Viaggiare, arrivare e soggiornare in una località diversa dalla tua residenza è sempre gradevole. Gente nuova, luoghi nuovi, curiosi, belli, indifferenti, talvolta divertenti talaltra noiosi. Arte, musica, panorami, aria diversa, di tutto un pò. Naturalmente buona tavola, piatti diversi, gusti nuovi. Risotto con la luganega (salsiccia), Cassoeula, Gnocchi o Ravioli con spinaci e gorgonzola, Pizzoccheri, filetti di pesce persico dorati, trota al forno aromatizzata al finocchio, insalata di pere con gorgonzola e noci, torta Resegone e torta Grigna. Sono alcuni dei piatti proposti dai menù dei ristoranti italiani a Lecco. A pranzo. A cena. Piatti tutti buoni, buonissimi, saporiti, gustosi. Ma già dopo il primo giorno senti i campanelli suonare nello stomaco e al terzo arriva il fegato con le sue campane. Anzi, i suoi campanoni. Urge moderazione.
Ma non tanto o non solo per questioni digestive. Subentra la nostalgia, la voglia di un semplice panino o, meglio ancora, una piada. Prosciutto e formaggio. Salame. Pancetta rigorosamente piacentina e caciotta montana. Magari con aggiunta d’una foglia d’insalata oppure pomodorini. Una birra, un ambiente rusticano, naif, fuori dal centro, lontano dal lago affollato di turisti, di immigrati che offrono rose, di bambini urlanti inarrestabili, di musica a tutto volume, di moto che sfrecciano rombanti, d’aria dal sapor di fritto, d’hamburger amerikani in salsa piccante e majonese straripante. Con Dalila, vogliamo un posto seminascosto, appartato, diverso e lo troviamo in via Ferriera, zona degradata, a due passi dalla stazione ferroviaria andando a piedi lungo via Carlo Porta, ovvero il cammino che porta a Villa Manzoni e alla zona commerciale della città, quella dei grandi magazzini è dei supermercati.
River Cafè, comunemente e simpaticamente detto “Il Fogna” per il profumo raffinato e la bellezza del paesaggio come scrive tal Francesca Milani. In riva ad un torrente, il Caldone (nome assolutamente appropriato per quest’estate dal clima africano), in questo momento praticamente asciutto per siccità, collocato in piena città. Locale rustico ma raffinato, piadine buonissime e super panini con buon bicchiere di vino, ampia selezione di birre soprattutto tedesche, proprietari simpatici, gentilissimi, allegri. Rischi di arrivare a pagare 9,00 € a testa contro i 25,00 di qualunque ristorante (primo, insalata, acqua, quartino di vino della casa). Stomaco e fegato soddisfatti e soprattutto silenti.
Ma non solo: percorrendo appunto via Carlo Porta, sicuramente la via più frequentata dai pedoni, si vive un incontro con la Street Art ovvero murales (o graffiti) realizzati da giovani artisti nazionali e locali, giovani, studenti, con la finalità di riqualificare zone degradate della città. Sono i volti dei passanti, fermati, coinvolti e convinti alla posa direttamente dall’artista (Afran), con il loro sorriso che trasmette pace, serenità, allegria e che rende sicuramente più bello questo angolo di città. Il tutto coordinato, pensato, proposto dalla stessa Amministrazione Comunale. Nel nome dell’anima profonda della città.
Ma, per Lecco, non si tratta di un caso isolato, di un’opera d’arte realizzata in una via in fondo marginale. Tutto si riconduce ad un progetto ad ampio respiro, “Avere cura del Bene Comune“, organizzato da Art Company in collaborazione con il Comune di Lecco. A partire dal 2011 richiama artisti locali, artisti di fama nazionale e internazionale, per riqualificare aree degradate della città trasformandola in una galleria a cielo aperto. Così troviamo dipinti sul muro adiacente al sottopassaggio della stazione, lungo la già citata via Ferreira ovvero la via pedonale che collega via Balicco a via Carlo Porta, costeggiando da un lato le ferrovie e dall’altro il centro commerciale Meridiana. Ancora: all’Istituto di formazione professionale Fiocchi di via Belfiore, al B&B di via Polvara 31, al Centro civico Sandro Pertini di via dell’Eremo 28, alla Scuola Armando Diaz di via Monte Sante 22, alla palestra di via Caduti sul Lavoro, in via Belvedere dove le immagini dei murales sono completate da frasi poetiche tra le quali anche la citazione manzoniana: “Si dovrebbe pensare a fare del bene: e così si finirebbe anche per stare meglio”.
Inevitabile, dopo aver ammirato alcune opere a Lecco, a Milano, a Monza, tutte promosse dai rispettivi Comuni, il confronto con la mia Piacenza. Qualche iniziativa finanziata da privati (al Baciccia) o realizzate direttamente da artisti (così in via Carli) o ancora dagli studenti del Liceo Artistico (nel sottopasso della stazione, murales purtroppo deturpato da scritte di imbecilli). Nei mesi scorso, per iniziative dell’Avis, sono stati realizzate due opere in via Primogenita ma, appunto, si tratta di interventi isolati, occasionali, in assenza di un progetto complessivo come appunto avvenuto lungo un decennio qui sul Lario.
Attualmente, dopo un quinquennio di governo da parte del centrodestra, i piacentini hanno scelto di sostenere un’amministrazione di centrosinistra con un programma potenzialmente di sviluppo e innovazione. A dire il vero però nello stesso programma non è facile trovare aperture al nuovo come appunto potrebbe essere un progetto di Street Art che rappresenti un moderno strumento di riqualificazione urbana nei quartieri talvolta grigi e problematici che caratterizzano la città.
Cosa suggerire, quindi al Sindaco neoeletta, Katia Tarasconi? Invece di riunire la Giunta in conclave tra i monti dell’appennino piacentino, s’organizzi anche una trasferta in quel di Lecco, in riva al Lario, cartina stradale alla mano seguendo poi il percorso artistico nelle vie suindicate per verificare quanto può essere significativo e attraente un progetto come “Avere cura del Bene Comune” capace di riqualificare e di esprimere nel contempo l’anima di una città che, per quanto riguarda anche Piacenza, sappiamo possa essere nel suo sorriso attraente e affascinante. Dunque, forza e coraggio, sull’esempio lecchese ci si ingegni! Ricordando che l’arte non è solo quella del passato spesso rinchiusa tra le pareti di un museo, l’arte è anche fantasia, allegria, modernità ed è forma d’espressione dei tempi nei quali nasce. Ricordando infine che l’innovazione promessa non significa realizzare nuove strutture di cemento che divorano il terreno ma appunto badare alla cura dell’anima della città. Con adeguati strumenti nuovi.