“Il ragazzo contro la guerra – Una storia di Gino Strada”, romanzo di Giuseppe Catozzella con le illustrazioni di Ernesto Anderle, Mondadori editore, 2022

Un romanzo commovente che ci introduce alla figura di Gino Strada attraverso eventi reali e lo sguardo incantato di un ragazzino, Yanis, di soli tredici anni. È l’autunno del 2001, Yanis, un nome che significa ‘dono del Signore‘, prende il suo zaino, saluta in casa la mamma, la sorella Yasmine, il fratello Jalil, scende le scale e si incammina verso scuola. Sarebbe potuto essere un venerdì come tanti, se non ci fosse stato il compito di matematica all’ultima ora. Ma a New York le Torri Gemelle sono appena state abbattute, e come conseguenza jung, la guerra, “praticamente una vecchia zia che c’è da sempre“, si prepara a travolgere ancora una volta l’Afghanistan. Per fortuna lui è un mascalzone e alla scuola e al compito di matematica preferisce la sponda del fiume Pnjshir per pescare con gli amici Salar e Abdel e ad un certo punto del pomeriggio sentono un boato assordante provenire dal villaggio. Corrono per tornare a casa ma arrivati in cima alla collina che domina la valle vedono: le case non ci sono più, il villaggio bombardato dai missili a lunga gittata dai talebani. Così, dopo qualche giorno di silenzio, solitudine, lacrime, Yanis decide di partire alla volta dell’Europa. Appena superato il confine con il Pakistan, in un lungo viaggio a piedi per le montagne, fa un incontro che rivoluziona la sua vita e il suo percorso: è l’incontro con Gino Strada, il leggendario medico italiano che costruiva ospedali in Afghanistan e in ogni angolo del mondo martoriato dalla guerra. Yanis non ha dubbi. Seguirlo nel viaggio a ritroso verso Kabul bombardata per riaprire gli ospedali e curare i feriti. Un viaggio pericoloso durante i quali Strada racconta delle guerre che ha vissuto, della fondazione di Emergency, di come le rivalità dei potenti distruggano le vite dei civili. Così Yanis capisce che anche se sono poche e troppo spesso inascoltate, le persone che si oppongono a yung esistono e questo sarà il suo futuro. Dalla parte degli umili, degli invisibili, dei tanti che muoiono sotto le bombe lanciate da chissà chi e chissà perché. Che c’entrano gli invisibili con i calcoli dei potenti? Nulla, eppure senza nemmeno un perché pagano con la vita sapendo che un giorno quegli stessi potenti brinderanno insieme ad un accordo di pace sottoscritto col sangue del popolo, il popolo del potente che vince quel giorno e il popolo del potente al momento perdente in attesa della nuova yung giusta di riscatto. Seguiamo dunque questa storia avventurosa che mescola fiction a realtà: infatti il personaggio di Yanis è di pura invenzione, mentre sono veritieri gli aneddoti legati alla vita di Gino Strada che Catozzella ha raccolto e messo in pagina grazie ad una conoscenza diretta di Gino e della sua famiglia. Un’occasione preziosa per il lettore che ha l’opportunità di scoprire l’infanzia del fondatore di Emergency, gli anni della sua formazione e di capire le ragioni profonde che lo hanno portato ad intraprendere delle scelte radicali e rivoluzionarie. Un romanzo prezioso che parla di sogni, di giustizia sociale e di diritti (in appendice è riportata la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo) e che ci restituisce in maniera autentica ed appassionata una figura che può essere d’ispirazione per i più giovani. Non trascuriamo infine che parte del ricavato del libro viene devoluto a Emergenzy per cui l’acquisto da parte nostra è un modo per una volta in più dirci #sempredallapartedellapace.

Il chirurgo di guerra fondatore di Emergency ci lasciava il 14 agosto del 2021. Ma le sue idee vivono, sempre più forti.

“La compagna Natalia”, romanzo in veste di diario di classe anni ’70 di Antonia Spaliviero, Sellerio editore Palermo, 2022

Finiti i tre anni delle medie dove avevo fatto strage con i miei temi racconti che venivano letti alla mia classe e talvolta anche alle altre gli insegnanti avevano indicato lo scientifico per il mio futuro. Ma babbo faceva il ferroviere e mamma la casalinga il reddito era quello che era, si viveva bene ma che sarebbe successo nel caso di infortunio o peggio di papà? Molti anni dopo ho conosciuto Antonella, maturità classica in tasca ma venuto meno il padre enormi problemi economici in famiglia, addio sogni universitari, é finita per sopravvivenza a lavorare come ausiliaria nel laboratorio analisi dell’ospedale del paese. Così la mia scelta è caduta sull’Istituto Tecnico Commerciale (ragioneria), posto in banca praticamente garantito. Poi, per inciso e per fortuna, papà ha ben pensato di vivere fino ad oltre 80 anni in discretamente buona salute per cui … con gli studi é andata così, niente liceo ma grande spontanea passione per la letteratura e la scrittura. Comunque niente banca per me (salvo un paio di mesi da precario prima della Naja e dell’Università) ma tanti ricordi: erano gli anni Settanta, gli anni del ’68 a Piacenza, gli scioperi, le assemblee, “studenti operai uniti nella lotta”, cortei, aula occupata, studi di gruppo, la prima morosina, il primo amore baciandoci di fronte all’ingresso della scuola, i cortei del sindacato con gli operai dell’ Arbos minacciati di licenziamento. Ecco, “La compagna Natalia” mi ha riportato indietro negli anni. Storia di un’amicizia tra due ragazze nel corso dei tre anni di scuola a Settimo Torinese all’ombra delle grandi fabbriche sul finire degli anni Sessanta. Non in un liceo ma nell’Istituto tecnico sperimentale per addetto alla segreteria d’azienda. Uno studio che prepara a una carriera che non porterà né sorprese né emozioni, un mondo che non pare offrire alcuna attrattiva. La protagonista/narratrice entra nella nuova aula priva di illusioni, è Natalia a colpirla, una compagna speciale, appartata, distaccata eppure circondata da un’autorevolezza spontanea, naturale alla quale si aggiungono quei baci che scambia con uomini più grandi davanti alla scuola. Fatto assolutamente destabilizzante per tutte le altre compagne ai ‘primi passi’ rispetto alla conoscenza e all’abitudine ai maschi. “Ma allora, com’è l’amore?“, chiedevano le ragazze. “Che si fa da innamorati?“. “Mah … ti accompagna a casa“. “E poi?“. “Mah … ti viene a prendere la mattina“. “E poi?“. “Mah … Vabbè, dai …“. “Vabbè, dai … Cosa?“. “Mah … Vabbè, dai … Si limona“. “Oddio!“. “Eh, sì …“. “Ma … E …E cosa si sente?“. Pausa. “Mah … Dopo un pò … fa male la lingua“. Tra un’ora di steno e una di ragioneria si sprigiona tutta la vitalità e la voglia di vivere dell’adolescenza, le curiosità, il sesso, i libri, la musica; nuovi orizzonti irrompono nell’aula come una raffica di vento che scombina i fogli, così la lezione d’inglese a partire da The Sound of Silence si trasforma in una lezione di vita e per tutte l’oratorio di Don Franz e Suor Maestra non basta più. Inoltre la compagna Natalia, tra lo stupore generale, parla di sfruttati e di proletari, si proclama atea e antifascista, replica e tiene testa ai professori. Per tutte un percorso di educazione sentimentale e politica, la scoperta del mondo visto dalla periferia della città industriale popolata di immigrati che arrivano da un altro mondo, il Meridione. L’adolescenza che dal Corriere dei Piccoli e dai romanzi di Jala passa ai fumetti di Satanik o Alan Ford, ai romanzi di Kerouac, ai Deep Purple, Ai Led Zeppelin e all’Hard Rock, tra ironia, discoteche, amore, dolori e alla fine il mondo del lavoro,una vita in qualche caso “altra”. Per i miei 70 anni più che un libro una macchina per viaggiare a ritroso nel tempo.

Studenti anni ’70

“Tra il silenzio e il tuono”, romanzo epistolare autobiografico di Roberto Vecchioni, Einaudi editore, 2024

Tra il silenzio e il tuono è un diario e un testamento nel quale vita esteriore e vita interiore si intrecciano e convivono rappresentando l’uomo Vecchioni, professore, poeta, cantante, scrittore e soprattutto latinista che rivela il passato di studente liceale. Ovviamente, liceo classico. In altre parole, la crema della formazione culturale cosa che sicuramente incide sullo scrittore e sull’uomo che qui, con 53 ipotetiche lettere datate dal 1950 al 2023 si espone e si racconta. Lettere, alcune scritte al nonno da un giovane Roberto, altre dal nonno stesso che non risponde mai al nipote ma scrive ad altri personaggi più o meno noti o immaginari. Naturalmente nipote e nonno sono in realtà sempre Vecchioni che parla a se stesso, si racconta alla propria anima attraverso il tempo passato e il tempo presente. Successi, sogni, sconfitte, amori, dolori. L’ascesa di Vecchioni come cantautore e i duri anni della gavetta scrivendo canzoni per gli altri fino alla recente esperienza di Sanremo. L’amore con Daria che, tra alti e bassi, continua a tenerli legati. La morte del figlio Arrigo con il senso di colpa per averlo trascurato in vita. Sono arrivato alla fine di questo romanzo, scorrendo velocemente e golosamente le pagine dove si parla di cinema, di musica, di Chiamami ancora amore e soprattutto di Samarcanda. Non nego, di quanto ho trovato urticanti le pagine nelle quali il professore si diletta con l’amore per il greco e il latino, lingue estranee al mio vissuto culturale ma alla fine quel che conta è il messaggio finale che l’uomo e lo scrittore vuole lasciarci: l’insieme delle esperienze che noi viviamo, tanto quelle gradite quanto quelle urticanti (nel mio caso il greco e il latino e quindi il Vecchioni nella sua veste di esimio professore latinista), ci ricordano quanto siamo fortunati a essere vivi, nonostante tutto. Insomma, la vita è bella, viva la vida.

Marta Mariano, Viva la vida, olio su tela,“Un appello alla vita, alla bellezza, all’amore” 

“E verrà un altro inverno”, romanzo noir di Massimo Carlotto, Rizzoli editore, 2024. Una denuncia della società dei “maggiorenti” che pensano di poter dominare le vite altrui nel nome del loro profitto

Bruno Manera, vedovo dell’adorata moglie Annabella, è un ricco cinquantenne che fa l’imprenditore immobiliare in una città del nord. Qui conosce Federica, trentacinquenne, unica erede della dinastia Pesenti, ricchi imprenditori della valle limitrofa appartenenti ai “maggiorenti” cioè a quelle famiglie che detengono il potere economico e lo utilizzano per fare letteralmente “il bello e il cattivo tempo” di tutti e di tutto senza mettere in discussione i loro diritti acquisiti, anzi, pensano di meritare la gratitudine delle persone che sfruttano, perché senza le loro fabbriche e le loro imprese non avrebbero nemmeno quello straccio di lavoro che consente di tirare avanti. Anche senza amore Federica sposa Bruno perché questo matrimonio risulta essere, agli occhi della famiglia, decisamente conveniente per dare una nuova svolta economica ai Pesenti che ultimamente, a causa di investimenti rivelatisi catastrofici in Indonesia, sono caduti in disgrazia. Federica però impone il trasferimento in valle e Bruno, innamorato, l’accontenta. L’arrivo del forestiero all’inizio viene accolto dai paesani con benevolenza ma in seguito ad alcuni atti intimidatori che hanno il preciso scopo di fargli capire una volta per tutte che deve lasciare il paese per tornare in città, tutti incominciano a non gradire più la sua presenza ritenendo che gli avvertimenti subiti dal povero Bruno siano da collegarsi ad una sua (presunta) collusione con la criminalità organizzata e con un suo probabile passato non troppo limpido. In realtà a incaricare delle intimidazioni i due giovani cugini Robi e Michi, costretti a “lavoretti sporchi” per mantenere le famiglie in un momento di disoccupazione è Stefano Clerici, consulente fiscale già fiamma giovanile di Federica ed ora suo amante. Ordina di tendere un agguato a Bruno, per bucargli le gomme e picchiarlo ma mal ne coglie ad affidarsi a dilettanti: la situazione degenera e i due ragazzi sparano. Bruno sopravvive ma a questo punto a dare manforte alle dicerie paesane ci mette del proprio anche il maresciallo Piscopo, che è un omone grezzo e dai modi decisamente poco leciti e comunque che mostrano il suo servilismo nei confronti dei ‘potenti’, e se i ‘padroni della Valle’ sostengono che Bruno ha qualcosa da nascondere ed è quindi poco gradito, Bruno se ne deve andare. L’unico che sembra essere dalla parte di Bruno Manera è la guardia giurata Manlio Giavazzi dipendente della Valle Securitas. Quest’ultimo, “un uomo anonimo che era diventato invisibile, integrato nell’arredo urbano come una panchina” inizierà, sia perché convinto che certe faccende vadano risolte tra paesani sia come rivalsa personale contro il nemico storico Piscopo che considera la sua divisa come di serie B, ad atteggiarsi a “uomo della provvidenza” e a manovrare la situazione provocando in realtà la degenerazione della vicenda. Insomma, prima ancora che un noir, Carlotto propone una denuncia contro la nostra società nella quale ognuno pensa solo al proprio tornaconto, non c’è un barlume di scrupolo morale, niente è come sembra, ovunque ci sono segreti e mezze verità, nessuno gioca del tutto pulito e quindi nessuno è del tutto innocente. Soprattutto in una piccola comunità nella quale gli imprenditori sfruttano, lucrano e dispongono con disinvoltura dei beni e delle vite degli altri. Possono tutto: inquinare le prove di un delitto, mettere a tacere i testimoni, contare sull’appoggio di forze dell’ordine compiacenti. Un commento del lettore? Meglio vivere altrove, lontano da certe ricche Valli anche se alla fine i ‘potenti’ sono ovunque, a qualunque latitudine.

“La lanterna, l’ancora e … il Po – Ventotto storie piacentine di Luigi Galli, Diabasis edizioni, 2002

Nostalgia di un tempo che fu. Questo, in sintesi, il libro scritto da Luigi Galli dedicato al suo ambiente. Nostalgia e ricordi. Di un fiume che era frequentato dai piacentini affollanti spiagge e isolotti. Del figlio di quel commerciante tirchio come pochi ma generosissimo nei confronti del ragazzo tanto da acquistargli, in quei lontani anni ’60, una piccola Topolino che lo rende un privilegiato: gli amici al più viaggiano in scoter e spesso in bicicletta. Ma il ragazzo è generoso, invita tre amici per un’avventura di quelle che all’epoca poi non si sarebbero scordate mai: caricano la macchinetta e, due seduti davanti, due ad arrangiarsi nell’angusto spazio dietro, partono destinazione Liguria prima, Francia poi e infine Barcellona dove li attende l’angosciante spettacolo della corrida. Personalmente ho vissuto l’avventura di un viaggio con la Topolino dello zio Giovanni. In campagna, lungo la Val Chero, lui davanti con la zia Rosa, io seduto dietro su uno sgabello utile per mungere le vacche. Avevo forse sei forse sette anni mentre lo zio … non aveva la patente, più volte bocciato all’esame di guida ma tanto nella valle era molto difficile che arrivassero Carabinieri o poliziotti. Quando alla fine la patente arrivò, lo zio cambiò macchina ma questa è un’altra storia. Ma torniamo invece alle storie di Luigi Galli. Si racconta della Piacenza popolaresca, dei ragazzacci di Cantarana che tentavano d’agganciare le ragazzine di Borghetto. Sia mai! Riuniti in bande, inevitabili gli scontri a mano armata. “Sassaiola!”, il grido di battaglia e via, sfida all’ultimo sangue. Succedeva. Ricordo quando abitavo in via Campi e con i ragazzi di via IV Novembre si superavano le mura cittadine, si raggiungeva il facsal e giù botte con i ragazzacci delle case popolari di viale Patrioti. Tra gli ultimi racconti di Galli, infine, quella notte in montagna, a 1100 metri, 15 case in prossimità del bosco. Grande agitazione di tutti gli animali nelle stalle. Sì, perché quando qualcuno muore o qualcuno nasce un’atmosfera magica nell’aria ne è l’annuncio e gli animali quell’atmosfera la sentono, la percepiscono. Insomma, 28 racconti di un tempo che non è più, un tempo povero, semplice, naturale, senza troppe macchine con i bambini a giocare per le strade e, alla sera, qualcuno che piazzava una cassetta in mezzo a via Manfredi per permettere di giocare a briscola in santa pace.

Quando il Po era la spiaggia dei piacentini contro il gran caldo

“I bastardi vanno all’inferno”, noir di Frédéric Dard, Rizzoli 2021

Tutto ha inizio nell’ufficio del “capo”. Siamo in una sezione speciale, forse i Nos, forse Cia, forse servizi segreti. Il problema è quella spia catturata che non parla, non rivela nulla dei suoi referenti. A questo punto il piano è semplice: bisogna individuare un poliziotto che sotto copertura si presenti come un pericoloso criminale, venga incarcerato insieme alla spia per poter organizzare un’evasione insieme che possa avvicinarli ai comandanti della rete di spionaggio. Eccoli dunque rinchiusi nella stessa cella dove si instaura un rapporto teso, di diffidenza e aggressività ma col tempo che passa emerge qualcosa che assomiglia all’amicizia, al desiderio di affidarsi l’uno all’altro, entrambi in fondo marionette nelle mani di burattinai che ne muovono i fili della vita. Fino al momento dell’evasione, della fuga e diventa difficile capire quale sia il poliziotto e quale la spia. Semplicemente due complici d’una appassionante avventura della quale non s’intravede soluzione possibile. Con, oltretutto, l’incontro durante la fuga con Dora, una donna a sua volta enigmatica che sembra aiutarli. Prevalgono, nel racconto, i diversi aspetti dell’animo umano, l’approfondimento psicologico del rapporto, elemento prioritario rispetto al succedersi degli eventi stessi. Dard infatti nulla ci rivela dei fatti precedenti, delle storie passate, delle motivazioni di vita dei due uomini. Non si indaga appunto dei precedenti, delle motivazioni e delle convinzioni che muovono i due protagonisti, emergono invece i fatti immediati e le valutazioni psicologiche che questi fatti comportano tra i due. Con una precisazione: che fino alla fine non sapremo chi sia il poliziotto e chi la spia per cui la lettura si presenta intrigante e coinvolgente. A tratti appassionante. Dunque un noir a tinte oscure ma che decisamente lascia col fiato sospeso fino alla fine, nella vana ricerca di comprendere cosa sia reale e cosa non lo sia. Certo, alla fine s’arriva a conclusione con un evento del tutto inatteso che sorprende e lascia senza parole. Decisamente dunque una lettura interessante, che vale la pena.

Frédéric Dard by Neale Osborne

“La strega”, romanzo weird di Shirley Jackson, Adelphi editore, 2023

Shirley Jackson è stata signora del weird (genere letterario, sottogenere della narrativa fantasy e horror), maestra del thriller nero e ultima erede del romanzo gotico, in vita si definiva una strega, ovvero donna narratrice di verità. La possiamo conoscere grazie a questa piccola raccolta di racconti, 66 pagine complessive nelle quali tutto parte dalla normale quotidianità per essere poi improvvisamente capovolta. Ad aprire la raccolta è appunto “La strega“, dove troviamo Johnny, un bambino di quattro anni, che viaggia con la madre e la sorellina in treno. Tutto lineare, assoluta normalità ma attenzione. Durante il viaggio il bambino osserva come tutti il panorama che scorre ma ovunque lui vede streghe senza che la madre gli conceda particolare attenzione. Niente altro che la fervida immaginazione di un bambino. Ma arriva un uomo con un sigaro in mano, si siede vicino a Johnny e inizia a raccontargli la storia della sua sorellina che era proprio una strega. Lo era, perché lui che l’amava tantissimo le regalò un cavallo a dondolo, l’abbracciò, allungò le sue mani fino al collo, stringendo fino ad ammazzarla. Così racconta al bambino finalmente attirando l’attenzione della madre che allontana l’uomo. E il bambino torna semplicemente a spostare la sua attenzione oltre il finestrino, sorridendo divertito. La seconda storia si sviluppa durante un ricevimento organizzato dai genitori di Eileen, diciassettenne chiusa in cucina a studiare. La raggiunge un invitato abbastanza annoiato dalla serata e vagamente ubriaco. Con piacere inizia una conversazione che si rivela interessante come può essere un confronto con una ragazzina con un roseo futuro davanti. Parlano del futuro del mondo e qui Eileen non ha dubbi: nessun futuro, il futuro è la fine del mondo e l’uomo torna nel salone a parlare col padre della ragazzina. Il terzo racconto ha per protagonista uno scolaretto, che tutti i giorni al rientro riferisce ai genitori le monellerie compiute da Charles, un coetaneo terribile, che una mattina “colpì in testa una bambina con il sedile di un’altalena provocandole un taglio, e la maestra lo costrinse a rimanere in classe per tutta la ricreazione”, e così per tutti i giorni di scuola a venire, in una sequela infinita di malefatte, che sfociano in atti sempre più cruenti. Per fortuna nulla a che vedere con il nostro Laurie, di certo studente modello semplice spettatore delle malefatte di quel Charles. Ma attenzione, ovviamente anche per Laurie il tempo dell’asilo è finito. Porta i jeans, ha un atteggiamento sicuro, baldanzoso e qui Shirley, in vesta di madre, sembra avvertirci di vigilare con attenzione perché il rapporto coi figli può non essere semplice e soprattutto l’esempio dei compagni può avere influenze negative sugli stessi. Nell’ultimo racconto, Clara, lascia il marito e la propria casa, per recarsi in autobus a New York, per liberarsi di un dente che “pulsa senza tregua”, costringendola ad assumere dosi massicce di codeina. Il viaggio dura l’intera notte con varie soste lungo il tragitto per attimi di relax e per un caffè e qui Clara viene avvicinata da un uomo misterioso che, al suono di frasi poetiche, la trascina in una realtà ai confini della follia, dove la perdita di identità struttura una visione del mondo illusoria, che fa smarrire il contatto con la normalità, proiettando Clara in una zona d’ombra che rivela un vuoto interiore fin lì ignorato. Del resto, ci si chiede, certo il mal di denti che la tormenta da tempo. Addirittura, ricorda il marito, fin dal giorno del matrimonio. Di buon mattino comunque il viaggio si conclude, Clara si avvia verso lo studio medico prenotato e dopo, tolto quel dente, il mondo le sembra assumere luce e colori diversi. E riappare l’uomo dell’autobus. Che vuole?

“La guerra dei Bepi”, People edizioni, 2023, racconti di vicende dei familiari di Andrea Pennacchi vissute tra Prima, Seconda Guerra Mondiale e agguato al contingente di pace in Somalia perché un esercito straniero in armi non fa mai pace.

In questo volume Pennacchi ci racconta tre storie che si intrecciano con la storia del nostro Paese. Le prime due sono anche parte integrante della storia della sua famiglia visto che i protagonisti sono suo nonno nella prima e suo padre della seconda. Il “primo” Bepi, il nonno di Pennacchi, in “Una feroce primavera” vive la sua personale Prima Guerra Mondiale mandato al fronte come carne da cannone e incredibilmente tornato a casa sano nel fisico ma devastato nell’anima. Del resto, vi è mai capitato di conoscere qualcuno che si è trovato a vivere un tratto della sua vita in uno scenario di guerra? Ebbene, spesso tace, racconta rispondendo alle domande ma restando sulle generali, evitando di ricordare della paura, dell’odio verso il nemico che non conosci ma che ha ammazzato tanti tuoi camerati. Col fuoco dei cannoni o del fucile, col gas, con le baionette innescate. Odio, anche se in realtà quel nemico sapevi benissimo non avevi motivo di odiare, che come te voleva solo spogliarsi di quella divisa che qualche sovrano chiuso nella sua reggia gli aveva imposto d’indossare. In “Mio padre. Appunti sulla guerra civile”, il secondo capitolo del libro, Pennacchi ci racconta invece della Seconda Guerra Mondiale vissuta da sua padre che a 17 anni sceglie il nome “Bepi” come partigiano – proprio in onore al padre – ma che viene arrestato dalle milizie fasciste a seguito della confessione con omi cognomi e indirizzi ottenuta da un compagno catturato e sottoposto a tortura. Viene spedito nel campo di concentramento di Ebensee in Austria. Anche il secondo Bepi tornerà a casa, ridotto ad uno scheletro ambulante, grazie all’arrivo degli americani badando ad evitare di avventarsi – come purtroppo tanti altri – sulle razioni di quei soldati: lo stomaco non regge e la morte ne è la drammatica conseguenza per molti. Un’esperienza terribile tanto che non ne riuscirà a parlarne col figlio, che per ricostruirla sarà costretto a cercare documenti fra l’Italia e l’Austria. Infine “Checkpoint Pasta. Il paradosso del cane” ci catapulta invece a Mogadiscio, in Somalia, il 2 luglio del 1993, dentro un autoblindo del contingente italiano che collabora all’operazione internazionale “Restore Hope”. In cinque atti riviviamo l’attacco subito dagli uomini delle nostre Forze Armate nei pressi del Checkpoint Pasta della città somala, il primo scontro armato che ha coinvolto il nostro esercito dopo la Seconda Guerra Mondiale. Uomini partiti per quella che veniva definita una missione di pace, soldati – molti di leva, partiti volontari – convinti dalla retorica dei politici naturalmente al sicuro nelle loro case nel BelPaese di aiutare un popolo affamato e come tali di essere benvenuti, benvoluti, rispettati. Ma armi, fucili, blindati, carri armati, divise militari non fanno mai pace. E anche questa esperienza lascerà negli uomini del mezzo blindato segni incancellabili nel resto delle loro vite. In conclusione, Pennacchi ci ricorda che non esiste guerra “giusta”, guerra è sempre sinonimo di ferocia e crudeltà, di distruzione, di morte e a pagare sono sempre soprattutto le popolazioni civili, gli anziani, le donne, i bambini. Una lezione che dovrebbe invitarci alla riflessione rispetto al fatto che attualmente inviamo le nostre armi a sostegno di una guerra in corso negandoci ad ogni sforzo per trovare una soluzione diplomatica al conflitto. Un libro breve ma duro e indimenticabile, contro la logica delle armi, contro la guerra. #sempredallapartedellapace .

La pace non si fa mai armi alla mano

“Mattino e sera”, romanzo breve di Jon Fosse, premio Nobel per la Letteratura 2023, edizioni La nave di Teseo 2019

Jon Fosse, classe 1959, norvegese, premio Nobel per la Letteratura 2023, in realtà poco conosciuto nel nostro BelPaese, viene proposto da La nave di Teseo con un romano breve che in lingua originale risale al 2000. Racconta, con stile poetico ed onirico, il Mattino della vita per poi, attraverso un salto spazio temporale, arrivare alla fine, appunto la Sera, la conclusione del percorso di vita. Nella prima parte nasce dunque Johannes, figlio del pescatore Olai, nipote del nonno pescatore del quale porta il nome e del quale abbraccerà la professione. Viviamo e partecipiamo all’emozione e alla tensione di Olai, seduto al tavolo in cucina mentre nell’altra stanza la levatrice Anna assiste la moglie, Marta, durante il parto. Olai pensa al tanto tempo passato in attesa della nascita di un figlio maschio, pensa al nome, pensa al futuro, come crescerà, come seguirlo, sobbalza di paura ad ogni urlo della moglie. Nella seconda parte del libro incontriamo Johannes anziano e vedovo di Erna dalla quale ha avuto in dono sette figli, ultima dei quali Signe, la più giovane, l’unica ad abitare nei pressi della sua casa, l’unica ad occuparsi con regolarità del suo ‘vecchio’. E’ stanco, Johannes, anche un pò annoiato, le giornate scorrono noiose nella casa ormai vuota, intrisa di ricordi. Si sveglia come sempre all’alba, è anchilosato e incapace di muoversi. Tuttavia improvvisamente si sente pervaso da una strana leggerezza, si muove agilmente, senza problemi. Addirittura dopo tanto tempo sale in soffitta, tra le cose che hanno segnato il corso della vita. Subito dopo esce, si reca verso la costa per controllare la sua barca e qui incontra l’amico di sempre che da tanto tempo non vedeva, Peter. Che sorpresa ma, si chiede, tutto questo è normale? Peter lo invita a salire in barca, a seguirlo per la pesca dei granchi, lo porta al porto dove come sempre verrà a prenderli la bella signorina Pettersen. Ma come, pensa Johannes, non era morta? E infatti l’attendono a lungo ma nessuno si presenta. Così si fa tardi, sta giungendo la sera, arriva l’ora di tornare a casa. I due amici si salutano con la promessa da parte di Johannes di ripassare da Peter per tagliargli i capelli come sempre. Lo fa ma arrivato alla casa dell’amico, bussa e nessuno risponde. Non gli resta che ritornare verso casa sua anche perché s’avvicina l’ora di quando Signe passa a salutarlo ma a casa l’aspettano ben altre sorprese, altre strane inattese situazioni: al lettore l’emozione di scoprirle. Insomma, una novella che passa della nascita alla morte del protagonista coinvolgendoci ed emozionandoci anche grazie al ritmo e alla linearità della narrazione e dello stile, laddove lungo tutto il percorso narrativo troveremo solo tre punti. Tantissime virgole, tanti a capo ma nessun punto. Forse proprio perché Fosse vuole proporci una particolare lettura degli istanti vissuti fisicamente e contemporaneamente dei conseguenti pensieri interpretativi, riflessivi che ne conseguono senza soluzione di continuità nella continua rilettura dell’evento del momento riflesso nel vissuto del passato. La morte, come ultimo istante nel quale rivivere il nostro passato vissuto, rivivere il piacere dell’aver sorseggiato il caffè alla mattina, della sigaretta fumata, il ricordo della lettera d’amore scritta per poi invano aspettare una risposta, rivedere il sorriso della moglie morta prima del tempo che aspettava sull’uscio di casa al ritorno dalla pesca. Un romanzo da leggere tutto d’un fiato, capace di coinvolgere, di emozionare, a tratti di commuovere. Non un semplice romanzo, un capolavoro.

“Non si uccide di martedì”, romanzo tra lo storico e il giallo di Andrea Molesini, Sellerio editore, 2023

Romanzo storico sia pure limitatamente alla ‘location‘ fermo restando che nulla vieta al lettore eventualmente di prendere spunto e di approfondire. La vicenda si svolge nell’arco di un mese, a partire dalla metà del settembre 1938 partendo con una tradizionale immagine veneziana: un giovane avvocato, non certo di grido, tel Ridolfi, sfoglia il Corriere della Sera al Caffè Florian di piazza San Marco . Viene notato e avvicinato da Mebel Valt, una elegante anziana signora. Vedova, ricchissima, nessun’altra morale se non quella finalizzata all’arricchimento perseguito con qualsivoglia mezzo opportuno e necessario. Avrebbe, dice, un affaruccio da proporre per il quale lui (lei, afferma, in questi casi “ha occhio nell’individuare le persone giuste“), sicuramente abituato “col suo mestiere ad avere a che fare con gente senza scrupoli“. Accordo concluso in breve, salvo appuntamento fissato per l’indomani nello studio dell’avvocatucolo per la puntuale definizione dei dettagli. Qui si conclude la premessa con tanti saluti per quanto all’etica e alla morale del mestiere di Ridolfi. Capitolo successivo ed eccoci proiettati nell’isola di Rodi che dal 1912 al 1945 fu italiana e che per un periodo fu governata dall’ex ministro dell’istruzione De Vecchi, quadrumviro della marcia su Roma in camicia nera, che applicò con efferato rigore le leggi razziali nell’isola. E qui, per inciso e per chi volesse appunto approfondire il quadro storico del romanzo, Molesini ci invita praticamente ad una riflessione a latere sul colonialismo italiano e in particolare sul dominio italiano nelle isole greche che tutto fu tranne quel miele che certa pubblicistica di parte vorrebbe farci credere. Ma, detto questo, il romanzo passa dalla fase di ambientazione storica alla fase del giallo se non addirittura del noir. A Rodi per l’appunto conosciamo Rita, avvenente giovane nipote della Mebel, in viaggio di nozze con il neo sposino, l’affermato chirurgo Enrico. Sullo sfondo della Conferenza di Monaco dove Chamberlain e Mussolini, arbitro il cancelliere tedesco Adolf Hitler, si giocavano le sorti dei Sudeti, il dottorino si arrovella per il fatto di quel paziente morto in camera operatoria tra le sue mani. In realtà niente di ché, dice: “in sala operatoria ne succedono di cose …” però il problema può essere la valutazione del primario ma, anche qui, nessun problema, “ho fatto in modo che il sospetto ricadesse sull’anestesista, un certo Gualtieri che il capo già odiava comunque“. Certo non una bella e onesta azione, commenta la giovane della buona società Rita, ma comunque “non sei un uomo meschino, hai solo approfittato del momento, non è stata una bella azione, certo, ma per carità non facciamone un dramma“. Insomma altra pesante stoccata etico moralista di Molesini ai ‘mestieranti’ di ogni tipo che si nascondevano (o si nascondono?) tra le fila di stimati professionisti dediti al bene comune. Ma proseguiamo col racconto: i due sposini vengono raggiunti da un ex generale in pensione, tal Costantini, che annuncia a Rita la morte della nonna, consegna il testamento sottoscritto dalla defunta e rivela di essersi unito in matrimonio con Mebel sia pure successivamente alla stesura del testamento rivendicando dunque parte del patrimonio per sé stesso anche se non citto come erede. Ma non basta, subito dopo appare anche l’avvocato Ridolfi che fa notare una postilla, un codicillo, insomma un classico appiglio da azzeccagarbugli per cui lui stesso subentrerebbe nell’eredità in caso di premorienza dei due sposini. Causa incidente, improvvisa malattia o, come fa notare, per omicidio da parte di assassini e, si sa, trovare un sicario nell’isola di Rodi non è certo cosa difficile. Un tanto per dire? Una minaccia più o meno velata? Da questo punto inizia il vero e proprio romanzo giallo che, nello stesso tempo, risulta motivo di riflessione sulla società dei benestanti dell’epoca e perché no con proiezione sul nostro presente. Ma, di questo, al lettore la lettura, il lento dipanare d’una trama che porta ad un finale sorprendente. Tra i quattro protagonisti infatti, sullo sfondo mondano e corrotto dell’isola levantina, inizia un carosello di mosse e contromosse, un gioco in cui uno solo potrebbe vincere tutto. Il mistero da Rodi ritorna infine a Venezia, dove i personaggi (quelli che scopriremo reali protagonisti), messi in scena con piglio umoristico e a tratti satirico, lo conducono a soluzione.

Andrea Molesini

“La disciplina di Penelope”, romanzo giallo di Gianrico Carofiglio, Mondadori editore, 2021

Tutto ha avuto inizio in quel 13 ottobre 2016 quando Giuliana, istruttrice di fitness e personal trainer, non aveva fatto rientro a casa. La denuncia in questura era valsa a poco; il corpo della donna era stato rinvenuto il giorno seguente, nel pomeriggio, alla periferia di Rozzano, notato da un pensionato a passeggio col cane. Il cadavere presentava un colpo d’arma da fuoco e subito tutti i sospetti fanno pensare al marito mancando, almeno apparentemente, altri indizi emergenti da quanto noto della vita di Giuliana. Alla fine comunque il caso era stato archiviato sia pure con una strana motivazione; che non sussistevano motivi per procedere ma che comunque a carico del marito, in mancanza di ipotesi alternative, c’erano “inquietanti sospetti”. Un procedere decisamente fuori luogo da parte del magistrato e infatti quegli “inquietanti sospetti” diventano un tormento per l’uomo, preoccupato per l’eventualità che la giovane figlia un giorno possa anche solo lontanamente pensare che sia stato lui a privarla della madre. Da qui la richiesta di aiuto a Penelope, ex magistrato attiva come investigatrice privata in ambiti coniugali. Riluttante in un primo tempo, alla fine lei, Penelope, ovvero la dottoressa Spada, nonostante prima di tutto debba fare i conti con un passato che l’ha esclusa da una brillante carriera, nonostante sia piena di contraddizioni personali (mangia sano e vegano ma fuma e beve come non ci fosse un domani), inizia un’indagine che, naturalmente, porterà ad alzare il velo su aspetti sconosciuti della vita e dei rapporti di Giuliana. Ma, di questo, lasciamo al lettore la scoperta arrivando al brillante finale. Sia pure con un commento di fondo: indubbiamente è un piacere, leggere Carofiglio. Lo stile narrativo è rapido, fluido, diretto ma un pò troppo lineare. Piacevole, adatto a trascorrere qualche ora in compagnia con un giallo che tutto sommato lascia un senso di serenità. Appunto: forse da un giallo, pur senza essere un noir, ci si potrebbe aspettare qualcosa di più … intrigante?

Gianrico Carofiglio

“Dove dormi la notte – Un racconto di Resistenza, poesia e socialismo”, di Michele Marziani, MonteRosa edizioni, 2024

Diceva Rossana Ferrante, autorevole esponente del PCI prima, dei DS e del PD poi, quando mi vedeva al tavolo con la tovaglia a quadretti bianchi e rossi nella vecchia cooperativa Lupi di via Taverna a parlare di socialismo e di Sol dell’Avvenire con qualche compagno, compresi i battibecchi con chi sceglieva il cattocomunismo, diceva Rossana che “ero un uomo dell’Ottocento“, un socialista di quei tempi di grandi lotte per il riscatto dei lavoratori. Sono passati anni da quei dì, adesso alla cooperativa Lupi esiste una gestione molto più raffinata, una cucina di qualità e i compagni di quei dì non ci sono più, io compreso. Eppure oggi come allora resto socialista. Certo, per fatto anagrafico, non ho fatto la Resistenza e, da alpino, non ho vissuto la tragedia della campagna di Russia. Ho vissuto però la tragedia del socialismo italiano del Partito storicamente dalla parte dei lavoratori, dei valori di giustizia, equità, libertà, condannato e violentato da una masnada dedita al malaffare nel nome del potere. Ma, per mia fortuna, ho potuto conoscere negli anni ’70, i compagni che erano della vecchia guardia, i compagni socialisti quando essere socialista significava appartenere ad un club di politici saggi, capaci di realismo e di lungimiranza sociale e non ad una marmaglia incravattata che darà il via allo sfacelo della Prima Repubblica e soprattutto del Partito identificato come covo di ladri e di affarismo. Per questo la lettura di “Dove dormi la notte” ha rappresentato una carezza al cuore, la certezza che non erano le mie scelte sbagliate, che di altri parvenu é la responsabilità della drammatica fine in quanto Partito sciolto negli anni ’90. Non voglio proseguire con il racconto e l’analisi del romanzo, questo è un piacere che lascio a chi ne volesse affrontare la lettura. Dico solo che il lettore scoprirà la vicenda di Giovanni Battista Stucchi, ragazzo del ‘99, volontario nella Prima guerra, capitano degli Alpini nella Seconda, sopravvissuto con pochi altri alla battaglia di Nikolaevka, comandante partigiano, quindi deputato prima e consigliere comunale a Monza poi, per l’appunto socialista, di quelli che erano un tempo. Illuminante la sua analisi scritta negli anni ’80, poco prima di lasciarci: “La società consumistica è il prodotto della corsa sfrenata al profitto dei grandi magnati dell’opulenza, detentori delle leve del potere. Valendosi degli sterminati mezzi di cui dispongono, hanno saputo imbrigliare e manovrare a proprio comodo le coscienze. In tal modo la regola della vita è diventata il piacere, il piacere sempre di più, sempre di più. Il senso del dovere ne è risultato sopraffatto e deriso. Onestà, amore del prossimo, disinteresse, dignità, cioè quelli che sono stati i valori della società civile, sono stati relegati in soffitta“. Per questo, dopo aver creduto e combattuto nel nome del socialismo grandi battaglie per i diritti civili, per i diritti dei lavoratori, per la crescita sociale della società, nei primi anni ’90, prima ancora dello scioglimento definitivo ho abbandonato quel Partito ormai lontano dai principi di fondo che ne avevano costituito per cent’anni l’anima di base. Abbandonato quel Partito ormai degenerato, tradito nel suo essere, non certo abbandono dell’idea e dell’impegno per i valori del socialismo, spesso agendo in un isolamento negazionista o di incomprensione da parte di altri e dei detentori del potere in particolare. Tuttavia fiero del mio agire, del mio operare nel senso di una società giusta, equa, solidale, dalla parte dei lavoratori. Spesso vivendo con amarezza e delusione la quotidianità ed ecco dunque che la conoscenza della vicenda del compagno Giovanni Battista Stucchi ha rappresentato una carezza al cuore. Insomma, un buon consiglio per quanti siano stati o siano tuttora socialisti nel cuore: un bel romanzo che consiglio di leggere. A scatola chiusa.

Sandro Pertini e Giovan Battista Stucchi nel 1961

“Il silenzio del mare”, romanzo di resistenza passiva contro la guerra, di Vercors, Einaudi editore, edizione 2015

Una storia di resistenza contro la guerra e l’invasore senza l’utilizzo delle armi. Un piccolo libretto uscito clandestinamente nel 1942 nella Francia occupata dall’esercito nazista. Siamo nel nord, a due passi dal mare e i tedeschi requisiscono delle stanze private per alloggiarvi degli ufficiali singoli. Un vecchio signore e la giovane nipote vivono in una piccola villa devono accettare di ospitare Werner von Ebrennac, giovane ufficiale gentile ed educato che cerca di spiegare la situazione sostenendo che l’occupazione alla fine rappresenterà il bene futuro della Francia. Ma i due non rispondono. Tacciono. Ogni sera, dopo il lavoro al comando, l’ufficiale rientra, sosta un poco nel salotto dove lo zio e la nipote sono seduti a leggere, prova a parlare, a stabilire un dialogo ma i due non parlano, rispondono con il silenzio assoluto. Nel salotto c’è un pianoforte con uno spartito sul leggìo, si capisce che la ragazza suona, ma davanti a lui non suonerà mai. Silenziosa lei, silenzioso il pianoforte. Silenzio. E’ la loro forma di resistenza, l’unica a loro possibile. Quando fuori piove o nevica e fa freddo, Von Ebrennac, entrando la sera bagnato e intirizzito, si accosta al fuoco del camino e cerca di parlare un po’ di più. Ma il vecchio e la giovane tacciono sempre. In realtà zio e nipote amerebbero aprirsi, confrontarsi ma non possono farlo, andrebbe contro l’offesa per la ferita grave inferta alla Francia. Addirittura la ragazza è colpita dalla gentilezza e dal profondo sapere di quel soldato, esattamente come lui l’osserva con malcelata ammirazione ma, detto questo, spetta al lettore capire, intuire come prosegue e finisce il racconto. Per quanto ci riguarda, doverose alcune precisazioni: il racconto fu scritto da Jean Bruller, firmato con il suo nome di partigiano, appunto Vercors, pubblicato clandestinamente in sole 300 copie poi subito ristampato per volontà del generale De Gaulle, esule e capo della Resistenza ai nazisti. Una ristampa del libretto finalizzata a lanciarlo con i paracadute dagli aerei clandestini sopra la terra francese occupata perché si leggesse questa testimonianza di resistenza passiva e dignitosa contro ogni tentazione di collaborazionismo. Un racconto che ribadisce l’importanza della negazione di ogni guerra e della resistenza contro ogni guerra ribadendo però che non è detto servano solo le armi per farla perché alla fine le armi sono solo strumenti di distruzione e di morte, di desiderio di vendetta, non mai di vera pace: la pace nasce sempre e soltanto dal confronto, dall’analisi delle ragioni di entrambi i contendenti. Pura demagogia? Potremmo chiederne parere alle centinaia di migliaia di vite spente in Ucraina e in Palestina (compresi migliaia di bambini) pur di affermare il prevalere dell’uso delle armi di morte piuttosto che accettare di sedersi ad un tavolo di confronto e di trattativa. Insomma, un libro che una volta di più ci fa dire BASTA INVII DI ARMI, BASTA GENOCIDI e ancora più #sempredallapartedellapace.

“Psicopompo”, romanzo autobiografico di Amélie Nothom, Voland editore, 2024

Alle spalle diversi dei 39 romanzi di Amélie letti e apprezzati. Così mi sono avvicinato a questo ennesimo dal titolo curioso decisamente ben disposto. Giunto faticosamente alla fine mi domando: con che spirito potrò avvicinarmi alla lettura di una nuova prova della prolifica scrittrice francese nata nella terra del Sol Levante al seguito del padre diplomatico? Difficile tirare le somme, dar conto di quanto letto. Un insieme di vicende autobiografiche dove si parte dalla scrittrice bambina che ascolta dalla voce di Nishio-san una fiaba che saprà darle la passione per gli uccelli. A partire dallo psicopompo, maestoso volatile col compito di accompagnarti nel regno dei morti, di introdurti ad un nuova realtà, quella dell’anima. Così la scrittrice rivela gli anni nei quali desiderava e ricercava la morte di sé stessa. Anoressia, rifiuto del cibo. Il tutto a seguito della violenza subita da ragazzina. Come uno degli uccelli tanto amati, si era convinta che per volare, per librarsi sopra alle cose e lasciarsele alle spalle, bisognasse pesare poco, essere fragili e delicati; ma l’anoressia dell’autrice si rivela, più che un librarsi sopra la pesantezza delle cose, un lungo cammino verso gli inferi, un’infinita danza con la morte. Che si interrompe solo a vent’anni, con la scoperta della scrittura che diventa un modo diverso di vivere, una vita però che in sé include anche la morte, incarnata dalla possibilità della fine della scrittura, di questo lungo dialogo con se stessi e con il prossimo che Nothomb intraprende libro dopo libro ormai da decenni. Certo, Psicopompo è il libro del ritrovamento d’uno scopo che ci tiene in vita, è il racconto della speranza, dell’affermazione che per quanto sia grande il dolore vissuto non c’è niente che non possa essere superato e soprattutto trasformato. Bene però, comunque sia, giunto all’ultima pagina, chiuso il libro, credo passerà un pò di tempo prima di riuscire a trovare l’energia per passare ad un nuovo romanzo di Amélie e soprattutto mi guarderò bene dall’osservare il cielo, si sa mai ne appaia un magnifico ma orribile Psicopompo con l’incarico di convincermi che è bello attraversare il confine con l’Altr/Ove.

Psicopompo, colui che accompagna le anime dei defunti

“Il mugnaio urlante”, romanzo di Arto Paasilinna, Iperborea edizioni, 2020

Poco dopo la fine della guerra d’inverno, in un piccolo villaggio lappone compare un uomo molto alto e robusto, che dice di chiamarsi Gunnar Hutter. Contrariamente a molti altri vagabondi fannulloni, l’uomo acquista dal comune un mulino in pessime condizioni, il vecchio “Rapide della Foce” da anni in disuso e, lento lento ma tenace, riesce un po’ alla volta a riparare la sega e la macina. I paesani però restano diffidenti nei suoi confronti, perché Gunnar ha strani atteggiamenti che fanno paura. Spesso resta in silenzio a guardare nel vuoto, altre volte invece è uno spasso e i bambini vanno al mulino per sentirlo raccontare storie e soprattutto vederlo imitare gli animali e in particolare l’ululato del lupo. Durante l’estate, i suoi sbalzi di umore aumentano, tanto che la gente comincia a pensare che Gunnar sia pazzo. La notte, poi, ha appunto l’abitudine di ululare come un lupo, eccitando i cani e disturbando il sonno degli abitanti del villaggio. Solo la giovane consulente orticola, la giunonica e bionda Sanelma Käyrämö, s’innamora di quell’uomo strano che, nonostante le strane abitudini, si dimostra gentile e persino romantico. Ma le autorità, il bottegaio e il dottore non ci stanno, sono troppe le stranezze di quell’uomo, così riescono a far rinchiudere il povero mugnaio urlante in un manicomio, dal quale però fugge dopo pochi giorni grazie alla complicità di un altro paziente. Da quel momento Gunnar vive nei boschi nelle vicinanze del villaggio, aiutato da Sanelma e da alcuni abitanti, braccato dalla polizia. Il suo bisogno di ululare, però, è insostenibile e spesso lo mette nei guai, soprattutto durante le incursioni al villaggio, per procurarsi cibo o vendicarsi di chi lo ha spedito in manicomio… Insomma una storia tra lo strampalato, il drammatico e l’umoristico come da stile di Paasilinna. una storia che ci mostra di come un comportamento gentile ma senza filtri e mezze misure, l’espressione delle emozioni diretta e totale, il tutto avulso dall’ipocrisia e dall’ottusità, diventa “diversità”, eccesso e quindi segno di instabilità mentale da perseguire. Al nostro mugnaio dunque si aprirà la strada della scelta della fuga e dell’abbandono dell’amore ovvero della cattura e del ritorno all’ospedale psichiatrico. Al lettore seguirne le scelte e le vicende naturalmente sperando nel lieto fine anche se, si sa, la vita non sempre si tinge di rosa e azzurro. Insomma, non resta che leggere con la tensione nel cuore.

Haeran River, parco nazionale Finlandia, alba mattutina

“Le bionde del Benaco”, romanzo in tinta giallo rosa di Marco Ghizzoni, Laurana editore, 2024

A Gardone Riviera, la primavera sembra non voler arrivare. Un aprile freddo e piovoso, infatti, tiene lontani i turisti, mettendo i bastoni tra le ruote ad albergatori e campeggiatori. Uno su tutti, il tedesco Jurgen Mann, proprietario del campeggio La spiaggia incantata che, tra un’imprecazione e l’altra, si abbandona alla contemplazione dello splendido paesaggio davanti a una birra ghiacciata. Quando, all’improvviso, nota qualcosa di strano nell’acqua: si tratta del corpo esanime di un uomo. Intanto, il commissario Umberto De Tullio si è appena alzato e non immagina cosa lo aspetta. Con ancora addosso il peso dell’ennesima notte di alcol e solitudine, e reduce dell’immancabile telefonata della madre con velleità investigative, quando arriva al commissariato di Desenzano del Garda, prima gli affibbiano la nuova tirocinante, Sabrina Toniolo, una bellissima veneta in grado di farlo sentire ancora più brutto e inadeguato di quello che è, e poi lo informano del corpo ritrovato a La spiaggia incantata. Ma il peggio deve ancora venire. Gli unici due testimoni, il campeggiatore sopracitato e un pescatore fuori di testa, sono del tutto inaffidabili. Come venirne a capo? Tra colpi di scena a ritmo di jazz e rum a profusione, De Tullio riuscirà a risolvere il caso grazie a un aiuto inaspettato. Il tutto, sullo sfondo del lago più grande D’ITALIA. In altre parole un romanzetto fresco fresco con la trama tinta di giallo e qualche sfumatura rosa, utile per una lettura rilassante all’ombra di qualche platano di specchio sull’acqua del lago. Lago di Garda che, come di apprende, lo si può anche chiamare Benaco. Così come del resto ogni altro lago:sotto l’italico nominativo sempre si cela un nome d’origine longobardi o addirittura celtica. Ma non è l’unica curiosità: non cadete nella trappola del titolo! Non pensate subito, leggendolo, ad avvenente, bellissime, sensuali giovani turiste bionde in cerca d’italici maschietti. Sono ben altre le “bionde” protagoniste dell’avventura per cui comunque… buona lettura.