“Leonardo Sciascia e i comunisti” visti da Emanuele Macaluso, intervento di Carmelo Sciascia

Racalmuto – Sabato 19 marzo 2020 ore 17. Mi trovo nei locali della Fondazione Sciascia al viale della Vittoria. Si presenta un libro di Emanuele Macaluso: “Leonardo Sciascia e i comunisti” edito Feltrinelli, con una bella copertina a colori che riproduce una foto dello scrittore seduto su uno scoglio come sospeso tra il blu del mare e l’azzurro del cielo. Un libro che avevo letto appena pubblicato a fine 2010, perché caro mi era il tema ed i personaggi: il letterato ed il politico, ambedue conosciuti e stimati per comuni esperienze, sia letterarie che politiche. Nella presentazione il professor Antonio Di Grado, dell’Università di Catania, delinea un profilo dello scrittore, che evidenzia la dicotomia, tra il politico ed il pensatore, il politico agisce nel contingente, il pensatore va oltre la storia ed è animato dalla “pietas”, la pietas come forma di conoscenza attraverso la metafora ed il paradosso. Non a caso il richiamo alla scomparsa delle lucciole in Pasolini come metafora del cambiamento epocale della fine della civiltà contadina. Ed attraverso la pietas il politico si riconcilia con il proprio passato facendosi aiutare dallo scrittore.Il libro, in altre parole per il docente catanese, è la scrittura di un conto privato tra il politico ed il pensatore. Sciascia è contro il potere, sempre: il potere è sempre di destra così come il potere è sempre di sinistra. Come nelle religioni si cerca sempre di colpire di più l’eretico che l’infedele, così è stato il rapporto dello scrittore con il PCI: eretico del marxismo-leninismo. E se Sciascia fosse nato in Polonia, e lì avesse scritto e pubblicato, questo stesso libro avrebbe un altro titolo: “Leonardo Sciascia e gli anticomunisti”. Questo quanto sostenuto invece dal professore polacco Leszek Kazana, altro relatore, che a proposito delle maggioranze bulgare dell’Est, ha riportato il racconto di quel tassista che porta sempre in giro quel uno per cento che non fa parte della maggioranza del novantanove per cento della famigerata menzionata maggioranza. E Macaluso cosa ci dice? Innanzi tutto che Leonardo Sciascia parla ancora alla società di oggi (questo uno dei motivi per cui ne scrivo su Libertà), per la mancanza del senso della giustizia nella società e perché la sinistra dovrebbe ripensare alla sua politica sulla giustizia. Ed è questo il cordone ombelicale che lega Macaluso allo scrittore, anche nei momenti di dissenso, egli ha coltivato e condiviso le idee di Leonardo: “Tutto è legato per me, al problema della giustizia: in cui si involge quello della libertà, del rispetto tra uomo ed uomo”. Macaluso e Sciascia hanno una amicizia nata nella giovinezza a Caltanissetta, e cresciuta nel comune antifascismo.Per il politico (Macaluso è stato con Togliatti nella segreteria del PCI, deputato e senatore, segretario del partito in Sicilia, direttore de “l’Unità”) le ragioni del letterato sono per Sciascia prevalenti sulla politica, e la politica cos’era allora se non bisogno di confronto con gli intellettuali e, che intellettuali mi permetto di aggiungere, da Calvino a Pasolini, da Moravia a Sciascia, per citarne solo alcuni. Bisogno di confronto con gli intellettuali e confronto con la metafora, qualità che non c’è più e bisogna recuperare (detto adesso sembra come tornare a disquisire sul sesso-o meglio sull’assenza del sesso- degli angeli).Il libro è scritto nel ventesimo anniversario della scomparsa di Leonardo Sciascia (1921-1989), ed affronta il travagliato rapporto dello scrittore con il partito comunista, dove anche quando candidato, non fu mai iscritto e, coincidenza, scomparso anche il partito nel 1989, dopo la svolta della Bolognina, segretario Occhetto.Uno dei punti principali del libro è il contributo dato da Sciascia per la comprensione del fenomeno mafioso, in primis con “il Giorno della Civetta”. Tornato di moda anche perché ne hanno parlato in tempi recentissimi e negativamente sia Arlacchi che Camilleri, la tesi di Camilleri è che il personaggio eroe del libro è il mafioso Arena e non il capitano dei carabinieri Bellodi, esempio da non imitare quindi come scritto contro la mafia. Ma la mafia, aveva sostenuto Leonardo, è non un bubbone, come Croce aveva detto del fascismo, ma l’intreccio sviluppato con e nella società, attraverso la copertura politica e l’ingiustizia imperante, la DC influenzava la magistratura che allineata con le scelte governative scarcerava gli arrestati ed incriminava i carabinieri (il giorno della civetta fu ispirato dall’assassinio del sindacalista Miraglia a Sciacca, che a queste conseguenze portò).Ed ancora oggi, l’intreccio mafia-società è talmente evidente che nella lista degli arrestati ci sono sempre i primi trenta ricercati: i catturati sono sempre tra i primi trenta! Ma evidentemente è un trenta periodico. Perché se catturare i latitanti è un buon segnale, ma poi il fenomeno si ripresenta, allora, vuol dire che è l’ingovernabilità o meglio i rapporti politici ed elettorali a riprodurre il fenomeno. “Quando faccio – dice onestamente Macaluso- riferimento all’oggi, non penso all’opera del governo, ma anche a quella dell’opposizione… in questi ultimi vent’anni, durante i quali la sinistra ha delegato alle procure l’analisi del fenomeno mafioso e la lotta nella società a movimenti, che hanno certo meriti, come Libera e altri gruppi di giovani, ma non operano nelle istituzioni”. Ricordate i primi anni Novanta? In Sicilia nacque la Rete movimento-partito di Leoluca Orlando (padre Pintacuda ispiratore del movimento finì con l’aderire a Forza Italia, l’onorevole Scilipoti fa tendenza nel sostenere con il gruppo dei Responsabili il governo), in Lombardia nacque la Lega che, partendo con il sostegno incondizionato dato all’operazione mani pulite, finisce con il consegnarsi imbavagliata a chi rappresenta il successore del craxismo. In sostanza, sostiene Macaluso, un vero equilibrio dei poteri in Italia non c’è mai stato ed oggi più che mai dove lo scontro non è tra governo ed opposizione ma tra poteri dello Stato.Lo stesso ministro Alfano, parlando ad un convegno, esclamava sulla necessità della presenza oggi di Sciascia: “Dio solo sa come l’Italia e la Sicilia avrebbero bisogno dell’autore de Il giorno della civetta”.Ciò la dice lunga sulla conoscenza letteraria del ministro, si rilegga il contestato articolo sui professionisti dell’antimafia, dove è chiara ed indiscutibile l’avversione di Sciascia a leggi od atti ad personam, anche fatti con le migliori intenzioni (vedasi promozione di Borsellino) e, quelle approvate dalla maggioranza non hanno certo motivazioni nobili! Tralascio tutta la trattazione della polemica sul Contesto, polemica che ho trattato in un articolo pubblicato in data 12 settembre 2009 “riflessioni sulla festa piacentina del PD”, ed in altri vari scritti, che costituisce tutta la seconda parte del libro, un’appendice dove si riportano interventi sulla stampa che riguardano, oltre che il Contesto, l’intervento apparso sul Corriere sui professionisti dell’antimafia.Ed è strano vedere come gli attacchi più pesanti a Sciascia sono stati pubblicati da La Repubblica, a firma di Pansa (Quando Sciascia è contro Sciascia) e di Eugenio Scalfari (Falcone, Gava, Sofri: tre casi esemplari). Nell’ultimo articolo, quello di Scalfari si sostiene: “Ma del resto Leonardo Sciascia non è nuovo a questo genere di sortite, nelle quali la vanità personale fa spesso premio sulla responsabilità civile” sic!È vero che a volte lo scrittore contraddice e si contraddice, è lui stesso a dircelo, come ebbe pure a scrivere, di non essere stato né comunista né anticomunista, ma di condividere o contrastare alcune scelte del Pci.Sciascia come Moro non è sdoppiabile, così il professore Pietro Milone: “Moro, come Sciascia, si sdoppia in una verità della scrittura, della letteratura che non coincide più con quella della ragione, della storia, della politica”. Tutto l’impegno politico e tutta la sua opera letteraria si può riassumere in due parole, ci suggerisce Macaluso: “giustizia e verità”. Ed aggiungo io, cosa non c’è oggi di più attuale quale urgenza politica e culturale?

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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