“La mattanza degli orsi (1874)”, lirica di Alberto Bellocchio

Il compito della rassegna/ispezione

toccava all’Ispràvnik, il Capo Distretto;

accompagnato dal farmacista fecero un giro

lungo la fila dei condannati. Gli orsi

non erano del tutto tranquilli: la folla enorme,

gli strani preparativi, quell’insolito ammassamento

di loro in un solo posto, gli attaccava

un grande stato di eccitazione; si agitavano

nelle loro catene, sordamente ruggivano.

Il vecchio Ivan stava presso il suo enorme

orso cieco da un occhio. Su, vecchio

  • disse l’ Ispràvniktocca a te cominciare.

Nella folla di spettatori si fece un silenzio mortale.

Disse il vecchio Ivan: Tra un anno compirò

novant’anni e in tutto il campo non c’è fiera

vecchia come la mia. Non pensavo che sarei giunto

a un tale dolore … né che tu, mio Potàp,

avresti tanto a lungo campato. Dunque ci tocca

questo destino, che ti devo uccidere di mia mano,

te, mio sostentatore e benefattore!

Ora staccatelo, mettetelo in libertà;

non fuggirà. Io e lui, vecchi non possiamo

sfuggire alla morte, ma non voglio ucciderti

come un bruto alla catena. L’enorme fiera

venne slegata; si sedette sulle zampe di dietro,

e si dondolava da una parte all’altra, respirando

con grande fatica; l’orso era infatti vecchissimo.

L’esecuzione degli orsi era fissata per un mercoledì.

Dai quattro distretti era convenuti i disgraziatissimi

zingari a Bjelsk, con le masserizie, i cavalli e gli orsi.

Più di cento belve, sbilenche, in pelli grigie

e stinte, dagli orsacchiotti agli enormi vecchioni,

riuniti in un pascolo fuori città. Un accampamento

colorito e cencioso, di tende, di fuochi, batter di martelli..

Agli zingari erano stati concessi cinque anni

di immunità dal Decreto Imperiale che poneva

fine all’industria degli orsi ammaestrati.

Cinque anni per mettersi in regola.

Scaduto il termine, gli zingari erano convenuti

nella città di Bjelsk per procedere alla grande esecuzione.

Nel raggiungere il luogo del radunamento

gli zingari andarono per i villaggi, per l’ultima

rappresentazione. Per l’ultima volta gli orsi

mostrarono la loro abilità artistica: danzavano

al ritmo dello strumento, facevano la lotta,

imitavano nel camminare la vecchia e il giovane,

bevevano il bicchierino di vodka e poi si leccavano

in segno di soddisfazione … mentre sotto le tende

le contadine allungavano la mano grinzosa, timidamente

vogliose di apprendere il loro destino, e i rimedi

acquistavano contro i malanni e la malasorte.

Così, mestamente, lentamente erano giunti

al luogo della loro disgrazia.

I vecchi andarono in delegazione, raffazzonati

un tantino per presentarsi al Capo della Polizia

in aspetto decente. Nell’attesa i vecchi sussurravano

e contavano i soldi. Non se ne fa nulla.

In tutti i posti abbattono gli orsi. Proviamo.

Provare si può; lui si prenderà i nostri quattrini

e non rimedierà nulla. Giunse l’Ispràvnik.

Vostra alta nobiltà – parlò Ivan

per tutti loro – giudicate voi stesso, da che parte

andremo ora, cosa faremo? Avevamo gli orsi,

si viveva quieti, non s’offendeva nessuno.

Il vecchio cadde in ginocchio e si inchinò

fino a terra davanti all’autorità. Vostra nobiltà,

i nostri padri e i nonni menavano gli orsi,

noi la terra non la sappiamo lavorare … e ai nostri

giovani non resterà che rubare cavalli.

Come dinnanzi a Dio io lo dico: han fatto

un gran male a toglierci gli orsi. Voi forse

ci aiuterete … Ma non c’era niente da fare;

l’ordine veniva da Pietroburgo. L’Ispràvnik

rifiutò il loro denaro, ma questo fece per loro:

di consentirgli di vendere al farmacista il grasso

degli orsi, ottimo per una pomata per rafforzare

i capelli (e gliene vennero dieci copechi la libbra)

e un qualcosa per le pelli e i prosciutti.

Persa ogni speranza, tutta la città radunata

per lo spettacolo, l’uomo e l’orso sono di fronte.

Disse il vecchio: Datemi il fucile. Potàp,

io ti devo uccidere; voglia il cielo che la mia

vecchia mano non tremi, che la palla ti colga nel cuore.

Non voglio straziarti, non l’hai meritato,

mio buon compagno. Ti presi che eri un orsacchiotto,

avevi un occhio accecato, il naso marcito

dall’anello, eri malato e sciupato. Io ti accudii

come un figlio, e tu sei venuto su grosso e forte.

Sei cresciuto e non hai dimenticato il mio bene:

non ho avuto tra gli uomini un amico

come l’ebbi in te. Tu …mansueto e intelligente;

non ho mai visto una bestia più buona,

e hai tutto imparato. Cos’ero senza di te?

Tutta la mia famiglia è viva per tuo lavoro.

Tu m’hai procurato carri e cavalli, la capanna

per l’inverno, la mia famiglia tu l’hai nutrita.

E io ti amavo profondamente, e non ti ho battuto

se non qualche volta, e se ho qualche torto

verso di te, perdonami, m’inchino a te fino a terra.

Ivan cadde ai piedi dell’orso, singhiozzava

tremava con tutto il corpo. La fiera ruggì piano

e lamentosamente. Colpisci, bàtjuska – disse

il figlio – non ci spezzare il cuore! Il vecchio

riprese in mano il fucile. Adesso io devo ucciderti,

m’è stato imposto di fucilarti; non puoi vivere oltre

al mondo. Che Dio in cielo giudichi noi e loro!

E puntò l’arma. L’orso capì; dalle sue fauci partì

un disperato lamentoso ruggito, poi s’impennò

alzando le zampe davanti come a coprirsene gli occhi

per non vedere il tremendo fucile. Il vecchio

con un singhiozzo gettò a terra l’arma e si abbatté

privo di forze. Il figlio soccorse il vecchio,

poi prese il fucile. Basta! Gridò con voce selvaggia,

puntò la canna a bruciapelo contro l’orecchio

e sparò. L’orso cadde come una massa priva di vita,

solo le zampe sussultarono convulsamente

e le fauci si aprirono come sbadigliando.

Ora per tutto il campo crepitavano le fucilate.

La mattanza degli orsi é stata pubblicata in “Le avventure del Testalunga”, Moretti & Vitali editori, 2016

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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