“Te lo do io, il part-time”, storie di diritti che si pagano salati e a caro prezzo

Quando, invocando malposti principi prevalenti di efficientismo e produttività, ci si dimentica del bene imprescindibile della qualità della vita e della dignità del lavoratore non ci si può definire governanti nel nome della sinistra democratica

Avvertenza: il lungo racconto che segue, scritto dalla protagonista della vicenda, è stato inviato, mesi fa, ai mass media e alle diverse espressioni del diritto all’informazione, senza ottenere riscontri. Arzyncampo lo pubblica sia pur eliminando i riferimenti al caso concreto per il quale, a quanto risulta, è tuttora in corso un contenzioso legale e sindacale tra la protagonista e l’Ente pubblico interessato. A prescindere tuttavia dalla specificità del caso concreto (e dall’eventuale punto di vista dei rappresentanti dell’Ente), resta in ogni caso un esempio della sempre più diffusa tendenza al disconoscimento dei diritti dei lavoratori in nome di un efficientismo giustificato spesso con la crisi economica e la necessità di salvaguardare una presunta produttività dimenticando che, specie laddove governano i rappresentanti della sinistra, la qualità della vita e il rispetto del lavoratore restano fattori imprescindibili.

Egregio Direttore,
vorrei raccontarle una storia. Non è una favola a lieto fine, neppure l’inizio di una saga quale quella di Harry Potter. E’ la storia di una persona normale, con una vita normale, che purtroppo ha finito col perdere parte della sua normalità a causa di determinate persone e situazioni.
Il tutto comincia nel lontano 1997. La persona in questione, una donna, lavorava e lavora presso un importante ente pubblico della provincia di Piacenza. Vince un concorso per un posto di quarto livello nel lontano 1988. Nel 1996 diventa madre di un bellissimo bambino e dopo il congedo per maternità, nel 1997 appunto, rientra al lavoro. Se non chè, proprio perchè donna e madre, comincia ad avere problemi in ambito lavorativo. La protagonista di questa storia, una volta diventata madre, si scontra con tutta una serie di problemi e situazioni davvero incredibili. Dovendo gestire una vita famigliare basata su di un marito lontano per lavoro ed un figlio di due anni, cresciuto senza poter contare sull’aiuto di nessuno la nostra “eroina” chiede di poter lavorare su cinque giorni, svolgendo comunque un lavoro di statistica e quindi senza contatto con il pubblico, per poter gestire al meglio la propria vita.
 
Ma dal momento della richiesta ecco scaturire una sorta di persecuzione nei confronti della stessa. Cominciano a spostarla da un ufficio all’altro, dicendole che deve fare i turni per coprire tutta la giornata, dalle otto del mattino alle otto di sera. Un amministrativo? Un turno? E per quale motivo? Dopo un anno di alti e bassi e di difficoltà la nostra sceglie di optare per un contratto part-time a 30 ore. Decisione alquanto sofferta questa, perché comporta l’inevitabile rinuncia di buona parte dello stipendio, ma che tuttavia avrebbe dovuto garantirle una certa serenità per la tutela dell’andamento famigliare quotidiano. Guarda caso, svolgendo comunque un lavoro che non richiedeva il contatto con il pubblico, il passaggio a part-time (dovuto per Legge) , le viene differito di oltre otto mesi per problemi, dicono, di carattere organizzativo che l’azienda avrebbe subito a causa della nostra “eroina”.
 
Prima di poter ottenere quanto richiesto viene bersagliata di lettere e telefonate anonime, viene fatta oggetto di frasi offensive da parte di qualche collega e superiore, e molto altro ancora. Quando la protagonista di questa storia capisce che per tutelare la propria salute ed integrità psicofisica deve assoldare un avvocato, lo fa e nel giro di due giorni ottiene quanto chiesto quasi un anno prima, con buona pace di superiori e colleghi. L’avvocato viene pagato profumatamente, lo stipendio viene giustamente ed ulteriormente decurtato, ed inizia così l’avventura del part-time. Ma si sa, coloro che usufruiscono di questo particolare contratto non sono ben visti dal resto dell’umanità.
 
Si narra che i part-timisti godano di una riduzione di orario che permette loro di fare un secondo lavoro in nero, di non fare ore di straordinario, e di quant’altro la mente “malata” di qualcuno riesce ad elaborare. In compenso i part-timisti vengono spesso spostati da una parte all’altra degli uffici fungendo da “tappa buchi”, sono tenuti a disposizione dell’Ente che li usa per svolgere qualsiasi lavoro oltre a non ricevere quei compensi che invece percepiscono gli altri … (omissis) … proprio perchè già privilegiati dal part-time. Il superiore “odia” il part time , perchè ritiene che sia più difficile da gestire, perché è più complicato da utilizzare, perché erroneamente pensa che sia troppo tutelato. Della decurtazione dello stipendio e del blocco della carriera nessuno sa niente e comunque non se ne interessa e non se ne parla.
 
Così la nostra “eroina” sopravvive per qualche anno fino all’arrivo dell’ennesimo “nuovo” superiore. Questa volta si tratta di una donna. Più comprensiva, pensa la nostra, proprio perchè donna con figli.
 
Ma al momento delle presentazioni la “superiora” dice una frase emblematica: “Se c’è qualcuno che ha un contratto part-time o una legge 104, sappia che io odio i part-time e non concedo nuovi part-time nè 104”.
 
Alla “eroina” tremano le gambe, autodenuncia la propria presenza, il suo status ed aspetta evidenti conseguenze. Le quali non tardano a venire. L'”eroina” da qualche anno è stata messa a lavorare all’Ufficio … (omissis) …. Opera dal lunedì al venerdì per sei ore al giorno, dalle otto alle quattordici. Il sabato l’ufficio è chiuso e si effettua un rientro pomeridiano di mercoledì. Il rientro pomeridiano è gestito a turno dalle due colleghe della nostra eroina.
 
Proprio un mercoledì, poco prima che la nostra protagonista vada a casa, viene raggiunta da una telefonata dalla “superiora”. Deve fermarsi lei a lavorare, nonostante la presenza della collega di turno. Non sapendo dove collocare il figlio nel giro di mezz’ora, la nostra si vede costretta a dire no alla richiesta, sapendo che comunque ci sarebbero state delle conseguenze. Che, anche in questo caso , non tardano a palesarsi. Convocazione della malcapitata nel capoluogo provinciale sede dell’Ente, nell’ufficio della superiora, serie di frasi del tipo “potrebbe licenziarsi e lasciare libero il posto per un altro”, “è ora di finirla di fare quello che si vuole dove si vuole”, “se potessi toglierle il part-time lo farei e non glielo concederei mai più”, ed altro ancora. Fine della storia con un trasferimento ad un altro ufficio per oscure ragioni. Così la nostra eroina deve rivolgersi nuovamente ad un avvocato ed al tribunale del lavoro per vedersi tutelata. Altro dispendio di denaro, verdetto neutro perchè nel frattempo la superiora ha rimesso l’eroina al posto di prima. Ma l’eroina sa che ci saranno altre occasioni di …. come vogliamo chiamarle? Divergenze di opinioni? E’ solo questione di tempo.
 
A dare una mano alla superiora arriva l’allora Ministro Brunetta. Il buon uomo decide che le pubbliche amministrazioni possono rivedere i contratti part-time, compresi quelli stipulati prima del 2008, nel rispetto tuttavia del principio di correttezza e buona fede, aggiunge di par suo alla norma, che qualora il dipendente non accetti di diversificare il part-time in essere … (omissis) …, possa essere riportato a tempo pieno. E la superiora comincia a sfregarsi le mani in un profluvio di zolfo. Convoca l’eroina e le comunica che dovrà firmare un nuovo contratto, fissando una scadenza (che prima non c’era), lasciando il part-time a 30 ore, ma stravolgendo l’orario giornaliero: tutti i sabati e il mercoledì pomeriggio. L’incontro si conclude con una frase sibillina: “Lei ha osato trascinarmi davanti ad un tribunale del lavoro …..” lasciando intendere alla nostra che aveva commesso un peccato mortale. E sibillinamente dice anche “non osi chiamare i sindacati”. La nostra eroina, intrepida, non firma niente, si mette nelle mani di un validissimo sindacalista che proprio perché, contrariamente a tutti gli altri sindacalisti, non è dipendente dell’azienda, si da da fare senza timore, per ottenere giustizia, assolda un avvocato, e viene proposto ricorso attraverso il tribunale del lavoro.
 
Incredibilmente il giudice, contrariamente a quello fatto dagli altri giudici italiani sparsi nelle varie regioni, decide che la nostra eroina ha torto, non nel merito però su cui si attende l’esito del giudizio.
 
Nel frattempo l’Amministrazione, nel settembre 2011, delibera che la dipendente, non avendo firmato alcunchè, verrà costretta a ritornare a tempo pieno con l’inizio dell’anno nuovo e lei, stremata, cade in depressione per la terza volta nella sua vita, le viene diagnosticata la Fibromialgia, malattia invalidante purtroppo riconosciuta in tutta Europa come tale ma non in Italia, comincia ad avere extrasistole dovute allo stress, deve fare terapia fisica o comunque ginnastica ogni giorno per evitare guai maggiori dovuti alla malattia, deve combattere contro la stanchezza cronica, ernie cervicali, e tanto altro. Ha attacchi di panico, stati di ansia, rimane a casa in malattia alcuni giorni, lei che di malattia non aveva fatto neppure un giorno negli ultimi cinque anni. Ma le viene fatto sapere che la sua malattia da fastidio e che è meglio la smetta di stare a casa.
 
Al rientro a tempo pieno le viene comunicato il nuovo orario di servizio, ovviamente diverso dalle colleghe con le quali opera, e punitivo rispetto al loro. Di nuovo chiamato in causa il sindacato, di nuovo avvertimento dell’Ente di smetterla di fare storie altrimenti si prospetta un irrigidimento della stessa nei suoi confronti. Poi a maggio una lettera in cui, richiamando una delibera aziendale, viene disposto il ritorno a part-time (probabilmente il tempo pieno costa troppo all’Ente) ma con il solito stravolgimento dell’orario. Addirittura l’Ente sembra arrogarsi il diritto di legiferare, e per di più lo fa andando contro ai più recenti orientamenti giurisprudenziali che ritengono non valido per esempio il cambio di orario senza aver sentito il dipendente, tutto ciò in attesa  che si abbia una definizione del giudizio di merito. La nostra eroina chiede le venga fornita la delibera richiamata appunto nella lettera , nella quale come si diceva, veniva disposto il rientro a part-time ed il conseguente nuovo orario deciso unilateralmente. L’Amministrazione neppure risponde e per questo si riaprono le porte dell’azione legale. Ad oggi ancora non si hanno notizie della delibera in questione  … (omissis) ….
 
Al ritorno a part-time nuovo stravolgimento dell’orario fino ad una definitiva decisione presa il primo settembre 2012. Al 21 dicembre però altro cambio di orario, prolungando la permanenza al lavoro di 1h e 15 min il sabato, che in tempi di spending review è veramente assurdo, visto che il lavoro svolto non ha carattere di urgenza e neppure di salvavita, ma sono solo pratiche burocratiche che possono essere portate avanti normalmente durante la settimana, evitando sprechi come richiesto dallo stato di crisi in cui viviamo.
 
Avanti così , ogni tre mesi bisogna aspettarsi un nuovo cambio di orario, giusto in concomitanza con il variare delle stagioni e quindi degli umori.
 
I sindacati tutti (sei sigle sindacali) chiedono conto del comportamento della superiora , anche a fronte delle segnalazioni di decine di altri dipendenti. L’Ente, tramite un Dirigente, risponde che siccome il servizio funziona, poco importa che i dipendenti vengano a dir loro maltrattati…. Tuttavia i sindacati rimangono ancora in attesa che il Direttore rappresentante legale dell’Ente fornisca chiarimenti circa l’esito di una indagine sperimentale svolta nel marzo 2011 guarda caso proprio in quel settore, chiarimenti che al massimo sarebbero dovuti pervenire entro l’inizio di settembre 2012, impegnandosi personalmente in tal senso….giusto per capire se soffrono tutte di manie di persecuzione o se invece il problema è un altro.
 
Così come si è ancora in attesa venga attivato, nonostante le continue sollecitazioni, il Comitato Unico di Garanzia che prende il posto del vecchio comitato delle pari opportunità e del mobbing … (omissis)….
 
Sono ormai cinque anni che la nostra eroina presenta domanda di trasferimento per un determinato posto vacante … (omissis) …, in cui il responsabile è un’altra persona, ma le è stato risposto che nonostante ci sia effettivamente un posto vacante l’Amministrazione ha deciso di non ricoprirlo. Il motivo di questa decisione non le è mai stato spiegato nonostante ne abbia chiesto delucidazioni a chi di dovere. Forse perchè vorrebbe dire non poterla più perseguitare?
 
Ecco Direttore, le ho raccontato, per sommi capi, una storia. La mia storia.
 
Dopo venticinque anni di servizio, in cui ho dato l’anima per fare bene il mio lavoro, questo è quanto ho ottenuto. La stessa superiora ammette che lavoro molto e bene, e non capisce come mai sia così ingrata nei suoi confronti. Una volta che sono riuscita a metterla alle strette di fronte ad avvocati e sindacati si è rifugiata in un “La sua parola contro la mia”. Quando, nel 2009, chiesi all’allora Consigliera per le Pari Opportunità della Provincia di parlarle, la superiora cercò disperatamente di sottrarsi al colloquio, e una volta messa con le spalle al muro, si sperticò in lodi nei miei confronti. E’ solo che ora, per la terza volta nella mia vita mi confronto con uno stato depressivo indotto da tutte queste cose, mi sento stanca e senza più stimoli. Vorrei cambiare lavoro, vorrei riuscire ad andarmene da un Ente che mi ha spremuto fino alla buccia, tredici anni di sportello a contatto con la gente, mi creda, sono veramente pesanti, perchè pensare di passare altri quindici anni in questo modo mi fa vedere un futuro senza speranze. Ormai Direttore dovrebbe conoscermi, … (omissis) …. Odio le ingiustizie, cerco di combatterle, nel mio piccolo. Ma così tanti anni di “persecuzioni” mi hanno segnato. E non ce la faccio più ad ingoiare tutto come ho fatto fino ad ora. … (omissis) …  Cordialità.

[ Nota pervenuta via mail debitamente sottoscritta ]

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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