Roma città bella, “sono incinta, porca troia”, urla la ragazza pressata dalla folla in salita sul metrò a Termini


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Roma, 11-13 ottobre, via S,Pietro in Carcere, non date fuoco a Nerone

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Tra il 1989 e il 90 per otto mesi ho passato una settimana al mese in formazione manageriale, a Roma. Scuola superiore di pubblica amministrazione, una sigla altisonante che naturalmente sottintendeva un business di rilievo. Con tanto di patrocinio del Ministero e quota d’iscrizione faraonica. Docenti da leccarsi i baffi, per fortuna spese a carico dell’ente datore di lavoro. Lezioni in villa in zona Eur, città voluta dal Regime, portici altissimi, quadrature geometriche dell’architettura, strade a grandi dimensioni adatte alle parate di un esercito da burletta, quello che Mussolini ha mandato al massacro in Grecia, in Yugoslavia, in Libia ed Etiopia, milioni di baionette da lanciare nella mischia con le suole di cartone.  Città orgoglio e simbolo del fascismo dei fasci littori e delle aquile con le ali protese al cielo. Nel ventennio ma non da meno in quel finire degli anni ottanta, con la Lazio di Chinaglia a vincere lo scudetto, il braccio alzato nel saluto romano. Eia, eia, alalà, la Roma anima nera eccola qua. Il primo giorno dell’arrivo, domenica, sceso dal treno, preso il metrò, 20 minuti circa sottoterra, all’uscita era già buio. Alla ricerca dell’albergo lungo vie secondarie, grandi stradoni deserti e silenti. Manifesti neri inneggianti alla Repubblica Sociale Italiana, al fu Giorgio Almirante e al suo degno erede Gianfranco Fini. Morte ai comunisti, boia chi molla, Craxi ladro, ci piace di più Andreotti a testa in giù, un illeggibile manifesto di Democrazia proletaria, completamente imbrattato di vernice come a negarne l’esistenza. Alle mie spalle, dietro l’angolo della costruzione quadrata che seguivo, il rimbombo di passi sui marmi del porticato. Senso di disagio, sottile stato di paura, se fosse una banda nera? Ricordo. Ho cambiato direzione, allungando il percorso per raggiungere l’albergo. Mattina dopo. Per arrivare alla villa del corso, dovevo attraversare un ponte. Stupore nel notare, sotto l’arcata, la casa di cartone di un barbone. Con un fornellino da campeggio scaldava il caffè. Non me ne ha offerto. Però ha urlato di dargli mille lire, più di quanto costasse il caffè al bar. A Piacenza un caffè mille lire, nella città eterna 900. Finita la settimana, rientrato a casa, aprendo la valigia ho trovato la chiave della stanza dell’albergo con tanto di pomello. Ancora mi riprometto di restituirla, ma in zona Eur a dormire non sono più tornato. “Moro ammazzato dal PCI”, una scritta rediviva dopo tanti anni. Firmato “Nucleo Stella Rossa”. Come si distinguono, destra e sinistra? Roma, mille città nella città.

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Roma, 11-13 ottobre, via S.Pietro in carcere, Roma città bella

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La scalinata di piazza di Spagna era famosa per le canzoni cantate dai figli dei fiori seduti sulla scalinata degradante. Nelle leggende dei racconti di chi era stato nella città eterna tra gli anni sessanta e i settanta. Altri tempi. In quel 1990 niente provos, solo turisti con i piedi a mollo nella barcaccia. Di rigore la passeggiata in via Condotti, meta e punto di riferimento d’obbligo per la raccolta delle firme indispensabili per la partecipazione diretta. Presenza fissa il tavolo dei radicali di Marco Pannella che, qui a Roma, raccoglievano fino al 7,5% dei voti. Ma niente a che vedere con la ressa attorno al banchetto allestito contro il ticket introdotto dal governo del socialista Bettino Craxi sui ricoveri ospedalieri. Mobilitazione del grande Partito di massa che stava esalando gli ultimi respiri. Crollato il muro di Berlino, a breve sarebbe crollato anche il più grande partito comunista dell’occidente, il P.C.I., ma sul ticket ospedaliero il successo era straordinario e il governo ritirò il provvedimento. Forza della piazza romana. Ancora oggi il ricovero non si paga. Però se prenoti una gastroscopia l’appuntamento può arrivare dopo tre mesi, in qualche caso sei. Pagando la bella cifra di € 200,00, la settimana dopo. In via Condotti, niente più banchetti, trionfo definitivo dell’edonismo, la partecipazione non interessa più, chi può paga e gli altri zitti. Caduto il muro di Berlino, in quel 1989 al semaforo nei pressi di Santa Maria Maggiore suscitavano stupore quei due giovanotti che, scattato lo stop del rosso, assaltavano le auto lavando il lunotto anteriore. Poi chiedevano la giusta paga, 500 lire. Erano polacchi. Ingegnosi. Presto si sarebbero moltiplicati come funghi, avrebbero invaso tutte le città della Penisola, ben sostenuti da altri in arrivo dai paesi dell’est finalmente liberi. Liberi di vivere nel disagio nel BelPaese, accampati in vecchie fabbriche abbandonate, anziché nel disagio nel loro Paese.

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Roma, 11-13 ottobre, lentamente, silenziosamente quelle nuvole s’avvicinano

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Inevitabile la serata a Trastevere, a mangiare all’aperto in una piazza che non saprei ritrovare. Con Massimo, di Guastalla, oggi capo del personale credo a Reggio Emilia. Gnocchetti alla trasteverina, saltimbocca, carciofi alla giudea. Il tutto, naturalmente, innaffiato di buon vino dei castelli. E sa sum ciuc purtim a cà, si cantava ad un tavolo, ma che ce frega ma che c’importa se nel vino c’è dentro l’acqua, oste versaci da bere, familiarizzavano dal tavolo a fianco, e la gigiotta in dal canal e la gigiotta in dal canal cul gambi verti, scendeva la china alzando gomito e bicchiere la compagnia dell’ultima tavola. Roma opportunità di familiarizzare tra stornelli e suonatori di violino. Il dramma quando, verso le ventitre, ci si decise al tentativo d’alzarsi. Fallito, con rovinoso crollo sulla panca e, a quel punto, vai, via a bere acqua minerale. Le difese abbassate, nemmeno la forza di negare mille lire al cinesino che rifilava una rosa per la compagna ci fosse o ci sarà. Due bottiglie di siberiano liscio e finalmente, passata la mezzanotte, sostenendoci a vicenda, la lunga marcia per il ritorno all’albergo. Giunti in piazza Repubblica, incrociando una ragazza in tiro, gambe lunghe avvolte nei collant di marca, appena arrivata in città con il trollei al seguito, “sei bella come un raggio di questa luna”, la frase d’accompagno al gesto d’offerta della rosa. Sguardo assassino come dire stai lontano cretino. Poi il ripensamento, già allontanata, ritornò sui suoi passi, un sorriso, “grazie”, colse la rosa e mai più la rivedemmo. Ma quel sorriso, come dimenticare quel sorriso? Roma città d’amori, di sogni, di trasgressione. All’edicola di via Giolitti tre giapponesine, ridacchiando, non si negarono una rivista porno per poi correre verso l’albergo, sicure che i lontani genitori a casa tra le colline del sol levante in attesa di telefonata rassicurante, mai avrebbero saputo di quella scappatella su carta patinata. La mattina dopo le tre ragazzine e centinaia di turisti e impiegati diretti al lavoro negli studi Rai di via Nomentana, tutti insieme a salire sul metrò fermata Termini accalcati in vettura direzione Ottaviano. Il sacro. Dalla fermata Ottaviano, lungo via Ottaviano, si raggiunge piazza San Pietro. Il profano. Sul metrò, superata Barberini, ormai schiacciati come sardine, la mano morta del quarantenne pareva rinascere voluttuosamente immersa tra i glutei della biondina con i seni imperiosi trattenuti a stento dalla maglietta scamiciata. Faceva mostra di nulla, la giovinetta, come se niente stesse succedendo parlava e soprattutto ascoltava l’amica. Eppure, ogni tanto, un leggero quasi impercettibile sobbalzo nella voce mostrava che non era del tutto indifferente a tanto maneggiamento. Buona parte dei passeggeri scesero a Flaminio, uscita lato destro, zona piazza del Popolo. Comprese le due ragazzine, la biondina decisamente accaldata e l’amica un po’ stupita da quell’espressione vagamente ebete, gli occhi da triglia lessa. Il quarantenne, con lo sguardo perso all’infinito, come nulla fosse proseguiva il viaggio, garantendo l’equilibrio, calata la ressa, attaccandosi al passamano.   

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Roma, 11-13 ottobre, complesso del Vittoriale,
mille sguardi per la suora su/realista

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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