Accadde oggi: 18 dicembre 1935, gli italiani donano la Fede d’oro per sostenere l’invasione dell’Etiopia

Il 2 ottobre 1935 Benito Mussolini dichiarò guerra all’Etiopia. Il 18 novembre i cinquantadue Paesi facenti parte della Società delle Nazioni imposero l’assedio economico all’Italia, colpevole di aver aperto le ostilità contro l’Etiopia. Le grandi adunate per la campagna d’Etiopia furono probabilmente le occasioni in cui si realizzò la più forte comunanza di intenti tra il fascismo e la società italiana. I successi delle prime operazioni di guerra e le sanzioni inflitte dalla Società delle Nazioni avevano suscitato nel Paese ondate di patriottismo. Per ovviare alle difficoltà economiche derivanti dalle sanzioni il regime istituì la Giornata della Fede.

Il 18 dicembre, in una giornata gelida e piovosa, gli italiani donarono alla Patria i loro anelli nuziali e al loro posto ricevettero anelli di metallo senza valore realizzati dall’autorità governativa con la dicitura oro alla patria.
Per sostenere i costi della guerra furono offerti, oltre alle fedi nuziali d’oro, anche altri oggetti in oro e in argento come bracciali, collane, ecc., in rame e in bronzo come pentole, brocche, candelabri, ecc.

Per dare l’esempio anche la regina Elena consegnò all’Altare della Patria la fede nuziale. Ad attenderla vi erano le madri e le vedove dei caduti della Grande Guerra mentre i corazzieri schierati sulla scalinata del Vittoriano sorreggevano l’enorme corona che sarebbe stata deposta sulla tomba del Milite Ignoto. La sovrana depose la sua fede nunziale e quella del re in uno dei due giganteschi tripodi collocati sulla sommità della scalinata; in cambio delle fedi un alto prelato le porse, dopo averle benedette, due fedi di acciaio. La regina Elena pronunciò un breve discorso nel quale, oltre alla commemorazione dei caduti, si auspicavano nuove guerre vittoriose.
Dopo di lei fu Rachele Mussolini a donare le fedi nuziali.
Un ruolo centrale nella cerimonia spettò alle madri e alle vedove di guerra, il cui gesto assunse particolare valenza simbolica poichè sanciva la continuità tra i caduti della
Grande Guerra e quelli delle guerre del fascismo.
Lo stesso fecero a Napoli Maria José e a Torino Jolanda di Savoia. Umberto donò il proprio
collare dell’Annunziata, il re alcuni lingotti d’oro e d’argento, Luigi Pirandello la medaglia del Premio Nobel, Benedetto Croce la sua medaglia di senatore, come pure Vittorio Emanule Orlando e Luigi Albertini. Gabriele D’Annunzio spedì la sua vera e una cassa d’oro, Guglielmo Marconi l’anello nuziale e la medaglia da senatore.

Dal popolo arrivarono cose di poco valore, ma ci furono anche oggetti preziosi, braccialetti, catene e coccarde d’oro zecchino. In tutto il Paese si raccolsero 33.622 chili d’oro e 93.473 d’argento.

L’assedio portò l’Italia all’autarchia, le cui linee guida furono delineate da Mussolini il 23 marzo 1936 in Campidoglio nel discorso all’Assemblea Nazionale delle Corporazioni che alimentò il mito dell’italianità e dell’autosufficienza. Per il fascismo, colpito dalle sanzioni, fu un plebiscito, un trionfo e una rivincita.
La
Giornata della fede fu un rituale di massa ad alta intensità emotiva: uno dei più efficaci tra quelli elaborati dal fascismo per fondare una nuova liturgia della Nazione.
La solennità del rito venne esaltata dalla riproduzione in simultanea della cerimonia in ogni parte del Paese; anche nel più piccolo comune d’Italia le donne si raccolsero presso il monumento ai caduti o il cimitero di guerra per donare la fede alla patria.

La Giornata della fede del 18 dicembre entrò nel calendario delle festività fasciste e venne celebrata con solennità fino al 1938. Al termine delle sanzioni ci furono grandi festeggiamenti in tutto il Paese, vennero posate lapidi e monumenti per ricordare questo periodo di penuria. Con questa iniziativa il fascismo diede l’illusione di possedere la capacità di far superare al popolo italiano tutte le difficoltà in cui si sarebbe potuto imbattere, e ciò ne incrementò ulteriormente il consenso.

Pubblicato da arzyncampo

14 febbraio 1954, bassa pianura emiliana, Fiorenzuola d'Arda, quell'era le debut. Oggi vivo e lavoro a Piacenza. Giornalista pubblicista, il destino ha voluto mi impegnassi in tuttaltro campo, al servizio dei cittadini nella sanità pubblica. Tuttavia scrivere, per me, é vitale, divertente, essenziale, un mezzo per esprimere la mia presenza nel mondo e dir la mia. Così dal giornalismo sono passato, per passione e non per lavoro, alla poesia, alla narrativa, ai resoconti, agli appunti ovunque e su tutto, fino alla scoperta del blog. Basta scrivere, appunto, per dire di aver qualcosa da dire alla gente di questo nostro mondo. Fin quando avrò una penna, ci sarò.

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