Libero! 22 giorni di ricovero, un caffè al tavolino del bar, il quotidiano locale, la gente che passa, ben ritrovato, mondo.

by Milo Manara

Alle 15.15 circa: la consegna della lettera di dimissione, i saluti di un’infermiera che stacca l’ultima flebo e l’ago in vena, I sorrisi delle due Oss, quella bionda ma sempre formale, quella più affabile, più spigliata. Ringraziamenti e saluti a tutti e tutte. Medici, dottoresse, infermiere, infermieri, la bella ragazzina tirocinante con il caschetto che la fa Regina d’Egitto, come Cleopatra. Senza trascurare le operatrici socio sanitarie, l’unico o.s.s. maschio, Ottavio, dalle letture da far paura (sull’evoluzione della specie di Darwin) capace con il suo senso dell’ironia unito all’innata simpatia di rendere lievi tanti momenti del lungo ricovero. Infine le “ragazze” delle pulizie mattutine a partire da quella con la pelle ambrata (quasi pari alla mia), marocchina, che una mattina non s’è vista: “ma ieri hai preso un giorno di ferie?”. “Ma no, eri tu che dormivi bene, ho solo badato a far piano, per non svegliarti”. Senza dimenticare la splendida Lence (“portatrice di luce”), d’origine macedone, sabato ha fatto l’ultimo turno, mi ha salutato con un grande regalo: restando a distanza di sicurezza, sulla porta della stanza, si è abbassata la mascherina mostrandomi il suo più bel sorriso. Facendo sognare il cuore del vecchio lupo mai stanco di ammirare la bellezza femminile e di ricevere dolci amusements. Buone ferie, bella Lence e grazie d’avermi assistito con cura, attenzione, severa professionalità (come del resto tutte e tutti, solo con quello splendido sorriso in più). 22° giorno dal ricovero, nel reparto di malattie infettive, inizialmente in stanza con la simpatica signora Francesca, ottanta e più anni e che ancora lavora nell’impresa di famiglia tutte le notti a impastare la farina, a fare il pane, a preparare focaccia e gustosissime torte. Ora ha cambiato reparto, ma passerò a lasciarle un saluto in panetteria. Poi la mattina del tampone rapido positivo, il trasferimento di stanza in isolamento, il tampone molecolare della sera, negativo, ma il prudenziale mantenimento dell’isolamento (blando): ero comunque infetto da quel batterio, la Klebsiella pneumoniae, mio malgrado assunto in conseguenza delle cure salvavita in rianimazione o in terapia intensiva del marzo 2020 per sopravvivere preso per i capelli al covid 19, batterio ignorato, rimasto dormiente per mesi e mesi e infine a partire da maggio scatenato determinando febbri, tremori, infezioni intestinali, infezione alle vie urinarie, ingrossamento prostatico, calcificazioni alla prostata e, per concludere, potenzialmente potevo trasmetterlo ad altri per cui l’isolamento è proseguito. La cura? 21 giorni d’un mix d’antibiotici “duri“, tipo squadra speciale dei marines americani o dell’armata Rossa o ancora dei nostri ragazzi della Folgore. Immissione in vena tre volte al giorno, alle 9.00, alle 16.00, alle 23.00, per ciascuna 3 ore di durata. Oltre a frequenti prelievi di sangue (mai avuto tanti buchi), emocultura, urotac, urocoltura e via proseguendo. Ma alla fine eccomi qui, al tavolino esterno del bar dell’ospedale, un buon caffè, una bottiglietta di minerale frizzante, sfogliando il quotidiano locale in attesa dell’arrivo di Dalila, libero, a curiosare le facce, i volti, le chiacchiere di chi passa. Un vecchio amico dei tempi lontani delle Superiori, Fausto, con la mamma da poco x5enne. La vita che scorre, la mia vita libera. Ben ritrovato, mondo.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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