Un racconto che nasce durante un corso di scrittura tenuto nel carcere di Pisa da Marco Malvaldi e nell’occasione lo scrittore conosce Glay Ghammouri, ex militare tunisino dalla carriera stroncata in patria per motivi politici e detenuto in Italia a causa di un grave delitto. “Per essere autenticamente liberi – racconta Malvaldi – occorre conoscere il carcere“. Così eccoci presi per mano a conoscere le celle, i corridoi, l’ora d’aria, le zone degli assistenti o guardie carcerarie che dir si voglia, la stanza del dirigente, i luoghi di punizione dove volano manganellate oppure serie di pugni di quelli che fanno male ma non rompono le ossa e non lasciano segni. Per fortuna il carcere di Pisa tutto sommato è una struttura serena, tranquilla, dove i detenuti interagiscono tra di loro e con i sorveglianti cercando di trascorrere il tempo senza impicci particolari. Al centro del romanzo un giovane tunisino, laureato, abile broker nel suo paese, in carcere per una reato che non ha commesso ma fuggito dalla sera alla mattina dalla sua Tunisia per una truffa di cui è colpevole. Deve scontare sei anni di carcere grazie ad un avvocato d’ufficio che, nel momento topico del processo, ha preferito pensare alla vacanza con la fidanzata. Rassegnato ma deciso a crearsi un buon ambiente di relazione, tenendo conto dei pranzi garantiti dalle cucine – veramente disgustosi e scarsi – attraverso un sistema interno col quale è possibile procurarsi carne e altri prodotti di buona qualità – a pagamento, ovviamente -, riesce appunto a conquistare la simpatia e l’amicizia dei compagni di cella e dell’assistente preposto alla sua area. Ma attenzione: non basta pagare in moneta quei prodotti indispensabili quando a fornirli è un altro detenuto, un boss mafioso che, alla bisogna, può pretendere un sovraprezzo nel qual caso non sarà certo semplice negarsi. Ironico, divertente in perfetto stile Malvaldi.