Il compito della rassegna/ispezione
toccava all’Ispràvnik, il Capo Distretto;
accompagnato dal farmacista fecero un giro
lungo la fila dei condannati. Gli orsi
non erano del tutto tranquilli: la folla enorme,
gli strani preparativi, quell’insolito ammassamento
di loro in un solo posto, gli attaccava
un grande stato di eccitazione; si agitavano
nelle loro catene, sordamente ruggivano.
Il vecchio Ivan stava presso il suo enorme
orso cieco da un occhio. Su, vecchio
- disse l’ Ispràvnik – tocca a te cominciare.
Nella folla di spettatori si fece un silenzio mortale.
Disse il vecchio Ivan: Tra un anno compirò
novant’anni e in tutto il campo non c’è fiera
vecchia come la mia. Non pensavo che sarei giunto
a un tale dolore … né che tu, mio Potàp,
avresti tanto a lungo campato. Dunque ci tocca
questo destino, che ti devo uccidere di mia mano,
te, mio sostentatore e benefattore!
Ora staccatelo, mettetelo in libertà;
non fuggirà. Io e lui, vecchi non possiamo
sfuggire alla morte, ma non voglio ucciderti
come un bruto alla catena. L’enorme fiera
venne slegata; si sedette sulle zampe di dietro,
e si dondolava da una parte all’altra, respirando
con grande fatica; l’orso era infatti vecchissimo.
L’esecuzione degli orsi era fissata per un mercoledì.
Dai quattro distretti era convenuti i disgraziatissimi
zingari a Bjelsk, con le masserizie, i cavalli e gli orsi.
Più di cento belve, sbilenche, in pelli grigie
e stinte, dagli orsacchiotti agli enormi vecchioni,
riuniti in un pascolo fuori città. Un accampamento
colorito e cencioso, di tende, di fuochi, batter di martelli..
Agli zingari erano stati concessi cinque anni
di immunità dal Decreto Imperiale che poneva
fine all’industria degli orsi ammaestrati.
Cinque anni per mettersi in regola.
Scaduto il termine, gli zingari erano convenuti
nella città di Bjelsk per procedere alla grande esecuzione.
Nel raggiungere il luogo del radunamento
gli zingari andarono per i villaggi, per l’ultima
rappresentazione. Per l’ultima volta gli orsi
mostrarono la loro abilità artistica: danzavano
al ritmo dello strumento, facevano la lotta,
imitavano nel camminare la vecchia e il giovane,
bevevano il bicchierino di vodka e poi si leccavano
in segno di soddisfazione … mentre sotto le tende
le contadine allungavano la mano grinzosa, timidamente
vogliose di apprendere il loro destino, e i rimedi
acquistavano contro i malanni e la malasorte.
Così, mestamente, lentamente erano giunti
al luogo della loro disgrazia.
I vecchi andarono in delegazione, raffazzonati
un tantino per presentarsi al Capo della Polizia
in aspetto decente. Nell’attesa i vecchi sussurravano
e contavano i soldi. Non se ne fa nulla.
In tutti i posti abbattono gli orsi. Proviamo.
Provare si può; lui si prenderà i nostri quattrini
e non rimedierà nulla. Giunse l’Ispràvnik.
Vostra alta nobiltà – parlò Ivan
per tutti loro – giudicate voi stesso, da che parte
andremo ora, cosa faremo? Avevamo gli orsi,
si viveva quieti, non s’offendeva nessuno.
Il vecchio cadde in ginocchio e si inchinò
fino a terra davanti all’autorità. Vostra nobiltà,
i nostri padri e i nonni menavano gli orsi,
noi la terra non la sappiamo lavorare … e ai nostri
giovani non resterà che rubare cavalli.
Come dinnanzi a Dio io lo dico: han fatto
un gran male a toglierci gli orsi. Voi forse
ci aiuterete … Ma non c’era niente da fare;
l’ordine veniva da Pietroburgo. L’Ispràvnik
rifiutò il loro denaro, ma questo fece per loro:
di consentirgli di vendere al farmacista il grasso
degli orsi, ottimo per una pomata per rafforzare
i capelli (e gliene vennero dieci copechi la libbra)
e un qualcosa per le pelli e i prosciutti.
Persa ogni speranza, tutta la città radunata
per lo spettacolo, l’uomo e l’orso sono di fronte.
Disse il vecchio: Datemi il fucile. Potàp,
io ti devo uccidere; voglia il cielo che la mia
vecchia mano non tremi, che la palla ti colga nel cuore.
Non voglio straziarti, non l’hai meritato,
mio buon compagno. Ti presi che eri un orsacchiotto,
avevi un occhio accecato, il naso marcito
dall’anello, eri malato e sciupato. Io ti accudii
come un figlio, e tu sei venuto su grosso e forte.
Sei cresciuto e non hai dimenticato il mio bene:
non ho avuto tra gli uomini un amico
come l’ebbi in te. Tu …mansueto e intelligente;
non ho mai visto una bestia più buona,
e hai tutto imparato. Cos’ero senza di te?
Tutta la mia famiglia è viva per tuo lavoro.
Tu m’hai procurato carri e cavalli, la capanna
per l’inverno, la mia famiglia tu l’hai nutrita.
E io ti amavo profondamente, e non ti ho battuto
se non qualche volta, e se ho qualche torto
verso di te, perdonami, m’inchino a te fino a terra.
Ivan cadde ai piedi dell’orso, singhiozzava
tremava con tutto il corpo. La fiera ruggì piano
e lamentosamente. Colpisci, bàtjuska – disse
il figlio – non ci spezzare il cuore! Il vecchio
riprese in mano il fucile. Adesso io devo ucciderti,
m’è stato imposto di fucilarti; non puoi vivere oltre
al mondo. Che Dio in cielo giudichi noi e loro!
E puntò l’arma. L’orso capì; dalle sue fauci partì
un disperato lamentoso ruggito, poi s’impennò
alzando le zampe davanti come a coprirsene gli occhi
per non vedere il tremendo fucile. Il vecchio
con un singhiozzo gettò a terra l’arma e si abbatté
privo di forze. Il figlio soccorse il vecchio,
poi prese il fucile. Basta! Gridò con voce selvaggia,
puntò la canna a bruciapelo contro l’orecchio
e sparò. L’orso cadde come una massa priva di vita,
solo le zampe sussultarono convulsamente
e le fauci si aprirono come sbadigliando.
Ora per tutto il campo crepitavano le fucilate.
La mattanza degli orsi é stata pubblicata in “Le avventure del Testalunga”, Moretti & Vitali editori, 2016