L’altro giorno, mentre organizzavamo la prossima serata di mercoledì (e, a seguire, quella di sabato 4 febbraio), Sonia, libraia ‘padrona di casa’ alla Fahrenheit 451 di via Legnano, diceva che i libri dedicati al Covid, anche quelli importanti, di scrittori famosi, non hanno avuto fortuna al botteghino. La gente, diceva, non vuole sentir parlare del Tigre, forse è stanca, forse preferisce ignorarlo. La stessa cosa mi è stata detta dalle due case editrici che hanno preferito ‘negarsi’ alla proposta di pubblicazione del mio libro. Così scriveva una di queste: “Come già ti avevo detto inizialmente però resto perplessa sull’opportunità di pubblicare un libro su questo argomento. Ci siamo ancora dentro dopo due lunghi, estenuanti anni e chissà per quanto tempo ancora; sentirne parlare continuamente, leggerne… non so, credo che il lettore cerchi altro in un periodo difficile come questo, aggravato sensibilmente dalla guerra“. Beh, io continuo a pensare che negare un problema non sia il modo più efficace per risolverlo e così il libro alla fine l’ho pubblicato. Per ripercorrere una storia che è non solo mia ma di tutta la collettività piacentina e non solo. Per evidenziare gli errori commessi individualmente e anche da chi, preposto alla tutela della salute, era invece impreparato ad affrontare un virus che nessuno conosceva e nessuno sapeva come affrontare. Parlarne, dunque, ricordare, confrontare per non ripiombare. Se poi qualcuno incappa ancora nell’incontro spiacevole con il Tigre, il mio libro vuole semplicemente dire: guardare sempre avanti, magari in certi momenti a denti stretti, vivendo nella prospettiva del domani, integrati nei problemi della città, nel suo futuro che, individualmente, è appunto anche il mio, il nostro.
Quanto al libro, lascio la parola all’amica Lorena Tassara, narratrice e poetessa a sua volta, che di “Fate in Blu, Fate Infermiere” ha seguito la presentazione alla libreria Postumia il 12 dicembre per poi acquistarlo qualche giorno dopo alla libreria Romagnosi, e addirittura l’ha letto.
Le emozioni alla lettura di Lorena Tassara, narratrice e poetessa
Gli scritti di Claudio Arzani sono molto diversi tra loro per le tematiche che sviscerano, ma sovrapponibili per la singolarità dello stile. Uno stile che io, profanamente perché non sono critica letteraria, mi permetto di definire “Stile libero”. Come definire del resto lo stile di una struttura narrativa parecchio variegata, dove liriche, racconti autobiografici sempre intrisi di sogni mai sopiti, analisi, resoconti e considerazioni social-politiche si alternano ed intrecciano fino a fondersi in un tutt’uno che scopri alla fine della lettura averti lasciato un’impronta complessa ma armonica? Stile libero!
E questo me lo aspettavo!
Sta di fatto che però in “Fate in blu, fate infermiere – Covid, post Covid, long Covid : si lotta, si sogna, si vive” il racconto autobiografico assume un valore portante, oltreché sensibile e complesso. E la crudezza della malattia domina inevitabilmente la scena. Ma c’è sempre quell’agile ironia connaturata in Claudio che riesce ad alleggerire la scena e che, quando meno te lo aspetti, ti strappa un sorriso. E tu ti chiedi: non so se dovrei ridere, ma lo fai senza sentirti in colpa. Potere dell’ironia, poi ti dici, per giustificarti con te stessa. Eppure Claudio sta parlando di questa malattia terribile, con tutte le sue aggressive complicazioni, le persecutorie recidività, di pesanti stati di abbattimento psicologico che si alternano nelle cicliche riprese a stati di speranza, di rivendicazione del diritto di vita! In alcuni passi la crudezza della situazione colpisce lo stomaco e le cicliche recidive della malattia ti ricordano la lettura ansiogena di qualche anno addietro de “Il castello” di F. Kafka. Eppure il filo d’ironia trascorre sempre lo scritto, miracolosamente.
Ma il libro è sempre più trasversale quando alla penna dello scrittore e del poeta si aggiunge quella del giornalista che informa e ricostruisce in retrospettiva, con tanto di date e percentuali precise, tutte le fasi della pandemia e poi sciorina considerazioni di carattere sanitario, comprese quelle riguardanti la sorte dell’ospedale di Piacenza. Informazioni, considerazioni, analisi legate al ruolo di Direttore della Direzione Amministrativa di Rete Ospedaliera. Ruolo dismesso formalmente col pensionamento, ma sempre vivo e vegeto nella mente e nel cuore.
Infine, quando ci si risolleva tutti quanti (autore e lettori) perché tutti fuori dalla pandemia (anche se non bisogna mai abbassare la guardia) perché i controlli medici di routine ai quali si deve sottoporre Claudio hanno sostituito i ricoveri e gli interventi, ci sono le rap-presentazioni dei suoi libri che riportano alla normalità. Si devono raccattare coriandoli sparsi per ricomporre la nuova vita. E così Claudio riprende a raccontare i suoi libri, e Dalila, anche lei vittoriosa sul Covid, riprende a leggere come solo lei sa fare poesie e brani dei libri di suo marito, sempre con l’accompagnamento dell’ organetto diatonico di Francesco Bonomini, anche lui sopravvissuto al Covid.
“La vita riprende, tiè… Tigre non avrai il mio scalpo!” più o meno è questo il senso della conclusione. E allora: W la vita! W l’ironia! Ma ancora prudenza col Tigre (cioè il Covid)