Il legame tra Michelangelo Buonarroti e Piacenza. Dopo aver affrescato la Cappella Sistina in Vaticano gli fu commissionato “Il giudizio universale” in cambio di una rendita che riguardava la nostra città. Un articolo di Umberto Battini pubblicato ne IlPiacenza.it

Michelangelo e una mappa piacentina del 1587

Cosa c’entra la Cappella Sistina con Piacenza? E meglio ancora con il suo autore, il grandissimo Michelangelo Buonarroti? Ebbene c’entra eccome e anche molto. Quello che raccontiamo è un fatto storico, con decine di carte “brevi manu” dell’epoca già pubblicate e che abbiamo letto. Dopo aver affrescato l’intera volta della Sistina, a Michelangelo fu commissionato anche “Il Giudizio universale” sulla parete di fondo ed è proprio a questo poderoso affresco che Piacenza ed il Po si legano all’artista, ed ecco come. Morto Papa Clemente VII arriva al soglio Paolo III Farnese (il padre di Pierluigi, quello ucciso nel 1547 dai congiurati piacentini). Al Buonarroti era stata promessa una rendita annua a vita, quale pagamento, di 1200 scudi d’oro e Papa Paolo III gli assicurò la metà, cioè 600 scudi d’oro, dandogli i ricavi del porto e ponte sul Po di Piacenza. Il Papa scrive con il Breve del 1 settembre 1535: “Vi promettiamo (al Buonarroti) la rendita di 1200 scudi d’oro annui per tutta la vostra vita. E perché proseguiate e tirate a fine la detta opera (il Giudizio Universale) da voi cominciata, in vigore del presente Breve, vi concediamo durante la vostra vita il Passo del Po presso Piacenza”. Questa è una parte della lettera ufficiale, che ovviamente gli concede i diritti perpetui e la riscossione annua di “600 scudi d’oro… rimanendo sempre fissa la nostra detta promessa…” e quindi comandando agli “Anziani della comunità di detta città di Piacenza” di dargli “il possesso di detto passo e l’esercizio… non ostante qualunque cosa in contrario” con tanto di firma papale. Purtroppo però questo ponte sul Po che assegnava a Michelangelo “tasse e dazio che pagavano i viandanti tragittandosi sopra un ponte di barche dall’una all’altra ripa del fiume” non l’ebbe mai a rendita perpetua. L’artista fittò subito porto e riscossione al nobile di Piacenza Francesco Durante, ma l’atto venne formalizzato dalla Camera Apostolica solo quattro anni dopo, il 4 maggio 1538. Intanto la nobile Beatrive Trivulzio “aprì ed abusivo” un altro passo con dazio sul Po, a monte oltre Calendasco, a danno di quello di Piacenza. A quel punto da Roma partì l’ordine, il 19 settembre 1538, di “subito et de facto, lo si faccia guastare et rompere (il ponte suddetto) et prohibisca che non s’usi”. Infatti per dar giusto valore ai diritti la lettera romana ribadisce che tutto torni nei diritti “di Michelangelo Bonarroti… non essendo questa Santa Sede solita di negare la giustizia sua a nessuno”. Fatto sta che però anche il Comune di Piacenza reclama parte dei suoi diritti sul ponte e porto piacentino, comunque tutte le istanze finirono nel nulla, tra cause legali e petizioni, e per Michelangelo fino al 1545 tutto filò via iù o meno bene. Purtroppo però quando Pierluigi Farnese, figlio di Papa Paolo III, prese possesso del ducato di Parma e Piacenza, le disposizioni pontificie furono eluse, ed i dazi del ponte restarono nelle casse locali. Nel 1546 il Papa fa sapere che si paghi “secondo l’ordinario” il pittore perché continua a lamentarsi con lui e teme che ne vada di mezzo il termine dell’opera alla Cappella Sistina. Il Papa chiede quindi al figlio Pierluigi di procedere al pagamento per mezzo dell’agente Camerale di Piacenza un certo Agostino da Lodi. Fatto sta che in quell’anno anche i fratelli Nicolò e Baldassarre Pusterla di Piacenza, fecero causa legale perché ritenevano che il ponte e porto da tempo fosse loro e ne presentarono tanto di documentazione. Per il Buonarroti insomma una grana sopra l’altra, fino al momento in cui arrivò un ambasciatore mandato in persona dal Papa per risolvere la faccenda e quando tutto pareva ormai volgere al meglio, arrivò nel 1547 l’uccisione di Pierluigi Farnese qui a Piacenza. La città passò sotto all’imperatore Carlo V di Spagna e la Camera Imperiale fece suo immediatamente il porto e ponte di Piacenza con tutti gli introiti daziari: questa fu la pietra tombale sulla rendita Buonarroti. Del beneficio concessogli dal Papa a vita, in12 anni poco ne incassò, tra cause legali e affari di Stato, nonostante il suo sudato lavoro, magnifico e importante. Questa in breve sintesi “la faccenda” piacentina che lega un’opera pittorica ineguagliata, e quindi lo stesso Michelangelo con il Grande Fiume a Piacenza che ha sempre qualcosa da raccontare. C’è una parola nel vocabolario “Piacentino-italiano” del Tammi che è “zùntà” cioè “rimetterci” e questa parola s’addice bene al grande artista, suo malgrado, ma a Roma questa “tirata” al pittore l’avrebbero detta “sola”.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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