“Il figlioccio della Regina”, la rivolta dei contadini della Val Tidone contro Napoleone, romanzo storico di Stefano Longeri, edizioni Lir, 2018

Di Agostino de’ Torri, il ribelle piacentino che osò sfidare le truppe napoleoniche che tra il 1796 e il 1814 occuparono militarmente la penisola, sono rare le fonti storiche che ne narrano le vicende. Con “il figlioccio della Regina” Stefano Longeri, già autore di altri romanzi a sfondo storico, colma la lacuna offrendoci una lettura a tratti non solo coinvolgente e partecipata ma di vera e propria indignazione nei confronti del còrso, in definitiva, dal momento che s’incorona imperatore e quindi primus inter pares, traditore degli ideali di libertà, uguaglianza, fraternità che avevano ispirato la Rivoluzione francese. Eccoci dunque proiettati tra i monti appenninici della Val Tidone, con un corteo che sta viaggiando verso la Rocca d’Olgisio per il battesimo appunto di Agostino. Al guado del Chiarone l’incrocio con un altro corteo, quello che segue la duchessa Maria Amalia, signora del ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, in visita ai castelli della zona. La signora s’invaghisce di quell’infante e chiede di poter essere testimone al battesimo in chiesa, a Rocca Pulzana, e così nasce la leggenda “dal figlioss dla regina“. Un soprannome che porta fortuna ad Agostino: decisamente un bel e intelligente ragazzo, che ci sa fare soprattutto con le donne, maritate e non che siano, ma anche attivissimo col lavoro: conduce in affitto con i fratelli una fattoria di proprietà del conte Dal Verme allevando muli, asini, cavalli e buoi da vendere sui mercati. Quando i francesi arrivano nel BelPaese molti salutano con entusiasmo i valori della Rivoluzione ma ben presto, finito l’idillio, anche a Piacenza e per la precisione in Val Tidone parte la rivolta contro colui che nel frattempo si era incoronato imperatore dei francesi. Il motivo? Sicuramente la coscrizione obbligatoria decretata da Napoleone nell’estate del 1804. I piacentini non possono tollerare che i propri figli vengano strappati dalla propria terra per essere mandati a morire su lontani campi di battaglia, a gloria di un imperatore che non riconoscono. Ma non solo: In seguito al principio che i popoli “liberati” dalle truppe rivoluzionarie devono contribuire al mantenimento delle stesse, aumentano le imposte e tasse e questo determina grande malcontento tra gli italiani, che si trovano obbligati a pagare il costo della permanenza dell’esercito francese sulla penisola. In aggiunta i nuovi governi intaccarono i beni della chiesa e molte proprietà ecclesiastiche vengono incamerate nel patrimonio dei demani pubblici con crescente malcontento anche da parte del clero, compresi i parroci delle parrocchie agresti. Così, nel 1805, Castel San Giovanni insorge e, a sua volta, Agostino si pone a capo di un gruppo di montanari nascondendosi nelle grotte sotto la Rocca d’Olgisio e la Resistenza ha inizio. All’imperatore, reduce dalla vittoria di Austerlitz, non pare vero che un gruppo di montanari osi resistere a lui, vincitore d’Europa e da Parigi invia lettere di fuoco a Junot, generale governatore del Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, ordinando di bruciare i villaggi e di fucilare gli insorti. All’inizialmente sparuto gruppo di Agostino via via si uniscono decine di contadini, molte piccole scaramucce li vedono trionfanti, ma il confronto specie per quanto ad armamenti con l’esercito francese ovviamente è improbabile. L’insorgenza, come racconta Longeri, dura alcuni mesi con clamorose vittorie da parte dei ‘briganti’ (come la liberazione di Bobbio) ma alla fine la conclusione è inevitabile. La repressione non conosce limiti, così l’intero villaggio di Mezzano Scotti viene deliberatamente dato alle fiamme quale terribile monito pe i ribelli e per i loro simpatizzanti e fiancheggiatori. Leggiamo di scontri, di incursioni, di episodi di guerriglia, di rapide e commoventi visite notturne ai parenti, della vita grama nelle grotte, nascosti, nel gelo dell’inverno. Leggiamo delle nefandezze dei francesi che, per fiaccare la resistenza, non esitano a colpire i parenti e le famiglie dei ribelli, ci lasciamo appassionare dall’amore tra Agostino e Sofia che trova le sue radici nella giovinezza dell’epoca nella quale erano ragazzini ma al quale la vita, la guerra e il destino non concedono le ali. Alla fine, come racconta la storia, Agostino viene catturato, portato a Piacenza e viene condannato a morte insieme ad altri venti ribelli fra i quali due parroci. Davanti a palazzo Farnese si concludono, sotto il fuoco del drappello di fucilatori, il racconto e la vita del ribelle che preferisce morire in nome dei principi di libertà e giustizia contro i traditori della Rivoluzione.

“…gli insorti, la domenica, scendevano dal monte Giogo e dal monte Moria, ove avevano i loro accampamenti, in paese(…)entravano in chiesa: vi udivano messa, e più tardi riprendevano per alpestri passi la via ai loro eccelsi rifugi…” [dal blog ‘I quaderni della ValTolla’

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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