“Bernardo Barbiellini Amidei ras di Piacenza”, intervento di Carmelo Sciascia

Spesso per salvare un periodo storico, su cui convergono i giudizi negativi degli storici e della collettività, si prende qualche personaggio che, pur facendo parte di quel periodo, ha avuto una posizione critica nei riguardi dell’establishment, e ci si ricama sopra. Praticamente, attraverso alcuni aspetti di quel personaggio si tende a riconsiderare e rivalutare un intero periodo. Mi riferisco in questo caso ad un noto personaggio locale che è stato uno dei maggiori rappresentanti del fascismo piacentino, il conte Bernardo Barbiellini Amidei.  Partendo ad esempio dal dato familiare, che fosse cioè nipote di Rosa Gattorno, la fondatrice delle Figlie di S. Anna, e che si dichiarasse cattolico fervente, lo si inserisce in un filone cristiano del fascismo. Ma può accostarsi l’appellativo di cristiano ad un movimento prima e ad un partito poi che scambiava l’olio di ricino con l’olio santo o il santo manganello con l’aspersorio? Conosciamo anche la polemica e le aggressioni, verbali e fisiche, che dovette subire don Francesco Gregori direttore del giornale diocesano. Il fascismo esaltava, come mezzi di persuasione di massa, proprio la tortura e la violenza, e perciò non basta, come faceva Barbiellini, l’avere “urlato la sua ortodossia di cattolico e la sua fede di cristiano” a convincerci. Anche perché è palese il suo odio razziale verso gli ebrei che accomuna ai socialisti, responsabili con le loro azioni violente ed i loro scioperi di rovinare l’Italia. “Coi bolscevichi si tratta solo dopo averli distrutti a legnate”. Sappiamo che, dal 1919 in poi, anche nella provincia di Piacenza la violenza (pestaggi ed omicidi) era appannaggio dei proprietari terrieri e dei fascisti.  Non a caso a Mercore di Besenzone nell’ottobre del 1919, i fratelli Bergamaschi, proprietari terrieri, sparavano sugli scioperanti ad altezza d’uomo lasciando sul terreno cinque scioperanti. È vero che anche a Piacenza c’erano diverse anime all’interno del fascismo e spesso arrivavano a veri e propri scontri armati, come lo scontro tra le frazioni di Barbiellini-Amidei e quelle di Radini-Tedeschi. Dissapori all’interno della gerarchia fascista ce ne erano, tant’è che diverse volte il Barbiellini si trovò scaraventato dagli onori degli altari sulla polvere, proprio a causa di accuse mosse da altri “camerati”. All’interno del Partito fascista era nota l’avversione nei suoi riguardi di Radini-Tedeschi, del federale Montemartini e del prefetto Tiengo.   Ma nulla toglie al fatto che furono comunque accomunati dalla credenza fascista e che idolatrarono sempre il Duce, quel Duce che nel discorso alla camera del gennaio del 1925, dopo l’assassinio di Matteotti, aveva definito il fascismo come una vera e propria associazione a delinquere: “Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere”. Se il capo lo aveva apertamente dichiarato, nulla vieta pensare che tutti gli altri aderenti al partito lo siano stati, anche perché ne avevano dato prova in più occasioni. Quel movimento era sorto a difesa degli industriali e dei proprietari terrieri e doveva, attraverso l’uso della violenza, distruggere qualsiasi aspirazione di crescita sociale e politica di operari e contadini, la violenza dunque era nelle stesse premesse del partito.

In questo contesto si inserisce la figura di un ras locale come Barbiellini. Un personaggio dalle diverse sfaccettature ma sempre di dichiarata fede fascista e di incondizionata fiducia al suo Capo. Ai riconoscimenti ufficiali Il conte aveva aggiunto medaglie fasulle, riconoscimenti mai avuti, era stato per questo accusato e riconosciuto con sentenza del tribunale di Bettola colpevole dell’appropriazione indebita di detti riconoscimenti. Era solito da parte dei gerarchi mostrarsi durante le pubbliche adunate con una pletora di decorazioni appuntate al petto. Per il fascismo, come per ogni dittatura, l’apparire e l’essere coincidono. Queste stesse medaglie, dopo la sua morte, verranno riconosciute come vere da quel fascismo che le aveva dichiarate false! Il caso comunque più drammatico che ha investito Barbiellini è il caso Lertua.

Il conte Barbiellini, come tanti altri gerarchi e politici fascisti, usava servirsi di una manovalanza squadristica composta da reduci, da uomini ambiziosi e senza scrupoli. Il capo della spedizione punitiva del 2 aprile 1924, distruzione dello studio dell’avvocato socialista Buffoni a Milano, era un certo Merli, che dichiarava al Procuratore del Re di Piacenza, di avere organizzato l’impresa per istigazione e mandato esplicito del deputato fascista on. Conte Bernardo Barbiellini Amidei. Tra i componenti della spedizione c’era Lertua, agli ordini di Barbiellini prima, era passato poi agli ordini degli avversari della “Vandea”. La Vandea era costituita da un raggruppamento di agrari piacentini in urto con il Barbiellini. Lertua viene ucciso a Roncaglia nell’autunno del ’24. Circolerà la voce che l’omicidio fosse stato ordinato dal conte per sopprimere Lertua, testimone della spedizione Buffoni. Fatto sta che i cinque autori dell’omicidio, nonostante rei confessi, saranno rimessi in libertà. Questo processo rispecchiava, in ambito locale, ciò che erano stati i processi, celebrati in altre sedi, di don Minzoni e di Matteotti! Processi manovrati dal fascismo, dove le sentenze venivano scritte prima di qualsiasi dibattimento.

 Gli studi che seguono le indicazioni di Renzo De Felice sulla storiografia del ventennio non possono riesumare la figura del conte Barbiellini Amidei come uomo del dissenso dal fascismo, perché fu personaggio organicamente funzionale al sistema: un fascista senza partito non poteva assurgere alla carica di podestà di Piacenza né di onorevole. Rimane semmai l’aspetto culturale, l’essere stato uno studioso in campo linguistico, avere insegnato all’Istituto Orientale di Napoli. Ma ce ne fosse bisogno anche in questo campo si rivela tutta l’arroganza del potere e del P.N.F. Il ras di Piacenza dopo essere stato un protagonista ed un rappresentante istituzionale del fascismo, dovrà soccombere alle scelte dello stesso Mussolini che attraverso Bottai lo farà dimettere dalla carica universitaria: apprenderà in vacanza di aver dato le dimissioni a sua stessa insaputa. Bernardo Barbiellini Amidei, conte, possidente, podestà ed onorevole deputato, partirà in seguito come volontario di guerra in Albania, dove morirà.  Sarà decorato al valore e tra i riconoscimenti gli verranno attribuite le medaglie fasulle che si era attribuito. Il fascismo toglieva ed assegnava meriti e cariche con velocità e discrezionalità inimmaginabili. Il generalissimo Italo Balbo con la stessa ferocia con cui spaccava teste nelle campagne di Romagna, esamina gli altri fascisti che le spaccavano al suo fianco, secondo le direttive del Duce. C’è tra i personaggi esaminati Bernardo Barbiellini, conte, possidente terriero, volontario di guerra, decorato al valore, ras di Piacenza, amico personale di Balbo che accanto al suo nome, annota: “E’ un giovane onesto e non privo di ingegno: ma è un temperamento nevrastenico, direi epilettoide. Non è un individuo normale, e non ha il prudente criterio per reggere con saggezza il timone di una nave”.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

Una risposta a ““Bernardo Barbiellini Amidei ras di Piacenza”, intervento di Carmelo Sciascia”

  1. Errata corrige: Barbiellini Amidei morirà in Albania non in Libia, ucciso dai partigiani albanesi.

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