“Moda e Pubblicità in Italia 1850 – 1950” alla Villa dei Capolavori a Mamiano di Traversetolo

Un’Italia a due velocità: quella contadina dove moda era spesso sinonimo di stracci o di riuso di vestiti già usati, comunque funzionali alle necessità del lavoro o dell’occupazione domestica per le donne. Di converso la realtà delle città dove s’impone la cultura legata alla gestione padronale della fabbrica, alla rivoluzione industriale, alla nascita della borghesia, dove nascono negozi con vetrine che mostrano abiti sfarzosi o civettuoli cappellini affiancati da seri ma comunque curati copricapo maschili.

Erano i nuovi centri del consumo, dove nascevano i grandi magazzini, dai Mele di Napoli alla Rinascente di Milano, edifici lussureggianti traboccanti merci dove ciascuno può scegliere liberamente in base a gusto e disponibilità. Moda e pubblicità diventano così parte dell’immaginario collettivo, di chi può permetterselo e di chi ammira i cartelloni accarezzando sogni irrealizzabili.

Abiti e oggetti (un gioiello, una penna stilografica, un orologio nuovo) diventano i testimoni della propria esistenza e delle proprie diversità e naturalmente il cliente diventa l’oggetto del desiderio da conquistare da parte dei nuovi imprenditori: la concorrenza tra grandi magazzini si fa serrata, occorrono slogan a effetto, creazione e produzione di strumenti promozionali come manifesti, cataloghi illustrati, cartoline, depliants, inserzioni sui giornali.

Di grande importanza poi è il ruolo del cinema sin dal suo avvento: in Mostra alcuni filmati d’epoca evidenziano il cambiamento dei tempi e del costume in una società in sviluppo pur tra alti e bassi.

La moda attraverso la pubblicità si fa sogno collettivo: ecco dunque le misteriose dame fin de siècle proposte nei manifesti dei Magazzini Mele, la cui sontuosa eleganza riflette le ambizioni di una nuova classe borghese in crescente ascesa; ecco le sottili, diafane “donne-crisi” degli anni Venti, che vogliono vedersi finalmente liberate dalla schiavitù dei corsetti e delle stecche di balena, fino alla vigorosa, sportiva e dinamica donna moderna nelle pubblicità degli anni Trenta della Rinascente.

Agli inizi del Novecento le lotte femminili per la conquista di maggiore indipendenza incidono sulla lunghezza delle gonne, sul taglio dei capelli, sui gesti, sul linguaggio del corpo, come incideranno le limitazioni dettate dalle sanzioni economiche all’Italia, a seguito della sua politica coloniale, alla fine degli anni Trenta, dando origine a nuove regole, nuovi vincoli di “decoro” e all’uso di materiali autarchici. I manifesti dunque diventano la rappresentazione di uno status, lo specchio nel quale si riflettono rapidissimi cambiamenti sociali ed economici, umori, tendenze, capricci, sogni.

Se fino agli anni Venti la moda femminile era stata fondamentalmente francese, mentre l’Inghilterra era il riferimento per quella maschile, assistiamo grazie ai manifesti e alle riviste femminili alla nascita di una vera e propria moda italiana svincolata dalla sudditanza ai francesi che ha come riferimento il mondo classico, il Rinascimento, il patriottismo e che in seguito durante il periodo fascista sarà la base della grande moda italiana del dopoguerra.

Insomma, alla Villa dei Capolavori di scena uno spaccato della nostra società che va da fine Ottocento alla prima metà del Novecento con 150 affascinanti opere esposte. Con un cruccio personale: l’essere capitati in un giorno di visite da parte dei ragazzi di diversi Istituti Scolastici (inevitabili l’assembramento e il vociare) e l’imposizione del divieto di fotografare singole opere (comunque bypassata con l’acquisto di fatto divenuto obbligatorio del catalogo).

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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