“La musica delle onde”, racconto di Raffaela Ruju, narrante in Trieste

Fog, oil on canvas by Annamaria Saviano

Una notte ha solo poche ore e un buio lungo e profondo come il tempo che mi resta. La notte si snoda in due punti come fosse una piccola isola da attraversare. C’è il punto ovest dove nascono le ossessioni e il punto est, dove le stesse tramontano. Il panorama che si può osservare in queste notti di delirio è irto e scosceso, i piedi sanguinano mentre camminano sugli scogli appuntiti dell’anima. Sulla vetta dell’isola s’impone alla memoria ogni sorta di umiliazione. E’ un tempio dedicato alla memoria antica, quello che mi guarda con la sua mole imponente. Quanti sono i gradini che stanotte dovrò affrontare prima che arrivi il sole a chiudere il conto con l’oscurità? Raggiungere la cima della collina e aspettare che gradino dopo gradino arrivino i pensieri buoni, e penso al tempo in cui sulla collina crescevano alberi rigogliosi. Pensieri sempre nuovi. Proprio in questa stagione mi piaceva aspettare il suono dell’alba e poi camminare nel verde brillante della primavera. Mi piaceva raggiungere la riva del mare camminando piano per assaporare meglio il suono delle onde. Mi vedo raccogliere le alghe con le dita dei piedi e spostare le pietre che mi si aggrappano alle gambe incastonandole di sabbia e calore. La rena che mi prende la testa la posso ammirare sulla splendida riva che scorgo dall’altra parte dell’isola. Il mare si sta facendo pregare e non vuole saperne di ritrovare la calma. Mare di parole, angosce e disperazioni. La notte si sta sparpagliando ovunque e gli occhi si stanno annegando in un nero fluido che non mi fa vedere nulla. Gli alberi sono spariti e anche il mare adesso sembra un luogo troppo lontano. Alla mente chiedo di ricordare solo le cose belle. Chiamo a gran voce la vita che pian pianino mi sta abbandonando. Vedo una ragazza con i capelli cortissimi e mi sembra di riconoscerla. Il piacere di cercare di soddisfare una piccola curiosità distoglie per un attimo l’attenzione dall’incubo. Mi capita raramente di addormentarmi con facilità. Quando accade, vuol dire che c’è calore di carne alla mia destra. Oggi alla mia destra c’è il vuoto. La ragazza è seduta per terra e fa scorrere la sabbia tra le dita. E’ una cosa che le persone fanno spesso quando vogliono zittire i pensieri. Le vedo le nubi che si stanno avvicinando. La ragazza mi guarda prima di sparire dietro le nuvole. Accenna un sorriso e scompare inghiottita dal bianco ovattato del tempo. La notte domina il pensiero, il buio è sovrano assoluto e la luce sembra una cosa troppo lontana. Non basta una corsa e non serve nemmeno prendere un treno. Il silenzio sta invadendo ogni cosa. Voglio raggiungere il tempio in cima alla collina dove la gente prega seduta per terra. Decido di scrivere ogni cosa, lasciare un testamento d’amore e invece scrivo quello che mi passa per la testa. Voglio essere odiata, e scrivo per non aver rimpianti e perché lui non mi rimpianga. Dovrà odiarmi! Devo lasciare le cose al loro posto prima d’incamminarmi verso il tempio. Prima che la notte cessi di esistere, prima che il mare si schiarisca riempiendosi di chiacchiere e vita. Seduta sul primo gradino una bimba sbuccia piselli con il pianto negli occhi. Vuole andare a giocare e guarda la bambola di Angelica sdraiata accanto a lei. Vorrebbe pettinarla, prima che Angelica torni e se la porti via. Lo sento il vento che soffia e sento lo scricchiolare delle imposte socchiuse. Le donne di casa non vogliono che il sole scaldi le pietre di casa. La ciotola ha tanti pallini verdi che profumano di piselli. La bambina sgrana i baccelli e ha la camicia bagnata di lacrime. Angelica ha ripreso la bambola e lei non ha potuto giocare. Odia sua madre che la fa sempre lavorare e vuole morire.Io continuo a iniettare parole odiose. Invio. Il piede continua ad andare. Arrivederci! Una parola che mi sta martellando. Arrivederci! La ragazza ha i capelli corti e le mani piccole. Legge un libro troppo grande. Anche lei sale le scale per andare a pregare nel tempio. Vorrei raggiungerla e scambiare quattro parole. Lei si gira e mi guarda. Intuisco il colore degli occhi dalle lacrime scure che sgorgano copiose dalle pagine del libro. Scappa dalla sua fragilità e non sa dove andare. Io scrivo per dimenticare la disperazione. Invio!Altra iniezione di cattiveria, le scale della disperazione adesso posso percorrerle con leggerezza. Una processione di donne sale le scale. Mancano solo pochi scalini. Sono troppo vicina alla porta. Esco per entrare per sempre nel cuore della notte. Mi allontano dalla città e mi lascio alle spalle i rumori. Dalla spiaggia vicina arriva un rumore di vita mentre io ho una gran fretta di raggiungere il vuoto. Mi allontano correndo. Da tutto.Il mare di notte sembra possa inghiottire ogni cosa. Io mi attardo nel mio capodanno d’amore. I piedi assaggiano il freddo dell’acqua. M’immergo tra le braccia di due piccole onde. Mi allontano da tutto nuotando piano.Mi sono risvegliata su una spiaggia di sassi. Lui aveva una preoccupazione sincera negli occhi. “Signora mi sente? ““Signora?“ Non si è accorto che ho aperto gli occhi. “Ha bevuto tanta acqua salata, si sente bene?” Il nero si sparpaglia negli occhi mentre il cielo schiarisce. Da qualche parte il sole sta nascendo. Non ho mai raggiunto l’ultimo gradino di pietra. La mia isola è scomparsa nel nulla.“Ha rischiato di annegare, come si sente?”“ voglio andare a casa” rispondo con un filo di voce. “Se la sente di guidare, si sente bene?”“ Non ho mai guidato” dico a me stessa. “L’accompagno!” L’uomo ha una voce buona. Mi passa una bottiglia d’acqua frizzante. “Sorseggi piano, le farà bene” Anche lui forse è stato una volta in quel tempio. Anche lui aveva sbagliato. “Vuole andare in ospedale?”“Voglio andare a casa!” Mi accompagna guidando piano e in silenzio. Non accende la radio. Lui ascolta il silenzio e capisce senza dire una sola parola. “E’ dolce, grazie!”“Dopo tutto quel sale c’è bisogno di dolcezza!” Io mi guardo le mani e piango in silenzio. Lui rispetta le mie lacrime e non chiede. Mi saluta sulla porta e mi chiede se ho ancora bisogno di lui. Io gli chiedo il suo nome. “Raffaele, e lei?”“Sono Giulia” m’inventai un nome qualunque sulla porta di casa. Non lo guardo andare via e non ho preso l’ascensore. Il suo asciugamano mi copre le spalle. Non potrò mai restituire la spugna che venne dal mare. Guardo la posta. Non mi ha risposto. Ho guardato la morte con gli occhi della disperazione. Mi lascio trasportare dalla freddezza che sta insorgendo sulla mia pelle. Ho i brividi. Aspetto per due giorni una parola. C’è il nulla che si muove tra le mura di casa. Cancello le lettere, cancello tutte quelle parole. Voglio stare in silenzio. Reset! Raccolgo le carte e inizio a fare le pulizie in casa. Chiudo le finestre, spengo la radio e mi allontano per sempre dalla bambina che sgrana piselli e da quella che corre, con un libro troppo grande per le sue piccole mani. La notte è tramontata ad est. Reset. Per sbaglio ho cancellato anche il cuore. Adesso devo rimuovere il male che mi sta divorando.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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