, quella anonima, volgare ed invisibile: un vecchietto con la fissa per la sua macchina vecchia di chissà quanti anni, una professoressa in pensione, un padre alcolizzato che porta una famiglia ai limiti dell’assurdo, una coppia ambigua che litiga troppo spesso. Succede qualcosa: il padre alcolizzato sparisce nel nulla portandosi dietro delle vecchie mutande, la donna ambigua viene uccisa (o forse no); il vecchietto con la fissa della macchina si ribella ai soprusi; il signor Consonni finisce in un ripostiglio; il suo nipotino rischia di venire eliminato; due bambini si improvvisano carcerieri per una giusta causa. A questo punto, laddove ci si aspetta la tragedia spaventosa meritevole del classico balzo in poltrona, accadono eventi che sfiorano la comicità e tutto diventa assolutamente imprevedibile. Unica eccezione: il caso dell’appassionato egizio viene risolto proprio grazie a Consonni e per una volta, finalmente, l’uomo finisce sul giornale con elogi ed onori. Ma quanto al resto? Non resta che leggere quello che forse può chiamarsi giallo o forse no, nel senso che rappresenta un unicum assolutamente imperdibile.

La casa di ringhiera (o casa a ballatoio) è una tipologia di edilizia popolare che prevede la compresenza, su ciascun piano di un edificio, di più appartamenti che condividono il medesimo ballatoio o balcone. Tale ballatoio, che corre per l’intera lunghezza dell’edificio, tipicamente funge da via di accesso alle singole unità immobiliari ed è in genere destinato ad un uso condiviso da parte di tutti i condomini. Altrettanto condiviso è l’uso del cortile interno.

“Nessuno scrive al Federale – I casi del Maresciallo Ernesto Maccadò”, ennesimo romanzo da Bellano di Andrea Vitali, Garzanti editore, 2020

Le rive del lago di Como sono punteggiate di paesi e paesini accomodati ai piedi delle montagne dove non succede granché. Tranne a Bellano. Nell’ultimo anno e mezzo circa, il Federale del fascio ha dovuto sostituire già due segretari della sezione locale del partito. Il primo a saltare è stato Bortolo Piazzacampo, detto Tartina, per una vicenda legata alle bizzarrie di un toro chiamato Benito in cui il Tartina si è distinto per insipienza. Il secondo è stato Aurelio Trovatore, che ha deciso di accasarsi in quel di Castellanza preferendo l’amore al destino fatale della patria fascista. Ora ha nominato tale Caio Scafandro, un pezzo d’uomo che usa le mani larghe come badili per far intendere le proprie ragioni. Avrà la forza d’animo, visto che quella fisica non difetta, per mantenere l’incarico? Perché nel passato dello Scafandro qualche fantasma c’è. E più di uno lo sa. Basterebbe una parolina sussurrata all’orecchio del Federale e anche il terzo segretario del fascio di Bellano farebbe la fine dei precedenti. Per questo, lo Scafandro ha preso le sue contromisure senza preoccuparsi di sconfinare in quel territorio dell’illegalità presidiato dalle forze dell’ordine. E lì appunto si trova il maresciallo Ernesto Maccadò. Fresco padre di Rocco, il suo primogenito, la mattina del 20 novembre 1929 il maresciallo scampa per un pelo a una disgrazia per via di un oggetto metallico scaraventato giù in contrada da un potenziale assassino. E chi sarà mai quel deficiente? A tutto questo si aggiunga la segretaria della sezione che, per ordine del Federale, deve festeggiare come si confà la Befana Fascista. Avremo inoltre a che fare con Miriano Bagnarelli nuovo direttore delle Regie Poste soprannominato Gnègnè, con le due impiegate votate allo zitellaggio ma che coltivano l’ultima speranza, appunto conquistare il Bagnarelli e farsi sposare. Centrale per quanto secondario il ruolo dell’Erminio Fracacci praticamente postino fattorino preposto alla distribuzione della posta casa per casa. Ovviamente protagonista Fusagna Carpignati per l’appunto la responsabile della sezione femminile del fascio, da sempre impegnata nella vana ricerca dell’anima gemella e infine ancora tanti curiosi personaggi a scorrere tra le vie di Bellano con i loro sogni, i loro mestieri, le loro storie: la gente di Bellano, appunto. Un libro divertente, leggero, che come tutti i romanzi di Vitali scorre via piacevole come l’acqua che dall’orrido scende verso il lago. Una buona lettura per trascorrere in pace le ultime ore di questo 2024.

Bellano

“Il libro delle sorelle”, romanzo di Amelie Nothomb, Voland editore, 2023

I protagonisti sono Nora e Florent, innamorati pazzi, folgorati dall’amore. Gli amici li guardano con invidia, la loro luna di miele sembra non avere mai fine. Capiamo presto che l’intento di Nothomb non è descrivere quell’amore esclusivo e persino banale nella sua eccezionalità. La luna di miele non termina nemmeno quando nasce la loro primogenita: Tristane.  La bambina prodigio non viene considerata molto dai genitori, troppo impegnati a coltivare il proprio amore senza lasciar spazio a nessuna interruzione, nemmeno se si tratta della figlia. Tristane è brillante, intelligente. Sa leggere, scrivere e comporre pensieri articolati. Ma in casa sua nessuno se ne accorge, soltanto zia Bobette.  Neanche a dirlo, diversissima dalla sorella, trascorre le sue giornate davanti a televisione e birre,  mentre i suoi tre figli aprono le scatolette che contengono cene misere e tristi. Dopo poco tempo Nora e Florent decidono di dare una sorella a Tristane: Laetitia. Comincia così uno straordinario legame fatto di amore, appartenenza e anche dolore. Le due si completeranno alla perfezione. La prima, con il sogno dello studio e della letteratura, la seconda con il progetto di diventare famosa grazie al rock. Tristane, cresce in silenzio per non disturbare, e Laetitia invece è piena di quel brio che la sorella maggiore non ha mai avuto. Gli anni passano, le due condividono progetti, amori ed aspirazioni. L’anoressia bussa alla porta e il legame con chi non c’è più permette a Tristane di crescere e sentirsi meno sola. Dietro al brio, all’ironia e alla dolcezza, si nasconde il mondo dei rapporti fatto di incertezze, incomprensioni e dolori. Crescere vuol dire fare i conti anche, e soprattutto con questo. Attraverso un arco temporale di circa quarant’anni, osserviamo l’evoluzione delle due sorelle e come sopravvivono all’amore malato dei genitori. Memorabile quando Laetitia inizia a parlare dicendo ‘mamma e papà’ ma non sapendo assolutamente che la mamma è mamma e papà è papà. Laetitia adora la musica e fonda un gruppo rock, è lei che fa conoscere alla sorella gli assolo dei Led Zeppelin. Come a spiegare che non è bene affidarsi esclusivamente ad un’altra persona, come fanno i genitori che vivono uno per l’altro. C’è altro da coltivare nella mente e nel cuore per avere pieno appagamento. Anche gli amori di Tristane rispecchiano quello che ha vissuto nella primissima infanzia: non è capace di mettersi al primo posto perché si è sempre sentita seconda in tutto. Grazie anche ai colloqui con un terapeuta capisce il meccanismo contorto con cui convive e tenta di porre rimedio.