“Fango, lacrime e fame. 1937-45 un popolo tra guerra e pace”. La scaletta per chi non c’era

L’opera di Fausto Chittofrati posta nella sala consigliare del Comune di Gropparello (Pc)

Intervento introduttivo di Claudio Ghittoni, Sindaco di Gropparello (Pc)

Da Guernica ad Auschwitz, da Katyn a Nikolajewka. Viaggio poetico  tra ricordi di guerra e sogno di pace. Le poesie di Claudio Arzani, le testimonianze sulla ritirata dalla Russia di Federico Chiesa raccolte dal figlio Fausto. ‘Lettore’ Dalila Ciavattini e Emanuela Schiaffonati. Un’iniziativa promossa dall’Amministrazione Comunale e dal Circolo Auser a Gropparello (Pc) venerdi 24 maggio

Il dottor Claudio Ghittoni, Sindaco di Gropparello, ha introdotto la serata promossa dalla Municipalità e dal locale Circolo Auser

26 aprile 1937, la Legione Condor della Luftwaffe bombarda a tappeto Guernica, piccolo paese dei Paesi Baschi. Quasi ignorati gli obiettivi militari, si colpisce il mercato. Una forma di terrorismo, l’obiettivo sono i civili: oltre 200 i morti secondo fonti storiche, oltre diecimila secondo le testimonianze del tempo. Anziani, donne e bambini (gli uomini sono al fronte)

 

Guernica, aprile 1937
(scendea dalle nuvole fischiando feroce sorella morte)
 
Giorno di mercato, gente di campagna,
tutta la piazza già affollata,
arrivano ancora altri contadini,
quando a sorpresa suona la campana.
 
Sono le sedici, le sedici e trenta,
cinque minuti arriva l’aeroplano,
con la svastica in mostra sulle ali
a bassa quota sfiora i coppi rossi.
 
Tutti col naso volto al cielo
ad ammirare il bombardiere,
certo a Guernica è solo di passaggio
nessuna traccia d’obiettivi militari.
 
Ma il Fuhrer e quell’Italiano
hanno studiato nuove strategie
calar le bombe per la distruzione
mirando al cuore della stazione.
 
Cinque minuti di scoppi e fumo
esce dalle nuvole un altro aeroplano,
ancora tedesco, ancora nazista,
lancia le bombe in pieno centro.
 
Urla pianti disperazione
negata ai civili ogni via di fuga,
per oltre tre ore fuoco e distruzione
strage imprevista per oltre diecimila.
 
Nessuno scampo, morta pietà,
non sono risparmiate case isolate,
gli incursori agiscono con scienza,
certo ne è morta la coscienza.
Guernica dopo il bombardamento
Nella foto: Dalila Ciavattini e Raffaele Maffi, Presidente Circolo Auser
Foresta di Katyn

Katyn, esecuzione di massa da parte dell’Armata Rossa di 21.857 cittadini e militari polacchi. 19 maggio 1940. militari, guide, gendarmi, poliziotti e agenti penitenziari, vennero fatti uscire dai campi di prigionia sovietici di Ostashkov, Kozielsk e Starobielsk. Kozielsk e Starobielsk, in tutto 22mila persone circa, di cui 8mila ufficiali. Portati a piccole gruppi nella foresta di Katyn, vicino al villaggio di Gnezdovo, a breve distanza da Smolensk, vennero giustiziati con un colpo alla nuca e sepolti in fosse comune. Agghiacciante il motivo: indebolire ulteriormente la Polonia appena conquistata. Solo negli anni 90 il governo russo ha riconosciuto la responsabilità del crimine di guerra.

 
Domitilla nell’eterno ora serena
(pioggia leggera bagna Cracovia, a Katyn tutti morti)
 
Pioggia leggera bagna Cracovia,
mentre al nord s’imbianca Polonia,
suona triste un vecchio flauto
dalla finestra affacciata sul parco.
 
L’attacchino provvede all’affissione
del manifesto con la nera croce,
ora finale per una vecchia signora
con l’indicazione dell’ultima funzione.
 
Finalmente riposa in pace,
raggiunge il fratello ammazzato,
neolaureato chiamato in divisa,
morto ammazzato da mano sconosciuta.
 
1940, Bielorussia, foresta di Katyn,
8000 ufficiali polacchi al capolinea
ad arrossare la candida neve,
colpo alla nuca come animali.
 
Dito puntato contro i nazisti
ma criminale fu l’Armata Rossa
omicidio a sangue freddo
ordine di Stalin in persona.
 
Tutta la vita a piangere il fratello,
finalmente il nome dell’assassino,
il comunismo degenerato,
Domitilla nell’eterno ora serena.
 
Katyn, rappresentazione del crimine di guerra dell’Armata Rossa
 
Emanuela Schiaffonati con Raffaele Maggi, Presidente Circolo Auser di Gropparello
 
Benito Mussolini passa in rassegna le truppe in partenza per la Russia
Si va in Russia. Il 22 giugno 1941 scattò l’operazione Barbarossa, l’attacco tedesco contro l’Urss. I vertici militari sottovalutarono l’Armata Rossa ed erano convinti di sconfiggerla in cinque settimane, prima del rigido inverno russo (che già era costato caro a Napoleone). Mussolini si associava e inviava un corpo di spedizione di circa 60.000 uomini, il Csir – Corpo di spedizione italiano in Russia – poi Armir – armata italiana in Russia, composto dalle divisioni Pasubio, Torino e Celere, al comando del generale Giovanni Messe.
 
Fausto Chiesa, autore del ‘Diario di Federico, la vita e la guerra. Da Griscino a Verona (1943)’, Scritture edizioni
Dal diario di Federico: 10 febbraio 1943
Griscino (Ucraina).
Partiamo da Griscino in autoambulanza. Arrivo a Dniepropetrovsk l’ 11 febbraio 1943.
Pernottiamo in una casa borghese dove, come sempre, la brava gente ucraina ci accoglie amorevolmente.
Siamo stanchi del lungo viaggio in camion, ma in compenso  contenti di essere sfuggiti ad un accerchiamento russo.
Domani 12 febbraio, il nostro itinerario sarà quello di ritrovare il nostro reparto.
Affrontiamo con calma il nostro destino. Speriamo sempre in bene.
1942, l’Armir schierata sul Don. Lo schieramento italiano si estendeva lungo il Don per ben trecento chilometri; proseguiva, alla sua sinistra, una sottile linea ungherese lunga duecento chilometri e a destra un’armata romena, quindi c’erano armate tedesche fino a Stalingrado. L’incredibile lunghezza dello schieramento andava a scapito della sua robustezza: esso era infatti troppo sottile e totalmente sfornito di rincalzi.
Dal diario di Federico: 22 febbraio 1943
Un buon sonno ristoratore e alle tre ci alziamo facciamo lo zaino e alle quattro precise siamo alle macchine già in azione.
 Questa città si chiama Kriscorie . Le macchine rombano veloci nelle piccole ma ripide salite si sentono i buonissimi nostri FIAT 26. Ci sembrano mangiare la strada.
Oggi si viaggia nella strade nuove fatte dai tedeschi e sono in ottimo stato. Incontriamo lunghissime file di prigionieri russi accompagnati dai tedeschi , li sorpassiamo e possiamo vedere qualche viso di mongolo, siberiano visi pieni occhi torvi forse una vita normale saranno brave persone che ora la fame i disagi la cattiveria dei nuovi guardiani hanno dato quell’ apparenza selvaggia.
Siamo protagonisti di alcune scene di fame  di questi poveri disgraziati.
Uno sorretto da due compagni non è più in grado di camminare.  Il poveretto cade a terra esausto.
Che sarà di lui? Sarà forse la nostra fine? Sarà la morte che lo verrà a  liberare dalle mani di questi sgherri? Forse non ha mai incontrato la morte come in questo momento.
Povera gente !! Perché tanta crudeltà verso quei poveri esseri?
Che colpa ne hanno loro se il suo governo li manda a combattere .
Questa guerra di idee sarà vinta  ora da chi compirà meno barbarie, perché Iddio giusto vedrà le sofferenze i martìri di tanti poveri esseri umani maciullati massacrati orrendamente ridotti a miseri relitti e buoni solo ma con la sua Santa mano si farà giusto giudice di tanti assassinii.
Occhio per occhi, dente per dente.
Arriviamo a Kirovo , che mi culla placida e tranquilla su di un dolce declivio la lasciamo alle nostre spalle e via velocemente nella bella strada.
Sorpassiamo squadre di lavoratori donne uomini giovinetti che fanno parte e guidati dall’organizzazione Toldi.
Un po’ più avanti si cambia strada. E’ però vero prendiamo quella che facciamo era solo sgelo rende faticosa la manovra agli autisti , le macchine sbandano a destra e a sinistra, una delle macchine nel fosso, ci tocca scendere e rimetterla in strada.
IL comandante la colonna, dà ordine di fermarsi perché non si può più andare e aspettare l’indomani che forse ci sarà gelato.
Cerchiamo subito alloggio, che questa volta troviamo lontano.
E come sempre la brava gente ci dà da mangiare. I viveri li abbiamo finiti, mangiamo una pentola di patate e poi si va a dormire al caldo.
Anche oggi passerà senza nessuna mancanza.

La guerra facile, gloriosa e bella della retorica non è bella e non è facile, in guerra semplicemente si muore

Sigfrido assurge al Paradiso
Bruciava tutto, lì..
Un capannone industriale scheletro di sé stesso
voragini nel soffitto aperte al cielo
frammenti di vetro resistenti isolati superstiti sui finestroni
detriti crollati ovunque imbiancano macchine utensili
ormai inservibili all’attività qualunque fosse stata
 
Cautela, attenzione, mitigate dall’essere veterano,
veterano combattente, supremo esperto di scontri e agguati
ma che può mai l’esperienza quando in un istante
un sibilo piove dall’alto e inonda il mondo
e rimane solo polvere, null’altro,
nemmeno frammenti di carne per le lacrime di chi rimane
 
Così si muore,
così si muore da veterano e da appena arrivato,
da soldato e da rifugiato,
da volontario e da coscritto,
così si muore perché eri lì
nemmeno perché chiamato,
nemmeno perché mirato,
solo perché eri lì

Il campo di concentramento di Auschwitz fu uno dei tre campi principali che formavano il complesso situato nelle vicinanze di Auschwitz in Polonia. Facevano parte del complesso anche il campo di sterminio di Birkenau, e il campo di lavoro di Monowitz.. Nel campo di Auschwitzi furono uccise, nella camera a gas, o morirono a causa delle impossibili condizioni di lavoro, per percosse, torture, malattie, fame, criminali esperimenti medici, circa 70.000 persone, per lo più intellettuali polacchi e prigionieri di guerra sovietici. Birkenau era invece l’immenso lager nel quale persero la vita oltre un milione e centomila persone, in stragrande maggioranza ebrei, russi, polacchi e zingari. Dopo l’arrivo dei prigionieri, questi venivano selezionati e quelli inabili al lavoro venivano condotti alle camere a gas con lo scopo di essere uccisi.

Nella lontana pianura di Polonia
(nel limbo azzurrognolo ove nazisti immettono gas nelle camere con le docce finte)
 
Plumbeo il cielo, alito di vento
accarezza il manto erboso,
brilla argentea bianca rugiada
tra le traversine delle rotaie
 
Linea ferroviaria all’uopo dedicata
gelido autunno, il fiato condensa
sulle garritte all’erta sentinelle
atteso convoglio con i carri chiusi
 
Pronto l’ufficiale addetto alla selezione
manovratore attende allo scambio
alito di vento, plumbeo il cielo
sinti ed ebrei stipati nei carri
 
Partiti di notte strappati dalle case
dai lupi affamati della Gestapo
caricati sul convoglio, le valigie di cartone
su ciascuna il nome, per non fare confusione
 
Gracchia al cielo l’altoparlante
schnell, schnell,  ma senza confusione
onde consentire ordinata selezione
a sinistra gli storpi,  alla destra i lavoranti
 
Lasciare sui carri l’odore di piscio
escrementi dolore e sudore
la meta imposta è giunta alfine,
sulla torre sventola croce uncinata
 
Alle finte docce deboli e debosciati
alle baracche in catene idonei al lavoro
plumbeo il cielo, alito di vento,
odore di gas, fumo alle ciminiere
 
Oswiecin campo di Birkenau
problema superato, avvio allo sterminio
nessun aquilone, nessun bianco airone
sulla torre incombe nera croce uncinata
 
 
 
Dell’Aveto mordeva spumosa l’acqua fiumana
(sogno di pace)
Frazione Ruffinati, il fiume scorreva,
alito gelido nel silenzio dei monti,
mordeva l’aria l’acqua spumosa
 
chiusi gli occhi tre volte,
così faceva mia nonna
quando scendeva la pioggia di bombe,
 
chiusi gli occhi tre volte
ma mi ritrovai ancora lì,
sognai tanto forte
che uscì dagli occhi goccia di sangue
 
tirai una freccia al vento
per indicare la direzione
lontana,
dormono serene illusioni
sul fondo del fiume
tirai una freccia al cielo
lontana
 
a volte i pesci s’avvolgono
sul fondo del fiume
tra frammenti di sogni
tra le alghe fluttuanti
 
bisogna saper ascoltare,
a volte i pesci cantano
sul fondo del fiume.

I russi sfondano il fronte. Le truppe sovietiche, numerose e imponenti, erano tutte ammassate contro i punti deboli del fronte, cioè contro il settore rumeno e contro le divisioni italiane Ravenna e Cosseria. Il 16 dicembre 1942, dopo alcuni giorni di intensi bombardamenti di logoramento, i russi sferrarono l’attacco decisivo.

Dal diario di Federico: 14 febbraio 1943
Giornata trascorsa tranquilla. Siamo di guardia tutti e otto ritardatari . Ancora non se ne parla di partire. Pericolo pare non ce ne sia ma più strada mettiamo tra noi ed i russi   e più sarebbe meglio.
I nervi sono tesi al massimo . L’ansia aumenta tutti i momenti anche perché si è senza notizie dei nostri cari.
Da circa un mese non abbiamo notizia da casa per noi italiana è molto , molto, siamo  troppo attaccati alla famiglia  troppo pensiamo alla nostra Italia, ai nostri paesi , alle nostre case  noi non siamo fatti per la guerra , siamo fatti per vivere tranquilli  in seno alle nostre care persone per lavorare per fecondare e non per uccidersi a vicenda  con un nemico che non conosciamo con persone che a noi ci hanno sempre rispettati come noi li abbiamo rispettati.
Lotta di uomini mal concepita dal popolo.

Mai più guerre
 
Sono tanti, in questo mondo, sono tanti a far la guerra
 
Sono tanti, in questo mondo,
sono tanti a far la guerra,
sparando, bombardando, missilando
o anche solo barando
bazooka, kalashnikov o anche solo
disonestà, slealtà quotidiana
ma se noi
se proprio noi
semplicemente io e tu
proprio noi due, me and you,
se noi sapremo amarci,
se tu saprai rispettarmi,
se io saprò badare a te,
i miei occhi saranno luce
diamanti brillanti nel cielo
quando nei tuoi si perderanno
e insieme, mano nella mano,
perso nel tuo sorriso,
amore senza fine,
noi due vagabondi errabondi,
fantasmi invisibili,

noi due per il mondo intero,
noi due, me and you,
costruiremo insieme
un mondo migliore
 
I morti, i feriti, il ritorno. Di 229.000 soldati italiani inviati in Russia, 29.690 furono rimpatriati perché feriti o congelati. Dei rimanenti, i superstiti furono solo 114.485. Mancarono all’appello 84.830 uomini di cui 10.030 furono restituiti dall’Urss. Il totale delle perdite ammontò a 74.800 uomini. Molti di loro, in base ai documenti scoperti di recente negli archivi del Pcus, morirono di stenti nei campi di prigionia russi.

Dal diario di Federico: 24 marzo 1943

Verso le nove si riparte e poco dopo siamo a Leopoli. Lunga fermata, ci danno i viveri per tre giorni che sono assai scarsi specie il pane. Alle 15 circa si parte velocemente. Il treno si dirige verso sud-ovest , cioè verso l’Italia, via Cracovia. La via è la contraria di quella che facemmo sei mesi fa .
 
 
Nel cielo di Nassiriya
Bianco, azzurro, verde,
ogni colore può nascondere un amore
 
giallo, arancio, rosso
illusione, perversione, talvolta dolore
 
resta blu, si presenta viola,
 
speriamo sia una colomba
quella che in cielo bianca vola

 

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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