“San Corrado Confalonieri e la via Francigena”: l’intervento di Claudio Arzani alla conferenza del 10 febbraio 2024 nel Romitorio ospitale di Calendasco

Venerdì 10 febbraio 2024, Romitorio ospitale di Calendasco, i tre conferenzieri, Umberto Battini, storico di San Corrado, Claudio Arzani, giornalista e poeta, Carmelo Sciascia, scrittore

Riporto il testo dell’intervento sulla vicenda (spesso indebitamente contrastata) del Santo piacentino Corrado Confalonieri, patrono di Calendasco e di Noto, cogliendo l’occasione per ringraziare Umberto Battini e Carmelo Sciascia per avermi invitato alla conferenza completando la ricerca già approfondita nel 2015 in precedente giornata di studi. (Claudio Arzani)

Corrado Confalonieri (Calendasco 1290 – Noto 19 febbraio 1351), è stato un penitente, terziario francescano e pellegrino, ha condotto una vita anacoretica, da eremita; è venerato come santo dalla Chiesa cattolica che ne celebra la memoria liturgica il  19 febbraio.

San Corrado nell’iconografia

Dal punto di vista iconografico Corrado non ha un simbolo particolare, le diverse immagini presentano simboli che frequentemente troviamo nelle raffigurazioni anche di altro Santi.

In particolare le immagini che lo riprendono (dipinti, santini, ecc.) vedono la presenza di un libro (simbolo comune a tutti i santi), raramente di una bandiera (comune ai santi di nobile origine), della Croce (che accompagna i membri di un ordine), del bastone del pellegrino, del rosario (simbolo della devozione per Maria), di un teschio (simbolo dei penitenti e degli eremiti che richiama la consapevolezza della morte).

Sia pure molto raramente infine lo troviamo ritratto con un cane, allusione al ruolo che la caccia ebbe nella sua conversione.

Perché alcuni santi, tra i quali San Corrado, sono raffigurati con dei teschi accanto?

Notare dei teschi accanto a un santo è molto comune nell’arte cristiana. Perché? I teschi sono presenti nei ritratti dei santi per sottolineare la loro saggezza e la costante consapevolezza della propria mortalità. La morte era costantemente nei loro pensieri, e questo li spingeva a cercare in tutti i modi di raggiungere la perfezione.

Per quanto vogliamo sfuggirle, la morte verrà per ciascuno di noi. I Santi ricordavano questo semplice fatto e non volevano dimenticarlo. Sapevano che Dio li avrebbe giudicati quando sarebbero morti e non volevano apparire davanti a Lui a mani vuote.

È sano pensare alla nostra morte, ha dei grandi benefici spirituali. Se non abbiamo una sana paura della morte, dimenticheremo i nostri doveri da cristiani qui sulla terra. Allo stesso tempo, è anche sano desiderare – in un certo senso – la morte. Dobbiamo renderci conto che se viviamo vicini a Dio, la morte ci garantirà l’accesso alla vita eterna.

I santi lo avevano compreso. E per riconoscere la loro saggezza, gli artisti li hanno dipinti reggendo dei teschi o con dei crani accanto a loro.

Ma perché in alcune immagini il Santo viene indicato in compagnia di un cane?

Per poter fornire una risposta, occorrono alcuni cenni biografici sulla vita di Corrado e della sua famiglia.

I Confalonieri di Piacenza (ramo del tutto estraneo ai Confalonieri di Milano) appaiono alla fine del sec. XI, con Lantelmo, vessillifero del vescovo piacentino alla prima crociata, ed ebbero poi una larga partecipazione alla vita comunale di Piacenza. Nella vita religiosa sono da segnalare la Beata Adelasia (1193-1266) abbadessa di S. Siro, e naturalmente San Corrado (1290-1351) che dopo aver partecipato alla vita politica dalla città, entrò nell’ordine francescano e morì eremita a Noto (Ragusa). Da aggiungere che Arduino (prima metà del sec. XIII) fu podestà in varie città, così come altri della famiglia (tra questi Jacopo, padre di S. Corrado).

Corrado dunque nasce a Calendasco, probabilmente nel Castello. Da osservare in merito che alcune fonti, anche odierne, sostengono invece che sia nato nella fortificazione di Celleri ma potrebbe trattarsi semplicemente del tentativo di un ramo minore della famiglia (i Confalonieri di Celleri, appunto) di attribuirsi la paternità del Santo per ovvi motivi di prestigio successivamente alla damnatio memoriae dichiarata dai Confalonieri di Calendasco per i fatti che vedremo. Del resto, si osserva che il feudo assegnato alla famiglia di Calendasco dal Vescovo comprendeva parte della Val Tidone e della Val Chero per cui possiamo dire che sicuramente Corrado, aldilà di ogni congettura, è comunque nato nel feudo di Calendasco ed era discendente della nobile casata dei Confalonieri che, oltre ad abitare anche in Piacenza, avevano vasti feudi assegnati loro quale privilegio per essere una famiglia guelfa fedele alla Chiesa discendente dagli Oberlenghi (quindi di stirpe longobarda).

Cavaliere e dunque uomo darmi, il giovane Corrado combatte nel cremonese. Amante della caccia si rende protagonista di un grave episodio durante una battuta nel 1313 che alcune fonti danno nella zona di Calendasco ovvero in Val Tidone tra San Nicolò e Rottofreno partendo da “La Bruciata”. Altre fonti nel territorio di Celleri in Val Chero, tra Travazzano e Carpaneto quindi partendo da “Case Bruciate“. In ogni caso nell’ambito del territorio del feudo di famiglia.

La caccia non da esiti positivi, un gruppo di lepri si nasconde sotto alcuni rovi dai quali i cani (ecco il simbolo che troviamo evidenziato nelle immagini del Santo) non riescono a stanarle. Il ventitrenne nobile cavaliere Corrado, nonostante il caldo afoso di giugno, ordina di appiccare il fuoco alle sterpaglie per stanare la cacciagione cosa che avviene dimodoché il Confalonieri con i servi al seguito torna a casa in quel di Piacenza ignorando il fatto che, complice il forte vento, il fuoco si estende in breve bruciando tutto ciò che incontra, tra cui boschi, case e capanne. Secondo altra fonte però in realtà il gruppo si rende perfettamente conto del disastro per cui Corrado e i suoi scappano verso casa a Piacenza decisi a non far trapelare la verità.

Per questo fatto nei secoli successivi Corrado verrà definito “il Santo incendiario” e in alcune immagini verrà rappresentato appunto insieme a un cane in quanto animale che ha avuto un ruolo importante nell’incidente e, come vedremo, nella conversione che ne segue.

La conseguenza dell’incendio: cambia radicalmente la vita del giovane Corrado

L’incendio? Si sospetta sia una provocazione guelfa contro la governanza ghibellina.

Non appena la notizia si propaga in città, si crede che l’incendio sia stato appiccato dai Guelfi per colpire la governanza ghibellina attirandone le truppe sui luoghi del disastro dove si pensa siano in agguato le armate guelfe. Subito dunque si scatena la caccia al responsabile (l’importante è individuare il classico capro espiatorio), qualcuno indica la presenza in zona di un povero contadino di nome Meo (così lo chiama Corrado Occhipinti Confalonieri nel suo recente romanzo storico “La sposa del Santo“) che forse, si dice, contava sulla paura causata dal fuoco per compiere qualche furto. Catturato, torturato, estorta la confessione, viene condannato a morte.

Poco tempo dopo un corteo di guerrieri e sacerdoti attraversa Piacenza: porta al supplizio il contadino, passando proprio nella via dell’abitazione di Corrado (sita nel palazzo dei conti Caracciolo che ha la facciata principale su via Borghetto) che, in base al codice d’onore cavalleresco, non può consentire che un innocente paghi con la vita per un errore non suo. Così non esita, insieme ai suoi, ad assalire il corteo, catturare il contadino, portarlo nel palazzo chiudendolo in un luogo sicuro.

Subito dopo si presenta al palazzo del Comune dal Galeazzo Visconti, ghibellino, e confessa la sua colpa. In quanto nobile evita la condanna a morte ma deve pagare per i danni causati, utilizzando tutti i suoi averi e quelli della moglie Eufrosina Vistarini, di famiglia ghibellina, alleata alla forza emergente dei Visconti di Milano. Ma non basta: tocca alla famiglia raccogliere la somma comunque rimanente.

La damnatio memoriae familiare e la conversione spirituale

Dunque il nobile Corrado si ritrova povero di tutto, denigrato, abbandonato e oltretutto subisce la damnatio memoriae cioè viene cancellato dalla memoria dei Confalonieri. Non a caso per circa 200 anni dopo la sua morte nessuno della famiglia viene più chiamato Corrado.

Non può far altro, anche su suggerimento di Eufrosina, che seguire le orme di Francesco d’Assisi: chiedere ospitalità in qualità di penitente del Terz’Ordine Regolare ai francescani del Romitorio ospitale detto “gorgolare” (denominazione che trae origine dal tipico rumore perenne dell’acqua del canale adiacente all’ospizio che serviva la ruota di un mulino) che lui ben conosce perché presente nella sua Calendasco, mentre per quanto a lei, essendo maritata, non può far altro che entrare nell’ordine delle clarisse, suore di clausura nel convento cittadino di Santa Chiara in Piacenza. Secondo alcune fonti storiche siamo nell’anno 1315.

Eremita itinerante secondo la tradizione francescana, Corrado attraversa l’Italia verso sud, praticamente seguendo il percorso comune con i pellegrini della Via Francigena

Corrado vive nell’ospitale insieme ai frati dei quali ben conosce il loro esemplare modo di vita, affidato tutto alle sole parole del Vangelo. Tuttavia dopo cinque anni, nel progredire nel suo stato religioso, ha poi modo di riflettere sulla sua scelta fino a prendere la decisione di lasciare Piacenza e tutte le cose materiali per dedicarsi alla propria anima e alle cose eterne. Inizia dunque il cammino verso sud, lungo la strada seguita dai pellegrini diretti a Roma per pregare sulle tombe degli Apostoli.

Dopo Roma il viaggio prosegue in Terra Santa e con una presenza a Malta

Alcune fonti accennano al fatto che il pellegrinaggio prosegue con un viaggio in Terra Santa e addirittura con una presenza a Malta ma sembra corretto considerarle leggende prive di fondamento. Vale comunque la pena soffermarsi su una notizia riportata in un manoscritto del tardo seicento redatto da un gesuita: avendo avuto dei diverbi con degli abitanti di Casal Musta, San Corrado, come scrive il gesuita, lascia l’isola viaggiando sul mare sopra al suo mantello di pellegrino e penitente, approdando in Sicilia. Un’immagine che sembra evocare il superamento della materialità e il raggiungimento di un cammino di solo spirito premessa alla santificazione. Sul grandioso portone bronzeo della cattedrale di Noto, sul quale sono raffigurate le fasi salienti della intera Vita del Patrono, tra queste spicca la fuga da Malta e la traversata sul mantello.

Comunque, a prescindere dalla veridicità della presenza di San Corrado, va osservato che a Malta risulta presente un culto legato alla figura del Santo piacentino.

Oltre leggende, il viaggio di Corrado prosegue e arriva in Sicilia, a Palazzolo in Val di Noto

Lasciata Roma, proseguito il viaggio verso la Sicilia, giunge a Palazzolo nella Val di Noto, cerca di sistemarsi per la notte ma gli abitanti lo insultano e gli aizzano perfino i cani contro costringendolo alla fuga (nota: ancora una volta i cani svolgono un ruolo determinante nella vita del frate pellegrino). Corrado percorre altre 13 miglia e finalmente arriva nel paese di Noto. Secondo studi recenti siamo nel 1331-32. Per alcuni giorni alloggia nell’Hospitale di San Martino per poi recarsi alle ‘Celle’, quartiere rupestre immediatamente al di sotto dell’abside della chiesa del Crocifisso, appartenente ad un ‘eremita urbano’, tal Guglielmo Buccheri.

Le Celle sono un ambiente isolato e silenzioso, con attaccato un orticello al quale Corrado ben presto dedica le sue assidue cure. Attività manuale, silenzio e preghiera, tutto quello che Corrado va cercando nell’intento di avvicinarsi a Dio. Ma la solitudine dura poco, sempre più numerosi accorrono i netini per visitarlo manifestandogli affetto e amicizia e chiedere la sua intercessione presso Dio per i loro problemi più urgenti. Alla lunga tutte queste attenzioni e presenze diventano motivi di affanno e di pena così Corrado dopo due anni di permanenza abbandona Celle, se ne va, esce dalla città allontanandosi per circa tre miglia alla ricerca di un luogo deserto e solitario che trova ai Pizzoni.

Tre singolari cucuzzoli al di sotto dei quali in una cava di erosione scorre un fiume grazie al quale la zona risulta ricca di animali e lussureggiante di verde. Corrado si trova a proprio agio, si stabilisce in una grotta a mezza costa che arreda con un crocifisso di cartapesta e una mezza zucca vuota da usare come recipiente d’acqua. Nessun giaciglio per dormire, nessun sgabello per sedersi o un tavolo per mangiare.  Eppure da quella cava vuota al bisogno Corrado non esiterà a trarre fuori pane caldo per i suoi ospiti compreso il Vescovo di Siracusa: pane impastato da mani d’angeli.

Finalmente dunque Corrado realizza la sua aspirazione alla solitudine contemplativa anche se non riesce ad isolarsi completamente: la gente lo ama e lo va a trovare spesso e volentieri interrompendo il suo silenzio e forse disturbandolo ma lui riceve tutti benevolmente. Una volta alla settimana poi è lui stesso a spingersi a Noto o ad Avola per la questua e sarà in una di queste visite che compie il suo primo miracolo guarendo un amico, Antonio Sessa da un persistente dolore al fianco che lo assilla da anni. Ma non solo: un altro amico, un sarto, gli racconta della malattia del figlio di sette anni tormentato da un’ernia talmente voluminosa che i suoi testicoli sono grossi come pani. Corrado fa un segno della croce sulla deformità del bambino e si allontana in tutta fretta mentre il bambino comincia a saltare come non aveva mai potuto fare. Così nell’anno 1335.

La santificazione di Corrado Confalonieri

Corrado in quello stesso 1335 viene riconosciuto Santo per acclamazione popolare e riconoscimento vescovile grazie alle guarigioni miracolose e soprattutto al cosiddetto miracolo dei Pani, che Corrado compie durante la terribile carestia che colpisce la Sicilia causata dalla peste nera. Secondo la leggenda, in quel periodo, chiunque si rivolga a Corrado, non torna a casa senza un pane caldo, impastato direttamente dalle mani degli Angeli.

Di tutto questo a Calendasco e a Piacenza non si ha notizia alcuna.

Nel 1500 la Chiesa comincia il percorso per dotarsi di norme specifiche che possano definire il processo di santificazione e questo per evitare confusioni e abusi: nel medioevo si era infatti sviluppato un florido commercio di reliquie che andava limitato. Con il Concilio di Trento (1545) quel percorso trova definizione: il processo di santificazione prevede quattro fasi, la proclamazione quale Servo di Dio, il riconoscimento quale Venerabile, quindi la Beatificazione e infine il riconoscimento dello stato di Santità.

Papa Leone X nel 1515 attesta lo stato di Beato di Corrado Confalonieri poi l’oblio formale scende sull’eremita di Noto tantoché ancora oggi molte fonti documentali lo definiscono venerato dalla pietà popolare come santo anche se ufficialmente sarebbe “solo” beato.

La seconda damnatio memoriae, quella Farnesiana e la definitiva Santificazione

La seconda damnatio, ancora più feroce della precedente, arriva dopo la beatificazione del 1515, quando ormai Corrado è Santo per la Chiesa ma il suo culto è limitato alla Sicilia e così sarà fino al 1600 per volontà dei Farnese e di papa Paolo III Farnese in particolare.

Nel 1547 quattro nobili piacentini, Pallavicino, Landi, Anguissola e GiovanLuigi Confalonieri uccidono il Duca Pierluigi Farnese, figlio di papa Paolo III, imposto come ‘dominus’ del Ducato, posizione che interpreta in senso tirannico (tra l’altro impone ai nobili di avere, in funzione di controllo, residenza a Piacenza per poter mantenere i feudi assegnati in precedenza). Una vera e propria congiura, un atto di rivolta contro quello che ritengono un dittatore e comunque una scelta di campo: dalla parte di Milano contro il potere del Papa. I Farnese da quel 10 settembre 1547, data dell’uccisione, cercano la vendetta arrivando a costringere i Confalonieri all’esilio in quel di Milano e comunque non permettendo che il culto di San Corrado, di fatto vanto della casata Confalonieri, sia divulgato nel Piacentino e solo a partire da una lettera inviata da Noto al vescovo piacentino Claudio Rangoni nel 1610 si inizierà ad avere notizia del Santo consentendo innanzitutto il superamento della damnatio memoriae per quanto alla famiglia e contemporaneamente aprendo una breccia nella damnatio farnesiana arrivando alla costruzione nel 1613 di una cappella al Santo con affreschi in cattedrale a Piacenza, come culto devozionale, cappella che peraltro, a richiamo di una santificazione che non cessa di creare contrasti, viene poi abbattuta durante i lavori di ristrutturazione del Duomo voluti dal Vescovo piacentino San Scalabrini e, prima di avere una presenza concreta del Santo nella città capoluogo bisognerà attendere il 1974, quando per volontà del Vescovo Manfredini viene finalmente eretta la parrocchia a lui dedicata.

Spetta a Papa Urbano VIII nel 1625 porre fine alla questione ribadendo il riconoscimento dello stato di Santo secondo le regole vigenti prima delle decisioni del Concilio di Trento e infatti Corrado Confalonieri risulta inserito nell’elenco dei Santi riconosciuti dalla Chiesa cattolica.

Non mancano tuttavia ancora situazioni che suscitano perplessità: nel corso del convegno di Calendasco del 10 febbraio 2024 lo scrittore Carmelo Sciascia ha ricordato un articolo apparso sul settimanale della Curia “Il Nuovo Giornale” nel quale si dubita che il Santo sia nato nel piacentino e nel contempo non può non stupire l’evidenza del guado di Sigerico a Soprarivo di Calendasco (luogo natio del Santo) cointestato oltreché a Sigerico a San Colombano di Bobbio (probabilmente mai passato da queste parti) e appunto non a Corrado che per alcuni anni ha sicuramente garantito ospitalità nel Romitorio del paese ai pellegrini della via Francigena. Un disconoscimento decisamente “anomalo” e a poco serve ricordare che da sempre “nemo profeta in patria est“.

Conclusione: gli ultimi giorni del Santo e le celebrazioni odierne

Corrado muore nella sua grotta il 19 febbraio 1351 con al suo fianco il confessore (ma secondo altre fonti un devoto venuto a trovarlo). Il racconto narra di un trapasso avvenuto in ginocchio e in preghiera con gli occhi al cielo, posizione mantenuta anche dopo il trapasso, mentre una luce avvolge la Grotta dei Pizzoni.

Viene seppellito nella Chiesa di San Nicolò a Noto, secondo le sue volontà. In seguito il corpo viene traslato nella Cattedrale dove è venerato da parecchi secoli.

Fra le numerose celebrazioni dedicate al Santo, da segnalare il 19 febbraio presso la parrocchia di San Corrado Confalonieri a Piacenza la cerimonia di incontro tra i fedeli della comunità piacentina e netina, con l’arrivo nella città emiliana di numerosi fedeli di Noto e dei netini residenti in nord Italia, per una celebrazione ricca di significati e fratellanza.

Il santo è patrono di Calendasco dal 1617. Nella chiesa parrocchiale (dedicata a Maria Assunta), si trova un dipinto di autore ignoto dei primi del XVII secolo che lo raffigura con l’abito francescano durante la sua conversione nell’eremo denominato “gorgolare“, e si conserva anche la reliquia del pollice della sua mano sinistra. La chiesa è ricca anche di una grande pala del 1750 circa che raffigura anch’essa il patrono del paese. Nel 1907 e nel 1927 dai vescovi di Noto vengono donate due reliquie insigni da porre alla venerazione dei fedeli di Calendasco.

A Piacenza lo si venera nella chiesa parrocchiale che porta appunto il suo nome; anche a Celleri di Carpaneto egli viene onorato, in quanto nella campagna si erge la Torre Confalonieri, una cascina fortificata che fu proprietà della Nobile Casata.

A Noto il patrono viene ricordato con processioni svolte due volte l’anno, il 19 di febbraio e nell’ultima domenica di agosto. Dal 1485 il corpo del “santo” eremita a Noto viene conservato in una magnifica urna argentea. In agosto vengono celebrati l’arrivo del “Santo” e la prima processione, avvenuta proprio in quell’occasione.

Nella Valle circondante Noto vi è l’eremo di San Corrado, che ingloba ancora oggi la grotta dell’eremita. Una nuda grotta rocciosa ove visse in preghiera e contemplazione. Nell’eremo del “santo” vi è anche un bel Museo con esposti gli ex voto per le grazie ricevute, quali ad esempio arti artificiali: una testimonianza concreta della continua grazia che i devoti ricevono per intercessione di san Corrado.

A cura di Claudio Arzani, giornalista pubblicista

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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