“Il carteggio Calvino-Sciascia: l’illuminismo mio e tuo”, intervento di Carmelo Sciascia in merito al libro pubblicato da Mondadori in occasione del centenario della nascita di Italo Calvino

Quest’estate, come ogni estate, si fanno a Racalmuto, paese dell’entroterra agrigentino,  degli incontri piacevoli e stimolanti. Finite le manifestazioni per il centenario della nascita di Leonardo Sciascia nel 2021 si  prosegue quest’anno, sempre in nome e per conto dello scrittore, con altre manifestazioni culturali oltremodo interessanti. Non dimentichiamo che quest’anno ricorre il centenario della nascita di Italo Calvino, nato appunto a Cuba nel 1923, scrittore ed animatore editoriale tra i più proficui della letteratura del secondo Novecento. Un’occasione che la casa editrice Mondadori  ha colto al volo dando alle stampe  un volume che sottolinea il rapporto tra i due scrittori. Il volume dal titolo accattivante “L’illuminismo mio e tuo”  è stato pubblicato nel mese d’aprile di quest’anno nella collana  Oscar Cult e presentato in questi giorni nell’atrio del comune di Racalmuto. Il volume è stato curato da due studiosi dei relativi autori: Mario Barenghi per Calvino, Paolo Squillacioti per Sciascia.  Il  titolo è stato ripreso dalla lettera di Calvino a Sciascia del 26 ottobre 1964. Lettera in cui Calvino prende le mosse  dalla lettura dell’Onorevole, per sottolineare la visione illuminista dello scrittore racalmutese  confrontandola, come un gioco di specchi, con la propria: “parlo di te per cercar di veder chiaro anche me”. La corrispondenza dei due scrittori copre un arco temporale che va dal 1953 al 1985, l’ultima lettera di Sciascia dell’undici settembre ’85 non potrà avere seguito perché Calvino ricoverato all’ospedale di Siena, in seguito ad infarto cerebrale, si spegnerà solo otto giorni dopo. Perché parlare di questo libro? In fondo le opere dei due scrittori sono note a tutti, sembrerebbe un lavoro di puro e semplice assemblaggio, un puzzle dove incastrare le varie tessere, una ricostruzione di archivio. Un’attenta lettura ci dirà il contrario, o meglio, ci metterà di fronte ad un trentennio della storia d’Italia, dove la realtà politica e la letteratura sono andate a braccetto,  incontrate e spesso scontrate,  a partire dal delitto mafioso del commissario della squadra mobile Tandoj (1960), che ha ispirato a Sciascia A ciascuno il suo e a Russello  la Grande sete. (Antonio Russello è uno scrittore siciliano che è stato e rimane dimenticato).  Il Giorno della civetta (1961) aveva già  testimoniato l’esistenza del fenomeno mafioso, di una mafia ancora culturalmente e politicamente egemone: non a caso il capomafia Arena ne esce vincitore.

Le lettere offrono un quadro completo del rapporto editore-scrittore. Si noti come dapprincipio ci sia una certa timidezza da parte dello scrittore siciliano nei riguardi di chi doveva giudicare e pubblicare le sue opere, rapporto che pian piano si trasformerà in una vera e sincera amicizia. I giudizi positivi sulle rispettive opere “Il tuo articolo è il più bello che il Barone abbia avuto, e uno dei più belli che abbia mai avuto io” (Calvino) e “Sono contento , contentissimo, che Il giorno della civetta ti sia piaciuto… Poiché tu sei il primo lettore, e il migliore che si possa desiderare: e ansiosamente ne aspettavo il giudizio” (Sciascia), non inficiano  la rispettiva libertà nei giudizi critici. Le posizioni politiche rimangono talvolta distanti, come nel caso Moro o nel processo alle Brigate Rosse. Calvino sottolinea Il pessimismo di Sciascia, Sciascia critica l’apparente ottimismo di Calvino. Completa la raccolta di lettere un’appendice di Scritti Reciproci, dove a proposito del suo pessimismo, in un articolo del 1977 apparso sul Corriere della Sera, Sciascia scrive: “Ma è difficile, di fronte alla situazione italiana di oggi, affermare che le particolari opposizioni possano essere storicamente considerate come reale opposizione. Una reale opposizione bisogna inventarla ora, subito sulla realtà del paese. E cominciare a fare-se non il processo al palazzo che sognava Pasolini- tanti processi di cui la gran parte del popolo italiano vorrebbe essere giudice”. Altro che “metafisico” come l’aveva definito il piacentino Piergiorgio Bellocchio in Diario del Novecento, Sciascia era un politico talmente esaustivo nelle sue analisi che il giudizio di cinquant’anni fa potrebbe essere adatto alla politica di oggi, dove i ruoli e le proposte di sinistra e destra vengono spesso scambiati, e la presenza di una reale opposizione è inesistente: “bisogna inventarla ora, subito sulla realtà del paese”!

Tornando alla corrispondenza, mi piace ricordare come oltre ai suggerimenti Calvino abbia scagliato le sue frecce (di critica s’intende). Nella missiva del 10 novembre 1965, viene scagliata la freccia del Parto sulla Sicilia: “Questa Sicilia è la società meno misteriosa al mondo: ormai in Sicilia tutto è limpido, cristallino: le più tormentose passioni, i più oscuri interessi,psicologia,pettegolezzi, delitti, lucidezza, rassegnazione, non hanno più segreti, tutto è orami classificato e catalogato… Tanto che speriamo ardentemente che nulla cambi, che la Sicilia resti perfettamente uguale a se medesima, così potremo al termine della nostra vita dire che c’è almeno una cosa che abbiamo conosciuto a fondo!”. È vero, risponderà Sciascia subito dopo, sulla Sicilia, sul suo passato sappiamo tutto, sulla sua desertificazione sappiamo tutto, per questo “Ormai c’è più Sicilia a Parigi che a Racalmuto, nella Torino razzista che nella Palermo mafiosa… bisogna avere il coraggio di seguire questa Sicilia che sale verso il Nord”. È  la desertificazione della linea della palma, del caffè ristretto…  lo testimoniano quotidianamente le imprese di polizia, le aule giudiziarie e noi a Piacenza al riguardo ne sappiamo qualcosa…

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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