“Kiyohime e il giovane sacerdote Anchin”, una leggenda del terrore alla mostra ‘Yokai, le antiche stampe dei mostri giapponesi’ in Villa Reale a Monza

Kiyohime, illustrazione di Loputyn

A Monza, nei locali della mostra dedicata ai demoni giapponesi, gli Yokai, si alternano i maestri che specie nel 1800 hanno caratterizzato il genere con le loro illustrazioni o i racconti che dovevano suscitare paura. Così Tukiyoka Yoshitoshi, ultimo grande maestro dell’Ukiyo-e, sapeva rendere l’opera sanguinosa e terrificante, come ne l’Uccisione del vecchio Tanuki da parte di Naoyuki nel palazzo di Fukujima; Kuniyoshi Utagawa era in grado di rendere la scena spaventosa e di forte impatto visivo, come nel trittico La principessa strega Takiyasha e lo scheletro [del padre] da Storia di Utö Yasutaka, in cui l’enorme scheletro incombe su tutto l’impianto compositivo; d’altro canto, Chikanobu Yoshu è noto per la massima tensione psicologica che sapeva infondere nei suoi lavori, Kyosai Kawanabe per l’atmosfera divertente e grottesca, mentre Kunisada, con la sua onnipresente e posata grazia, era invece l’autore ideale per generare empatia verso protagoniste tragiche e romantiche. Quello che però stupisce si trova nell’ultima sala, una sezione prodotta dalla casa editrice Hop!, con le opere in chiave moderna di Loputyn, nome d’arte di Jessica Cioffi, l’illustratrice bresciana che propone sei tavole originali, create per l’occasione, che s’ispirano e interpretano altrettante leggende giapponesi. Ogni illustrazione presenta in chiave contemporanea un racconto e un mostro grazie allo stile che la caratterizza in maniera inequivocabile. Tutte le sei illustrazioni creano un piccolo volume realizzato da HOP! e venduto esclusivamente presso la mostra e poi mai più, diventando di fatto un oggetto raro da collezione e qui, come si suol dire, casca l’asino. Avendo acquistato il corposo catalogo della mostra realizzato da Skira e ritenendolo completo di tutto quanto esposto nei locali del Belvedere di Villa Reale, ho trascurato il bellissimo opuscolo e, resomi conto dell’errore, è ormai troppo tardi. Ma mai dire mai. La mostra dovrebbe essere riproposta tra qualche mese a Bologna e rivederla sarà cosa buona e giusta con conseguente rimedio all’errore. Ma ora, largo al racconto.

Kiyohime, stampa di Tsukioka-Yoshitoshi

LA VENDETTA DI KIYOHIME, SEDOTTA E ABBANDONATA

Kiyohime era la figlia (o la vedova) di un capovillaggio o di un signore chiamato Shōji. La famiglia era abbastanza ricca per fornire alloggio ai sacerdoti in viaggio, i quali spesso passavano da quelle parti in quanto nelle vicinanze si trovava un santuario famoso per le pratiche ascetiche.

Un giorno un sacerdote, che si chiamava Anchin e si era fermato lì, s’innamorò della bella Kiyohime. Questa passione non durò, quindi egli decise di continuare il suo cammino. Davanti a questo cambio di comportamento Kiyohime, provando rabbia ed amarezza verso Anchin, si lanciò al suo inseguimento e finì per trovarlo sulla riva del fiume Hidaka.

Anchin disse al traghettatore di trasportarlo sull’altra riva, ma di non far salire sull’imbarcazione anche Kiyohime. Quando Kiyohime vide che Anchin voleva scapparle, tentò di attraversare il fiume a nuoto. La sua furia era tale che, durante il guado, ella si trasformò in un enorme serpente. Quando Anchin la vide, si rifugiò nel tempio Dōjō-ji, cercando aiuto dai sacerdoti lì presenti, che lo nascosero sotto la campana del tempio.

Tuttavia, il mostro Kiyohime lo sentì ed avvolse colle sue spire la campana. Con la sua coda ne colpì più volte i fianchi, poi sputò fuoco, facendola fondere ed uccidendo Anchin. Compiuta la vendetta Kiyohime si calmò ma non riuscì più a riprendere la forma umana e fu costretta a rimanere per sempre un demone serpentino.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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