“L’estate del Mundial”, quarto romanzo della saga del maresciallo Pietro Binda, di Piero Colaprico, Marco Tropea editore

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Quel 12 dicembre 1969 Cornelio Rolandi, tassista, aspettava in sosta come di consueto in piazza Fontana la chiamata dalla centrale operativa per un nuovo cliente quando vide quell’uomo con la valigetta nera entrare nella Banca Nazionale dell’Agricoltura. Pochi minuti ed ecco lo stesso uomo uscire ed allontanarsi a passo svelto verso piazza Duomo. Senza più la valigetta. Come senza esitazione alcuna nei giorni successivi, chiamato in questura per un “confronto all’americana”, non ebbe alcuna esitazione a riconoscere ad additare Pietro Valpreda, milanese, ballerino, ben noto ai questurini per le simpatie anarchiche e come tale immediatamente prelevato da casa come sospettato per l’esplosione della bomba che aveva provocato 17 morti ed 88 feriti. Era il primo atto della “Strategia della tensione”. Mentre i quotidiani della sinistra, a partire dal socialista “Avanti!” titolavano “la strage è di Stato”, la polizia indirizzava le indagini a senso unico verso gli ambienti e i circoli dell’anarchia. Furono necessari tre anni a Valpreda per riuscire a scagionarsi ed uscire dal carcere.  Stupisce quindi che, qualche anno dopo, Valpreda si cimenti con il racconto delle avventure e delle inchieste condotte dal maresciallo dei Carabinieri Pietro Binda. Lombardo, milanese d’adozione, Binda si muove tra la gente, nelle vie e nelle piazze della Milano degli anni ottanta. Milanese tra i milanesi ovvero per dirla in altri termini, nonostante la divisa un Carabiniere dal volto umano. Sono tre i romanzi che Valpreda scrive con Piero Colaprico:  Quattro gocce di acqua piovana”, “La nevicata dell’85” e “La primavera dei maimorti”. Fino al 2002, quando per l’anarchico Pietro Valpreda scade il tempo terreno. Così Colaprico ne raccoglie il testimone e completa l’opera, la “pizza quattro stagioni”, come la definisce poiché la quadrilogia di Binda si sviluppa appunto dall’autunno del primo romanzo, all’inverno della grande nevicata che nell’85 imbianca Milano, alla primavera della terza avventura fino appunto all’estate del 1982, quando l’Italia si entusiasma di fronte al televisore insieme a Rossi, Tardelli, Altobelli mentre Binda si ritrova ad indagare sulla morta della segretaria di Roberto Calvi, il “banchiere di Dio” e parallelamente coinvolto dal Loris, l’amico anarchico ingiustamente sospettato per la morte di Lavinia, quella che faceva la soubrette, con la quale ha passato insieme la sua ultima serata di vita. Ma non andiamo oltre, si dia spazio alla lettura.

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C’era una volta un grande Movimento, 1968-77

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C’era una volta un Re, / un po’ vanesio invero, /

che avrebbe fatto parlar di sé / per quell’unione fuor di riga / baci appassionati, baci vietati, / violazione del  senso del pudore / giù in strada con signora Contestazione. /

C’era una volta un Re,Sua Maestà il ’68 /

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22 gennaio 1968, il cabaret in Tv

Con spiccato accento tedesco uno sconosciuto Paolo Villaggio nelle vesti dell’improbabile professor Herr Franz Kranz, prestigiatore di Hamburg, bistratta il pubblico, corre urlando come un ossesso per le scale del teatrino TV, non azzecca mai un gioco, ogni tanto urla “chi fiene voi atesso?”  e promette al pubblico in premio un cammellino di peluche. Indice di gradimento deludente e decine di lettere sdegnate. Ma ben presto “Quelli della domenica” saprà imporsi e, oltre a Ric e Gian e Lara Saint Paul, gli italiani sapranno attraverso le canzoni non sense degli esordienti Cochi e Renato che “la gallina non è un animale intelligente, lo si capisce da come guarda la gente

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Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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