Eravamo negli anni sessanta e nuovi fermenti caratterizzavano il periodo. Nel campo sociale, dell’arte, della politica, tutta la società sembrava pervasa da una voglia di cambiamento in senso progressista. Certo. Personalmente, con i miei dieci anni (nel 1964) leggevo Capitan Miki, Il Grande Blek, il Corriere dei Piccoli, e ascoltavo le canzoni del festival Sanremo, nessuna idea di chi fossero sconosciuti come Beatles e Rolling Stones. Del fatto che nel 1962 Angela Giussani con la sorella Luciana avesse portato nelle edicole un fumetto con protagonista un uomo in tuta nera che rubava quel che voleva in barba ad un ispettore della Polizia, sapevo assolutamente nulla.
Così del resto ignoravo completamente l’esistenza di tal Max Bunker e men che meno di un disegnatore di nome Magnus. Eppure già bussavano alla porta i tempi di grande creatività che inevitabilmente dovevano coinvolgermi. Con i jeans che prendevano il posto dei normali pantaloni, le camicie a fiori, gli stivaletti neri stile Beatles, i capelli che leggermente si allungavano, i ragazzi (tra i quali tal PierLuigi Bersani dal paesello di Bettola) che nel 1966 accorrevano come volontari a Firenze, il telegiornale che raccontava degli sconti a Valle Giulia tra Polizia e altri ragazzi universitari (quindi figli di benestanti, avvocati, medici, professionisti, industriali).
In questo contesto finalmente, forse nel ’67 o forse nel ’68 finalmente ho scoperto chi fosse quell’uomo in tuta nera mensilmente presente in edicola. Diabolik. Con la sua compagna, Eva Kant, semplicemente rubava con destrezza e qualche volta ammazzava. Un Robin Hood a fumetti? Per niente: ogni furto avveniva per il gusto dell’azione stessa e soprattutto pro domo sua. Insomma, un personaggio che non mi ha mai appassionato. Una trasgressione rispetto ai valori sociali senza alcuno sbocco o significato di interesse collettivo. Non un ribelle, non un rivoluzionario. Semplicemente, ladro.
Ben più appassionante la scoperta di un altro fumetto, Kriminal, sceneggiature di Max Bunker e straordinari disegni di Magnus, Roberto Raviola. Lo scheletro vivente prima ammazzava, poi se del caso rubava ma soprattutto derideva la società dell’opulenza, dei ricchi e grassi gioiellieri, dei banchieri, dei banchettari. Insomma, un anarchico rivoluzionario (sia pure nel limite della sua azione meramente individualista). Tutto questo comunque giunse a conclusione credo nell’estate del 1969 quando in spiaggia mi capitò tra le mani il numero 4 di un nuovo fumetto, Alan Ford con storie nelle quali nessuno moriva, nessuno rubava (Conte Oliver a parte), prevaleva l’ironia, l’umorismo, la satira, il grottesco che nell’insieme erano una critica alla società dell’opulenza, dei finti bisogni, dell’apparenza senza comunque bisogno d’ammazzar gente e a destra e a sinistra.
Precisato tutto questo, rieccoci all’Alzaia del Naviglio Grande, riprendiamo via San Cristoforo per il ritorno verso via Troya, al quartiere Tortona. Superiamo il sottopasso ferroviario e l’ultimo passaggio a livello ancora attivo a Milano, torniamo ad ammirare (clicca qui) i murales che rappresentano la Valentina di Guido Crepax (altro fumetto in edicola nel 1965) e notiamo nella strada sulla nostra sinistra il lungo muro di via Pesto appunto con un nuovo esempio di street art: il murales dedicato al re del terrore, il Diabolik delle sorelle Giussani.
In altre parole, si prende atto che a Diabolik mancava soltanto di conquistare le strade della città ed invece, grazie alla collaborazione ancora una volta di Municipio 6, della casa editrice Astorina, dei proprietari dei muri, del Mudec, di vari sponsor e di vari ragazzi muniti di bombolette spray, ecco prendere forma un nuovo pezzo di quello che potrebbe diventare un vero e proprio distretto del fiumetto capace di rendere attrattivo un quartiere altrimenti a rischio degrado.
Concludendo, la ‘scoperta’ di una inaspettata gradevole sorpresa e, nell’attesa di un prossimo muro magari con protagonista Tex Willer o Dylan Dog, il rammarico per le auto (tante, decisamente troppe) che impediscono una visione a tutto campo delle singole opere. Vero che Enrico Letta e il PD di questi giorni di ‘campo largo‘ non ne vogliono sapere quantomeno in politica ma è altrettanto vero che arte, politica, parcheggi non necessariamente devono andare a braccetto. Fermo restando che è comprensibile questa zona a parcheggio free (rispetto al vicino quartiere Tortona dove tutti gli spazi sono riservati ai residenti) per gli automobilista sia tanta manna che cala dal cielo ma anche l’ammiratore della street art e di Diabolik avrà pure qualche sacrosanto diritto. E con questo, Milano ciao, alla prossima.