Il mio cuore è una rossa
macchia di sangue dove
io bagno senza possa
la penna, a dolci prove
eternamente mossa.
.
E la penna si muove
e la carta s’arrossa
sempre a passioni nove.
.
Giorno verrà: lo so
che questo sangue ardente
a un tratto mancherà,
che la mia penna avrà
uno schianto stridente …
… e allora morirò
. Sergio Corazzini, 1886-1907, poeta crepuscolare, non ha certo avuto vita facile: malato di tubercolosi cresce tra i tracolli finanziari della famiglia, le speculazioni e gli investimenti sbagliati del padre libertino, la malattia della madre, la morte dei due fratelli ed ancora, il padre ricoverato in ospizio dove morirà. Per aiutare la famiglia abbandona gli studi impiegandosi presso una compagnia d’assicurazioni (lavora in una stanza buia, con le inferriate alla finestra, luogo tristissimo ove vedranno la luce i suoi versi più intrisi di malinconia) ma ben presto finirà in sanatorio per concludere infine giovanissimo la sua esistenza nel giugno del 1907. . La sua poesia è focalizzata su “piccole cose“, dietro le quali non emergono valori segreti, ma si nasconde il vuoto dell’assenza di prospettiva futura: i versi, spesso intrisi di malinconia, esprimono il desiderio per quella vita che la malattia gli negava, ora con un linguaggio semplice e dimesso ed ora, assumendo le vesti del poeta ironico, adottando un linguaggio meno trasparente, simbolico. . . |
ho amato corazzini già ai tempi del liceo. e, di più, all’università. ce ne parlava con competente emozione il prof elio gioanola.