Roma la bella, Roma mille città nella città, Roma tutto e nulla, centinaia silenti a salire le scale per uscire dal metrò


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Roma, 11-13 ottobre, zona Tuscolana, fantasia sui nostri muri

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La mia “prima” romana: era il 1978, avevo spento 24 candeline, imperversava una personale crisi da studio universitario paralizzante, s’imponeva la ricerca di un lavoro per non finire “bamboccione”. Non ricordo come avvenne il primo contatto, sta di fatto che quelli della B.N.L. mi avevano selezionato per la prova finale che si sarebbe svolta in Roma. Prospettiva? Ragioniere, con posto in banca! I giochi erano sostanzialmente fatti, dopo le prime prove svolte a Piacenza eravamo rimasti in 4 per 4 posti. Mi accompagnavano mamma e papà, un lungo viaggio in treno, se non ricordo male oltre 6 ore di sferragliamento, nulla a che vedere con le circa 4 di oggi, tempi di alta velocità. L’impatto, per me ragazzino della piccola modesta provincia, fu da stordimento. L’enorme stazione Termini, le grandi strade percorse da fiumi di veicoli rombanti, la puzza di smog, le mura e i palazzi antichi sporchi, le palme asfittiche, i muri pieni di scritte, gli autobus scatole di sardine con i passeggeri nel ruolo dei wurstel schiacciati tra le due fette di pane tostato. Una prova d’esame ad esito già definito, 4 candidati per 4 posti: non so come, riuscimmo ad essere bocciati, 4 su 4! Geni all’arrembaggio! Usciti dalla sede della B.N.L. con mamma e papà non ci siamo negati una passeggiata in un grande parco, forse Villa Borghese. A seguire il pranzo in una trattoria incontrata lungo il cammino, scelta per fatto casuale. Infine di nuovo il bus, il ritorno a Termini, il treno. Si viaggiava gratis, con i biglietti cui papà, capotreno ferroviere, aveva diritto per tutta la famiglia. Per inciso: le Brigate Rosse avevano appena rapito Aldo Moro e dopo poco l’avrebbero ammazzato.

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Roma, 11-13 ottobre, via dei Fori Imperiali, centuriane modello originale

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Bisognava attendere il 1981, credo, per vedermi di nuovo a Roma. Agosto. La laurea finalmente nella bisaccia. Arrivammo sudati per il gran caldo afoso con Dalila in macchina, la vecchia gloriosa Fiat 127 rossa con i vietatissimi fari gialli e il sole che ride in bella mostra sul lunotto posteriore. Nucleare? No, grazie. Vade retro, Three Mile Island! Vecchia, gloriosa "cammellina" segnalata in questura, rossa e sovversiva.  Marzo 1978. All’indomani del rapimento di Moro una pattuglia si lanciò all’inseguimento sulle strade dell’appennino, dalle parti di Pianello. Mio padre ebbe il suo bel daffare a spiegare che l’aveva in prestito, che lui con le B.R. non aveva nulla a che fare e, a ben vedere, suo figlio ne era certo nemmeno. Agosto 1981: l’occasione per ammirare il Colosseo, San Pietro, Fontana di Trevi, piazza di Spagna. Via Fani, dove era stato ritrovato il cadavere di Aldo Moro. In quel punto c’era ancora una bacheca in legno con la foto dello statista, un paio di corone di fiori rinsecchiti e, subito di fronte, gli escrementi di un cavallo transitato trainando la carrozza con turisti danarosi, forse tedeschi, forse inglesi. Dopo molto camminare, stanchissimi, eravamo seduti su una panchina. Avevo 27 anni, Dalila 21 e un paio di shorts rossi, le gambe in bella mostra ad afferrare i raggi del sole inclemente che rimbalzavano sull’asfalto rovente. Un grasso grosso alto imponente frate in saio marrone, un enorme cordone a cingere l’ampia sacca ventrale, iniziò ad esorcizzare, gridando, inveendo, urlando, brandendo la croce, “vade retro Satana!”, contro il degrado dei costumi, contro la vergogna della carne mostrata, contro i costumi ormai sempre più indecenti, vergogna, vergogna, vergogna, uomini siete cenere e cenere tornerete. In viale dei Fori Imperiali ci siamo fermati ad ammirare il modellino in lega di metalli poveri d’una antica biga romana. Siete italiani?, disse l’ambulante, “lasciate stare, signurì, nun fa per voi!” Paccottaglia per tedeschi, americani e giapponesi. Solidarietà all’ombra del tricolore.

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Roma, 11-13 ottobre, Colosseo for sale

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Hotel Ergife, raggiunto direttamente dal grande anulare. Lungo viaggio in auto da Piacenza con altri compagni del grande piccolo Partito, mezzi anni ottanta, avevano suonato a raccolta le campane per annunciare l’adunata, bisognava essere in tanti per non lasciare il garofano nelle mani di Bettino Craxi, il tedesco milanese che voleva imporsi cancellando la sinistra troppo tenera con i comunisti, la sinistra che sognava la sinistra unita per l’alternativa mandando a casa Forlani, Andreotti, il pentapartito. Enorme la sala convegni, da riempire per la gioia dell’occhio televisivo pronto a documentare la rivolta contro il traballante segretario nazionale. Velluti e tappeti rossi, banco ricolmo dei libri di storia del socialismo degli albori, da Costa ai fratelli Rosselli, da Prampolini a Matteotti. Grandi applausi al passaggio del compagno Riccardo, Riccardo Lombardi, riconosciuto capo della corrente. Gianni DeMichelis da Venezia stava già maturando l’idea di transitare con Bettino, regalandogli il governo del Partito fino agli anni 90, fino alla sepoltura da corruzione e malaffare. Trame nell’ombra. Velluti e tappeti rossi, ma nelle camere a nostra disposizione le tv non funzionavano, i frigo erano vuoti, i cassetti dei comodini attaccati con lo spago. Pagava il Partito. Frontali di cartapesta, molta apparenza,  luogo di rappresentanza adibito a riprese televisive, villaggio fantasma, prolungamento degli studi finti di Cinecittà. Roma finzione e realtà. Politica dell’immagine, Berlusconi già sogghignava dai cantieri della Milano 2 in costruzione, quella sinistra non riusciva a sviluppare un modello alternativo. In serata a consolarsi alla Trattoria dell’Orso bianco. Ospite di rango il compagno Valdo Spini da Firenze.  All’uscita l’amara constatazione, l’auto del compagno Domenico Barbieri, geometra, con due bozzi nuovi, uno sulla portiera sinistra, l’altro sul centro del cofano anteriore: sarà forse che cadessero dall’alto, questi romani?

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Roma, 11-13 ottobre, via dei Fori Imperiali, passanti con calma

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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