L’eco assordante, in fondo a quel silenzio,
dei corpi inermi, straziati oltre la morte,
mi assalì già al varcare il suo cancello:
“Arbeit macht frei”,
con la sua truce, beffarda
verità profanata.
Mi bruciava nel sangue
l’opaca sordità del male;
e quell’immondo orrore,
pietosamente evocato,
mi offuscava la vista,
mi toglieva il respiro.
Della spianata riarsa,
all’ingresso dei forni,
rimarrà in me solo un senso
d’abisso insostenibile,
da non poter scrutare.
E mi vennero in mente le domande,
di due poeti, presenza e memoria
di quell’inferno: Krystyna Żywulska,
sopravvissuta ad Auschwitz,
e William Heyen, nato in quegli anni
in America, nipote di un SS.
“Arriveranno giorni migliori?”
e “Ma chi ha ucciso gli Ebrei?”
“Io ho solo obbedito a degli ordini!”
replicavano cori di voci
dall’oscena quiete di una prigionia,
fieramente trascinata, nell’ombra,
fino a un’indegna morte naturale.
Qualcuno ha una risposta?
Io non so darla, ma vedo
che in troppe parti del Pianeta
con i suoi tanti genocidi,
rimossi e impuniti,
vedo che “i giorni migliori”,
minimamente migliori,
sembrano molto lontani:
potranno ancora arrivare?
(Nota: Visitai il Campo di Dachau, ora aperto al pubblico, divenuto memoriale e museo, nell’estate del 1993, durante un viaggio in Baviera.)