Potevo essere io quello che tu aspettavi
e in ogni volto speravi riconoscere;
e temevi sempre arrivasse troppo tardi,
o troppo presto, o da troppo lontano.
E nel silenzio bisbigliavi il mio nome,
che ancora non conoscevi, e mi prendevi
la mano nel buio e ti accorgevi
che non era la mia, perché io ero un altro;
ed ero altrove, e non sapevi dove.
E dicevi: – Domani forse sarà il giorno
in cui chiamare “destino” il mio sogno. –
Ma era domani ormai da troppo tempo;
ed è bastato aspettere l’alba
per vedere svanire anche questa, di illusione.
Non so che posto avesse nella tua vita,
se almeno fosse stata l’ultima.
Io avevo corso tutta quella notte
per arrivare da te, appena in tempo,
a toglierti quel pezzetto di mela avvelenata
da non so quali labbra.
Ma i nostri astri non si incontrarono:
tu mi guardasti senza vedermi,
io ti parlai senza ascoltarti.
E prima che ci fossimo accordati
su quali fossero le regole del gioco,
ci risvegliammo tra i parenti festanti,
mentre ci dicevamo: “Sì, lo voglio”.
“Sì, lo voglio”. Ma cosa?