20 aprile 2024, libreria Romagnosi, poesia nel nome della pace: Nunzio e Claudio
Un libro, il mio libro, non è solo carta stampata, non è solo insieme di elucubrazioni personali, il mio libro è un fiore lanciato contro il pensiero unico, contro i giornaloni, contro i faziosi telegiornali partigiani propinati dalla televisione, contro il governo che ci ubriaca la mente con le verità a senso unico precostituite. Soprattutto quando tutto questo è finalizzato a sostenere l’arricchimento dei fabbricanti d’armi. Il tutto mascherato da una presunta volontà di pace, di affermazione di principi che sono solo specchietti per le allodole. Ogni Stato ha diritto alla propria integrità! Urlano indignati. Ma nessuno pensa che i cittadini hanno diritto di non riconoscersi nell’istituzione formale che afferma di agire su loro mandato nel loro interesse? Dunque l’invasione di un territorio con i carrarmati non è una soluzione ma nemmeno la semplice risposta armi alla mano può esserlo. Diritto alla difesa? Ma se prima si affermasse il diritto all’autodeterminazione del popolo? Che ne pensano gli abitanti? Questo nel Donbass e nel Lugansk: se invece di pensare a portare basi Nato si fosse semplicemente verificata la volontà popolare (attraverso un referendum sotto vigilanza Onu) non avremmo forse evitato morte e distruzioni? Già, ma questo significava per il governo ucraino al potere rinunciare alle ricchezze dei territori interessati dunque, nel nome dell’interesse economico motore reale del contendere, che guerra sia con il beneplacito dei costruttori d’armi ‘occidentali’. E tra questi, chi troviamo? La nostra bella Italia. Dunque, vogliamo dirlo? Siamo coinvolti. Responsabile, ciascuno di noi, nelle migliaia di morti in Ucraina. Questo, fuori dal coro, dice il mio libro. Poesia, certo anche stucchevoli versi di individuali sentimenti, ma anche o soprattutto poesia oltre il coro, poesia per dire che i soldati inviati al fronte pensano alla ragazza a casa, pensano a passare il tempo bevendo grappa dalla grolla, pensano che è l’ora di tornare a casa per mietere il grano, pensano di non c’entrare nulla con le mire dei potenti chiusi nei loro bunker, lontani dai campi di battaglia dove hanno ordinato di andare. Sono migliaia gli ucraini fuggiti all’estero o che comunque cercano di evitare l’arruolamento. Come sono migliaia i russi che cercano di andare oltre confine. “Ogni guerra è inutile, insensata e oscura“, parole di Papa Francesco e su quella base sabato 20 alla libreria Romagnosi abbiamo organizzato una serata a parlare di pace, a dire “basta armi“, “basta genocidio“, ad affermare che democrazia non significa vendetta. Un’azione terroristica non può comportare da parte di una democrazia presunta risposta analogamente terroristica, massacro indiscriminato di civili, di anziani, donne, bambini a migliaia. Nella striscia di Gaza non è in atto un’azione di difesa, è in atto un massacro indiscriminato con metodi che rendono i comandanti di tutto questo colpevoli di crimini contro l’umanità. Insomma, sono immensamente grato a chi è venuto, ha ascoltato, spero colga l’occasione di una giornata di poesia per riflettere, per affermare che pace significa favorire la trattativa, significa azione diplomatica, che questa è l’unica strada che democraticamente dovrebbe percorrere l’Europa e che questo, tra un mese circa, potremo affermare col nostro voto, un voto prima di tutto contrario ai signori delle armi, ai fabbricanti, alle lobbies che ne garantiscono gli affari. Dunque, no, il mio libro non cerca acquirenti. Offre e ha offerto la possibilità di una serata di “sogni, illusioni, speranze, poesia, nel nome della giustizia, dell’equità, della pace“. Con un abbraccio a Dalila, Francesco Bonomini, Nunzio Delpanno, Graziano Gessi, Daniele Camia, Francesco Saverio Bascio per il loro contributo, a Claudia Gobbi per l’ospitalità in libreria e a tutti gli intervenuti che hanno applaudito la lettura di poesie che affermavano “NO ALLA GUERRA, BASTA ARMI, BASTA GENOCIDIO”.
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“Un libro non è star sopra un albero, un libro vuol dire partecipazione“. Così, parafrasando Giorgio Gaber, si può definire il mio libro. “C’è qualcosa nell’aria che non si può ignorare, è dolce, ma forte e non ti molla mai, è un’onda che cresce e ti segue ovunque vai, ed è la poesia, la poesia ribelle, che ti vibra nelle ossa, che ti entra nella pelle, che ti dice di uscire, che ti urla di cambiare, di mollare le menate e di metterti a lottare“. 70 poesie e, tra queste, quelle che dicono BASTA ARMI, BASTA GENOCIDIO.
Contro il pensiero unico della radio, della televisione, del governo e di Bruno Vespa che i cinque minuti ce li fa venire. Noi NO, noi non ci stiamo. “Ogni guerra è inutile, insensata e oscura. Nessuna guerra è santa, solo la pace è santa“, proprio come dice Papa Francesco. Punto e basta. L’Europa che invia armi sempre più micidiali in Ucraina non è la nostra Europa, noi siamo per l’Europa impegnata per la pace, non per la morte e la distruzione. L’Italia che vende armi ad Israele quando l’esercito israeliano conduce il massacro delle genti palestinesi nella striscia di Gaza uccidendo migliaia di anziani, donne, bambini innocenti, non è la nostra Italia.
Lo riaffermeremo SABATO 20 alle 17.00, alla Libreria Romagnosi in via Giandomenico Romagnosi al 31. Naturalmente ci sarò io a condurre la serata, ci sarà Francesco con le sue ballate eseguite all’organetto diatonico, non mancherà Dalila che come sempre leggerà poesie dal libro e seguiranno Nunzio Delpanno, Graziano Gessi, Daniele Camia, Francesco Saverio Bascio, ognuno per dire NO ALLA GUERRA, NO ALL’INDUSTRIA DELLE ARMI e con loro, chi sarà presente anche solo per dire “PRESENTE, anch’io con voi, anch’io per la pace, per la via diplomatica, per la vita, dalla parte di Papa Francesco“. Allora dunque, che ogni soldato torni a mietere il grano, che ogni soldato torni a casa, a vivere con la ragazza bionda, con la ragazza rossa, con la ragazza mora.Ovunque porti il cuore.
16 ottobre 2024: Lorena Tassara, assente il giorno precedente nella rap-presentazione alla libreria Postumia di Sant’Antonio, via Whatsapp mi manda questa fotografia e scrive: “Ciao Claudio, comprato stamattina alla Libreria Romagnosi!“. Un esempio da seguire!
Venerdì scorso, il 15 marzo, alla libreria Postumia di Sant’Antonio io e Francesco abbiamo dato vita alla rap-presentazione numero non so quante, prima o poi dovrò contarle, ricostruire un lungo sentiero percorso di contrada in contrada, di borgo in borgo, ma penso già siano più di 100 a partire dall’ormai lontano 2004. 9 libri e ogni volta le mie poesie, le sue ballate all’organetto diatonico e via in libertà, di comuni sensi. Appunto io e Francesco. Naturalmente tutto è studiato prima, preparo la scaletta, gliela mando un paio di giorni prima, lui ringrazia, magari dà un’occhio poi tanto va a orecchio, come gli viene. Ascolta le parole dei racconti in versi, prende l’organetto, inizia una Ballata d’altri tempi. Venerdì però l’ho colto di sorpresa, leggendo fuori programma “Bar Santa Rita in fondo allo Stradone“, lui ha ascoltato e zac, ha suonato forse la più trascinate delle ballate. E vai, gira l’elica, romba il motore… pardon, diciamo andiamo a mille, in perfetta sintonia poesia e musica, musica e poesia. Comune visione dei valori della vita. Contro tutte le guerre, contro l’invio di armi, contro il genocidio del popolo Palestinese. Normalmente del gruppo fa parte anche Dalila, moglie e compagna di vita o compagna e moglie nella vita, designata lettora al modo medievale perché lei sa recitare i versi trovando il giusto ritmo ma in questa nostra città che, grazie alle centinaia e talvolta migliaia di camion che ogni giorno vanno e vengono dai capannoni della logistica, presenta il più alto livello di inquinamento da polveri sottili tra tutte le città della (un tempo) verde Emilia, Dalila son due mesi che tra alti e bassi fa i conti con tossi e raffreddori. Superata la pandemia da Ser Satanasso il Covid, ma quanti feroci batteri s’aggirano ghignanti nell’aria che respiriamo? Ultimamente poi la tosse di Dalila s’è fatta feroce e ormai è passata una settimana da quando due colpi di quella tosse hanno provocato la rottura di una costola e il medico è stato categorico: con quella tosse e quella costola non si esce e non si legge poesia. Così venerdì io e Francesco ci siamo arrangiati e alla fine l’ennesima rap-presentazione è giunta al termine, tanti saluti e tutti a casa e qui viene il bello. Per giorni resto avvolto nel sottile velo di nebbia del Nirvana, la realtà che mi circonda inesorabilmente resta leggermente offuscata, in secondo piano. Passano le immagini della serata, i volti degli intervenuti. Sono stati 15. Franca Bonara, già medico psichiatra, che insiste per proporre una cena a casa sua con amici, “ottima scusa, dice, per un accurato riordino generale dell’appartamento“: l’immenso potere dell’ospitalità. Giusy Pecis Cavagna, scesa dai monti dell’Appennino, dalla paradisiaca Groppovisdomo in Val Vezzeno dove ha realizzato, con Paola Cerri, un libro destinato a far storia raccogliendo racconti e testimonianze di emigrati che nel ‘900 hanno lasciato le nostre terre per cercar fortuna e lavoro all’estero magari inizialmente accolti malamente (italiens maccaronì) ma che alla fine hanno saputo farsi rispettare lavorando sodo, lavorando bene. Naturalmente Giusy porta anche i saluti della Paola, di servizio (volontario) alla biblioteca di Gropparello per garantirne l’apertura e la disponibilità a quanti ne avessero necessità. Perché sia chiaro, se c’è chi legge chiunque scriva sopravvive, altrimenti tanto vale andar per viole. Daniele Camia, si è fatto crescere un barbone da premio Nobel, forse in corrispondenza del tempo d’attesa già trascorso per una risposta dalle case editrici nazionali per il suo nuovo libro e allora nasce il sospetto che quella barba arrivi alle ginocchia e nonostante la speranza sia l’ultima a morire e chi la dura la vince il sospetto è che dovranno inesorabili arrivare le forbici per evitare d’inciamparci, nella barba, ma caro amico nessun problema, non si vive e non si pubblica solo con case editrici nazionali, anche tu sai bene che esistono altre opportunità, case editrici piccole, magari legate ad un territorio specifico, ma più attente e disponibili nei confronti dei giovani scrittori. “Lo so che tu punti al Nobel della letteratura ma tempo al tempoe vedrai che maturano le nespole, piccoli autori siamo ma cresceremo“. E il commento a Daniele pare piaccia, s’avvicina col mio libro alla mano, gradisce la firma con dedica personalizzata. Scambi di simpatie amicali tra accomunati dall’ugual passione per lo scrivere nero su bianco storie, racconti, pensieri ora in prosa, ora in versi. Ancora: Ferrante Trambaglio, Michele Rizzitiello, Roberto e Rita Galesi, Nunzio Delpanno, Marco Vaccari, Imad Chamali con Enrica Lisoni, Cristina Balletti, Graziano Gessi. Non mancano Roberto e Luigia Botner, consuoceri fedeli frequentatori delle rap-presentazioni forse per inviare un comune pensiero di saluto a quei nostri ragazzi, nipoti incluse, ormai già da un anno emigrati letteralmente e concretamente dall’altra parte del mondo alla ricerca del loro destino e del loro futuro. Non pervenuta invece Lorena Tassara con il marito Carlo. Ma nessun problema: il giorno dopo, sabato 16, eccola alla libreria Romagnosi da Claudia e Marzia Gobbi per il firmacopie degli ultimi due suoi libri e che fa? Acquista a sua volta un paio di libri, di uno fa foto e me l’invia a mezzo whatsapp ed io quella foto la passo qui nel blog e indirettamente in facebook in modo che tutti vedano e seguano l’esempio (pubblicità occulta? Nientaffatto: palese invito all’emulazione!). Naturalmente quel libro immortalato non è altro che “70 anni di sogni, illusioni, speranze, poesia“. E mo’? Come mi ci risveglio dal Nirvana della rap-presentazione a Sant’Antonio? Semplice, allestendo e programmando la prossima ovunque sia ma sempre e ancora e comunque per portare musica e poesia contro tutte le guerre ricordando che una ragionevole bandiera bianca che salvaguardi la vita non è mai una vergogna. La vergogna sono le armi e l’invio di armi sempre più potenti ad uno dei due belligeranti che provocano solo dolore, distruzioni, morti. Proprio come dice Papa Francesco. Purtroppo tra la disattenzione economicamente interessata dei potenti comandanti d’una democrazia malata di neoliberismo guerrafondaio collusi con i fabbricanti d’armi.
Ogni volta dubbi, incertezze, imprevisti. Dalila, una costola rotta per un colpo di tosse troppo forte, il dolore improvvisamente si riacutizza, deve dare forfait. Passano a prendermi due amici, Roberto e Rita, immancabili e arriviamo alla libreria, con un bel quarto d’ora d’anticipo. Non c’è nessuno. Fiato sospeso fino all’ultimo. Tutto normale. Sono diversi ad aver annunciato per un motivo o per l’altro l’assenza. Simone Tansini ha un’iniziativa artistica alla Biffi Arte di via Chiapponi e chissà quanti sceglieranno la presentazione del nuovo libro di Stefano Pareti, ex Sindaco della città. Due chiacchiere con il libraio, poi saliamo al piano superiore, nel salone dove si svolge l’ennesima rap-presentazione. Medaglia d’oro al primo arrivato, Graziano Gessi, amico poeta. Ed ecco Francesco Bonomini che seguirà le mie letture con le sue ballate eseguite all’organetto diatonico. Bene, noi ci siamo. Ed ecco la gente che arriva. Ferrante Trambaglio, ultimo segretario del Partito Socialista piacentino fino al congresso del 1994 che, dopo oltre cento anni di vita e di lotte a favore di chi lavora, ne ha decretato lo scioglimento. Immancabile, Michele Rizzitiello, attuale segretario piacentino di Sinistra Italiana, l’illustratore Marco Vaccari, l’artista Imad Chamali con la compagna Enrica Lisoni, la giovane scrittrice Cristina Balletti che, dopo due libri di fiabe per bambini, presto darà alle stampe il suo primo romanzo. Così, in breve, 15 sedie sono occupate e, considerato che siamo alla terza rap-presentazione con il mio nuovo libro e che la libreria è a Sant’Antonio, periferia cittadina, niente male. Si dà inizio “alle danze” ricordando che sono nato a Fiorenzuola d’Arda, a due anni immigrato in città per il lavoro di papà, prima casa a Sant’Antonio appunto poi via IV Novembre, infine via Dante. Erano tutti campi, era la fine degli anni ’50, a un passo dal boom economico che avrebbe significato il sorgere di gru ovunque, addio campi, trionfo del cemento.
La copertina del libro, illustrazione di Edoardo
Si parte dunque con “Quei ragazzi di Viale Dante, Piacenza anni ’60” e subito dopo “Quand’ero piccolo vivevo oltre il Vallo“, praticamente “Il ragazzo della via Gluck” in chiave locale. Io leggo, Francesco suona, qualcuno applaude ma non c’è tempo, il tempo stringe. Si ricordano i primi amori, “Al banco del pesce sul mercato ho incontrato quella donna che avevo perdutamente amato” e “Fate nere, fate le streghe”. Ma la poesia, dico, è anche e soprattutto fare scelte, decidere da che parte stare. Con chiarezza contro il nucleare che, civile o militare che sia, è sempre pericoloso, fa sempre male. Chernobyl e Fukushima insegnano. Contro un sistema capitalista e neoliberista che sempre più emargina gli ultimi e sfrutta chi lavora, si dà lettura dell’ironica e ribelle “E’ severamente proibito servirsi della toilette durante la fermata in stazione” perché si badi bene, il potere non solo proibisce, ma proibisce se-ve-ra-men-te!!!
Il tempo fugge, inevitabile ricordare che l’Italia ripudia la guerra, ricordate che qualcuno l’ha detto? Quindi come scritto nella 4^ di copertina del libro “Basta armie No al Genocidio” ma non in senso generico, precisiamo: basta invio armi in Ucraina e non dimentichiamo che il nostro BelPaese nel 2023 ha inviato armi in Israele per 2,1 milioni di euro per cui del genocidio dei palestinesi a Gaza dove, oltre a pochi terroristi muoiono centinaia di inermi civili, anziani, donne e soprattutto bambini, beh, e di tutto questo noi anche se siamo indifferenti, non siamo innocenti. Ed è la volta di “Alpini 1918 (… e venne novembre … ma non bastò)“.
Illustrazione di Edoardo riprodotta nel libro
Non possiamo fare a meno, io e Francesco, di ricordare i giorni dell’incontro con Ser Satanasso, il Covid, i lunghi giorni d’ospedale tra la vita e la morte, poi il post Covid, il long Covid, il virus che, dopo, ti resta dentro, ti resta nell’anima. E gli amici che non sono più. Nelio Pavesi, venuto alle rap-presentazioni suonando al piano, Fausto Chiesa che delle poesie faceva l’analisi critica. “Terapia intensiva“, “Gli spiriti cantavano la canzone della paura“, “Nella stanza vicina“. L’emozione sale e allora tutti al “Bar Santa Rita in fondo allo stradone“, che conclude annunciando che “è giunta alfine l’ora finale, s’abbassa serranda, a casa chi può, gli altri a smaltire al giardino comunale“. Ma non è finita. Il sottotitolo del libro dice “Anni ’70, 70 anni, 70 racconti in versi” ed è inevitabile ricordare quegli anni di sogni, illusioni, quando pensavamo di rivoltare il mondo: “Tram linea 2, attraversa Milano, dal centro ai Navigli” e alla fine a Ferrante Trambaglio par naturale venga suonata la nostra ‘Bella ciao‘ come avevamo fatto nella rap-presentazione in via Roma al 163 con l’assessore alla cultura Christian Fiazza a seguire il tempo battendo le mani e la sala a cantare, come abbiamo fatto nella rap-presentazione al bar Tobruk a BorgoTrebbia con Davide Bazzoni a seguire con dirompente voce tenorile ma stavolta Francesco cambia, propone un canzone della resistenza francese (comunque “ora e sempre la Resistenza è ancora viva, sinistra unita per l’Alternativa“). Così giunge l’ora che la libreria chiuda, qualcuno si alza, qualcuno esce, ma non manca l’estemporanea: Nunzio Delpanno, vecchio compagno socialista ormai ultraottantenne, poeta, intona “la vie en rose“. Saluti a tutti e a tutte, saluto Francesco poi Roberto e Rita mi riportano a casa da Dalila. Alla prossima rap-presentazione, sempre con “70 anni di sogni, illusioni, speranze, poesia” nel nome della giustizia, dell’equità, della pace.
Mercoledì 14 febbraio 2024, Scuola Azzurra di via Roma al 163: Francesco, Claudio, Dalila
Difficile dar conto d’una serata che mi ha visto diretto protagonista con le mie poesie e soprattutto quel numero, 70, ovvero ricordo degli anni di quel lontano decennio, gli anni ’70 per l’appunto, quelli delle mie prime poesie, dei primi veri amori, dell’ affacciarmi al mondo del sociale, della partecipazione, “operai e studenti uniti nella lotta”. Ma anche celebrazione dei miei primi 70 anni e per concludere 70 poesie, quelle proposte nel mio nuovo libro: “70 anni di sogni, illusioni, speranze, poesia”. Ah, dimenticavo, 70 poesie delle quali 7 da leggere nel corso della serata. Alla Scuola Azzurra dell’associazione di volontariato e inclusione sociale Fabbrica&Nuvole in via Roma al 163, la sala piena, ho contato 28 presenti tra i quali l’assessore cittadino alla cultura Christian Fiazza e poi amici, conoscenti, sconosciuti. Nessun parente. Una sola sedia vuota, con appoggiata borsetta, sciarpa e giubbotto. Nonostante tutto tanti assenti, rinviati alla prossima occasione.
Mercoledì 14 febbraio 2024, Scuola Azzurra di via Roma al 163: il saluto introduttivo ai presenti di Bernardo Carli, presidente dell’associazione di volontariato e inclusione sociale Fabbrica&Nuvole
Con Dalila che legge le poesie, Francesco che accompagna con le ballate eseguite all’organetto diatonico ed io che spiego. Partenza. Con il saluto introduttivo di Bernardo Carli, presidente dell’associazione. Perché questo libro, il mio nono, praticamente un ripercorrere i miei anni di vita e di poesia. Siamo arrivati, io mamma e papà, da Fiorenzuola a Sant’Antonio, alla periferia della città, Piacenza, era l’anno 1956, erano campi a perdita d’occhio fino al ponte che attraversa il Trebbia. Da lì siamo passati verso il centro cittadino ma comunque “oltre il Vallo”, subito fuori dalle mura storiche della città, in via IV Novembre ed anche lì erano campi uno dietro l’altro ma spuntavano gru come funghi, era il progresso, erano gli anni ’60. Giù botte con le bande dei ragazzini delle case popolari di piazzale Libertà, oltre confine, entro le mura, e con quelli d’oltre via Dante, una via ancora da cementificare, palazzo dopo palazzo. Ma lì, stesi nell’erba del campo dove un giorno sarebbe sorta la caserma dei pompieri, l’emozione del primo bacio.
Mercoledì 14 febbraio 2024, Scuola Azzurra di via Roma al 163: Francesco impegnato nell’accompagnamento musicale
Francesco finisce di suonare, la gente applaude. Racconto che ho scritto le mie prime poesie quando é finito il primo grande amore che in realtà era il secondo ma … più intenso. Finivano le superiori, dimenticati i grandi cortei, gli scioperi vissuti insieme, il cordone davanti all’ingresso per impedire l’ingresso ai crumiri. Restava la poesia. L’amor infranto, l’amor deluso, rimaneva la voglia di partecipazione e di cammino lungo i sentieri del rock. E, ad anni di distanza, quell’amore ritorna, incontro fatale al banco del pesce sul mercato ma delle promesse d’eterno amore raccolte in quel capanno fuori porta non restava altro che solo crusca.
Mercoledì 14 febbraio 2024, Scuola Azzurra di via Roma al 163: gran finale e tutti cantano per chiarire da che parte stiamo ieri, oggi e sempre con Christian Fiazza, assessore alla cultura del Comune che segue il ritmo battendo le mani
Morto un orso se ne trova un altro, dicono dei versi, finito un viaggio una nuova alba risorgerà: la vita e la morte, le fate e le streghe, le luci e l’ombre giocano a rimpiattino.Ma questa é altra storia, viene il tempo delle grandi lotte, contro il nucleare civile e contro tutte le guerre. Arriva finalmente, dopo la tragedia dell’incontro con Satanasso il Covid che ci accomuna a me, Dalila, Francesco, l’anno che voglio essere felice, quello dei miei 70 inverni (la data è il 14 febbraio), l’anno che è ammesso sognare: nuovo anno, nuovo bivacco, tutti i poveri saran sfamati, tutti i ricchi a mani vuote.
Mercoledì 14 febbraio 2024, Scuola Azzurra di via Roma al 163: gran finale di una serata sempre dalla parte della giustizia, dell’equità, della pace e della poesia
Si finisce spiegando il senso dell’immagine di copertina creata da Edoardo e s’arriva all’ultima poesia. Si sale sul Tram linea 2 che attraversa Milano, dal centro ai Navigli. Chi legge il giornale, chi lo sguardo perso / chi non vede la fine mese, / chi suda nell’afa, chi teme lo sfratto, / incombe il mutuo, é la crisi del Paese. Segue il finale a sorpresa e Francesco inizia l’ultima suonata, si vive un attimo d’esitazione, nessuno se l’aspettava, poi l’assessore inizia a seguire il ritmo battendo le mani, Milena si alza in piedi ed inizia a cantare seguita da tutta la sala.
Mercoledì 14 febbraio 2024, Scuola Azzurra di via Roma al 163:gli anni ’70, il mio libro con 70 poesie e immancabile al buffet la torta con candelina da spegnere a simboleggiare i miei primi 70 anni vissuti
Una “prima” non solo emozionante, frastornante, una “prima” da leggenda. Grazie di cuore a Dalila, a Francesco, a tutti i presenti, all’associazione di volontariato e inclusione sociale Fabbrica&Nuvole e al suo presidente/bidello/tuttofare/amico Bernardo Carli.
Mercoledì 14 febbraio 2024, Scuola Azzurra di via Roma al 163:così, per ribadire da che parte stiamo, contro la guerra, contro l’invio di armi in Ucraina che fanno solo morti in più, per un impegno dell’Italia alla ricerca di una soluzione diplomatica, contro il genocidio in atto in Palestina da parte di Israele
“Vietato attraversare i binari. Servirsi del sottopassaggio – Cronache di viaggi sul treno toccato in sorte” è stato pubblicato nel 2009, secondo libro poetico dopo “E’ severamente proibito servirsi della toilette durante le fermate in stazione” (2005). Mercoledì 18 ottobre in via Roma al 163 l’ho portato alla rassegna “i mercoledì coi grilli per la testa” promossa dall’associazione Fabbrica&Nuvole, con Dalila nelle vesti di lettora di alcuni racconti in versi e in prosa e Francesco Bonomini all’accompagnamento musicale con le sue ballate eseguite con l’organetto diatonico. Tra i presenti Stefano Ghigna, scrittore a sua volta e insegnante in pensione, sceso in città per l’occasione dalla verde Val Perino. Senza esitazione ha acquistato copia del libro, velocemente lo ha letto e ieri, 23 ottobre, ha proposto in facebook la sua recensione che, emozionato e gratificato, riporto.
Mercoledì 18 ottobre 2023, uno scorcio del pubblico presente in via Roma al 163 con, primo sulla destra, Stefano Ghigna dalla magica Valperino
LE PAROLE DI STEFANO GHIGNA PUBBLICATE IN FACEBOOK
Claudio Arzani ha colpito ancora, un centro perfetto. Ho letto la raccolta tutta d’un fiato, come un romanzo avvincente. Un mondo di caldi sentimenti, di fervida immaginazione, di realtà alata. Respiri l’autenticità della passione. La bravura del comporre ti trascina nelle sue creazioni. C’è la vita sul treno sferragliante, negli angoli della Valperino e della Valtrebbia con un tocco di magia, di attese, d’amore. Vera alta poesia, neanche una goccia di retorica
Mercoledì 18 ottobre 2023,Francesco Bonomini e Claudio Arzani con i racconti e le liriche dei viaggi sul treno toccato in sorte letti da Dalila Ciavattini
“Addio alle scope”, disegno di Edoardo Arzani: il mondo cambia, son cambiati anche i tempi delle streghe
(ndr) Ricordando che mercoledì 18 alle ore 18 Claudio Arzani, Dalila Ciavattini e Francesco Bonomini saranno in rap-presentazione in via Roma al 163 con i racconti in rima e in prosa del libro “Vietato attraversare i binari. Servirsi del sottopassaggio – Cronache di viaggi sul treno toccato in sorte“, Arzyncampo ripropone la recensione in Libertà quotidiano di Piacenza della giornalista Betty Paraboschi
E’ figlio di un ferroviere Claudio Arzani. Figlio di quella tradizione che dello spirito solidaristico e comunitario si è nutrita per decenni: uniti nel lavoro, nella lotta (quella sindacale, la più dura) e pure nel tempo libero. E non è dunque un caso che il suo secondo libro si intitoli Vietato attraversare i binari. Servirsi del sottopassaggio: quella formula che quotidianamente risuona in ogni stazione d’Italia diventa una filastrocca luminosa, rappresenta un lasciapassare per il personale mondo dell’autore tutto fatto di storie arcane e ritmi ancestrali.
Vietalo attraversare i binari vuole dire lasciare perdere per un momento la realtà con le sue falsità, i problemi sciocchi di un oggi troppo intento a crogiolarsi nella banalità; il sottopassaggio da affrontare è invece quello dei pensieri silenziosi e nascosti, le speranze sepolte sotto la polvere dei decenni, le vicende messe a tacere dalla tradizione imperante.
Sono racconti e poesie quelli di Arzani, accompagnati dalle ballate popolari eseguite con l’organetto diatonico di Francesco Bonomini: opere che nascono da un viaggio nel cuore della Garfagnana, su una vecchia littorina degli anni Cinquanta apparsa improvvisamente in una stazione. Ecco allora che lo spirito del poeta si ricollega invariabilmente al vissuto del padre ferroviere: il viaggio è reale ed onirico e il treno si trasforma di volta in volta nel mezzo capace di dare voce al senso di libertà e nella locomotiva “piena di signori” cantata da Guccini.
Del cantautore modenese c’è tanto nella raccolta di “pace, amore e viaggi” di Arzani: lo spirito libertario, quella solidarietà “alla buona” da scambiarsi in osteria davanti ad un bicchiere di vino, una tensione all’anarchismo di sapore nostalgico. Ma soprattutto comune è una concezione della poesia “come spada che ferisce chi comanda e fa tornare bambini”: comporre versi significa dunque ristabilire un contatto profondo con l’io dell’infanzia, ricomporre un vissuto abituato a sognare ed immaginare senza troppi problemi. Ed è allora che la presentazione diventa spettacolo, rappresentazione di storie destinate non solo, o non più, a restare solamente tra le pagine di un libro: rievocare il culto della dea celtica Brigit attivo sulla Pietra Parcellara o l’esistenza di un bosco sacro delle querce azzurre nei dintorni di Travo significa farli rivivere un pò ancora oggi nelle menti degli spettatori. Raccontare le storie della Val Boreca con i suoi tetri e misteriosi uomini incappucciati, gli “amanti viaggianti” di Borgomozzano, la vendita della “formaggia” alla “fiera dei mercanti” è un modo perché questi sogni così reali, non siano dimenticati.
La Scuola azzurra dell’associazione Fabbrica&Nuvole, una vetrina, due stanze l’una dopo l’altra in via Roma al 163. Un quartiere discusso, con una forte presenza di immigrati, per questo da alcuni definito Bronx in salsa piacentina. Entrando in uno qualunque dei portoni possiamo trovare splendidi signorili giardini pieni di verde oppure vecchie case in condizioni oggettive di degrado. I prezzi del mercato immobiliare? Decisamente contenuti rispetto ad appartamenti residenziali che, in zone diverse a parità di condizioni, avrebbero ben altro valore. Piacenza, dicono le statistiche, vanta un’alta percentuale di residenti di diversa etnia così nascono le diffidenze, i pregiudizi, le paure. Così via Roma diventa l’oggetto di tanta diffidenza. I piacentini appena possono se ne vanno. S’abbassano le saracinesche, si spengono le luci, quelle che fanno festa. Poi però c’è chi invece non si arrende, chi mette idee ed energie e invita tutta la città per scoprire che via Roma può essere luogo di vita e di condivisione attraverso proposte di arte e cultura vissute insieme.
Così, mercoledì 12 ottobre, ore 16.00, Claudio, Dalila, Marco si ritrovano alla Scuola. C’è da preparare la sala, si sistemano i cavalletti, Dalila va in gastronomia da Valla, compra un salame per il rinfresco, intanto Claudio prepara la vetrina, sistema il cappello con la penna nera degli alpini e tre quadretti con altrettante poesie. Marco comincia a sistemare i cavalletti per esporre le illustrazioni di Edoardo d’accompagno alle poesie e alle note di guerra 1937-1945 contenute nel pamphlet “Scendea fischiando feroce sorella morte“, una pubblicazione realizzata nel 2015 in collaborazione con Fausto Chiesa che riportava testimonianze del padre, Federico, militare in Russia.
Ore 17.00, arriva Bernardo reduce da un dibattito, inizia a sistemare le sedie. Poco dopo ecco Simone, aiuta Marco, bisogna sistemare i quadretti delle illustrazioni appendendoli ai cavalletti usando filo da pesca che ha buona resistenza. Arriva anche Franca e con Dalila sceglie dove appendere la bandiera nera con il simbolo rosso ‘fate l’amore non la guerra‘ con la scritta We shall dream for peace, sogneremo la pace. Intanto si discute, ci si canzona, si parla di progetti futuri, di locandine da elaborare, di spazi da raggiungere e conquistare. Si fa comunità, è questo il senso di Fabbrica&Nuvole. Un ragazzo, passando, si ferma curioso a studiare la vetrina, legge una delle poesie esposte, “Concludendo, le donne“. Un uomo con la barba entra, chiede di parlare con Claudio, si chiama Giuseppe, ha scritto un libro, “Fotogrammi di diario andante” con a tema escursioni tra i nostri appennini, Claudio l’appunta per un prossimo ‘mercoledì coi grilli per la testa’, magari da prevedere per dicembre quando lassù tra i nostri monti ci sarà la neve.
Francesco Bonomini
Mancano dieci minuti all’inizio della rap-presentazione, si sta ancora predisponendo la sala, arriva Valeria, porta un quaderno che farà girare tra i presenti che volessero lasciare la loro mail per essere informati delle iniziative dell’associazione. Arrivano anche i primi ‘esterni’, quelli che fanno pubblico. Dalila e Franca finalmente hanno sistemato la bandiera, Marco e Simone hanno coperto le illustrazioni con fogli colorati, bianco, rosa, azzurro, blu, rosso, viola, verde, sono i colori della pace che simboleggiano l’ultima delle poesie che verranno lette, ‘Nel cielo di Nassirya‘ dove speriamo sia una colomba quella che in cielo bianca vola e non un missile biancoblurosso o a stelleestrisce. Arriva Gero, ecco PierLuigi, coordinatore della sezione di Borgonovo dell’Associazione Nazionale Alpini. Oggi per lui, è una giornata importante: 12 ottobre 1975, 47 anni fa e oggi festeggia appunto 47 di vita insieme con la moglie ma, in memoria dell’amico Fausto e per un sogno di pace, non può mancare, non dedicare un paio d’ore. Intanto, una decina di poltroncine sono già occupate, ecco Enrica, in bicicletta arriva Michele.
18.02, siamo una ventina ed è già record per i ‘mercoledì coi grilli per la testa‘: non è facile muovere i piacentini e men che meno è facile convincerli a passare in un pomeriggio tardo in via Roma, che facciamo, si inizia? Claudio dovrebbe dare il là ma prende il cellulare, chiama chi non risponde tra lo stupore di Bernardo: “Claudio non riconosce il quarto d’ora accademico“. Di solito, certo, tempo al tempo, niente punti morti ma qui manca Francesco che dovrebbe accompagnare la lettura delle poesie con le suonate all’organetto diatonico e la serata, senza le note magiche di Francesco non è la stessa cosa. Si temporeggia e intanto arriva Carmelo con consorte e ancora altri, forse resta una sola poltroncina vuota. Ma quanti siamo? Chi ci conta in più di 25, chi arriva a 29, Bernardo esagera: 35! Tante, dice, erano le poltroncine, ma questa è una rap-presentazione di soggetti noti da tempo in viale Malta ai ‘ragazzi della Digos‘ come fomentatori di pace e se sentissimo la versione ufficiale della Questura sicuramente non si supererebbero i 5.
PierLuigi Forlini, coordinatore Associazione Nazionale Alpini gruppo di Borgonovo Val Tidone
Intanto Claudio finalmente prende la parola o meglio come si suol dire, prende ‘il toro per le corna‘ mentre sorpresa arriva col suo splendido sorriso Elena e Geo immantinente le cede la poltroncina in terza fila rassegnandosi a restare all’ingresso, in piedi, con altri due. “Tutte le guerre sono uguali“, sta dicendo Claudio, “servono a rendere più poveri i poveri e più ricchi i ricchi“. A partire da chi vende armi e, dice una voce tra il pubblico, “a chi vende gas a prezzo maggiorato“. Ma ecco, arriva Francesco con Bonzo e subito pare emozionarsi Luna, amica scodinzolante di Valeria.
We shall dream for peace
Si fa cenno al 26 aprile 1937 quando i bombardieri nazisti infieriscono sul mercato affollato da civili a Guernica e Dalila legge “Scendea fischiando feroce sorella morte“, a seguire il 19 maggio 1940, l’esecuzione di massa nella foresta di Katyn, nella Polonia invasa dall’Armata Rossa, di 21.857 cittadini e militari: il terribile orso russo non ha pietà dell’aquila argentata polacca. Così il 6 agosto 1945, quando l’aquila americana, a guerra sostanzialmente finita, con i suoi artigli rade al suolo Hiroshima. Perchè tutte le guerre, dice Claudio, sono uguali, non esiste mai una guerra giusta! E finalmente Francesco riempie di note la sala, due ragazzi neri passano in strada, guardano stupiti la vetrina ma non si fermano, la strada della condivisione larga è ancora lunga ma intanto i piacentini invece ci sono.
26 aprile 1937, Guernica, Scendea fischiando feroce sorella morte
Claudio legge dal libretto che aveva Fausto come coautore “la guerra facile e bella della retorica non è bella e non è facile, in guerra semplicemente si muore” e, a seguire, Dalila a sua volta con una delle testimonianze dai giorni della campagna di Russia di Federico Chiesa, padre di Fausto: “i nervi sono tesi al massimo. L’ansia aumenta tutti i momenti anche perché si è senza notizie dei nostri cari. Da circa un mese non abbiamo notizia da casa per noi italiani è molto, molto, siamo troppo attaccati alla famiglia troppo pensiamo alla nostra Italia, ai nostri paesi, alle nostre case noi non siamo fatti per la guerra, siamo fatti per vivere tranquilli in seno alle nostre care persone per lavorare per fecondare e non per uccidersi a vicenda con un nemico che non conosciamo con persone che a noi ci hanno sempre rispettati come noi li abbiamo rispettati. Lotta di uomini mal concepita dal popolo“.
30 gennaio 2016, Fausto Chiesa a Caorso per la pace con noi
Il turno di due parole da parte di PierLuigi, cappello da alpino in testa, a ricordare la conoscenza con Federico “che a Borgonovo raccontava, di quei giorni di una guerra inutile che nessun soldato aveva voluto“. Poi il ricordo dell’amico Fausto, con la voce mozzata dall’emozione e dalla commozione e la musica di Francesco a salutare un amico che, con noi, poetando e musicando, girava di contrada per contrada sempre sognando di pace con noi. Così come è stato nel 2016 e nel 2017 a Gropparello, a Villa Raggio a Pontenure, all’auditorium della Fondazione CdR a Piacenza, nel ridotto del Teatro Verdi di Fiorenzuola, in biblioteca a Caorso, così mercoledì 12 agosto 2022, in via Roma al 163, siamo più di trenta a seguire battendo ritmicamente le mani l’ultima suonata di Francesco, Bonzo salta la sedia, Luna lo riprende abbaiando e Fausto entra nella sala della Scuola azzurra, è qui sempre con noi.
Per un sogno di pace. Perché le armi e l’invio di armi non fanno e non faranno mai la pace.
Bello non fa rima con bellico, stop alle armi. Con le armi NON si fa la pace. Mai!!!
Credo fosse l’inverno del 1970. Avevo 16 anni, s’ascoltavano i Beatles e i Rolling Stones, pop, blues, hard rock, Deep Purple, Black Sabbath, Led Zeppelin e Antonio, che nella vita avrebbe indossato l’abito talare, in classe chiedeva “che li ascoltate da fare che tanto parlano in inglese: ci sono cantanti italiani a decine, ascoltate Sanremo“. Il BelPaese provincialotto. Pane, Nutella e gorgo di casa nostra. A scuola c’era fermento. Anzi in (quasi) tutte le scuole cittadine soffiava il vento della contestazione del post ’68. Arrivavano i ragazzi dello Psiup con i loro volantini, nasceva il Movimento Studentesco, i Collettivi del Movimento, Potere al Popolo, Servire il Popolo, il Partito Comunista marxista-leninista. Una giungla di sigle comunque accomunate da uno slogan, “studenti, operai uniti nella lotta“. E finalmente venne dichiarato lo sciopero generale di tutte le scuole della città. Pochi, quel giorno, entrarono al Romagnosi. Tutti (tranne quelli del vicino Classico) in chiassoso corteo, qualche cartello per contestare i costi del biglietto della corriera per gli studenti della provincia, le prime bandiere rosse, l’apparizione d’una bandiera nera: servì qualche spiegazione per tranquillizzare, era una bandiera del gruppo Anarchico (già, c’erano anche loro), nessuna Fiamma e nessuno a cantare ‘Faccetta Nera‘ e tanto meno “Giovinezza, Giovinezza (Primavera di bellezza)”. Via Cavour, piazza Cavalli davanti alla sede del Municipio urlanti ma tutte le finestre erano chiuse e il portone sbarrato con un paio di Urbani grintosi a vigilare sull’ordine costituito e sull’incolumità (“che non si sa mai con queste teste calde rosse“) di qualche assessore nascosto dietro le finestre del 1° piano. Rappresentanti della Balena Bianca (la Dc) e dei suoi fedeli ‘cespugli‘ del Pli, del Pri, dello Psdi, quelli che chissà perché li chiamavano ‘piselli‘ e qualcuno nel corteo inalberava un cartello con scritto ‘socialdemocrazia nemico di classe‘. Il Corso con le serrande abbassate, piazzale Genova per ricongiungersi con gli studenti (pochi) dello scientifico più interessati a protestare per ottenere la macchina distributrice della Coca-Cola per la ricreazione. E le prime voci concitate: a poca distanza, in via IV Novembre, il corteo dei ragazzi dell’ITIS e delle Professionali era entrato in contatto con i Celerini e uno studente era stato caricato di forza su una camionetta, portato chissà dove. Qualcuno diceva in Questura, altri parlavano del carcere direttamente. Fermo di Polizia abuso palese! Reagire a muso duro? Ero preoccupato, pensavo all’amico Tonino, anche lui figlio di ferroviere, che già aveva partecipato all’occupazione dell’Itis durata diversi giorni ed era sfuggito all’irruzione della Polizia saltando da una finestra e correndo a gambe levate fino a via Dante. Polmoni d’acciaio. Intanto s’alzava la nebbia e faceva freddo, si tossiva, con la sciarpa ci si copriva il viso. Mancava solo la neve oppure un bel temporale. Quelli del Movimento si mettevano ai lati del corteo, in formazione difensiva, spiegavano. Temendo una nuova carica da parte dei Celerini. Così creando un certo allarmismo e qualcuno preferiva allontanarsi dal corteo incamminandosi lungo il facsal (ignorando che un gruppo di Celerini stava ad aspettarli in via Santa Franca). Il nervosismo correva tra la folla di tanti ragazzini ancora impreparati a logiche di scontri. Protestare sì, essere menati o arrestati assolutamente no, come spiegarlo poi a casa? Comunque si prese per via XXIV Maggio per arrivare alla Camera del Lavoro, il posto magico simbolo di tutti i lavoratori, dei nostri padri, delle madri casalinghe, di quello che un giorno saremmo stati a nostra volta. E poco oltre l’ingresso i Celerini in formazione e divisa antisommossa. Tale Pasolini aveva detto che i veri figli del popolo, gli amici del popolo, erano loro ma a noi figli di operai e di lavoratori, con quegli scudi, quei caschi a nascondere il volto e quei manganelli lunghi e neri oggettivamente facevano decisamente paura. Così entrammo a passo svelto a cercar rifugio da “mamma CGIL”. Così per la prima volta varcai la soglia di quel grande salone già pieno di ragazzi e di fumo. Qualcuno col megafono (che faceva più scena del microfono) urlava “compagni, cazzo, cioè…“. Comunque venne urlato il nome dello studente arrestato. Non era il mio amico Tonino. Un ragazzo e una ragazza in ultima fila stavano l’una sulle ginocchia dell’altro sulla poltroncina in legno stile vecchio cinema di periferia (come il Roma, non ancora prescelto per le luci rosse o il vecchio cinema di Rottofreno con le seggioline cigolanti che per starci tranquillo era meglio tu fossi magrolino). Così mentre la discussione s’accendeva (“andiamo ad occupare la Questura” urlava un ragazzo di V^ con la barba lunga e nera) quei due estraniatisi dal mondo intero, limonavano senza limite nell’invidia generale perché l’impegno, la partecipazione, la politica, le bandiere rosse certo, ma l’amore era sempre più blu. Aria irrespirabile, fumo a manetta ma erano solo sigarette proletarie Nazionali, MS al massimo. Vietate perché in odor di borghesia Muratti e Marlboro, roba da guerrafondai americani che lanciavano bombe in VietNam e, come cantava Gianni Morandi, “sparavano ai VietCong“. Ecco, quello fu il mio primo magico ingresso nel locale simbolo del popolo dei lavoratori e, da quel momento, fu chiaro che con loro sarei stato anch’io per tutta la vita e infatti, nel corso degli anni, in quel luogo magico, la Camera del Lavoro, sarei passato tante altre volte. Da studente universitario prima, non nei giorni della Fiat ma solo perché ero in temporanea “trasferta” (a Torino e Modena) poi al tempo del lavoro in sanità, e così fino alla grande iniziativa di festa per i 130 anni dalla fondazione della casa dei lavoratori piacentini, prima in Italia. Anche se quella festa, nell’autunno del 2021, non è stata celebrata in via XXIV Maggio, è stata nel salone del Gotico simbolo della città stessa. Ed io, naturalmente c’ero (e nessuno si baciava, chissà che fine hanno fatto quei due ragazzi e, a proposito, non c’era neanche Tonino, nel frattempo trasferito a Reggio Emilia dove ha messo in ripostiglio il vecchio sacco a pelo tanto non passa più il tempo ad occupare e dormire nella scuola dove oggi ancora insegna). C’ero come c’erano tanti compagni del mio ormai lungo percorso di vita (tutti con la barba bianca e solo qualcuno ancora coi capelli ma tanto comunque non c’era il vento, nessuno fischiava e le scarpe erano tutte in ordine).
Ecco perché l’iniziativa del 6 giugno promossa da CGIL in onore del mio ‘Nelle fauci degl’Agnelli (Cronache in versi e in prosa dell’incontro con un Re, Sua Maestà il ’68. A seguire le ballate del ’77, le storie dei Quadri Fiat al servizio del padrone, il far di conto con i miti che si rivelano di seconda mano‘), è come un’emozionante stretta al cuore. Per il mio libro, certo, ma soprattutto perché rappresenta il riconoscimento di un percorso di vita dalla parte di chi lavora. A questo ho ispirato la mia presenza nella sanità piacentina, la direzione delle strutture che mi sono state affidate rispettando i colleghi e le colleghe oltre a lavorare nell’interesse dei cittadini, talvolta entrando in conflitto con gli amministratori dell’Azienda quando non ne condividevo le scelte perché orientate in altra direzione.
Per tutto questo invito amici, amiche, conoscenti, lettori e lettrici di Arzyncampo perché, in fondo, per quanto sembrino un pò stinte quelle bandiere rosse, comunque l’amore, il rispetto, la condivisione, la comunità, la solidarietà e l’amicizia continuano ad essere sempre più blue lunedì sarà innanzitutto un’occasione per ritrovarci.
25 maggio 2022, Scuola Azzurra di via Roma al 163, Claudio Arzani e Antonio Mosti
C’era stato il ’68, la crescita civile degli anni ’70, il Movimento del ’77, la fantasia al potere. Invece il 18 marzo del 1978 viene rapito e assassinato Aldo Moro. “Per noi che volevamo cambiare il mondo, ha introdotto l’incontro di mercoledì 25 maggio nei locali della Scuola Azzurra di via Roma al 163 Claudio Arzani, autore del libro ‘Nelle fauci degl’Agnelli’ (Pontegobbo edizioni), davvero cambiò tutto“. Purtroppo non certo nella direzione voluta da parte di quanti si erano impegnati per la conquista di diritti civili nel senso della laicità dello Stato (così per il divorzio) o per il diritto al lavoro come con l’approvazione dello Statuto dei Lavoratori. I signori della grande industria, con la Fiat degli Agnelli in prima fila, avviarono una politica di licenziamenti e di delocalizzazioni di linee di produzione all’estero, dove il lavoro operaio viene valutato poco più del costo d’un tozzo di pane. Una politica alla quale sindacato e lavoratori risposero con un lungo sciopero di 37 giorni e sembrava che la sconfitta di quel padronato fosse nei fatti, nella logica della politica, ma non fu così: gli Agnelli erano lupi e gli operai… licenziati a centinaia di migliaia “e ancora oggi basta un WhatsApp inviato alla sera per ritrovarti senza lavoro dalla mattina“.
Graziella Tosto vuole il libro ma naturalmente con dedica e autografato
Così, mentre l’incontro è proseguito con Dalila Ciavattini che leggeva le ‘poesie dalla fabbrica’ inserite sempre nel libro di Arzani, il pubblico presente non ha lesinato applausi all’accompagnamento musicale proposto da Francesco Bonomini con ballate eseguite all’organetto diatonico. A seguire l’intervento di Antonio Mosti che ha rilevato di come nel libro “non si parla di Rosa Luxemburg ma i valori che Claudio rappresenta e nei quali ci riconoscevamo in quegli anni sono i suoi, ovvero i valori del socialismo libertario“.
Francesco Bonomini accompagna l’incontro e la lettura delle ‘poesie dalla fabbrica’ con ballate eseguite all’organetto diatonico
Rivoluzionaria senza partito, contro tutte le guerre, preoccupata di preservare le libertà democratiche che l’autoritarismo bolscevico russo annullava, teorizzava la necessità di creare le condizioni istituzionali e giuridiche che potessero promuovere le capacità di convivenza disinteressata e affettiva dei singoli individui e lo sradicamento della violenza permeante la struttura di classe della società capitalistica che vedeva riproporsi drammaticamente, in forme nuove, nel socialismo realizzato dei bolscevichi. Fu definita da molti eretica per le sue idee e per la critica all’interpretazione leninista del marxismo. “La libertà solo per i seguaci del governo, solo per i membri di un partito… non è libertà. La libertà è sempre unicamente libertà di chi la pensa diversamente… Senza elezioni generali, libertà di stampa e di riunione, d’opinione illimitata, libera lotta in ogni pubblica istituzione, la vita si spegne e diventa apparentemente e in essa, l’unico elemento attivo rimane la burocrazia… Un gruppo sparuto di operai viene saltuariamente convocato per votare non la dittatura del proletariato, ma la dittatura di un pugno di politici“, sono alcune delle citazioni di Rosa proposte da Mosti. Non era marxista ortodossa, per lei Marx era solo miglior interprete della realtà di chiunque altro ma comunque quel che contava dal suo punto di vista era sempre e solo la realtà, in tutti i suoi aspetti meravigliosi e orrendi. Quale dunque la sua concezione del socialismo? Unità tra natura e storia come comunanza e continuità, nella sofferenza, degli esseri viventi. “Rimanere umani, scrive, significa gettare con gioia la propria vita sulla grande bilancia del destino, quando è necessario farlo, ma nel contempo gioire di ogni giorno di sole e di ogni bella nuvola“. Per Rosa come per Marx l’uomo è al centro di tutto e il socialismo non è un problema di produzione o di elettrificazione ma di liberazione dell’uomo, rappresenta un ideale solo in quanto è condizione di questo processo di liberazione. E non è neppure una fatalità, una tappa ineluttabile, ‘naturale’ del processo storico, ma è la conquista di ogni giorno e, al tempo stesso, la creazione di una nuova vita interiore e di nuovi rapporti: certo, anche rapporti economici di produzione, ma altresì rapporti politici di autogoverno e, soprattutto, rapporti umani di responsabilizzazione, di fratellanza e di amore. La società socialista? “Sarebbe vana cosa, se non contribuisse a realizzare questa fratellanza universale degli operai che è ciò che vi è di più sacro e di più elevato sulla terra“. La fede nella primavera, che ritorna frequente nelle sue lettere, è la fede in una primavera dell’umanità, in un nuovo soffio di vita e di libertà che lei vede nel socialismo, quella fede che i cristiani hanno simboleggiato nella risurrezione primaverile del Cristo. “La primavera, l’unica cosa di cui non ci si sazia mai, per tutta la vita, e che anzi, al contrario, ogni anno s’impara ad apprezzare e ad amare di più“.
I presenti alla fine dell’incontro hanno ringraziato per i tanti stimoli di riflessione
Ma ora, quale futuro? E’ ancora possibile credere nel sorgere del Sole dell’Avvenire?, ha concluso Arzani parlando di un mondo profondamento cambiato non certo nel senso auspicato in quegli anni di conquiste civili e sociali che seguirono il ’68. Così ha evidenziato la necessità di intervenire sui temi della sicurezza, “sono troppi i morti sul lavoro e gli incidenti non sono certo causati da semplice fatalità“. Ma non solo: “non si mangia col cemento, basta sacrificare campi di grano per costruire palazzi, capannoni, ospedali nuovi che peraltro non risolvono i problemi della salute“, “abbiamo bisogno di aria pura, siamo una città con un record europeo di inquinamento da fumi e da smog“, “dobbiamo fermare la logistica selvaggia, occorre regolamentarne lo sviluppo“, “servono piante che ci regalano ossigeno, più parchi e meno cemento appunto“. Così ancora Dalila ha concluso la serata dando lettura della lirica che chiude ‘Nelle fauci degl’Agnelli’, appunto quella che titola ‘La più bella pianta della foresta‘ e che inizia con un avvertimento: “All’alba sono arrivati ai cancelli / camion, ruspe, i signori della morte / autorizzazioni firmate timbrate / obiettivo la più bella pianta della foresta…. //”
Antonio Mosti
Si è così concluso, ieri mercoledì 25 maggio, l’incontro, per l’esattezza il terzo, proposto dall’associazione di volontariato ‘Fabbrica&Nuvole’ con la rassegna intitolata ‘I mercoledì con i grilli per la testa‘ e in attesa del prossimo appuntamento di mercoledì 1° giugno con la poesia di Sabrina De Canio, codirettore del Piccolo Museo della Poesia, per tutti gli intervenuti il buffet offerto dal Presidente dell’associazione, Bernardo Carli.
E via al buffet offerto dal Presidente dell’associazione ‘Fabbrica&Nuvole’ Bernardo Carli
Antonio Mosti e Claudio Arzani alla Settimana della Letteratura, Bobbio 2021
Alla Scuola Azzurra di via Roma su iniziativa di Fabbrica&Nuvole, associazione di volontariato sociale, Claudio Arzani in dialogo con Antonio Mosti presentano “Nelle fauci degl’Agnelli” (Pontegobbo editore) con l’accompagno di Dalila Ciavattini che legge ‘poesie dalla fabbrica‘ e delle musiche di Francesco Bonomini eseguite con l’organetto diatonico. Nell’occasione riportiamo l’articolo pubblicato in infoVercelli24 a firma del giornalista e scrittore Remo Bassini
La classe operaia può ancora andare in paradiso? Se lo chiede Claudio Arzani nel (suo) libro che si intitola “Nelle fauci degl’Agnelli”. [articolo da infoVercelli24]
“Questo libro – racconta l’autore – è una riflessione che prende parte dalla conclusione del mio percorso lavorativo. Termina infatti quando, nel febbraio del 2020, esco dalla sede del patronato Inca della Cgil dopo aver definito la pratica del mio pensionamento, disposto d’autorità dall’Azienda Usl in occasione della maturazione di 43 anni e 3 mesi di contribuzione, ultimo giorno di dipendenza il 1° maggio 2020, festa del lavoro, a 66 anni, 2 mesi e 17 giorni d’età. Decisamente emozionato faccio un bilancio sul passato vissuto e allo stesso tempo penso al futuro. Ho sempre vissuto restando dalla parte di chi lavora, per un mondo migliore, equo, solidale, libertario che, come conclude il libro, son certo che verrà“.
Ma veniamo a “Nelle fauci degl’Agnelli”. Agli argomenti trattati e sviscerati.
C’era stato il ’68, la crescita civile degli anni ’70, il Movimento del ’77, i sogni degli indiani metropolitani, la fantasia al potere. Invece, il 18 marzo del 1978 “Furia cavallo del West” (simbolo del Movimento, viene azzoppato dal sistema con il rapimento e il successivo assassinio di Aldo Moro. Cambiò tutto. I signori della grande industria, con la Fiat degli Agnelli in prima fila che avviò una politica di licenziamenti e di delocalizzazione di alcune linee di produzione all’estero, nei Paesi dove il costo del lavoro rasentava livelli di sfruttamento dei lavoratori da ‘800. Una politica alla quale sindacato e lavoratori risposero con un lungo sciopero durato 37 giorni. Sembrava che la sconfitta di quel padronato industriale fosse nei fatti, nella logica della politica ma non fu così: gli Agnelli erano lupi e gli operai… licenziati a migliaia.
Illustrazione dal libro a cura di EA [Edoardo Arzani]
“Un paio d’anni dopo – racconta Arzani – appena laureato ho vinto una borsa di studio che doveva portarmi nella direzione del personale della grande azienda ho pensato che fosse un’apertura ad una logica che ammetteva forme di collaborazione tra capitale e forza lavoro, magari con ipotesi di forme di cogestione dell’impresa. Ho creduto nel percorso ma, le mie, si rivelarono in breve illusioni. La logica Fiat era solo ed unicamente quella dell’utile, mentre la componente del lavoro, dopo la sconfitta sindacale del 1980, perdeva la sua capacità di elaborazione di un progetto di sviluppo sociale.”
Il libro – arrivando ai giorni nostri – riflette sul futuro in divenire: è ancora possibile credere nel sorgere del Sole dell’Avvenire? Claudio Arzani, con la sua testimonianza, non ha dubbi: “E’ la direzione, la prospettiva verso un futuro che garantisca la distribuzione della ricchezza per un equo soddisfacimento dei bisogni prima di pensare al successivo soddisfacimento del merito, riducendo innanzitutto la forbice tra ricchezza e povertà”.
Articolo intervista a cura di Remo Bassini, giornalista e scrittore
Francesco Bonomini e Dalila Ciavattini in una precedente rap-presentazione al Nuovo Bar Santa Rita sullo Stradone Farnese, dicembre 2014
Ti ricordi, Mino? (c’era una volta un grande movimento, 1968-77)
Ti ricordi Mino le illusioni
un mondo migliore fatto di idee
nemici dichiarati d’ogni potere
dell’ipocrisia di quelli vestiti di nero
della corruzione del clientelismo
delle giacche e delle cravatte
dell’abito mentale di chi gestisce per sé
invitandoci a sperare nell’aldilà.
Così girammo le vie del rock
con tanti compagni
cantando Lugano addio,
gli anarchici vanno via.
La notte passava dipingendo murales,
schivando carabinieri e un metronotte,
ridendo divertiti per le facce attonite
dei benpensanti mattinieri.
Ed ora eccoci,
Woodstock e il sessantotto,
il settantasette e l’illusione della Pace,
ed ora eccoci
senza nulla da raccontare
se non inutili ricordi
d’improbabili sogni
che al sorgere di ogni alba
sappiamo ancora trasformare
in frammenti di realtà.
Le poesie di Claudio Arzani lette da Dalila Ciavattini accompagnata dalle ballate di Francesco Bonomini
Interessante pomeriggio letterario mercoledì scorso alla Scuola Azzurra di via Roma al 163 promossa da Fabbrica&Nuvole, l’associazione di volontariato impegnata sul tema dell’integrazione sociale. Protagoniste le poesie di Claudio Arzani lette da Dalila Ciavattini accompagnate dalle ballate di Francesco Bonomini eseguite all’organetto diatonico. “Survivors, e venne l’autunno del 2020, il post covid, il ritorno al futuro” la proposta per introdurre le poesie che “illustrano e ripercorrono i giorni del contagio e la successiva riappropriazione della vita“, come ha detto Arzani ricordandone la pubblicazione nell’Antologia d’Autunno 2020 edita da G.C.L. di Taranto. “Ora con l’arrivo dell’estate stiamo rientrando tutti nella normalità ma non abbassiamo la guardia, la bestia resta in agguato” come sottolinea l’ultima delle poesie lette, la Ballata del fuoco: “Il fuoco che consuma, / il fuoco che muore / il buio, il buio che nasconde / nella radura il lupo s’avvicina“.
Francesco Bonomini con l’organetto diatonico e, sempre attento, il buon vecchio Bonzo
Un pomeriggio dunque di coinvolgimento per il pubblico presente che ha interloquito, ricordato a sua volta i tempi bui del contagio, i tanti che prematuramente ci hanno lasciati (tra questi in particolare Fausto Chiesa, protagonista di molte serate di rap-presentazioni con Claudio, Dalila e Francesco). Ma ci sono stati anche momenti di divertimento, qualche battutaccia riferita alla presenza di ben due cani e molti applausi specie per le musiche e le ballate di Francesco oltre naturalmente per il vecchio Bonzo quando ha mostrato le sue qualità acrobatiche esibendosi nella sua specialità, il ‘salto della sedia‘.Infine graditissimo il buffet offerto dall’associazione organizzatrice.
In evidenza sulla parete le nuvole dipinte dall’ex Preside Bernardo Carli in collaborazione con Giovanni Freghieri, disegnatore di Dylan Dog
Ora I “mercoledì con i grilli per la testa” (questo il titolo della rassegna proposta dall’organizzazione di volontariato con la finalità dell’inclusione sociale ‘Fabbrica&Nuvole) proseguiranno con la presentazione della raccolta poetica ‘I passi perduti‘ di Maria Teresa Lazzara (18.05), quindi ancora Arzani per la presentazione in dialogo con Antonio Mosti del suo “Nelle fauci deglìAgnelli“, ricordi di lotte operarie e di licenziamenti che fanno temere il tramonto del Sol dell’Avvenire (25.05), a seguire Sabrina De Canio, codirettrice e responsabile dei rapporti internazionali del Piccolo Museo della Poesia di Piacenza col suo libro di poesie bilingue ‘Libera nos a malo‘ (1.06) e infine Lorena Tassara per la presentazione del romanzo ‘L’ottava luna piena‘, storia di una donna, Adele, che partendo dai giorni della Repubblica partigiana di Bobbio si sviluppa tra Resistenza e Liberazione (8.06).”
Il libro pubblicato da G.C.L. editore in Taranto con 20 poeti e 13 mie poesie della stagione del mio ritorno al futuro dopo gli 88 giorni di ricovero per la bestia, il Covid
Non ricordo come avvenne il “contatto”. Eravamo ai primi di settembre 2020, poco più di due mesi dalla dimissione dopo 88 giorni di ricovero per polmonite interstiziale, Covid-19, il mostro, la belva che stava divorando i nostri polmoni (purtroppo il virus, sia pure con intensità e conseguenze diverse, aveva infierito con tutti noi tre: io, Dalila, Francesco). Per quanto mi riguardava, lentamente stavo cercando di salvare il salvabile. La speciale commissione INPS-ASL mi aveva dichiarato ufficialmente inabile, non autosufficiente, con gravi difficoltà di deambulazione. Fino al 31.12.2021, salva rivedibilità (che alla fine sarebbe stata una ‘conferma a vita‘). Avevo bisogno di momenti della mia normalità, ritrovare le mie passioni, il recupero non solo fisico ma anche psicologico, quello dell’ordinaria quotidianità. Avevo timore anche solo di riprendere il lavoro al PC, il timore di non ricordare le password, con prudenza avevo ripreso l’aggiornamento quotidiano di arzyncampo.altervista.org, il mio blog. Stavo lentamente, con cautela, tornando alla lettura dei romanzi. Forse, in quel settembre 2020, vado a memoria, casualmente ho letto in facebook alcuni inviti per la partecipazione a selezioni poetiche e quello poteva essere il ritorno alla mia “normalità”, alla vita. Del resto avevo una lirica molto forte, nella quale credevo, che rappresentava i giorni del contagio, del ricovero, dell’aver vissuto tra la vita e la morte. “Terapia Intensiva”, il titolo. In breve mi arrivarono telefonate da diverse case editrici magnificando la poesia, già ipotizzando la premiazione e proponendo la stampa di una silloge personale. Ovviamente previo mio “contributo” economico a fronte degli ampi e numerosi servizi garantiti (in concreto, molta fuffa). Perché spesso con la poesia funziona così. Bla, bla, bla. Roboanti promesse, poi al massimo vendi a qualche amico e a mamma e papà dopo aver contribuito con un paio di migliaia di euro per una raccolta che in buona parte resta su uno scaffale in cantina. Insomma, no grazie. Diverso il terzo contatto, stavolta via mail. Da Taranto, tramite Giancarlo Lisi, curatore di una pagina dedicata alla poesia pubblicata nell’edizione del sabato sul quotidiano cartaceo “Buonasera Taranto”. Possibile pubblicazione, mi diceva, con tempi d’attesa normalmente medio lunghi (qualche settimana) ma vista l’estrema attualità della mia lirica, il 19 settembre era già pubblicata. Questo modo di procedere è credere e far poesia e non una semplice operazione commerciale mascherata o comunque a beneficio d’una parte sola (non certo il poeta scrittore). In realtà, dopo la pubblicazione sul quotidiano tarantino, mi è arrivata una proposta dalle edizioni C.G.L. di Taranto: inviare 13 liriche e un curriculum per un eventuale inserimento, previa selezione, in un’Antologia d’Autunno 2020 in fase di preparazione. Un volume che doveva unire 20 poeti e 260 liriche per 308 pagine. E il contributo? Naturalmente c’era: 100 € (da versare solo dopo l’eventuale selezione positiva) per avere 10 copie dell’antologia con prezzo di vendita previsto in 25 €. Beh, il tutto mi è parso abbastanza onesto, equilibrato, corretto. Così ho inviato la mia proposta. Con soddisfazione dopo qualche settimana, in ottobre 2020, ho saputo d’essere stato selezionato ma la seconda ondata del contagio ha bloccato tutto, l’editore ha chiuso in un cassetto le poesie dei 20 autori selezionati ed io ho messo in cassaforte i 100 € in attesa di tempi migliori.
A fine giugno 2021, ecco una mail, annuncia che, passata con l’estate l’emergenza covid, il 5 luglio l’Antologia sarebbe passata alla stampa e venerdì 23 luglio se ne prevedeva la presentazione al Castello de Falconibus a Pulsano (Ta), il castello assalito dai saraceni nel 1326 che fecero mattanza di Renzo De Falconibus e dei suoi soldati per poi catturare la giovane figlia diciottenne Angelica, imprigionarla, decapitarla, murarla nella torre e ancora oggi si racconta di lamenti femminili disperati nelle notti di plenilunio e di un’evanescente figura che si muove sulle terrazze del maniero. Chissà che, ho pensato, alla presentazione dell’Antologia non decida anche lei, la bella Angelica, di presenziare, ascoltare, magari delicatamente applaudire ma, per me, era troppo lontana Taranto. avevo lasciato il deambulatore e le stampelle ma ancora proseguiva la lunga fase della riabilitazione, impensabile il lungo viaggio in treno e ancor meno in auto quindi niente incontro con la dolce Angelica aggirandomi tra gli austeri corridoi dell’antico maniero.
Ma veniamo alle poesie, anticipandone almeno alcuni frammenti delle più significative. Come dicevo l’insieme nel suo complesso rappresenta il tempo della rinascita post covid e contemporaneamente la consapevolezza del cambiamento, della nuova fase di vita, a 66 anni appunto l’inizio dell’autunno della vita ma che, in questo caso, nel mio caso, era un autunno di rinascita, di recupero della vita e del futuro: “mi sento in armonia/ con la gente, con me stesso/ con lei che amo,/ anche se ieri si dissentiva”. Tempo di serenità, di passeggiate in riva al grande placido fiume ad ammirare “le barche dall’onde accarezzate/ e quelle antiche, ormai dimenticate/fra l’acqua d’argento/ e l’immenso cielo”. Naturalmente i ricordi del passato recente, l’epidemia: “mi sembra di aver freddo/ dopo l’ultima iniezione/ una nebbia umida come/ nella pianura d’autunno/ lenta entra nella stanza” e il domani che rischia d’essere avvinto da quella “nebbia custode di palpitanti cuori/ avvolti elfi, maghi, streghe/ in agguato nascosto mago Merlino/ dal fosso salta il Bianconiglio”. Ancora, la ballata del fuoco (forse la mia preferita) che invita a non abbassare la guardia, “il fuoco che consuma/ il fuoco che muore/ il buio, il buio che nasconde/ nella radura il lupo s’avvicina”. Infine, immancabile, l’emergere dei ricordi di tempi ed emozioni passate perché, quando t’avvicini al momento della fine rivivi gli episodi della vita passata, frammenti di poesie, frammenti di giorni vissuti, quelli felici, quelli in un letto ospedaliero a un passo dal mondo dell’Altr/Ove e, nonostante il Covid, alla fine “i sogni ritornano” e si realizzano. La vita riprende, continua.
Dalila, “lettora” in una rappresentazione a Gragnano nel 2016 (al suo fianco Diana Lucia Medri)
Ebbene, domani, alla Scuola Azzurra di via Roma 163, su iniziativa dell’associazione Fabbrica&Nuvole, quelle poesie si presentano a Piacenza. Siamo tre, tre sopravvissuti al contagio, io con le mie poesie, Dalila che ritorna nelle sue vesti di “lettora“, Francesco che torna a proporre le sue ballate.
Francesco: eravamo a Caorso, gennaio 2016
Ne sono certo: ve ne andrete, alla fine, gratificati, avvolti dalla magia della poesia, della musica, della speranza, del futuro che ritorna.A domani, ore 18.30 in via Roma al 163.
Così, navigando a caso nel web, trovo il ricordo di un ‘passaggio’ nel dicembre 2014 in Radio Sound nella trasmissione Poetry Break condotta da Giusy Càfari Panico (l’articolo è a firma Mirko Rossi). Decisamente un piacevole ricordo che peraltro s’accompagna alle liriche a contenuto sociale del mio nuovo libro di racconti e ricordi poetici in versi e in prosa, “Nelle fauci degl’Agnelli”(disponibile nelle librerie Fahrenheit e Romagnosi a Piacenza, Puma a Castel San Giovanni e ancora nei siti IBS, LaFeltrinelli.it, Libreria Universitaria)
L’ospite della puntata di Poetry Break del 14 dicembre (2014, ndr) è Claudio Arzani, un autore piacentino che ha fatto della poesia impegnata nell’ambito politico e sociale una vera e propria bandiera, la stessa – quella della pace – che spesso porta con sé durante i suoi reading. Fiorenzuolano di nascita vive a Piacenza dove ha un importante incarico amministrativo nell’ambito della sanità, ma la sua grande passione è la poesia.Esponente del movimento mondiale “Centomila poeti per il cambiamento”, è uno dei poeti inseriti nella prima antologia ‘Piacenza Poesia, poeti all’ultimo km della via Emilia’ recentemente pubblicata dalla piacentina Scritture edizioni.Ha pubblicato diverse raccolte di poesie. Ha proposto a Poetry Break una poesia tratta da una delle sue più originali sillogi di liriche “E’ severamente proibito servirsi della toilette durante le fermate in stazione(canti di lotta, di esistenza, di resistenza)”. Arzani scrive tanto di Piacenza, scrive di strade note, di luoghi che descritti da lui assumono una connotazione universale. Tutti infatti si possono ritrovare in quei luoghi e in quelle suggestione, sia che si parli di Mortizza che di Via Dante. In lui, in particolare, risuona un’eco, quella degli anni settanta, della fantasia, della ribellione e delle speranze che davvero affascinano i lettori. Nelle poesie di Claudio sembra che la speranza esista ancora, che si possa ancora lottare per l’uguaglianza, per un mondo migliore.Eccovi la poesia che ha dedicato agli spettatori di Radiosound , che si intitola Concludendo, le donne, ed è un inno alla donna intesa soprattutto come dispensatrice di pace, come simbolo di carità e fratellanza, di quiete dopo la tempesta di una guerra che forse non è solo quella combattuta con le armi, ma quella di ogni giorno.
Concludendo, le donne
Le donne pensano ai fidanzati,le donne sognano l’amorecosì quando le bombe non fischiano piùquando scende il buio e finalmentetacciono i cannoni, si raffreddano i mortai,le donne scendono nel campo,curano i feriti, seppelliscono i cadaveri.
Su suggerimento dello stesso Claudio, la canzone abbinata è la storica “C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones” cantata da Gianni Morandi nel 1966, una delle poche “impegnate” del cantante bolognese. E’ bello riascoltarla e immaginare il ragazzo Claudio e tanti della generazione appena precedente alla nostra che hanno lottato per valori in cui credevano e che comunque vivevano i loro ideali. La poesia di Claudio, comunque tocca tantissimi altri argomenti. Vi invito a collegarvi con il suo blog, http://arzyncampo.altervista.org/ uno dei più interessanti in cui abbia avuto modo di imbattermi, in cui parla di poesia e di tanto altro. Uno dei motti presenti sul suo spazio web è “Basta scrivere, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.”Grazie Claudio della tua visita e, mi raccomando, continua a credere nelle tue bellissime utopie in attesa che diventino realtà!
La presentazione de “Il soffio del vento, da Chernobyl a Caorso trent’anni dopo” (Pontegobbo edizioni) domenica 22 ottobre a Castell’Arquato nel video (presente in Youtube) realizzato da Valter Sironi e Cinzia Paraboschi rispettivamente Presidente ed animatrice dell’Associazione Culturale Terre Piacentine. Oltre all’intervento dell’autore che prende spunto dal racconto che apre il libro, la storia del piccolo Luca quel 1° maggio di sole in ‘libera uscita’ col babbo mentre invisibile arriva la nube radioattiva, in evidenza la testimonianza di Diana Lucia Medri, nata in Bielorussia a circa 300 km da Chernobyl e Pripyat, con il padre tra i primi soccorritori alla centrale in fiamme defunto per tumore, malattia che ha poi colpito anche la madre trasformando Diana Lucia in una ‘bambina di Chernobyl’ (venuta in base a un programma di assistenza in Italia accolta da una famiglia per una breve permanenza di un mese, rimasta sola dopo la morte anche della nonna, ha ricevuto la proposta di essere adottata ed ha accettato). Da parte sua Dalila Ciavattini legge dal libro la testimonianza di Egor, bambino che quella notte con i genitori esce da casa per ammirare quel misterioso bagliore che illumina il cielo, tanti colori che sembrano danzare e lui ben presto capisce, si tratta di un drago che soffia il suo fuoco per accendere il buio. Ancora Dalila legge “La foresta rossa di Chernobyl“, poesia peraltro premiata a Cortemaggiore al concorso promosso da ‘Hostaria delle Immagini’ nel 2016. In conclusione l’assessore alla cultura, Tiziana Meneghelli che ringrazia in particolare Diana Lucia per il coraggio di testimoniare la propria dolorosa esperienza rompendo la cappa di silenzio che troppo spesso circonda le vicende (e gli incidenti) del nucleare.