“Penelope torna a casa”, racconto di Ottavio Torresendi premiato al Cuncertass, 1° maggio 2013 a Sant’Antonio (Piacenza)

Madness in music, olio su tela opera di Rusp@ (Gianni Ruspaggiari di Castelnovo di Sotto)

Forse era la prima volta che aveva a disposizione una briciola di pane, o forse no. Forse altre briciole, o resti di altre cose commestibili, erano il motivo della sua presenza ai piedi di questo muretto consumato dalle stagioni. Adesso però per lei non era più tempo di ragionare su quell’inatteso regalo. Adesso era il momento di tornare a casa. 
Anche per me poteva già essere l’occasione di tornare. Anch’io avevo avuto un regalo. Un contratto firmato senza una faticosa trattativa o inutili tentennamenti o sconti concessi per sfinimento.

Invece ero lì a guardare una piccola formica, seduto su un muretto in una strada alberata di campagna, con un panino “cotto e formaggio”.
Di solito contratti come questo finivano con un invito a pranzo di rigore. Ogni diecimila euro cresceva il conto, l’importanza del ristorante e l’annata del vino.
Oggi no. Oggi era il giorno delle cose impreviste.
Forse alle Trancerie Vallisa bastava un prezzo adeguato e la certezza delle consegne, oppure il signor Vallisa aveva la gastrite, o anche lui come la mia formica aveva una casa che lo aspettava a pranzo.
Intanto Penelope aveva ormai coperto un tratto di sentiero considerevole. Nella follia che intanto si era impadronita della mia pausa pranzo, avevo deciso di darle anche un nome. Penelope mi era sembrato un nome adatto.
Solo grazie alla briciola bianca riuscivo a distinguerla, mentre si allontanava sempre di più. Forse adesso accanto a lei c’erano altre“penelopi” che la scortavano con quel carico prezioso.  Chissà se quando una formica porta un regalo importante le stringono la mano congratulandosi, ma le augurano le cose peggiori.
Con me lo fanno, quando sanno che ho concluso un contratto.  Che l’invidia sia solo degli esseri umani?
Il sole adesso aveva raggiunto il muretto, superando la fronda del gelso messo a protezione. Anche la mia auto aveva perso l’ombra del viale dove l’avevo parcheggiata. Per fortuna la distanza fra noi m’impediva di sentire squillare il cellulare e di rispondere. Tutte le telefonate mi avrebbero chiesto del contratto, ma purtroppo nessuna mi avrebbe detto –Torna a casa-.          
Che restasse a suonare!
Quei pranzi al ristorante forse erano stati più utili a me che alle pubbliche relazioni.
Mi avevano impedito fino ad oggi di sedermi su un muretto a guardare una formica, di trovarle un nome, di scordare volontariamente il cellulare e di pensare alla mia vita. Avevo perso anche la fame, ma quella sicuramente era colpa del “cotto e formaggio” di cui si faceva fatica a capire qual era il “cotto” e quale il “formaggio”.
Prima di andarmene potrei lasciare altre briciole di questo panino, che sembra avere più estimatori nelle formiche che negli esseri umani. Ma non lo farò.
Anzi, rimetterò con attenzione tutto dentro il suo sacchetto, compreso il tovagliolo in cui hanno avvolto quei quattro euro di pane imbottito.
Voglio che Penelope faccia una grande figura. Voglio che chiunque delle sue compagne, che per imitazione verrà fino a questo muretto, trovi semi o qualunque altra cosa commestibile, ma non una briciola di pane.
Voglio che la sua tenacia abbia un riconoscimento, un piccolo momento di gloria. Lei una cosa oggi l’ha insegnata a me.
Mi ha fatto capire che bisogna avere una casa per aver voglia di cercare una briciola.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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