Gli americani nel pantano della guerra in Vietnam. Una guerra, per il giovane O’Brien, comunque sbagliata e per questo, ricevuta la chiamata, pensa di scappare, di passare il confine e rifugiarsi in Canada. Salvo, alla fine, non avere il coraggio di una scelta da disertore che forse sarebbe stata vissuta come disonorevole dalla stessa famiglia. Un anno di ingaggio e, come cantava Gianni Morandi (e poi Joan Baez), niente più Beatles, niente più Rolling Stones, regalata a qualche amico la chitarra, eccolo marciare nelle risaie affondando nell’acqua e nel fango per arrivare a villaggi popolati esclusivamente da anziani, donne, bambini. Nessuna traccia dei vietcong combattenti ma mine piazzate ovunque e basta un passo falso per perdere una gamba o per vedere un amico, un compagno, finirla lì. Non dicono ammazzato. Si dice fottuto.
Con la radio si chiama un Dust Off e arriva un eleicottero, carica il ferito che forse arriverà all’ospedale e forse è già fottuto e muore appena l’elicottero riparte. Ore e ore appiattiti nelle trincee in agguato in attesa di un nemico invisibile, ore e ore di noia nelle retrovie in attesa di un nuovo attacco, di una nuova missione. Coca cola, droga e prostitute facendo attenzione perchè quelle sono soldatesse e nella vagina nascondono lamette. Ferocia.
Coraggio e paura, gli eroi non esistono, i soldati hanno paura e qualcuno si spara in un piede sperando che l’ufficiale creda sia stato il nemico. Arrivi nel villaggio e basta trovare un vecchio fucile per metterlo a ferro e fuoco, per prendere gli anziani e legarli ad una pianta per tutta la notte, provocando i combattenti ad intervenire, a scoprirsi.
Oppure chiamare l’aviazione che sputa napalm sul villaggio e ammazza donne, vecchi, bambini perchè quelli non sono fottuti, quelli muoino ammazzati, quelli sono il nemico, anche se non sappiamo nulla di loro e non hanno fatto nulla a nessun americano finchè il giovane soldato se ne stava in America a flirtare con le ragazze bionde. Gli eccessi.
Il villaggio di My Lai dove nel 1968 gli abitanti ad uno ad uno vengono accoppati come fossero capponi. Succede un anno prima che O’Brien arrivi in Vietnam e la guerra è così già segnata ma nessuno stupore, è la guerra, non una passeggiata, ammiri il tramonto, canti le tue canzoni e pesti una mina sepolta sul sentiero da qualche ragazzino. Perché il nemico non ha età, non ha volto diverso, non ha divisa, tutti i gialli basta siano nati in Vietnam sono nemici, o tu fotti loro o loro fottono te.
Così quando, alla fine dell’anno di leva finalmente sali sull’aereo che ti riporta a centinaia di chilometri, che riporta a casa, O’Brien lancia l’ultima occhiata dal finestrino alla terra, alle risaie, al fango e da tutti parte un urlo, un applauso, la guerra inutile, per loro, è finita e mentre l’aereo si stacca da terra, s’alza verso il cielo, un altro atterra, scarica un nuovo carico di ragazzi in arrivo. Bianchi, rossi, neri, ufficiali, soldati. Molti non rivedranno le verdi praterie americane.