Dunque, ormai ci siamo, domani alle 16 sarò in libreria per il terzo appuntamento pubblico di sostegno a “Fate in Blu, Fate Infermiere“, il racconto dei miei 88 giorni in quel 2020 di incontro individuale e collettivo col Mostro, il Tigre, la polmonite interstiziale, in altre parole il Covid-19. Con tutto quanto poi ne è seguito. Per l’appunto ‘Covid, post Covid, long Covid‘. Una tragedia, certo e il libro racconta e ricorda gli amici che non hanno avuto la mia fortuna: il Maestro Nelio Pavesi che accompagnava e mie rap-presentazioni suonando al pianoforte, l’avvocato Massimo Burgazzi e ancora ricordando quando il quotidiano locale, Libertà, titolava “Il giorno dei sei morti“.
Per arrivare all’amico Fausto Chiesa, venuto meno per tutt’altra patologia ma che a sua volta aveva passato l’infezione, sembrava guarito ma non bisogna dimenticare che spesso il virus, non appena individua un ‘punto debole’, può scatenarsi su quello determinandone il peggioramento. Ecco perché, anche se oggi, a tre anni di distanza, la situazione sembra quasi ricondotta a normalità, con il virus in realtà dobbiamo abituarci a convivere per cui parlarne è bene come è bene l’invito alla cautela: la vita, per l’appunto, val pur sempre una mascherina.
Domani, come dicevo, seduto in vetrina nella libreria Fahrenheit di via Legnano al 4 dall’amica Sonia Galli resterò a disposizione per la firmacopie del libro e per quattro chiacchiere insieme di tutto un pò. Non tanto o non solo sul virus ma della città, del suo futuro, cosa ne vogliamo fare e di conseguenza quale sarà il nostro futuro prossimo venturo. Per esempio, siamo certi che sia indispensabile costruire un nuovo ospedale spendendo milioni di euro abbandonando o addirittura abbattendo il polichirurgico inaugurato solo 29 anni fa, nel 1994? Il tutto forse a favore di qualche centro commerciale o insediamenti residenziali di alta qualità? Beh, personalmente qualche dubbio l’avrei e non a caso ho aderito – da cittadino ma anche da Direttore della direzione amministrativa di rete ospedaliera in pensione dal 2020 – al Comitato Salviamospedale che i milioni li vorrebbe spesi nel miglioramento dell’attuale struttura e dei servizi di medicina territoriale (case della salute, assistenza domiciliare, ecc.) oltrechè nell’assunzione e nella formazione del personale e nell’acquisizione di strumentazioni adeguate.
A questo fine il Comitato ha raccolto oltre 460 firme di piacentini per chiedere un dibattito-confronto sulle due ipotesi (nuovo ospedale tra 10 anni o rapida ristrutturazione/miglioramento dell’esistente con valutazione pubblica in termini di costi/benefici). Conclusa la raccolta, seguendo le indicazioni di un apposito regolamento comunale le firme sono state depositate all’ufficio protocollo municipale per ottenere la convocazione del dibattito entro 30 giorni. Ma il Sindaco, Katia Tarasconi, finora ha fatto orecchie da mercante lasciando pensare abbia un concetto di democrazia partecipata limitata agli incontri al bar per un caffè e solo in questi giorni, dopo una lettera aperta di protesta inviata a tutti i consiglieri comunali, parrebbe che una visione diversa della partecipazione possa imporsi – salvo il dissenso da parte dell’opposizione di centrodestra il ché aggiunge confusione e dubbi sui successivi progetti di destinazione dell’area di via Taverna da ‘liberare’ -.
Di tutto questo si potrà parlare, prendendo spunto dal libro, domani in vetrina ma non solo. Dicevo che questo sarà il terzo incontro, dopo quello del 12 dicembre nel salone della Libreria Postumia a Sant’Antonio e quello del 16 dicembre nella monumentale Sala Colonne dell’ex Convento Olivetano inglobato nel nostro ospedale. Bene: sarà l’ulteriore occasione per sollecitare la sensibilità del vertice aziendale dell’Asl recentemente rinnovato con l’attuale Direttore Generale proveniente da Ferrara.
Infatti nell’atrio del polichirurgico da molti mesi giace a terra l’opera che rappresenta un nonno in cammino sull’arcobaleno destinazione l’Altr/Ove con i due nipotini alla base che non hanno nemmeno potuto porgergli un ultimo saluto. Ricordate? Erano quei mesi del 2020 quando le porte dell’ospedale erano chiuse, i contatti con i ricoverati impediti e spesso chi entrava alla mattina in stato d’incoscienza, ne usciva già alla sera senza nemmeno poter contare su un funerale, su un ultimo saluto al cimitero.
Bene, quell’opera forse non sarà una grande opera, chi l’ha realizzata non é certo Michelangelo. Tuttavia ha un grande significato simbolico, affettivo, un omaggio alle centinaia di persone, di piacentini che non ce l’hanno fatta, oltreché un ringraziamento per l’enorme sacrificio del personale, dei medici, delle infermiere, delle operatrici socio sanitarie, degli impiegati agli sportelli, degli operai che hanno garantito il servizio esponendosi al rischio del contagio. Sarebbe meglio, piuttosto che il degrado e l’abbandono, prelevarlo, nasconderlo in qualche magazzino oscuro. Abbandonarlo lì, in quell’angolo dell’atrio dietro una pianta non fa onore all’Azienda e al suo vertice.
L’ho scritto al nostro quotidiano – con il Direttore Pietro Visconti che ha condiviso -, l’ho detto a Sant’Antonio il 12 dicembre, l’ho detto in Sala Colonne il 16, l’ho detto nel corso di un’intervista a Radio Sound, lo dirò ancora domani ma comincio a pensare che alla fine piuttosto che il conforto ai cittadini siano altre le attenzioni dei vertici cittadini. Lo so, esagero ma il perdurare del silenzio alla fine inevitabilmente fa pensar male.