“Non condivido la scelta di Laura Boldrini. La rispetto, ma non mi convince”, commento di Arturo Scotto, esponente di LEU

Laura: “Entro nel PD, voglio fare la mia parte nella costruzione di una grande forza popolare”

Non condivido la scelta di Laura Boldrini.
La rispetto, ma non mi convince.
Ho sempre sostenuto che la segreteria Zingaretti, pur tra scelte contraddittorie, rappresentava una novità politica rispetto agli anni precedenti.
Innanzitutto nello stile, nel modo di intendere la politica e nei rapporti con gli alleati.
Non appartengo a quella sinistra che mette sullo stesso piano il Pd renziano e questo nuovo corso.
La capacità di distinguere, di separare il grano dal loglio, è essenziale per evitare di ricadere in una dimensione settaria e autoreferenziale. <br /> Ce lo hanno detto innanzitutto molti nostri elettori, che hanno provato a condizionare le scelte del Pd partecipando alle primarie ed eleggendo Zingaretti.
D’altra parte, quando è stato necessario alle elezioni europee, abbiamo stipulato un’intesa sulla base della comune appartenenza al socialismo europeo.
E lo abbiamo fatto con convinzione e senza paura.
Il punto tuttavia resta sempre lo stesso.
Cambiano i toni, cambia l’atteggiamento, ma la natura del Pd non cambia.
A un partito non si aderisce soltanto se c’è un segretario che dialoga di più.
Perché i segretari passano e i partiti restano.
E il nodo che va sciolto riguarda le forme e l’identità di un partito nuovo.
Non penso che rispolverare la vocazione maggioritaria al tempo dell’illusione dei pieni poteri sia un’idea giusta e vincente.
Piuttosto credo sia da afferrare in maniera decisa la ragione che ha portato ad affermarsi in maniera così debordante una nuova destra: la connessione con i bisogni dei ceti popolari, la capacità di apparire come prossimi alla sofferenza sociale.
Problema che non ha soltanto ovviamente il Pd, ma tutto il campo del centrosinistra.
A sinistra mancano questi ingredienti necessari non solo perché abbiamo programmi deboli e confusi, ma soprattutto perché ci siamo dotati nel tempo di strumenti inadatti a penetrare laddove la destra ha fatto incetta di consensi.
La stagione dei partiti di opinione senza radicamento è finita.
Solo dalle parti del centrosinistra questo assunto stenta ad essere preso in considerazione.
E per farlo non basta un restyling o uno scambio di figurine: prendo la Lorenzin – quella del Fertility day per coprirmi a destra – mentre apro le porte a Laura Boldrini che sostiene esattamente – e aggiungo giustamente – l’opposto.
E con questo ovviamente non metto assolutamente sullo stesso piano, Lorenzin e Boldrini.
Lo abbiamo già visto: la politica del “ma anche” a sinistra ha retto lo spazio di una campagna elettorale nel 2008 per poi rappresentare la benzina principale per l’astensionismo e il populismo.
Le identità non nascono in laboratorio, si misurano nei conflitti che attraversano la società e in processi di sedimentazione più lunghi di una elezione primaria.
Altrimenti si riducono soltanto ad essere pura e semplice circolazione delle elites.
E l’identità del partito pigliatutto ha plasmato negli anni la natura dei Democratici, portandoli naturalmente ad occupare il centro del sistema politico come luogo della neutralità sociale e dell’equidistanza tra i corpi intermedi.
Per questo non comprendo il senso dell’affermazione “meglio un grande partito che uno piccolo” per affermare le proprie idee.
E’ un’osservazione che non fa una grinza.
Non ho mai visto nessuno presentarsi a un’elezione o in un’assemblea pubblica e sostenere: preferiamo restare in pochi.
Lo dico pur sapendo che questo rischio c’è sempre dietro l’angolo.
Non ho mai sopportato la boria di partito, figuriamoci quella di partitino.
Ed essendo consapevole dei rapporti di forza, non mi permetto di dare lezioni dall’alto del 3 per cento che abbiamo preso alle elezioni politiche.
Tuttavia, tengo il punto politico.
Perché penso che solo con la crescita di una sinistra di governo saldamente ancorata in un campo progressista si verificheranno le condizioni per riequilibrare i rapporti di forza e cambiare il partito più grande che oggi guida lo schieramento.
Il nostro elettorato non sopporta più la frammentazione, le divisioni, i distinguo.
Questo è oggettivo.
Ma non sopporta nemmeno l’indistinto che si fa proposta politica.
E dopo quasi due anni dalla più grande sconfitta della storia della sinistra italiana, in tutte le sue articolazioni, una discussione vera su cosa sia accaduto nessuno l’ha ancora fatta.
Non si supera il renzismo con la rimozione.
Come si fosse trattato di un banale incidente di percorso e non come un possibile epilogo del partito del Lingotto pensato da Veltroni.
Il nanismo della sinistra si combatte se si apre davvero una nuova fase costituente.
Che chiuda con il secolo scorso.
E non mi riferisco a “bandiera rossa”, mi riferisco alla stagione ottimistica della globalizzazione che ha portato un pezzo della sinistra ad accettare il punto di vista dell’avversario.
Ed oggi non puoi essere sinistra di governo se non fai i conti con questa contraddizione.
Per difendere la società aperta e le libertà civili e democratiche devi rispondere alle esigenze di protezione che vengono su dalla parte più debole del paese.
Non basta urlare contro la destra che le attenta, senza fare i conti con la crisi di un capitalismo finanziario che lascia interi pezzi di società ai margini.
E devi dire chiaramente che per respingere la reazione sovranista e neonazionalista ti poni il tema di ridare forza a una politica organizzata che abbia riferimenti sociali chiari e decifrabili.
Gli aggettivi ecologista, femminista e progressista rischiano di risultare poco più che dei richiami morali senza l’aggiunta di un sostantivo che in Italia e’ diventato un tabù, ma che invece sta riprendendo quota in tutto il mondo: socialismo.
Questa svolta non la vedo ancora.
E con umiltà scelgo di non adeguarmi.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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