Luisa Adorno – pseudonimo di Mila Curradi Stella adottato per necessità alla prima uscita del libro nel 1962 e poi mantenuto nel tempo – racconta le vicende del suocero, Prefetto della Repubblica in una Sicilia all’indomani della guerra, e della Prefettessa sua moglie, indimenticabile coprotagonista: miti e riti di una famiglia amorosamente presa in giro con cui l’autrice, giovane toscana, si trova a vivere estati roventi ai piedi dell’Etna. Scene di una vita di provincia e insieme racconto amaro di una Italia burocratica e conformista passata dal fascismo alla Repubblica senza che nulla mutasse negli apparati dello Stato. Tra autobiografia e romanzo Luisa Adorno “scrive soltanto la vita“, ci lascia il ritratto di un’Italia che suscita ironia ma che, alla fine comunque amiamo perché quella comunque sia è la nostra realtà con la quale bisogna imparare a fare i conti. In sintesi: sono gli anni 50 e lei, insegnante toscana di umili origini, legata al mito della Resistenza, incontra a Roma, si fidanza e dunque sposa Cosimo Adorno, figlio del Prefetto Vincenzo e della Prefettessa Anita. Gli Adorno sono siciliani soggetti a ripetute trasferte per via dell’incarico di Vincenzo; ma ovunque vadano la Sicilia la portano sempre nel cuore e nel sangue . E la loro meridionalità (la loro come quella della domestica devota e fedele Concetta – alla quale durante la guerra fu impedito di sposare un indiano, in altre parole un negro -) la esprimono nelle loro fisime, nelle quotidiane e ferree abitudini, nel rigore delle loro credenze e mentalità. Scorrendo le pagine del peraltro breve romanzo scopriamo i personaggi di un paese devoto a un dio minore, dove la deità spetta per prima alla burocrazia e successivamente alla tradizione. Un paese che è costretto al grottesco, specchiandosi nelle proprie brutture e idiosincrasie e che pure alla fine l’Adorno finisce con l’amarlo, riconoscendolo come suo in quanto italiana.