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Lo confesso, nel corso della vita, sognandomi artista, mi sono dilettato con i pennelli. Tempere. Senza tecnica di base, senza adeguato addestramento, senza cognizione alcuna, nemmeno di come si ottengono i colori (vado a tentativi sovente stonando, oppure trovo e compero tubetti di colori preconfezionati, quasi niente o comunque il meno possibile fai da te). Sono otto le tele realizzate, tutte durante le vacanze estive, tra il 1988 e il 2008. Sei giacciono “conservate” in cantina e nella dacia in Val Trebbia. Una, la prima dipinta, fa bella mostra di sé in salotto con tanto di cornice grazie al valore affettivo che rappresenta (riproduce la veduta dalla finestra della casa a Biassa, sopra LaSpezia e all’inizio delle Cinque Terre, dove passammo un mese intero nell’anno della nascita di Edoardo) . L’ultima, dipinta dopo oltre dieci anni di “inattività” nel 2002, rappresenta la rocca di Brugnello, in Val Trebbia (la valle deputata per appunto alle vacanze, dove in campeggio si trova la piccola ma ospitale dacia in riva al fiume): regalata l’anno scorso ad un’amica su sua sostanziale richiesta, credo sia esposta su qualche parete a casa sua.
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Quanto al “rockdrillo vigila all’ingresso della verde Valle”, risale ad agosto 2005 e simboleggia un periodo particolarmente critico nella gestione del villaggio campeggio dove trascorro i miei dolci ritiri estivi. Dopo l’alluvione del 2000, quando il fiume ruppe gli argini, distruggendo decine di piazzole, travolgendo bungalow e roulotte, sommergendo tutto nel fango, ne è conseguito un vero e proprio conflitto familiare quanto alla gestione e alla proprietà.
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Alla fine l’ha spuntata chi, avendo a disposizione macchine movimento terra in grado di ripristinare gli argini violati, poteva permettersi di ricostruire ciò che le acque si erano portate via.
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Una persona di scarsissima sensibilità umana sicuramente poco propensa alla fantasia e alla poesia. Come ha subito scoperto quella roccia nera, di probabile origine vulcanica persa nella notte dei tempi come la montagna alle sue spalle (la Pietra Parcellara). Posta in mezzo al percorso del fiume proprio nel punto in cui disegnava l’ansa che lo portava altrove lontano dalla vista, soprannominata da qualcuno “il cappello del marajà” per la sua imponenza, veniva spesso usata per stendersi al sole da avvenenti figliole e da signore che Dio le abbia in gloria.
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Personalmente, anche quando l’alluvione aveva deviato il percorso del fiume portando quella roccia all’asciutto rendendola ancora più imponente, la vedevo come il rockdrillo, guardiano di quel che era stato il fiume e il nostro piccolo villaggio, garante insomma del ritorno alla normalità.
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La nuova proprietà non ebbe invece esitazioni privilegiando il calcolo dell’interesse economico proprio, spostando subitaneamente la roccia, utilizzandola più a valle per realizzare uno sbarramento al flusso delle acque come da appalto pubblico assegnato.
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Ora il fiume continua a scorrere come d’abitudine ma quanto al villaggio, perso quel guardiano, le presenze “fisse”, quelle a contratto annuale, sono ridotte da cento a venticinque unità.
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