Una pietra d’inciampo a ricordo di Enrico Richetti, fascista, combattente, ma ebreo e come tale catturato, carcerato, deportato, assassinato in campo di concentramento a Dachau: un monito antifascista

Enrico Richetti (a sinistra nella foto), goriziano, fascista, combattente in Etiopia, ebreo

Quindi: a breve, su iniziativa dell’assessore Jonathan Papamarenghi e della municipalità piacentina, a breve verrà collocata una pietra d’inciampo in via XX Settembre alla memoria di Enrico Richetti, fascista ed ebreo, vittima dei fascisti e dei nazisti.

La notizia, pubblicata da Libertà sabato 27 novembre, ha subito provocato la protesta in facebook di Alberto Esse: “un affronto a Resistenza ed ebrei!“.

Volergli dedicare una pietra d’inciampo è un’offesa per tutti quegli ebrei che non accettarono di diventare fascisti e che furono vittime delle leggi razziali ed è un’offesa alla Piacenza antifascista e partigiana“.

Due affermazioni che capisco ma, pur senza polemica alcuna, non ritengo di condividere, come ho scritto in una lettera della quale Libertà ha dato conto in un articolo pubblicato il 30 novembre scorso.

Ma innanzitutto vediamo cos’è una pietra d’inciampo.

Le pietre d’inciampo sono un’iniziativa dell’artista tedesco Gunter Demnig per depositare, nel tessuto urbanistico e sociale delle città europee, una memoria diffusa dei cittadini deportati nei campi di sterminio nazisti. L’iniziativa, attuata in diversi paesi europei, consiste nell’incorporare, nel selciato stradale delle città, davanti alle ultime abitazioni delle vittime di deportazioni, dei blocchi in pietra ricoperti da una piastra di ottone posta sulla faccia superiore.

L’iniziativa è partita a Colonia nel 1992 e ha portato, a inizio 2019, all’installazione di oltre 71 000 “pietre”. I blocchetti si possono trovare in quasi tutti i paesi che furono occupati durante la seconda guerra mondiale dal regime nazista tedesco. Finora solo l’Estonia, Bielorussia e alcuni paesi balcanici non hanno aderito al progetto. In Italia le prime collocazioni sono avvenute nel gennaio 2010 a Roma e oggi ne contiamo più di mille collocate in 15 Regioni e 53 Province, compresa la nostra (ne troviamo a Carpaneto – alla memoria di Markus Nichtberger – e a Castel San Giovanni – alla memoria di Tina Pesaro -).

La memoria consiste in una piccola targa d’ottone della dimensione di un sampietrino (10 × 10 cm), posta davanti alla porta della casa in cui abitò la vittima del nazismo o nel luogo in cui fu fatta prigioniera, sulla quale sono incisi il nome della persona, l’anno di nascita, la data, l’eventuale luogo di deportazione e la data di morte, se conosciuta. Questo tipo di informazioni intendono ridare individualità a chi si voleva ridurre soltanto a numero. L’espressione “inciampo” deve dunque intendersi non in senso fisico, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino e si imbatte, anche casualmente, nell’opera.

Le pietre d’inciampo vengono posate in memoria delle vittime del nazismo e del fascismo, indipendentemente da etnia e religione. La prima, ad esempio, fu posata a Colonia in ricordo di mille tra Sinti e Rom deportati nel maggio del 1940.

La storia di Enrico Richetti, fascista, ebreo, catturato dai fascisti , deportato e assassinato dai nazisti a Dachau

Detto questo, chi era e quale la storia di Enrico Richetti, goriziano, fascista, ebreo, ufficialmente commerciante di macchine da scrivere nella nostra via XX Settembre con attività in un negozio che era all’altezza dell’attuale bar Italia (ed è proprio di fronte al bar che verrà collocata la pietra d’inciampo).

Nel 1935, nonostante l’adesione al P.N.F., esprime critiche nei confronti dell’invasione in Etiopia ma questo non basta a fargli abbandonare la fede nel fascismo nonostante sia espulso dal Partito e perda l’impiego trovandosi costretto a lasciare Rovigo per Ferrara prima e Bologna poi dove insegna in scuole private. Tuttavia il 18 febbraio 1936 indossa la divisa militare e s’imbarca per l’Etiopia per dimostrare la propria fedeltà al fascismo. Ritorna in patria, dopo aver ottenuto il grado di Tenente, a novembre per problemi di salute.

Nel 1939, dopo l’approvazione delle leggi razziali antiebraiche, arriva a Piacenza e appunto lo troviamo nel negozio di via XX a commerciare macchine Everest ma si tratta di una copertura garantita da conoscenti piacentini: infatti nessuno sospetta le sue origini che lo renderebbero un reietto perseguitato dalla dittatura dei fascisti (nelle file dei quali era rientrato a pieno titolo).

Purtroppo, all’indomani del settembre 1943, commette un errore: parte in treno per raggiungere il Sud dove già sono due suoi fratelli al servizio degli Alleati e dove potrebbe sentirsi al sicuro tanto dall’invasore tedesco quanto dai fascisti repubblichini della Repubblica Sociale Italiana. Purtroppo con non poca superficialità e ingenuità sottovaluta i suoi compari di Partito e i diktat razzisti e violenti voluti dal “Grande capo al comando“, l’Uomo Forte, il Duce. Si considera al sicuro grazie alla sua sostanziale adesione ideale al regime e per l’aver servito Mussolini armi in pugno. Ma non è così. Pernotta in albergo a Firenze e si registra con nome e cognome così evidenziando le sue origini.

I Fascisti lo arrestano, poco importa il fatto che sia uno di loro, che sia un combattente per assecondare il sogno del “capo“, l’Italia che ritorna imperiale come ai tempi della Grande Roma. Nell’estate del 1944 ritroviamo il Richetti in carcere, in Vicolo del Consiglio 12 nella nostra Piacenza, in attesa di essere consegnato alle SS dei Nazisti. Verrà deportato ad Auschwitz e da lì a Dachau dove, come migliaia di altri ebrei, viene assassinato.

Perchè il fascismo non distingue, resta non solo una dittatura che teorizza come principio l’uso della violenza e della repressione di ogni forma di dissenso o comunque nei confronti di quanti vengono indicati al popolo come ‘nemici’ da emarginare e perseguitare (socialisti, comunisti, pacifisti, ebrei, zingari). In pratica la filosofia e la cultura di un regno dell’odio contro i non allineati e soprattutto contro chiunque invochi una libertà personale individuale che prescinda dalle ragioni “indiscutibili” del regime e dell’uomo forte al comando (leggi qui).

Quindi, io penso e ho scritto, quella pietra in via XX Settembre, a ricordo di un fascista assassinato dai suoi stessi compari di fede politica, sarà un monumento a forte impatto antifascista e antinazista, dalla parte di tutti i perseguitati da quei regimi di odio e di violenza, un monumento di monito avverso a quanti ancora oggi, come Richetti, ingenuamente coltivano l’illusione di poter credere nell’uomo forte al comando e in una cultura e filosofia politica che teorizza la violenza come metodo di repressione di ogni forma di dissenso, di distinguo, contro ogni forma di diversità.

Il testo della mia lettera inviata a Libertà di distinguo dalla posizione – che pure capisco – dell’amico e compagno Alberto Esse:

Ritengo che quella pietra rappresenterà un ulteriore monumento antifascista, ovvero il ricordo simbolo di quello che fu la dittatura nazifascista che, per razzismo ed odio nei confronti degli ebrei non esitava a condannare alla deportazione e alla morte in un campo di concentramento anche un convinto sostenitore del Duce, di Mussolini.

Ricordando infine un dettaglio: le pietre d’inciampo hanno valore inclusivo, ricordano la ferocia dei regimi razzisti fascista e nazista, ricordano tutti gli ebrei assassinati nei campi di concentramento e sterminio: rappresentano un monito e una condanna dell’orrore di quelle ideologie

In quel 1944 si trovavano reclusi in Vicolo del Consiglio 12 in attesa di essere assassinati nei campi di concentramento Tina Pesaro, Enrico Richetti, Markus Nichtberger con i figli Dina e Bob e la moglie Susanne Wormann. Moriranno tutti nei Campi di concentramento nazisti di Auschwitz-Birkenau e di Dachau. Castel San Giovanni ha dedicato una pietra d’inciampo a Tina Pesaro, Carpaneto a Markus Nichtberger. Ora anche Piacenza ricorda Enrico Richetti, a sua volta vittima di razzismo, della filosofia, della cultura dell’ideologia fascista.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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